DAL PROCESSO "LANDO CONTI"Militanti delle Brigate Rosse per la costruzione del PCC e Militanti rivoluzionari (seconda parte)
[segue da Controinformazione internazionale n.8]
Sul piano interno la guerra contro l'Irak è caduta in un contesto di scontro e di mutamenti istituzionali che in parte già contengono presupposti per cambiamenti decisivi nel quadro complessivo delle relazioni politiche e sociali tra le classi e nelle forme di potere che vogliono essere istituite. In questo senso il contesto che si è determinato prelude ad un ulteriore salto in avanti rispetto a quello che si è maturato nel corso della lunga fase di scontro di classe iniziato con la controrivoluzione degli anni '80, nella necessità di sancire una riformulazione ad un più alto livello dell'assetto e dei poteri dello Stato, nel tentativo illusorio di uscire da quelle secche in cui la "stabilità" è la risultante estremamente labile di continui strappi e lacerazioni su tutti i piani delle relazioni politiche nel paese, così come si è andato a caratterizzare il modo di governare in particolare in questi ultimi anni. Per comprendere la portata di quanto si profila, va considerato ciò che si è andato a definire nel lungo e contraddittorio processo di rifunzionalizzazione dello Stato che ha assestato mano mano mutamenti di sostanza alle prerogative degli organi e delle figure istituzionali, la progressiva esecutivizzazione che tale processo ha conseguito vede oggi infatti l'assunzione senza precedenti di nuovi e maggiori poteri nella figura del Presidente del Consiglio e di un ristretto ambito dell'Esecutivo. Ciò che è stato raggiunto in termini di esecutivizzazione è il piano più alto a livello istituzionale di un processo materiale che ha le sue cause principali e il suo possibile movimento nei concreti rapporti di scontro tra le classi. Per questa ragione fondamentale la base di forza che ha potuto dare il via al riassetto delle istituzione va ricondotta alla controffensiva dello Stato negli anni '80, la quale, proprio per il livello avanzato dello scontro che si è prodotto nello scontro di classe e rivoluzionario non poteva darsi se non assestando un duro colpo alle BR, per poi dispiegarsi dai settori di autonomia di classe che si collocavano intorno alla proposta rivoluzionaria fino ad attraversare tutto il corpo di classe. Una controffensiva che per modi e tempi in cui si è data, ha assunto carattere di vera e propria controrivoluzione da cui la borghesia italiana ed il suo Stato hanno potuto modificare a loro favore i rapporti di forza ed iniziare ad operare il corrispettivo riordino dello Stato per rispondere alle esigenze poste dalla concentrazione monopolistica ed alle avvisaglie della tendenza alla guerra. Per questo il primo passo non poteva che assestarsi sul piano capitale/lavoro con i patti neocorporativi. Dai patti neocorporativi in poi il processo di esecutivizzazione che si è configurato dentro ulteriori forzature nei rapporti politici e di forza tra le classi, con l'istituzione del supergabinetto e la legge sulla presidenza del consiglio, hanno visto rafforzate le prerogative del governo intorno al quale il Parlamento è stato rifunzionalizzato (con la decretazione d'urgenza e la fiducia usati come strumenti ordinari, il voto palese, ecc., fino ad arrivare ad un diverso iter nel fare le leggi). Un processo che non poteva non investire tutti gli istituti e le funzioni dello Stato, in primo luogo la magistratura. L'entità dei mutamenti apportati nel paese e nel quadro istituzionale, in specifico nei salti compiuti in questa ultima legislatura, per come si sono delineati, già indicano in larga misura gli equilibri e i binari su cui premere per arrivare alla diversa configurazione dei poteri dello Stato. Una svolta che per affermarsi profila la necessità di arrivare ad un ulteriore frattura nelle relazioni classe/Stato e dentro le stesse istituzioni, poiché la dinamica che evolve alla Seconda Repubblica, per potersi dispiegare, deve incidere da un lato sull'impalcatura costituzionale post-resistenza che, pur avendo consentito alla borghesia di gestire il potere a fronte dei limiti strutturali e dell'acuto scontro di classe, rappresenta oggi un condizionamento all'ulteriore sviluppo dei termini formali della democrazia borghese, dall'altro, e come dato sostanziale, di incidere sul piano dei rapporti generali e formali tra le classi che si sono sviluppati in questo quarantennio, condizionato dai processi di lotta del proletariato, dai suoi avanzamenti politici e sociali, nonché dai caratteri di maturità e di combattività dell'autonomia politica di classe sui quali ha inciso in termini di sostanza la progettualità rivoluzionaria della proposta della lotta armata per il comunismo. Un piano generale la cui sostanza e valenza ha un peso specifico sulla relatività dei rapporti di forza, costituendo il limite politico effettivo, sia pure elastico, che la borghesia imperialista a tutt'oggi non ha potuto travalicare. In questo senso nonostante gli anni di controrivoluzione e le posizioni odierne di relativa difensiva del campo proletario e rivoluzionario, non c'è la pacificazione auspicata dalla borghesia imperialista, ma il reale approfondimento del rapporto di scontro sia sul piano politico classe/Stato che sul piano rivoluzione/controrivoluzione nell'inasprimento di tutti i termini della controrivoluzione preventiva. Sullo sfondo di questo quadro politico di riferimento e nel contesto generale di crisi che si è aperta nel paese, in relazione alla resistenza che a vari livelli il proletariato oppone al peggioramento delle condizioni politiche e materiali, si fanno sempre più forti le spinte per una "soluzione forte" dell'impasse istituzionale in rapporto all'ingovernabilità sociale. Spinte che nascono dalle impellenti esigenze che l'acutezza della crisi pone alla borghesia imperialista nostrana e a cui, indubbiamente, ha contribuito la stessa partecipazione dell'Italia alla guerra contro l'Irak, spinte oggettive e soggettive, dunque, che rendono quanto mai critica questa peculiare fase politica. Questo mentre lo Stato, pressato da tali scadenze, ha già posto in essere in un crescendo di forzature, il varo dei peggiori programmi a livello sociale e di misure politiche restrittive tese ad intervenire