DAL PROCESSO "LANDO CONTI"Militanti delle Brigate Rosse per la costruzione del PCC e Militanti rivoluzionari (prima parte)
Nella nostra qualità di militanti delle BR per la costruzione del PCC e di militanti rivoluzionari prigionieri intendiamo ribadire in quest'aula la valenza della linea politica e dell'impostazione strategica delle BR rivendicandone tutta l'attività politico-militare messa in campo, il loro ruolo di direzione e organizzazione del processo rivoluzionario nel nostro paese. Un ruolo svolto all'interno dei nodi centrali che hanno contrassegnato lo scontro intervenendo di volta in volta con l'attacco nelle contraddizioni che oppongono la classe allo Stato. Questa attività rivoluzionaria, operata in stretta dialettica con i contenuti espressi dell'autonomia di classe, dentro all'indirizzo della strategia della lotta armata per il comunismo, costituisce l'alternativa di potere del proletariato al fine di conquistare il potere politico, instaurare la dittatura del proletariato, per una società comunista. Nello specifico del processo che qui si celebra, rivendichiamo ancora una volta la giustezza dell'iniziativa politico-militare contro il repubblicano Lando Conti. Con esso le BR hanno colpito le posizioni filo-atlantiche e filo sioniste di quella frazione di borghesia imperialista nostrana che il PRI ha da sempre rappresentato. Più precisamente, l'iniziativa ha colpito lo specifico attivismo di cui Lando Conti si faceva carico, come sottolineato dall'organizzazione nella rivendicazione:
Unitamente a questo, non era da meno l'appoggio dato ai sionisti israeliani, che se è una costante delle posizioni repubblicane, non è certo estranea alla politica portata avanti nella sostanza dallo Stato italiano in Medio Oriente e questo al di là della facciata neutralista che prevaleva soprattutto in quel periodo. Allo stesso tempo, con questo attacco le BR hanno colpito anche gli interessi legati agli armamenti. Ancora dalla rivendicazione:
All'interno di quest'attività, Lando Conti non disdegnava di fare il mercante d'armi, tra l'altro con i sionisti israeliani, i golpisti Nato della Turchia, il regime segregazionista del Sud Africa, il regime filippino del dittatore Marcos e i vari regimi sudamericani, per citarne soltanto alcuni. Politicamente le BR con questa iniziativa antimperialista hanno inteso dare impulso al processo concreto d'autentica connotazione dell'internazionalismo proletario nella metropoli, da sempre parola d'ordine della guerriglia europea e che in quel periodo andava materializzandosi nella campagna per la costruzione del Fronte Rivoluzionario messa in campo da AD e RAF come primo momento di unità soggettiva nell'attività rivoluzionaria e nella lotta antimperialista. L'azione contro Lando Conti si inserisce in questo contesto e segna un importante passaggio nell'approccio politico inerente alla tematica del Fronte. Un approccio che attraverso la ricerca del confronto attivo con le altre forze rivoluzionarie, ha posto le basi per l'intesa unitaria raggiunta nell'88 con la RAF, sintetizzata dall'attacco ai progetti di coesione dell'Europa Occidentale sul piano delle politiche economiche con l'azione Tietmayer. Un azione politico-militare tesa a colpire le scelte del capitale finanziario tedesco nel contesto della definizione delle normative concertate atte a favorire quella liberalizzazione del mercato europeo in cui la RFT si pone come polo forte. Più in generale tali normative rientrano negli accordi CEE tesi a formalizzare gli istituti comunitari, primo tra tutti la Banca Europea, che favoriscono l'ambiente adeguato alla formazione monopolistica europea; accordi che prevedono livelli di concertazione economica in grado di stabilire vincoli per ogni Stato, a cominciare dai bilanci statali, tassi, cambi, ecc, nonché vincoli sulle condizioni di compravendita della forza-lavoro, attaccando le conquiste acquisite dai lavoratori di ogni paese. Nel testo comune RAF-BR vengono individuate le direttrici su cui si sostanzia la coesione europea e cioè sul piano delle politiche economiche, su quello politico-militare e diplomatico, su quello controrivoluzionario. Si evidenzia nel contempo come questa sia strettamente legata agli interessi ed alle esigenze della catena imperialista, per i caratteri stessi della crisi e per la stretta interrelazione dell'economia tra i paesi capitalisti, cosa che li obbliga ad adottare le medesime controtendenze tra cui il riarmo si impone come principale, non a caso in Europa centralizzato in sede Nato. La coesione europea, perciò è inserita nei processi di maggiore integrazione della catena, in relazione stretta con la nuova strategia politico-militare imperialista nel confronto con l'Est e, su un altro piano, con l'intervento politico-militare integrato in ogni angolo del mondo, principalmente verso l'area di crisi mediorientale. L'evoluzione avvenuta nell'attuale fase dell'imperialismo, all'interno dell'approfondimento della tendenza alla guerra, segnata politicamente dai mutamenti negli equilibri internazionali che si sono verificati a partire dall'asse Est-Ovest, si è riflessa sulla coesione europea accentuandone il dispiegamento seppure con il permanere di contraddizioni. Questo si è delineato già quando la RFT si è annessa la DDR, favorita dal progressivo indebolimento dell'Est europeo, segnando così un passaggio traumatico nelle relazioni gerarchiche europee, dato dal rafforzamento materiale della posizione tedesca. Fatti che riversandosi nel processo di coesione, imprimono allo stesso un andamento per salti e nel contempo una direzione sempre più netta verso le spinte belliciste che l'imperialismo nel suo complesso tende a concretizzare, come dimostrano gli sviluppi di questi ultimi tempi fino alle manovre di destabilizzazione da parte dell'Europa Occidentale della Federazione Yugoslava. Una nuova fase questa che mette in luce come l'Europa sia il teatro su cui si concentrano per ragioni storiche, politiche e geografiche le contraddizioni dell'imperialismo, Est-Ovest, Nord-Sud, Stato-classe. Il contesto che risulta da questo quadro lascia pochi dubbi sulla volontà della borghesia imperialista di rideterminare condizioni di dominio e sfruttamento per il proletariato metropolitano che implicano la sua subordinazione completa alla logica del profitto, questo nel tentativo di affrontare una crisi che per profondità ed acutezza non lascia margine che all'esplicitazione massima della natura controrivoluzionaria degli Stati verso lo scontro di classe. Un contesto che per parte proletaria e rivoluzionaria mette più che mai in risalto la valenza strategica della guerriglia, essendosi essa già imposta nel corso di questi vent'anni come l'adeguamento della politica rivoluzionaria alle caratteristiche di dominio dell'imperialismo in questa epoca storica e per questo l'unica prospettiva di potere del proletariato metropolitano, il solo modo di incidere nei rapporti di forza tra le classi, costruire l'organizzazione armata del proletariato per sviluppare la guerra di classe di lunga durata. In sintesi, soprattutto a fronte degli evidenti processi di guerra messi in atto dall'imperialismo, USA in testa, la contrapposizione possibile e necessaria in grado di affermare l'alternativa proletaria alla crisi ed alla guerra della borghesia imperialista è rappresentata dal terreno strategico della guerra di classe, nella sua dimensione nazionale ed internazionale, al cui interno la promozione ed organizzazione del Fronte Combattente Antimperialista ne è tappa sostanziale. Scopo del Fronte è l'indebolimento dell'imperialismo per provocarne la completa crisi politica. Questo per favorire le rotture rivoluzionarie, perché non sono state date a questo stadio di sviluppo dell'imperialismo rotture rivoluzionarie in un singolo paese del centro imperialista senza una più generale crisi politico-militare. Il Fronte Combattente Antimperialista trova un momento qualificante (come la prassi concreta ha dimostrato) nell'unità di intenti tra Forze Rivoluzionarie dell'Europa Occidentale. Ciò è dato dal ruolo della guerriglia nello scontro della metropoli imperialista e per altro verso dalla rilevanza che assume l'Europa Occidentale negli interessi dell'imperialismo, due fattori questi che danno alla politica di Fronte un portato strategico che va ben oltre l'unità oggi realizzabile e praticabile. Per le BR il Fronte si colloca su un piano politico di alleanze con altre Forze Rivoluzionarie, il cui terreno di praticabilità è definito dall'analisi concreta della situazione concreta, cioè riferita alle dinamiche della crisi e della tendenza alla guerra, alla controrivoluzione ed alle Forze Rivoluzionarie presenti, attive ed attivabili dentro al Fronte, ma soprattutto alla sua funzione nei confronti del nemico comune. Una politica di alleanze perché è necessario relazionarsi con Forze Rivoluzionarie che possono essere caratterizzate da criteri e particolarità specifici alle proprie esperienze e condizioni di sviluppo. Prendere atto di questa realtà ha significato per l'Organizzazione mettersi nelle condizioni migliori per lavorare con giusta flessibilità a costruire i passaggi necessari al fine di concordare una linea d'attacco comune, dando così avanzamento concreto alla costruzione del Fronte Combattente Antimperialista. Per le BR l'internazionalismo proletario non è mero atteggiamento solidaristico, ma la prassi adeguata per sostanziare una concezione costituente l'impostazione stessa del nostro processo rivoluzionario, il suo essere fin dall'inizio internazionalista ed antimperialista. Nella Risoluzione della Direzione Strategica del '78, le BR affermano:
Una concezione che è complemento del primo dovere internazionalista, e cioè: fare la rivoluzione nel proprio paese. All'interno di questa visione generale le BR hanno perseguito l'obiettivo dell'azione comune tra le Forze Rivoluzionarie combattenti nell'area a partire dal terreno unificante dell'attacco all'imperialismo, senza scambiare la costruzione soggettiva del Fronte come la fase inferiore dell'Internazionale Comunista o un suo surrogato. La ricerca dei punti unitari per l'unità internazionale dei comunisti, basata sulla lotta armata per il comunismo e lo sviluppo della guerra di classe, è un dovere che le BR perseguono fin dalla loro nascita, quale obiettivo strategico irrinunciabile per ogni forza rivoluzionaria comunista combattente, un obiettivo che non è precluso dal lavoro del Fronte, anzi quest'ultimo ne è uno dei presupposti. La dimensione che assume l'internazionalismo proletario è obiettivamente data dalle caratteristiche dell'imperialismo in questa epoca storica. Questo per il livello di internazionalizzazione e interconnessione economica, nonché per il grado di integrazione politica e militare che la catena imperialista ha raggiunto soprattutto dopo la Seconda Guerra Mondiale, definendo un sistema di relazioni imperialiste altamente gerarchizzato a dominanza USA. L'ulteriore internazionalizzazione dei capitali e della produzione nell'ultimo decennio ha accelerato i processi di integrazione dando luogo proprio in Europa Occidentale allo specifico processo di coesione politica come riflesso della formazione monopolistica intereuropea. Processi che evolvono in modo