sul corpo di classe, mettendo in discussione perfino quel campo dove sono regolamentati i diritti acquisiti sia in campo economico che sociale e politico. Un insieme di interventi che per la loro portata sono andati ad intaccare il piano stesso delle cosiddette garanzie costituzionali e che ha costituito l'approfondimento di quel terreno materiale nei rapporti politici tra le classi che consentono di avanzare nell'accentramento dei poteri. Su questo sfondo politico sociale e istituzionale contraddittorio, il Presidente del Consiglio ed il suo Esecutivo ristretto, con il supporto di Cossiga come anticipatore delle forzature fatte, si sono assunti il compito di aprire le premesse politiche alla tanto perseguita "fase costituente" che dovrebbe legittimare le forme di potere nei fatti parzialmente operanti. Ed è in questo obiettivo la rottura profonda con tutta la fase precedente, è in questa direzione che si può collocare quanto è avvenuto in particolare nell'ultima legislatura, a partire dal modo in cui è stata interrotta, decisa fuori dalle competenze politiche del Parlamento, per segnare inequivocabilmente come i meccanismi politici decisionali ed in particolare il processo di formazione degli equilibri governativi debbano darsi fuori dal ruolo finora avuto dal Parlamento. In altra parole, quello che si è verificato prima, durante e dopo le elezioni, nelle crisi extra-istituzionali che hanno gravato questo percorso, con un governo rimasto in carica di fatto con le mani libere di legiferare per decreto, dimostra come lo svincolamento dalle leggi vigenti, la loro ostentata messa al margine, sia stata una scelta politica funzionale per condizionare la sostanziale rifunzionalizzazione delle Camere al futuro assetto del potere. Un insieme di modifiche divenute indilazionabili a partire da come è stato accentrato il potere nell'Esecutivo, pena l'acuirsi dello squilibrio tra le sue prerogative ed il ruolo attuale del Parlamento, uno squilibrio che alimenta le crisi di "agibilità" politica nel modo di governare. Questo ripropone urgentemente nuove regole nel meccanismo di formazione del governo, come dato principale all'ordine del giorno, su cui poter modellare norme e competenze delle Camere, adeguate a sostenere politicamente e sul piano legislativo i caratteri di "governo forte e stabile" a cui mira la "riforma". Un insieme di modifiche che, implicando una legge elettorale corrispondente al sistema di governo che vuole essere definito, richiedono gioco-forza lo scioglimento dei legacci parlamentari parlamentari e costituzionali della Prima Repubblica, prospettiva questa che pur rispondendo ad un piano di necessità, ha nella sua attuazione pratica e politica le incognite proprie dell'instabilità e dell'ingovernabilità che hanno caratterizzato le tappe percorse da tutti gli esecutivi in questo decennio. La portata senza precedenti degli atti politici attuati in questo fine legislatura nello scompaginamento degli equilibri preesistenti, nel dettato implicito entro cui viene data la possibilità stessa di aprire alla "fase costituente, qualifica questa crisi come levatrice delle condizioni che possono dare legittimità costituzionale a quanto con atti di forza si è già imposto nel concreto modo di governare, in questo avvalendosi del consenso e del sostanziale schieramento del più vasto arco delle forze politiche borghesi. Il trapasso che si prefigura, come in parte quello già avvenuto, non potrà darsi al di fuori della cornice della "democrazia rappresentativa borghese" che ne sancisca la legittimazione politica formale, un trapasso che avviene al di fuori e contro la profonda delegittimazione sociale e politica nel paese, tra proletariato e borghesia, tra classe e Stato. Dal divario incolmabile esistente tra governabilità formale e rapporti reali di scontro si comprende come ogni avanzamento nel processo di rafforzamento dello Stato sia connaturato dall'approfondimento di tutti i termini antiproletari e controrivoluzionari attivati nelle relazioni con la classe, vero humus su cui poggia il salto della fase politica che si è aperta in Italia. Un dato politico che calato nel contesto del paese fa da sfondo e compenetra le politiche dello Stato sul campo proletario stabilendo il terreno dove si gioca il confronto tra le classi Un terreno di confronto appesantito soprattutto in quest'ultimo periodo dal varo di misure irregimentatrici in materia di "ordine pubblico" estese dal piano della classe a tutte le relazioni sociali, che dentro una demagogica campagna contro la "criminalità" sono la criminalizzazione di ogni opposizione di classe come di ogni espressione conflittuale. "Ordine pubblico" che è da sempre in Italia il piano cui la borghesia imperialista e lo Stato ricorrono quando maggiore è l'instabilità del quadro politico generale, e profondi gli strappi ricercati nei rapporti politici tra le classi, e che oggi vede più che mai le "forze dell'ordine" attivizzate a tutto campo e onnipresenti quale elemento di pressione a supporto di ogni forzatura del governo. E' all'interno di questo contesto generale e proprio dalla guerra con l'Irak, che è stato formalizzato un ulteriore passaggio rilevante nella sua natura coercitiva. Questo è quanto si palesa nella nuova mappa relativa ai prefetti ed alle procure, con le nuovi funzioni loro affidate e il loro coordinamento, usufruendo dell'integrazione operativa delle tre armi, nonché della figura prospettata del superprocuratore cui tutti dovranno fare riferimento, di fatto l'istituzione di un apparato centralizzato sotto la direzione politica di una ristrettissima componente dell'Esecutivo. La finzione prevalente ad essi assegnata è volta principalmente a prevenire il conflitto di classe e per questo il loro intervento sul territorio è irradiato sui maggiori poli metropolitani del paese, ed esprimono l'immediato carattere antiproletario e controrivoluzionario delle loro funzioni, tutte interne a poter attivare ogni livello della controrivoluzione preventiva. Inoltre svolgono anche un ruolo di controllo politico sulle amministrazioni locali, fungendo da raccordo delle decisioni del potere centrale su quello locale. Tali organismi per il fatto che investono il piano giudiziario e nel poter disporre delle principali forze coercitive dello Stato, compresi i servizi segreti riformulati, sono uno strumento di potere di cui i vertici dell'Esecutivo possono disporre. Ciò ha un suo risvolto politico concreto anche verso la magistratura, fanno testo in questo senso le pressioni tese ad esautorare le funzioni di autogoverno di questo potere dello Stato. In questo quadro l'istituzione di organismi giudiziari paralleli come super procure", "super procuratori", che rispondono direttamente all'Esecutivo, agiscono come spinte alla rifunzionalizzazione a cui deve essere volto il potere giudiziario. Nelle modalità con cui maturano svolte in cui la "stabilità" cerca di imporsi avvalendosi, nel governo delle contraddizioni, di politiche marcatamente coercitive e di risposte repressive quali termini più evidenti della loro natura antiproletaria e controrivoluzionaria, si esprime al massimo grado l'instabilità critica dei reali equilibri nel paese. L'impronta data agli strumenti messi in campo per rafforzare lo Stato e la forma che vengono ad assumere in un paese, va sottolineato, a capitalismo avanzato qual'é l'Italia, mette a nudo la debolezza storica su cui poggia il dominio della borghesia imperialista la quale scaturisce dalle condizioni politiche generali di uno scontro storicamente in grado di esprimersi ai livelli più alti e di porre costantemente l'ipoteca del risvolto rivoluzionario. A maggior ragione in forza di vent'anni di prassi rivoluzionaria basata sulla lotta armata, la quale vi ha immesso tutto il peso politico a partire dalle conquiste rivoluzionarie che ha maturato. Ragioni prime queste degli ostacoli e dei ripiegamenti che la borghesia imperialista ha subito nei suoi progetti e della forte instabilità del quadro politico, che unitamente alla debole collocazione economica nella struttura gerarchica della catena, non ha consentito alla borghesia imperialista italiana di arrivare a quello sbocco sempre inseguito della "democrazia matura" quale sinonimo di una raggiunta cornice di stabilità che si poggi sull'ambita impermeabilizzazione nel governo del paese dalle spinte del conflitto di classe. I progetti che si sono susseguiti su questo terreno, ultimo quello demitiano, lungi dal procedere in modo lineare e pacifico, non hanno potuto raggiungere questo traguardo. Ciò che si è verificato sono stati momenti di relativa stabilità che via via hanno segnato, con caratteri fortemente contraddittori, un'alta concentrazione delle leve del potere, contestualmente all'irrigidimento della mediazione politica. In altri termini benché l'Italia sia oggi allineata agli altri paesi europei sul piano dell'accentramento dei poteri, permangono caratteri peculiari della democrazia rappresentativa, al cui interno si evidenzia, come aspetto specifico, il progressivo impoverimento dei contrappesi politici che agiscono per equilibrare il funzionamento istituzionale. Nella riduzione, ovvero, dello spazio politico e dei margini di intervento su cui ha agito la tradizionale opposizione istituzionale, senza un corrispettivo sviluppo di altre forme che comprendano questa funzione, seppure ad un più alto grado di formalità, come avviene negli altri paesi europei con l'"alternanza" che consente relativamente di assorbire e governare in una cornice di democrazia apparente mutamenti anche più traumatici in termini sociali, come ad esempio in Gran Bretagna. In questa fase in cui l'imperialismo è attraversato dalla crisi più acuta e si prepara apertamente alla guerra, in Italia vengono al pettine tutti i modi ed i ritardi legati alle vecchie contraddizioni irrisolte che, nell'accumularsi critico con i nuovi fattori di contraddizione, sia nello scontro di classe che sul piano internazionale, caratterizzano la crisi come economica, sociale, politica ed istituzionale insieme, determinando di conseguenza uno stato generale di fibrillazione di tutti gli organismi istituzionali e soggetti politici. Un contesto dal quale scaturiscono le spinte per le cosiddette "soluzioni forti" perché siano garantiti gli interessi urgenti dei maggiori gruppi monopolistici dell'industria e della finanza, attraverso passaggi istituzionali che consentono la gestione di tutte le leve di governo del paese da parte delle forze politiche che ne riflettono più fedelmente gli interessi. In concreto è la DC, quale esponente principale di questa rappresentanza politica, che nel farsi promotrice del riassetto dello Stato e facendo capo alle modifiche sostanziali avvenute, ha costruito gli addentellati concreti per il controllo politico di queste leve. Alle peculiarità di questa fase verso il diverso assetto dello Stato contribuisce un'oggettiva resistenza che si determina tra il modo in cui fino ad ora le forze politiche, DC in testa, hanno condotto gli indirizzi di politica economica e il loro mutamento nella direzione richiesta dall'attuale situazione di crisi. Un contrasto cioè tra improcrastinabili scelte economiche e "vecchio" sistema di allocazione delle risorse e delle politiche di sostegno, a partire dagli impegni che la stessa partecipazione alla comunità europea richiede, dovendoli far propri perché rispondenti alle necessità del capitale nazionale di concorrere alla formazione monopolistica europea. Già nelle scadenze imposte dal trattato di Maastricht che comportano una gestione ferrea del bilancio statale e del PIL si è manifestata la difficoltà di uscire dalle paludi dei vecchi equilibri economici e politici che frenano il decollo dei piani di "risanamento economico", ad esempio del progetto di privatizzazione di settori economici e statali (con regole per altro già fissate) e del diverso modo di attingere al risparmio privato in favore dell'industria con l'"azionariato popolare". La problematicità di questo mutamento nella gestione della politica economica, che tra l'altro alimenta la conflittualità tra i partiti come riflesso sul terreno politico degli interessi economici concorrenziali, ha il suo fondamento principale nel carattere della crisi economica, la quale restringe l'arco delle risposte possibili. Questo si manifesta in particolare nello spostamento di risorse economiche a sostegno delle frazioni dominanti di borghesia imperialista che coinvolgono anche i ceti intermedi, tradizionale base sociale democristiana, di piccola e media