contraddittorio e conflittuale poiché avvengono in ambito capitalista. Una dinamica che per le BR non dà luogo ad una "omogeneizzazione politica dell'Europa Occidentale". I livelli di concertazione politica oggi esistenti tra gli Stati obbediscono alla necessità di affrontare unitariamente gli interessi comuni e perciò generali della catena, non risolvibili per la loro interconnessione dal singolo Stato, e gli organismi internazionali costituitisi non sussumono il ruolo dello Stato, il quale deve fare gli interessi del capitale multinazionale che ha radice nel proprio ambito nazionale e per altro verso, deve relazionarsi con le connotazioni politiche della lotta di classe nel paese, ragioni queste per cui la funzione politica degli Stati non viene sminuita, al contrario esaltata all'interno degli organismi sovranazionali. Più precisamente i processi di coesione non possono prescindere dai caratteri che sottostanno alla formazione economico-sociale nazionale che si sono sviluppati nel lungo processo storico di affermazione della borghesia e del capitalismo. In questo senso non è data dalla coesione europea un'unica borghesia imperialista ed un unico proletariato internazionale. Nemmeno vanno confuse le similitudini tra le forme di dominio negli Stati della catena con la formazione di un ambito imperialista omogeneo, perché queste similitudini sono il riflesso sovrastrutturale delle condizioni strutturali dell'imperialismo che nel suo movimento di crisi/sviluppo si integra determinando una generalizzazione delle condizioni di produzione che porta a caratteristiche simili in primo luogo nel rapporto classe/Stato e cioè nelle politiche di controrivoluzione preventiva, nelle forme istituzionali di governo del conflitto di classe, nel neocorporativismo come modello nei rapporti sociali. In questo senso le concezioni che si basano sull'assunzione fenomenologica delle similitudini che ad ogni livello si evidenziano soprattutto nello specifico europeo, portano a subordinare e a sminuire l'importanza rivestita dalle caratteristiche nazionali della lotta di classe che in particolare sul piano antagonista e rivoluzionario sono il risultato del suo patrimonio e politico scaturito dal rapporto col proprio Stato. Sul piano rivoluzionario si è reso ben evidente che l'affermarsi stesso della guerriglia negli Stati a capitalismo maturo si è dato sulla base del carattere generale relativo alle forme di dominio dei paesi della catena imperialista, le peculiarità che essa ha assunto nelle singole nazioni sono prodotto delle specifiche caratteristiche dello scontro di classe che ne definiscono la relativa originalità e più precisamente definiscono come si sviluppa il processo rivoluzionario, il contesto di riproduzione delle forze rivoluzionarie stesse e il diverso impatto delle politiche controrivoluzionarie sul piano proletario. Da questo insieme di fattori risulta evidente come i processi di coesione in Europa Occidentale non possono comportare la semplificazione del quadro di scontro e dell'iniziativa rivoluzionaria sul solo piano internazionale, non potendo questo esaurire il lavoro che ogni organizzazione combattente porta avanti relativamente ai suoi obiettivi nei paesi in cui opera. A partire da questa analisi le BR lavorano alla costruzione del Fronte in stretta dialettica con i termini di sviluppo del processo rivoluzionario nel nostro paese, in unità programmatica cioè con l'attacco allo Stato. Per le BR l'organizzazione del Fronte Combattente Antimperialista deve tendere a costruire alleanze con i movimenti di liberazione che combattono l'imperialismo nella nostra area geopolitica (Europa Occidentale - Mediterraneo- Medio Oriente). Questo per due fattori: il primo; favorire il più vasto schieramento combattente all'imperialismo, per ricomporre sul piano politico e rivoluzionario l'unità oggettiva tra movimenti di liberazione nazionali e antimperialisti della periferia e la guerra di classe nelle metropoli del centro; il secondo, perché la politica imperialista in questa area geopolitica ci riguarda direttamente per il ruolo che ha al suo interno l'Europa Occidentale. In quest'area geopolitica, che si riconferma essere quella di massima crisi nel mondo, il punto cruciale è rappresentato dalla regione Mediterranea-Mediorientale per i fattori di grandi instabilità che vi sono presenti, fattori che subiscono nella fase attuale un'ulteriore tensione, dal momento che ha avuto luogo proprio in questa regione il primo momento di attuazione della nuova strategia politico-militare dei centri imperialisti con l'aggressione delle loro forze coalizzate contro l'Irak. Un atto di guerra che porta in evidenza come nelle intenzioni dell'imperialismo si intenda rideterminare più approfonditi termini di subordinazione ed asservimento della regione, una "normalizzazione" dell'area in funzione dei suoi obiettivi, immediati e strategici, che nella pratica è rivolta immediatamente contro quelle esperienze seppur diversificate, delle rivoluzioni nazionalistiche, perché nel mondo arabo sia annullata qualsiasi prospettiva che non sia funzionale agli interessi ed agli equilibri imposti dall'imperialismo, perché sia dato lo sfruttamento assoluto della regione in termini di risorse e potenzialità, ma soprattutto per farne un retroterra stabile per le sue manovre strategiche, dove "Israele", il corpo estraneo della regione avamposto degli interessi imperialisti, mantenga indiscusso il ruolo di unica potenza effettiva. Una "normalizzazione" del mondo arabo che in primo luogo significa impattare con le aspirazioni di autodeterminazione del popolo arabo che, confrontandosi già da tempo con gli interventi controrivoluzionari dell'imperialismo, ha maturato un lungo processo di lotta guidato dalle sue forze nazionaliste, rivoluzionarie, antimperialiste, con qualificanti momenti di combattimento e di resistenza popolare che attestano il suo livello più avanzato nel movimento di liberazione del popolo palestinese. Da questo confronto scaturisce il carattere controrivoluzionario degli interventi dell'imperialismo e che nel contesto di questa aggressione non possono che approfondirsi, dati i fini di pacificazione che intende ricavare dalla vittoria ottenuta. Dalla necessità di consolidare sul piano politico i risultati ottenuti sul terreno militare scaturisce l'egida americana sulla conferenza di pace in Medioriente che ha per oggetto la "soluzione" del nodo palestinese, da sempre baluardo contro i progetti imperialisti di normalizzazione della regione. In altri termini nelle intenzioni di USA ed Israele questa conferenza dovrebbe costituire la cornice politica al tentativo di dare sanzione alla volontà di ricacciare indietro il popolo palestinese e da qui ridefinire i termini del più generale conflitto arabo-sionista. Ed è per la difficoltà di tradurre l'esito militare in risultato politico sul piano della stabilità, a causa della complessità dei fattori in campo relativi alle contraddizioni che scaturiscono da un tale conflitto, che gli obiettivi americani sulla conferenza di pace perdono consistenza a partire dall'impossibilità di ridimensionare la stessa rivolta nei territori occupati, che al contrario, tende ad evolvere verso alti livelli di resistenza popolare e di combattimento delle sue Forze Rivoluzionarie. In sintesi, il fine americano di andare oltre Camp-David si rivela ancora una volta difficile da conseguire, malgrado l'aggressione contro l'Irak, come in parte ha dimostrato a suo tempo l'arretramento di Camp-David stesso nonostante le sue velleità di progetto centrale da estendere a tutta la regione. Un disegno che è arretrato per la resistenza messa in campo dal popolo palestinese, libanese e arabo più in generale, le cui forze rivoluzionarie sono state in grado di cacciare, in uno dei momenti più alti di questa resistenza, le truppe sioniste ed USA che, sotto la copertura delle "forze multinazionali di pace", avevano occupato Beirut. Contro questa strategia imperialista nella regione va riferita l'iniziativa antimperialista ed internazionalista delle BR che, nell'84, colpirono il garante degli accordi di Camp-David e direttore delle forze multinazionali in Sinai, l'americano L. Hunt. In questo obiettivo le BR hanno attaccato una struttura garante e agente di un equilibrio funzionale agli interessi strategici USA e Nato in Medioriente, inserendosi in questo modo nella più vasta battaglia combattente antimperialista condotta in quel periodo sia dalla guerriglia europea che dalle forze rivoluzionarie arabe. Gli equilibri internazionali scaturiti dai mutati rapporti di forza est/ovest confermano come questa regione, e l'aggressione all'Irak sta a dimostrarlo, presenti le contraddizioni per caratterizzarsi come detonatore di un conflitto che ha motivazioni generali e spinte riconducibili alla necessità di risoluzione bellica della crisi capitalistica, all'interno cioè di un passaggio critico che dalla tendenza alla guerra matura l'apertura di una fase di effettivi eventi bellici, facendo assumere concretamente alla regione le caratteristiche di ambito preliminare e di retroterra per la strategia politico militare dell'alleanza imperialista che ha potuto verificare nel contempo il suo grado di compattamento, ma soprattutto è potuta intervenire come Nato dentro a schemi di guerra che vanno ben oltre gli obiettivi che si sono dati nello scenario internazionale. Che questa prima aggressione abbia costituito solo una prima rottura finalizzata a determinare le condizioni politiche e militari per un ulteriore inasprimento della pressione imperialista, lo dimostrano le manovre destabilizzanti per innalzare il terreno di confronto militare contro i paesi che di volta in volta nella regione diventano obiettivi da "normalizzare", dentro ad un contesto in cui il tallone imperialista, in primo luogo americano, che schiaccia i popoli, riceve l'investitura della cosiddetta legittimità internazionale con copertura ONU, in una fase in cui, di riflesso ai mutati equilibri internazionali, questo organismo è divenuto lo strumento ideale per le manovre imperialiste guidate dagli USA, mentre nel concreto si fa sentire nella regione il peso del fianco sud della Nato che ha già attivato i suoi avamposti, infatti le manovre militari sono da allora diventate permanenti, sottofondo di sostanza per gli obiettivi strategici dell'imperialismo. Questo complesso quadro ha rideterminato gioco forza tutti i rapporti e gli equilibri esistenti nella regione, ciò comporta che il popolo arabo, nel movimento di resistenza che a vari livelli esprime, dovrà confrontarsi con un più profondo livello di controrivoluzione, proprio per il ruolo che gioca questa regione negli interessi imperialisti. La lotta del popolo palestinese, di quello libanese e arabo più in generale, ma anche Kurdo e Turco, dovranno confrontarsi, come si stanno eroicamente confrontando, non solamente con i sionisti, regimi reazionari e imperialisti americani, ma anche con l'intera alleanza dato che sul confronto in termini generali peserà l'insieme della catena imperialista ricompattata dai medesimi fini guerrafondai. L'importanza rivestita da quest'area geopolitica nel complesso delle contraddizioni prodotte dall'imperialismo che evolvono sulla direttrice di crisi