industria che dentro ai già risicati margini di mercato vedono ridursi il sostegno statale. Da qui lo squilibrio di una rappresentanza politica che sostanzialmente va a coprire interessi che sono in questa fase in contrasto con quelli di questi ceti, indebolendo le diramazioni di rappresentanza, in particolare DC, che poggiano su di essi. Una dinamica economica e sociale in cui si ripresenta il tipico fluttuare di questi ceti verso movimenti politici di carattere demagogico e qualunquistico, soprattutto a fronte della relativa debolezza che presenta il quadro proletario. Questa dinamica nel contesto dell'avvenuto rafforzamento nelle forme di dominio della classe dominante, dà luogo solamente, a differenza del periodo prefascista, ad un utilizzo strumentale di questi ceti dentro le campagne ideologiche di stampo più "retrivo", funzionali in ultima analisi solo ai fini della frazione dominante di borghesia imperialista. Sono queste frazioni dominanti, infatti che sono scese in campo per sostenere una compagine governativa che possa garantire l'attuazione dei programmi economici più antiproletari e le conseguenti strette sociali. Non è un caso che le parole d'ordine di "governo forte e ordine" accomunino governo e confindustria. Le iniziative concrete di quest'ultima non si limitano al sostegno delle parole d'ordine forcaiole sulla "lotta alla criminalità" ma si estendono alla partecipazione nei "comitati sull'ordine pubblico" nazionali e provinciali, e più sostanzialmente la vedono impegnata con interventi politici tesi a premere sulle principali scelte generali del governo. Sul piano politico, a sostenere gli strappi richiesti nei rapporti tra le classi sono intervenute le massime cariche dello Stato, ponendo le forze politiche di fronte alla necessità di schierarsi sostanzialmente sulla natura antiproletaria e controrivoluzionaria dello Stato come un filo che deve connaturare le scelte che daranno luogo alla formazione delle "nuove regole del gioco".Una pressione condotta in primo luogo da Cossiga nel ruolo affidatogli di apripista, lanciando la campagna di rivendicazione delle attività stragiste e controrivoluzionario dello Stato e successivamente nell'attivazione delle sue bande terroristiche. Una campagna tesa ad appesantire il clima politico fino a toccare livelli intidimatori andando ad influire sulla già deteriorata dialettica tra le forze politiche, sia nel rapporto tra gli ambiti dell'opposizione istituzionale e la maggioranza, che fin dentro le stesse forze della tradizionale maggioranza. Quello che si sta affermando nel modo di governare il paese non è una degenerazione né uno svuotamento della "democrazia rappresentativa" al contrario, nel contesto generale che si profila è il vero e autentico volto della democrazia borghese, l'espressione più scopertamente controrivoluzionaria che la borghesia può e sa esprimere per le necessità attuali dello sviluppo monopolistico, la forma del dominio più adeguata per sostenere il salto che deve compiere in questa fase di crisi/sviluppo. Ciò per acquisire quelle posizioni nei rapporti di forza politici tra le classi, affinché si possa attuare quel complesso di interventi che spaziano dalle misure propriamente anticrisi all'attivismo bellicista, la cui praticabilità politica deve fare i conti con l'opposizione di vasti settori proletari non disposti a subirne passivamente i costi politici e materiali, come hanno dimostrato diversi momenti di lotta e contrapposizione che a vari livelli sono stati espressi, sebbene nella discontinuità imposta dal livello di scontro. Basti pensare a quanto si profila nel quadro internazionale dove lo Stato italiano dentro all'escalation della strategia militare imperialista è attivizzato alla diretta partecipazione nelle operazioni belliche, come già dimostrato in Iraq. Un ruolo quello dell'Italia che si è definito più precisamente negli impegni assunti durante il vertice Nato di Roma che qualificano ad un nuovo livello le sue responsabilità in quanto pilastro del fianco Sud della Nato col comando politico affidatogli. Direttive che hanno avuto immediato riscontro rispetto alle sue funzioni nell'area mediorientale-mediterranea, come si può ben vedere dall'"operazione Libia" in corso. Allo stesso tempo lo Stato italiano sviluppa il suo impegno all'interno dell'attuale livello di confronto dell'imperialismo con l'Est, già sostanziato nel "protettorato" di fatto posto sull'Albania, nonché nelle "ingerenze" in Yugoslavia, sue zone storiche di intervento. Un attivismo all'interno del concretizzarsi della tendenza alla guerra verso cui spingono al massimo le frazioni dominanti di borghesia imperialista nostrana legata ai grandi monopoli, non essendo altra cosa questo se non la concretizzazione dell'interesse e della necessità di ritagliarsi la propria fetta di zona di influenza, che si avvale in questa fase, prima ancora che del sostegno finanziario dello Stato, della sua "politica estera", nella più generale corsa alla conquista delle posizioni più favorevoli per la ridefinizione della divisione internazionale del lavoro e dei mercati. Un contesto questo in cui la borghesia imperialista nostrana preme fortemente sullo Stato per la creazione di quelle condizioni essenziali che non si esauriscono nella programmazione economica o nei preparativi bellici, ma che attengono all'attrezzare lo Stato nella sua funzione politica rispetto al conflitto di classe, specifica alla cosiddetta "pacificazione del fronte interno" quale fattore preliminare per essere in condizione di governare, pur sempre in senso relativo, una fase che rapidamente evolve come prebellica. E ciò non è tanto riferibile a quel clima di mobilitazione sciovinista e patriottica suscitato artificiosamente e che storicamente se può trovare "sensibilità" nelle fasce borghesi è completamente estraneo e ostile al proletariato. Accanto a questi aspetti che sono il corollario ideologico a cui la borghesia imperialista ricorre da sempre in vista dei suoi progetti guerrafondai, nella sostanza è sul piano del potenziamento di tutti gli aspetti della controrivoluzione preventiva che si gioca il contenimento dello scontro a partire dal suo attuale grado di approfondimento. In sintesi, la borghesia imperialista e il suo Stato si apprestano a fronteggiare una fase di scontro che storicamente approfondisce lo schieramento e la polarizzazione degli interessi di classe contrapposti, attrezzandosi contro l'opposizione operaia e proletaria alla guerra, nella definizione di mezzi e misure di controllo e repressione, che sono già state sperimentate, ma solo parzialmente, durante la guerra del Golfo, consapevole che lo scontro non può che assumere connotati particolarmente critici a partire dai termini politici che storicamente ha sviluppato il proletariato metropolitano per l'affermazione della sua autonomia politica e, nello specifico del nostro paese, per come i caratteri dell'autonomia di classe si sono strettamente connessi con la lotta armata. A fronte dei caratteri della crisi che attanaglia la catena imperialista nel nostro paese il grande capitale monopolistico multinazionale spinge con tutto il suo peso affinché lo Stato possa farsi interprete e politicamente governare questa nuova fase dominata, dopo il lungo periodo di crisi strisciante, dalla recessione in tutto il pieno senso della parola. In una situazione di brusco ridimensionamento della base produttiva, che vede la chiusura di interi comparti, colpendo la crisi settori tecnologicamente avanzati e trainanti l'economia, con l'espulsione massiccia di forza-lavoro, non si tratta solo di comprimere il costo della forza-lavoro agendo sulle spese sociali, ma si tratta soprattutto del drastico taglio dei salari come esigenza imprescindibile. In questo contesto la funzione dello Stato sul piano delle politiche economiche si esplicita in tutta la sua portata, nel convogliare le risorse finanziarie disponibili a sostegno del salto richiesto alla grande industria ed ai maggiori gruppi legati all'alta finanza, necessario in questa fase per il livello di competitività sul mercato internazionale, nello specifico legato alla formazione dei monopoli intereuropei, agendo indirettamente e direttamente con il finanziamento alle fusioni, le fiscalizzazioni, con le politiche monetarie e di bilancio. Come anche va ad assumere in questa fase massimo peso la funzione politica dello Stato nel ruolo di mediatore del conflitto di classe a partire dal neocorporativismo quale aspetto principale di cui investe direttamente il rapporto capitale/lavoro. Il nodo sul tappeto è quello delle cosiddette nuove relazioni industriali e a tutt'oggi infatti è estremamente problematico sancire sul piano generale le nuove regole della contrattazione della forza-lavoro, questo nonostante siano marciati, a fianco di modifiche istituzionali, attacchi che hanno toccato conquiste storiche di sostanza, diritto di sciopero in primo luogo, ed hanno inciso sul mercato del lavoro con gli interventi sulla scala mobile, la CIG, la mobilità, ecc. Ma il coinvolgimento sempre più spinto delle rappresentanze sindacali nel processo di neocorporativizzazione è ben lontano dal risolvere il problema della effettiva agibilità politica per i programmi della confindustria in un contesto di classe che storicamente non ha mai permesso la cooptazione operaia alle scelte padronali, ma all'opposto caratterizza ogni aspetto del rapporto capitale/lavoro per la netta ed inequivocabile resistenza ed opposizione a fronte degli attacchi portati alle sue conquiste, per quanto virulenti essi siano. Oggi, nonostante il peso del neocorporativismo, cioè del massimo sviluppo dato al verticismo negli accordi centralizzati tra Governo, Confindustria e sindacati, e nonostante i tentativi di ingabbiare la mobilitazione e l'organizzazione operaia già nella fabbrica tramite filtri politici sul modello delle RSU, nonostante i tentativi di frammentare il corpo di classe attaccando le sue conquiste unitarie, malgrado tutto questo, permane in tutta la sua problematicità e contraddittorietà l'obiettivo inseguito da anni di sancire sul piano capitale/lavoro nuove regole, con il coinvolgimento consenziente della base operaia. Un obiettivo che dimostra tutta la sua velleità quando nelle fabbriche ogni accordo al vertice viene immancabilmente respinto e le rappresentanze sindacali disconosciute, e non c'è, con la firma di accordi capestro, nessuna operazione di legittimazione conferita "per legge" in grado di dare soluzione, se non artificiosa, al problema, quando per la "democrazia sindacale" è diventato impraticabile perfino il referendum, quando a tutt'oggi è bloccato e irrisolto il problema delle rappresentanze in fabbrica, quando la "cogestione" e la "qualità totale" hanno dimostrato nei fatti la messa sempre più alle strette dei sindacati agli imperativi imprenditoriali; una subordinazione che riflette la loro perdita di peso politico, mentre si fa esplicito il ruolo che si sono scelti di sindacato di regime. Nella realtà quello che nello scontro si è imposto, a fronte della resistenza degli strati operai e proletari, soprattutto dei settori più combattivi, è un modo di agire che per rompere la rigidità operaia a qualsiasi livello, può procedere solo con la forza e colpi di mano. L'attacco padronale in questa fase assume i toni di un'offensiva politica ed ideologica contro ogni ordine di conquiste proletarie, e si esprime anche nelle risposte degli industriali tese ad alzare il confronto e ad inasprirlo recuperando pure i vecchi metodi di intimidazione padronale fatti di guardioni e spie, di serrate, di mancato salario, ecc. Metodi che lontano dal costituire un effettiva deterrenza alle lotte, riconfermano solo la "vocazione autoritaria" degli industriali nei rapporti di classe. Il portato antiproletario e controrivoluzionario immediatamente espresso nelle modalità con cui la borghesia imperialista porta avanti gli interventi anticrisi, dà la misura di quanto sia critico governare politicamente, pur potendo contare su rapporti di forza in suo favore, in questa fase in cui ben lontano dall'obiettivo di pacificazione dello scontro, sempre più esplicita è l'inconciliabilità degli interessi generali tra le classi, come sempre più scoperta è la vera natura di classe dello Stato borghese.