tendenza alla guerra, fanno dell'attività antimperialista in quest'area e la ricerca delle alleanze tra la guerriglia europea e i movimenti di liberazione nazionale, un compito imprescindibile. Alleanza che può portare ad una maggiore qualificazione dell'attività antimperialista, a partire dall'unificazione dei due livelli del processo rivoluzionario tra cui c'è unità ma non identità per le oggettive differenze dovute all'essere originate, l'una, la guerra di classe, dalla contraddizione proletariato/borghesia; l'altra, la guerra di liberazione nazionale, dalla contraddizione dello sviluppo ineguale tra centro e periferia. Malgrado in questa fase internazionale prevalga l'iniziativa politico-militare dell'imperialismo capeggiato dagli USA, i suoi fini di potenza sono minati alla radice dalle profonde contraddizioni di cui è portatore. Gli attuali rapporti di forza in suo favore sono in parte il risultato di una strategia complessiva messa in campo a partire dalla fine degli anni '70, come reazione alla crisi generale che, dagli USA si allargava a tutto l'Occidente capitalistico; alla crisi di valorizzazione del capitale si aggiungeva la crisi di egemonia, data in modo determinante dalla serie di rotture antimperialiste avvenute nella periferia, le quali, riflettendosi sui rapporti di forza internazionali incidevano sulle posizioni globali tra Est ed Ovest. Questi due fattori hanno reso evidente il limite storico dell'imperialismo e per questo essi non possono che pregiudicare alle fondamenta ogni tentativo di stabilire un duraturo dominio nel quadro mondiale tale da garantire l'agibilità per lo sfruttamento dei monopoli, neppure al prezzo della barbarie che già nel corso della storia ha fatto ricadere tanto sui popoli come sul proletariato. L'imperialismo reagisce dunque alla perdita di posizioni attraverso un complesso di interventi economici e politici per un verso, ma anche soprattutto militari e controrivoluzionari. Sono gli USA che necessariamente in prima persona dispiegano questa strategia fatta di rotture progressive operate a tutto campo, tali da modificare a proprio vantaggio i rapporti internazionali. All'intervento nettamente controrivoluzionario nelle aree di crisi periferiche, per erodere e sovvertire i paesi che hanno operato rotture antimperialiste, o in corso di operarle, in parallelo, non cessa la costante opera di pressione ad Est, imperniata principalmente sulla strategia di confronto Nato. Questo complesso di interventi fatto per assestare equilibri politici e zone di influenza in tutto il mondo, preme e forza sulle relazioni concrete che il quadro storico ha definito intorno alla contraddizione Est/Ovest; per questo non può che trovare convergenza critica proprio nella nostra area geopolitica, in particolar modo nel cuore dell'Europa influendo sulla maturazione dei fattori di crisi e di contraddizione. Una dinamica che soprattutto in questa fase evolve in un approfondimento della tendenza alla guerra, come stanno a dimostrare per un verso l'annessione della DDR da parte della RFT, per l'altro, l'aggressione imperialista all'Irak: due fattori che, sebbene avvenuti su piani distinti, solo apparentemente sono slegati, poiché costituiscono due aspetti della medesima contraddizione e segnano inequivocabilmente i caratteri dell'attuale fase internazionale. Il fatto che la guerra sia il mezzo con cui storicamente la borghesia imperialista affronta le sue crisi generali, poiché consente oltre che una distruzione di capitali e dei mezzi di lavoro sovraprodotti, una spartizione dei mercati e delle sfere di influenza a vantaggio dei vincitori, rimanda alla natura imperialista della tendenza alla guerra, ai meccanismi insopprimibili della crisi capitalista che la alimenta oggettivamente, fino a che si intreccia con la maturazione di condizioni politiche e nei rapporti di forza tra le parti contrapposte tali da far diventare la tendenza una scelta politica realizzabile. Affinché la guerra stessa possa rispondere alle esigenze capitalistiche, la sua dinamica tende a dirigersi in tempi, modi e fasi successive, verso l'assoggettamento di quell'ambito economico che presenta quelle caratteristiche di complementarietà a livello di strutturazione e sviluppo economico, in grado di dinamizzare e rilanciare in avanti il livello raggiunto dall'avanzamento tecnologico produttivo dell'economia capitalistica, quando cioè questo stesso avanzamento si trasforma in crisi a causa della sovrapproduzione. Se questa è la dinamica economica della tendenza alla guerra, i poli contrapposti della contraddizione su cui si svilupperà il conflitto, sono riferiti giocoforza alle relazioni che storicamente l'imperialismo ha stabilito, a partire cioè dai concreti rapporti che si instaurano tra le forze in campo in un dato quadro storico. Con l'esito della 2a guerra mondiale i rapporti internazionali sono caratterizzati dalla presenza di due campi contrapposti, quello imperialista con al centro gli USA, fronteggiato dal dispiegarsi del nuovo fattore storico rappresentato dallo schieramento dei paesi socialisti, la cui presenza, proprio per la sua natura di classe, non potrà che imprimere a questo quadro anche una forte connnotazione ideologica definendo uno scenario di scontro relativamente inedito. Proprio la presenza di due sistemi di relazioni diversi e contrapposti non ha potuto che condizionare la stessa politica imperialista finalizzata all'accerchiamento e all'indebolimento del campo avverso, influendo sulla stessa integrazione politico-militare della catena imperialista a partire dalla fondazione della Nato. Con il procedere dell'approfondimento