L'attuale situazione interna ed internazionale ripropone la validità delle ragioni che hanno caratterizzato la necessità della strategia della lotta armata nel nostro paese e in generale della lotta armata nel centro imperialista ed attesta inequivocabilmente la propositività degli assi strategici su cui si sono costruite le BR, della loro linea politica, del loro programma, in una parola la validità della loro prassi rivoluzionaria per lo sviluppo del processo rivoluzionario in un paese a capitalismo avanzato qual'é l'Italia. Oggi è reso ancor più evidente come solo l'impostazione offensiva della guerriglia possa rompere il sistema di potere della borghesia imperialista e come solo la guerra di lunga durata possa costruire le condizioni perché la classe avanzi sul terreno dello scontro per la conquista del potere politico. Il cuore dell'impostazione offensiva della guerriglia risiede nella determinazione dell'unità del politico e del militare, come dato nuovo e peculiare della guerriglia nei paesi a capitalismi maturo, elemento più avanzato delle caratteristiche delle guerra di classe che scaturisce dalla necessità di misurarsi con le forme di dominio che la borghesia imperialista ha affinato, stabilendo in essa la controrivoluzione preventiva come politica costante per non far collimare il piano dell'antagonismo di classe col terreno rivoluzionario. Essa determina tutto l'agire della guerriglia caratterizzando lo sviluppo stesso del processo rivoluzionario, nella guerriglia urbana non ci sono contraddizioni tra pensare ed agire militarmente e dare il primo posto alla politica, essa svolge la sua iniziativa rivoluzionaria secondo una linea di massa politico-militare. L'elemento della guerra è intrinseco al politico, rimanendo però l'elemento politico sempre dominante. Agire nell'unità del politico e del militare significa unificare costantemente il piano di sviluppo politico dello scontro col piano della guerra. Questa impostazione offensiva per raggiungere i suoi obiettivi deve necessariamente svolgersi all'interno di una strategia generale che le BR hanno sviluppato sin dalla loro nascita. Questa strategia si fonda sul fatto che la lotta armata è una proposta a tutta la classe quale presupposto su cui si sviluppa dall'inizio alla fine la guerra di classe di lunga durata, su cui si organizzano sin da subito le avanguardie più coscienti della classe. Strategia della lotta armata è la direttrice del "piano sistematico d'azione" all'interno del quale si articolano correttamente le tattiche relative ad una determinata fase di scontro. Essa ha dimostrato nei fatti e nel tempo la sua capacità nel costituire l'unico valido riferimento nella prospettiva rivoluzionaria, perché è in grado di indirizzare sempre l'andamento della guerra di classe nelle sue diverse fasi rivoluzionarie. La lotta armata è una proposta che le BR fanno a tutta la classe perché il terreno e la pratica rivoluzionaria non riguardano solo i comunisti, i comunisti sono il reparto più avanzato della classe. Il proletariato metropolitano a dominanza operaia è la base sociale da cui sono nate le BR ed in cui si riproducono, la base sociale di cui portano avanti gli interessi generali contro il potere della borghesia nello scontro rivoluzionario. Per questo uno dei principi fondamentali delle BR è che la guerriglia si sviluppa nei poli industriali in dialettica con le istanze più mature della classe, organizzandole e dirigendole sul terreno strategico della guerra di classe di lunga durata, una dialettica che si sviluppa nella dinamica attacco-costruzione-attacco. Elemento centrale della strategia della lotta armata che unisce indissolubilmente le diverse fasi di scontro, sta nella coscienza della centralità che riveste la questione dello Stato rispetto allo sviluppo del processo rivoluzionario, problematica concepita correttamente nell'accezione leninista, questione che si pone a risoluzione non con una generica contrapposizione al potere della borghesia, ma con la precisa espressione dell'attacco al cuore dello Stato, ovvero con la contrapposizione scientifica alla sede del potere politico della borghesia. Attacco che viene diretto contro l'aspetto dominante della contraddizione classe/Stato, contro il nodo politico centrale che oppone la classe allo Stato nelle politiche dominanti della congiuntura. Questo operare al punto più alto dello scontro provoca una relativa disarticolazione dei progetti borghesi e un loro momentaneo arretramento, ovvero crea rapporti di forza momentaneamente favorevoli alla classe. L'acquisizione di questa forza non può essere capitalizzata, accumulata se non viene tradotta in organizzazione di classe. Organizzazione di classe che a sua volta comporta l'unità del politico e del militare e ciò avviene nel solo modo che questo terreno organizzato ha di procedere nello scontro contro lo Stato, cioè sul terreno della lotta armata con gli stessi criteri di fondo che permettono alla guerriglia di esistere: clandestinità e compartimentazione. Diversamente si dovrebbe ipotizzare di poter organizzare questa forza attraverso un'attività rivoluzionaria solamente politica il che, nell'attuale stadio dell'imperialismo è assolutamente impossibile. Le forme di dominio sviluppate della borghesia imperialista mirano ad assorbire l'urto delle istanze prodotte dalla lotta di classe dentro a processi selettivi che consentano di diluire e neutralizzare tali istanze e, nel contempo, di procedere alla repressione/criminalizzazione delle espressione antagoniste, in grado, quindi, di compatibilizzare qualunque attività che non fa i conti con il problema di rompere il reticolo della controrivoluzione preventiva. E' dalla consapevolezza di questa dialettica dello scontro e dalla sua continua verifica e aggiornamento che la lotta armata ha potuto svilupparsi precisando la strategia ed articolandone con maggior esattezza le sue fasi. Un passaggio fondamentale di questo sviluppo è dato dalla precisazione, all'interno della fase di Ritirata Strategica, dell'attacco al cuore dello Stato nei suoi termini concreti ed idonei a rispettare in pieno la fase rivoluzionaria in atto. Non si tratta, come nel passato, di mettere sullo stesso piano i centri della macchina statale, anche perché ciò era il riflesso di una visione schematica dello Stato visto in una separatezza dei suoi apparati, cioè politici, burocratici e militari, a sua volta derivati da una visione semplificata e un po' manualistica delle fasi rivoluzionarie che si succedono nella guerra di classe di lunga