della crisi dell'imperialismo è emerso chiaramente come i paesi dell'Est, presentando distintamente caratteristiche economiche in termini di infrastrutture e di produzione, complementari all'area capitalistica, sono stati visti da quest'ultima come uno spazio economico la cui dimensione prospetta risoluzioni di ampio respiro, sempre che l'imperialismo possa instaurarvi le condizioni perché sia dato il grado di sfruttamento e valorizzazione richiesto dallo sviluppo capitalistico. E' all'interno di queste linee portanti che l'imperialismo ha adottato di volta in volta strategie di contenimento e pressione, sia di carattere strettamente militare che a livello di manovre stabilizzanti economiche e politiche. Un rapporto di scontro permeato dalla connotazione schiettamente anticomunista che, con l'involuzione del carattere socialista dei paesi dell'Est, ha visto per paradosso la dominanza della contraddizione Est/Ovest ammantarsi dell'involucro della contrapposizione ideologica, aspetto reso particolarmente chiaro in quest'ultimo periodo quando, muovendosi proprio su questo terreno mistificante, si è mirato a rappresentare la disintegrazione del Patto di Varsavia come la sanzione della morte del comunismo. Tutto questo non ha potuto certo mascherare l'ordine degli interessi materiali che spingono l'imperialismo ad assoggettare i Paesi dell'Est, interessi che proprio a causa della crisi, divengono pressanti e rimandano in modo palese alle strategie di penetrazione definite in questa fase. Queste sono agevolate come non mai dall'attuale grado di rottura delle contraddizioni proprie di questi paesi, fatto che contraddistingue l'attuale disgregazione di quell'area, ex-URSS in testa, facendone il possibile terreno di saccheggio da parte dell'imperialismo. Sulla base delle attuali condizioni politiche che questi paesi presentano, l'imperialismo è mosso da un intenso attivismo teso a ridefinire le relazioni a suo vantaggio. Sul terreno principale dei rapporti politici da stabilire, il filo conduttore dentro cui vengono formalizzati gli accordi possibili, si svolge sostanzialmente tramite gli organismi integrati dell'imperialismo, siano essi la CSCE, la Nato, la CEE, la UEO, ecc; un terreno di cui gli USA tengono fermamente la direzione e ciò è reso chiaro negli atti politici da essi svolti, tra cui, non secondario, è l'obiettivo del controllo sull'armamento atomico strategico che perseguono e, più in generale, nel loro sovrintendere a tutte le decisioni più importanti che nell'ambito imperialista vengono prese rispetto a questi paesi, così da riaffermare, per altro, la supremazia sugli altri partners della catena. Sul piano prettamente economico, ogni Stato imperialista è impegnato a prendere le posizioni migliori nella corsa all'accaparramento e penetrazione economica economica di questi mercati che, in questa fase, si dà principalmente sul modello di destrutturazione-espropriazione sperimentato dalla Germania sulla DDR: cioè mirare ad una espoliazione nei fatti della base produttiva, forza-lavoro compresa, da parte dei gruppi dei monopoli produttivi e finanziari dominanti. In questo modo si pongono le basi potenziali dei possibili terreni di spartizione di questo enorme e ricco mercato, su cui già prevalgono nettamente le posizioni di USA e Germania, essendo i primi nelle condizioni più vantaggiose per "mettere le mani" sugli sviluppati sistemi tecnologici in campo spaziale e militare, mentre la Germania ha potuto stendere una fitta rete di investimenti e acquisizioni industriali soprattutto nei paesi ad essa confinanti e, più in generale, determinando con il suo intervento un reale rapporto di dipendenza ed assoggettamento. Le attuali condizioni di crisi dell'imperialismo, da un lato, e i concreti margini di agibilità politica in questi paesi, dall'altro, delimitano precisamente il livello di penetrazione economica, in primo luogo perché a questo stadio della crisi di valorizzazione la sola e semplice penetrazione/espansione dei mercati non è in grado di dargli superamento duraturo, traducendosi nel breve-medio periodo in un ulteriore fattore di instabilità per l'economia capitalista, come già dimostrano gli effetti dell'annessione nella stessa Germania. Pertanto solo la guerra può prospettare all'imperialismo le circostanze che a partire dalla distruzione, possono rilanciare la produzione al livello dato dallo sviluppo del capitale e molto materialmente la tendenza alla guerra si indirizza verso l'ambito che si è definito in questo quadro storico come quello idoneo a rilanciare in termini dovuti la produzione capitalistica. Seppure apologeti vecchi e nuovi dell'imperialismo legano alla fine della mistificante contrapposizione Est/Ovest il depotenziamento delle tensioni belliciste, vagheggiando di un futuro di pace sotto l'ordine imperialista, l'obiettivo della sottomissione dei paesi dell'Est Europa, ex-URSS in testa, matura da questi fattori strutturali e non è certo legato a puri motivi ideologici, e i mutamenti in atto in questi paesi nel facilitare la penetrazione economica dell'imperialismo, non possono significare la risoluzione "lineare" delle sue contraddizioni economiche. Allo stesso tempo le contraddizioni che permangono e si approfondiscono all'interno dell'ambito imperialista non si riversano in termini antagonistici dentro la catena, non ci sono cioè le condizioni che possono dar luogo al configurarsi come nel passato della guerra tra paesi del centro imperialista, quale portato dell'acutizzarsi della conflittualità tra questi paesi per la crisi capitalista come riflesso del piano della concorrenzialità tra le frazioni di borghesia imperialista, sia nella spartizione delle quote di mercato, sia nella penetrazione ad Est. In altri termini il grado di sviluppo della concorrenza intermonopolistica non inficia lo sviluppo storico fortemente integrato della catena, economico, politico, militare, che muove unitariamente nel suo complesso verso la tendenza alla guerra. Per tutte queste ragioni di fondo l'interesse imperialista ad appropriarsi dei mercati e delle risorse produttive dell'Est Europeo e dell'ex-URSS palesa passaggi niente affatto pacifici, attraverso le relazioni politiche e militari che l'imperialismo tende ad imporre a questi paesi, all'interno dei quali i mutati rapporti di forza favoriscono le spinte guerrafondaie dell'imperialismo in quanto costituiscono uno dei fattori politici che le rendono praticabili. Che l'ordine imperialista non apra ad un'epoca di pace, emerge per altro verso dagli sviluppi nelle linee strategiche offensive messe a punto dalla Nato con le sue dottrine sulla "presenza avanzata", che vedono, soprattutto negli ultimi anni, ristrutturarsi gli eserciti europei. Queste linee presuppongono che tra gli eserciti dei vari Stati si formi un certo livello di integrazione, formulata dagli schemi operativi "interforze", utilizzando i nuovi sistemi d'arma che hanno incorporato i più sofisticati sviluppi tecnologici nel campo dell'elettronica e dell'informatica. Sistemi questi che costituiscono la punta avanzata degli armamenti convenzionali avendo incorporato i risultati utilizzabili ottenuti dalla sperimentazione fatta a suo tempo nello SDI. Queste dottrine hanno trovato un primo momento di sperimentazione concreta e una verifica, se pur parziale, nell'aggressione contro l'Irak, all'interno dell'attuale fase caratterizzata da spinte belliciste del centro imperialista. In questo quadro, la stessa riformulazione degli eserciti evidenzia come si stia precisando la preparazione di scenari di guerra sempre meno ipotetici e quella che viene presentata come la nuova funzione della Nato, la cosiddetta "Nato politica", altro non è che il necessario riadattamento delle modalità d'approccio da mettere in atto in conseguenza ai mutamenti negli equilibri tra imperialismo e paesi dell'Est, a partire dalla maggiore agibilità che tali equilibri consentono all'imperialismo su ogni piano di intervento possibile e in ogni conflitto che si matura nel mondo. Tutto questo nel mantenimento del fine strategico per cui la Nato stessa esiste, che verso i paesi dell'Est ha il suo indirizzo fondamentale. In questa luce i successivi accordi sul disarmo del vecchio arsenale missilistico della guerra fredda nascondono solo il perseguimento del reale disarmo dell'ex-URSS, la stesa proposta strumentale di un ipotetico, futuribile, "piano Marshall per l'Est" viene brandito come un'arma di ricatto per condizionarne le scelte con l'occhio ben fisso sull'obiettivo principale di un suo indebolimento e disarmo. Ecco allora che strumenti da sempre in mano all'imperialismo, principalmente USA, come FMI e BM, indicano alla Russia l'esigenza, da rispettare nella formulazione del bilancio dello Stato, di tagliare innanzi tutto le spese per il settore della difesa come una delle condizioni per poter accedere ad aiuti vasti quanto disinteressati... Nella stessa ottica la CEE ha destinato un fondo di 65 milioni di dollari per la riconversione a civile di industrie belliche, altrettanto rivelatore il prendere a pretesto la possibilità di incidenti nucleari, sia in campo civile che militare, per prefigurare un intervento finanziario e tecnologico che porti a una "messa in sicurezza degli impianti anche tramite il reclutamento a suon di dollari degli scienziati che operano in quei settori. Tutto questo mentre l'imperialismo ha dato corso al massiccio potenziamento dei suoi armamenti convenzionali. Un potenziamento a cui l'imperialismo è giunto dopo un decennio di riarmo, adottato, se pur a diversi gradi, dagli Stati della catena. Il suo utilizzo come stimolo economico fin dagli anni '80, in piena recessione, è stato in primo luogo la controtendenza principale alla crisi di valorizzazione, permettendo di immobilizzare i capitali eccedenti in quei settori ad alta composizione legata al bellico, a cui storicamente con l'adozione del riarmo da parte dello Stato si accorpa lo sviluppo tecnologico. Sono gli Usa, non a caso i più gravati dalla crisi, i primi ad impostare una politica economica basata sul riarmo che per questo si è avvalsa di poderosi investimenti di capitali sulla ricerca e sviluppo delle tecnologie sui sistemi d'arma, cosa che ha avuto i suoi riflessi immediati sul terreno della concorrenza che ruota intorno al controllo di queste stesse tecnologie, rafforzandosi in questo campo la supremazia Usa rispetto agli europei. Per la dinamica economica che stimola, il riarmo è ad un tempo cartina al tornasole dell'aggravamento dei fattori strutturali della crisi economica e calmiere nel breve periodo dei suoi effetti, nonché apportatore di ulteriori squilibri economici di cui il principale è ravvisabile nel medio-lungo termine nell'impossibilità di rimettere in circolo i capitali immobilizzati nel riarmo; sintomatica in questo senso la crisi debitoria Usa favorita dal dirottamento di risorse finanziarie su questo terreno. Quanto più si fanno consistenti le spinte verso la guerra, tanto più è richiesta l'attivizzazione dei paesi Nato, a partire dall'Europa. Da qui l'assunzione di una più consistente funzione politico-militare dei paesi europei, che presuppone il rafforzamento della UEO con ambito di intervento extra Nato. Una funzione che inoltre risponde al maggior