durata, ricondotte a due sole fasi principali: quella della propaganda e dell'organizzazione del capitale rivoluzionario sul terreno della lotta armata e il suo dispiegamento nella guerra civile. Ma, la pratica e, attraverso questa, l'esperienza acquisita dalle BR ha migliorato la comprensione del succedersi delle fasi rivoluzionarie ed ha permesso di ricollocare correttamente la funzione dello Stato il quale centralizza necessariamente in sede politica la funzionalità dei suoi apparati. Un dato approfondito ulteriormente negli attuali processi di rifunzionalizzazione. Per queste ragione, l'attacco allo Stato, al suo cuore congiunturale va inteso nel giusto criterio affermatosi nella pratica come capacità di riferirsi alla centralità, selezione e calibramento nell'attacco. Di questo, la prima attiene fondamentalmente ed in primo luogo alla capacità di individuare, all'interno della contraddizione dominante che oppone le classi, il progetto politico centrale della borghesia imperialista nella congiuntura al fine di disarticolarlo (sia pur in termini relativi), approfondendo i termini dello scontro a favore del proletariato; la seconda riguarda la capacità di individuare il personale che nel progetto politico assume una funzione di equilibrio tra le forze che tale progetto sostengono; il terzo è relativo alla capacità di calibrare il proprio attacco avendo chiaramente presenti sia il grado di approfondimento dello scontro ( ad esempio anche in caso di arretramento il livello di intervento non può prescindere dal punto più alto di scontro assestato), che il grado di aggregazione/assestamento delle forze proletarie e rivoluzionarie, come pure lo stato dei rapporti di forza generali interni al paese in relazione agli equilibri internazionali tra imperialismo ed antimperialismo. Questo, il criterio che guida l'attacco e la scelta dell'obiettivo e che permette alla guerriglia di incidere adeguatamente nello scontro traendone il massimo del vantaggio politico e materiale. In ultima analisi si può affermare che questo criterio sarà determinante per molte fasi ancora dello scontro, poiché solo la fase della guerra civile dispiegata consente di attaccare contemporaneamente su più livelli la macchina statale. Il rapporto rivoluzione/controrivoluzione nel suo procedere concreto è ciò che in primo luogo ha fatto chiarezza sulla non linearità del processo rivoluzionario. E' a partire dal riadeguamento intrapreso dalle BR nelle nuove condizioni dello scontro che è stato possibile avere maggiore chiarezza sulle fasi rivoluzionarie che si succedono, in quanto esse si definiscono non puramente in riferimento all'esito dello scontro materiale in una data congiuntura, ma in relazione ai salti di qualità nel complesso dello scontro tra le classi generato dallo stesso rapporto rivoluzione/controrivoluzione. In questo le fasi rivoluzionarie non sono predeterminabili a tavolino, ma si susseguono a seconda dell'esito della fase precedente in riferimento e in dialettica con i caratteri politici generali affermatisi nel rapporto tra le classi, in relazione alla situazione internazionale, che mutano nel complesso il quadro di scontro. E questo perché il carattere dello scontro rivoluzionario nella metropoli è segnato dalla qualità politica della controrivoluzione preventiva e dalla forte integrazione della catena imperialista. In questo senso aver avuto la capacità di intraprendere la Ritirata Strategica ha significato gettare le basi per un ulteriore avanzamento nello sviluppo della guerra di classe di lunga durata. Nel complesso ha significato maturare una maggiore coscienza complessiva dell'andamento dello scontro. L'apertura della Ritirata Strategica è ciò che ha permesso nel vivo dello scontro di mantenere l'offensiva dando continuità alla prassi combattente della guerriglia, attraverso momenti qualificanti di ricentramento dell'attacco al cuore dello Stato e nell'attacco all'imperialismo, pur nel succedersi di avanzate e ritirate. La discontinuità, i veri e propri salti politici che si presentano nello scontro rivoluzionario, è una legge della guerra di classe nella metropoli. Questa legge deriva dai caratteri immanenti allo scontro nella metropoli all'interno dei quali opera la guerriglia. Il primo, e il più importante, è dato dalla condizione di accerchiamento strategico, questa è una caratteristica peculiare della guerra di classe di lunga durata nella metropoli. Una guerra che, facendo riferimento reciproco ad un nemico assoluto, non ha per sua stessa definizione un fronte in gioco, c'è unicamente e precisamente il potere della classe dominante. La guerra di classe di lunga durata opera costantemente all'interno dei rapporti di forza generali favorevoli alla borghesia e contro quel complesso reticolo politico determinato dalla controrivoluzione preventiva e, dunque, non potendo avere retrovie di alcun genere si trova ad operare in condizioni di costante accerchiamento. L'altro carattere è dato dal fatto che solamente nello scontro stesso la guerriglia può costruire e disporre le sue forze le quali, non essendo precostituite, non possono essere ripartite a priori, ma è la stessa strategia che le crea e le rinnova in maniera non proporzionale o costante. In sintesi solo facendo la guerra di classe si può costruire l'esercito rivoluzionario. La guerriglia nella metropoli vive la condizione immanente di accerchiamento strategico, ma contemporaneamente, e questa è una legge generale della guerra rivoluzionaria, la borghesia imperialista non ha la possibilità di annientarla perché lo scontro stesso genera le sue nuove forze tra il proletariato, classe ineliminabile per la borghesia, mentre la guerriglia sviluppa un processo rivoluzionario che si alimenta e progredisce sull'annientamento della borghesia in quanto classe e del suo potere politico. La comprensione di questo elemento è ciò che permette di individuare i possibili riadeguamenti all'interno delle singole fasi rivoluzionarie, atti a mantenere l'offensiva al punto più alto ed a rispondere all'approfondimento del rapporto rivoluzione/ controrivoluzione nelle condizioni di volta in volta mutate. In questo senso si comprende perché nell'attuale fase di Ricostruzione, che si sviluppa all'interno della Ritirata Strategica, l'attività rivoluzionaria è obbligata ad un continuo movimento di avanzate e ritirate, dato il livello di affinamento della risposta controrivoluzionaria e, su di un altro piano, per le condizioni politiche generali in cui si sviluppa lo scontro rivoluzionario. All'interno di una medesima fase rivoluzionaria a carattere generale maturano momenti politici congiunturali che comportano necessariamente una precisazione nella conduzione della guerra e della relativa disposizione/organizzazione delle forze in campo. Momenti congiunturali che, proprio per questo movimento, e per i tempi politici che li caratterizzano, possono definirsi vere e proprie fasi rivoluzionarie, qual'è la Ricostruzione. A questi attiene la capacità di applicazione della tattica come elemento dinamico della strategia, per cui possiamo affermare che la strategia definisce il carattere generale della disposizione delle forze sulla lotta armata da cui non si può prescindere, la tattica, informata dai criteri generali della strategia della lotta armata, precisa la direzione delle forze in riferimento agli obiettivi programmatici e di fase che di volta in volta si maturano. Alcuni esempi concreti possono chiarire questa affermazione. L'indirizzo di disposizione delle forze aperto dalla fase della Propaganda Armata, ha permesso di precisare il modo in cui si è radicata la necessità (l'idea forza) della lotta armata, ovvero gli obiettivi, i modi di intervento, la disposizione delle forze, hanno caratterizzato l'atteggiamento tattico di quella fase rivoluzionaria. Nella situazione attuale l'atteggiamento tattico è condizionato dalla fase generale di ritirata strategica, dagli obiettivi programmatici e dall'indirizzo di fase specifica di Ricostruzione delle forze, vale a dire del modo e del come si dispongono le forze intorno a questi termini. Nel contesto della Ritirata Stategica, un periodo non quantificabile in anni, nel quale l'attività rivoluzionaria è prevalentemente tesa ad un ripiegamento delle forze, in modo da mantenere e rilanciare le capacità offensiva espressa dalla guerriglia, si precisa e si determina la fase di Ricostruzione delle forze proletarie e rivoluzionarie e di costruzione degli strumenti politico-organizzativi idonei ad attrezzare il campo proletario nello scontro contro lo Stato, con il fine di modificare i rapporti di forza attuali. L'organizzazione di classe sul terreno della lotta armata nella fase di Ricostruzione si sviluppa sul duplice piano di lavoro costruzione/formazione in modo da ricostruire nel tessuto di classe i termini politico-militari e di patrimonio della guerriglia per disporle adeguatamente nell'attuale fase rivoluzionaria. La fase di Ricostruzione è termine prioritario nel mutamento dei rapporti di forza tra campo proletario e Stato e si pone come un tassello fondamentale per la ricostruzione dei livelli politico-militari che costituiscono i termini di avanzamento della guerra di classe di lunga durata. Un dato principale che si è definito come salto di qualità all'interno della Ritirata Strategica è la Centralizzazione di tutti i termini del lavoro politico. Ciò ha significato e significa un avanzamento nel processo di costruzione/fabbricazione del Partito Comunista Combattente che si costruisce insieme alla costruzione dei termini politici e materiali della guerra di classe di lunga durata. La Centralizzazione come dato politico è emersa nella pratica concreta a partire dalla constatazione che portare l'attacco al cuore dello Stato e, in generale, per collocarsi in termini idonei ai caratteri dello scontro interno ed internazionale, in questa fase della guerra di classe, comporta dispiegare intorno a ciò l'attività di costruzione/consolidamento dell'organizzazione di classe. La Centralizzazione dell'attività intesa nel suo complesso permette di muovere come un cuneo compatto nella medesima direzione le forze che si dispongono intorno alla Organizzazione, permettendo di assestare e riproporre nella disposizione idonea ai termini dello scontro che maturano, tutte le forze in campo. Centralizzazione significa centralizzazione delle direttive politiche sull'intero movimento delle forze, decentralizzazione delle responsabilità politiche alle diverse sedi e istanze organizzate, ciò per realizzare il massimo di responsabilizzazione delle forze su un piano di lavoro, le cui caratteristiche politiche siano patrimonio di tutti, ma non interpretabili spontaneamente dai diversi livelli organizzati. Questi termini programmatici che marciano sul terreno strategico dell'attacco al cuore dello Stato, in unità programmatica con l'attacco all'imperialismo, insieme alla costruzione del Fronte Combattente Antimperialista nella coscienza che la rivoluzione è internazionalista o non è, hanno verificato e sviluppato la capacità da parte delle BR di assolvere la funzione di direzione politico-militare dello scontro all'interno della proposta strategica della lotta armata a tutta la classe. Attaccare e disarticolare i progetti di rifunzionalizzazione dello stato, che nella fase attuale evolvono verso una seconda repubblica!Attaccare e disarticolare i progetti guerrafondai della borghesia imperialista nostrana, che si attuano all'interno dell'alleanza imperialista!Organizzare i termini politico-militari per ricostruire i livelli necessari allo sviluppo della guerra di classe di lunga durata!Contribuire alla costruzione e al rafforzamento del fronte combattente antimperialista nella nostra area geopolitica, per combattere i progetti dell'imperialismo sia sulla linea della coesione europea, sia nei progetti di guerra diretti dalla nato che si dispiegano in questo momento sulla regione mediorientale/mediterranea e lungo l'asse dei paesi dell'est europeo, ex-urss in testa!Guerra alla guerra, guerra alla nato!Rendiamo onore a tutti i rivoluzionari caduti combattendo contro l'imperialismo, al martire palestinese Mustafà-al-Ikawi morto il 4/2/92 per mano dei torturatori sionisti israeliani, senza cedere; ai militanti di Dev Sol caduti combattendo contro lo stato turco; ai prigionieri di guerra massacrati nel carcere di Castro Castro a Lima !Firenze, 21/5/1992 I militanti delle Brigate
Rosse per la costruzione del Partito Comunista Combattente: I militanti rivoluzionari: Daniele Bencini, Marco Venturini |