peso dell'Europa che deriva dalla coesione politica che è proceduta al suo interno, la quale sul terreno militare si è concretizzata tra l'altro nei diversi accordi bilaterali, come quello sulla brigata franco-tedesca. Tali accordi pur esprimendo la volontà dei singoli Stati di acquisire un proprio spazio di manovra non portano a travalicare l'Alleanza Atlantica, la quale piuttosto mantiene la direzione sulla direttrice della preparazione alla guerra e le diatribe sul ruolo da dare alla UEO e alla difesa europea, manifestano solo l'esigenza dei paesi europei di ritagliarsi un maggior peso negli equilibri gerarchici dentro la catena. Le nuove condizioni investono anche i cosiddetti paesi neutrali che nel passato trovavano vantaggiosa questa condizione formale, mentre oggi, l'essere all'interno della maggiore integrazione politico-militare diviene vitale per la difesa dei propri interessi. Ecco allora che il primo Gennaio '93, in contemporanea con le scadenze dei paesi CEE, entra in vigore un accordo tra quest'ultima e la EFTA per la creazione di uno "spazio economico europeo", mentre hanno già fatto richiesta di adesione alla CEE Austria, Svezia e Svizzera. Inoltre la Svizzera indica come inevitabile la partecipazione ad un "Sistema di difesa europeo" e la Svezia, in dichiarato riferimento alla situazione nell'ex-URSS, coopera con l'organismo Nato che coordina la ricerca e lo sviluppo nella produzione di armi (IEPG). In sintesi l'appartenenza alla Nato diviene condizione per svolgere ed acquisire un peso internazionale. All'interno di questa la coesione politica europea ha il suo punto di forza nella "difesa comune" e marcia oggettivamente e soggettivamente verso lo sbocco bellico. L'Est europeo è il suo terreno privilegiato di intervento e in questo la crisi yugoslava è il banco di prova dell'Europa Occidentale nelle sue mire di conquista di un maggior spazio nel nuovo ordine imperialista da costruire insieme agli USA. Il ruolo preminente è svolto dalla Germania, per riportare sotto la propria influenza i popoli slavi, in questo facendosi promotrice di Stati nei fatti fantoccio. Una politica interventista che nel suo dispiegarsi deve fare i conti con il reale confronto tra le forze in campo, con la resistenza contrapposta alle invasioni che storicamente proprio questi popoli hanno sempre dimostrato. Nei caratteri di questa fase la Nato, pilastro politico-militare dell'integrazione della catena imperialista a dominanza Usa, vede dispiegare tutti i piani e tutte le prerogative u cui si è costituita, e cioè nella duplice forma di guerra esterna - guerra interna : - guerra esterna, nella sua funzione di deterrenza prima e successivamente di strategia offensiva contro il blocco dei paesi dell'Est; - guerra interna, nella sua funzione di indirizzo controrivoluzionario applicato fin dall'inizio all'interno degli Stati imperialisti per mantenere la stabilità a fronte dello scontro di classe e del suo possibile risvolto rivoluzionario, nella definizione di politiche specifiche a fondamento della controrivoluzione preventiva sviluppata da ogni Stato. Su un altro piano, diffusione dei metodi controrivoluzionari nei confronti dei contesti rivoluzionari della periferia, come attesta il golpe Nato in Turchia e gli attuali metodi di controguerriglia stabiliti dalla Nato che Ankara sta adottando contro la guerra popolare in Kurdistan e la guerriglia comunista all'interno. Per la sua natura la Nato è sempre stata oggetto di attacco della guerriglia europea che in diversi momenti ne ha fatto l'obiettivo del suo intervento. Obiettivo su cui la nostra Organizzazione è intervenuta con la cattura del generale Dozier. Nel contesto di scontro, in cui si è inserito questo attacco, la Nato sovrintendeva e guidava le scelte di fondo dei paesi della catena, sia nel dispiegamento degli arsenali missilistici lungo il confine con i paesi dell'Est, sia nel rafforzamento del fianco Sud della Nato, riqualificando in quel periodo le sue linee di intervento, dentro l'attiva responsabilizzazione dei paesi europei, in un'ottica di lungo termine. Un contesto generale che sul piano rivoluzionario faceva risaltare la necessità del Fronte Combattente Antimperialista che nell'attacco ai progetti centrali dell'imperialismo e alla Nato, traccia la linea di riferimento su cui ricomporre quel fronte oggettivo che a vari livelli si contrappone all'imperialismo. Nel comunicato n°1 Dozier, le BR affermano:
Proprio nel confronto con l'approfondimento del rapporto rivoluzione/controrivoluzione, si definisce e si precisa la costruzione del Fronte Combattente Antimperialista, su questo scontro influisce dialetticamente da un lato l'attività rivoluzionaria della guerriglia, sia per come si sviluppa nel suo contesto nazionale, sia nel salto di qualità rappresentato dal perseguimento del Fronte. Dall'altro lato le risposte controrivoluzionarie degli Stati, non solo su un piano nazionale, ma anche per gli sviluppi della concertazione politica sul piano dell'annientamento della guerriglia e del Fronte, intese che non si limitano ad accordi di polizia ma vertono sulle modalità generalizzabili per contrastarla (modello "soluzione politica") e facendosi carico nel loro insieme di affrontare il "problema guerriglia" ovunque si presenti, agendo cioè senza "frontiere" e definendo su questo terreno una completa coesione politica tra gli Stati europei. I momenti di unità di volta in volta raggiunti nel Fronte tra le Forze Rivoluzionarie europee hanno reso esplicito il portato rivoluzionario del Fronte per lo sviluppo presente e futuro della guerra di classe rivoluzionaria nella metropoli e dell'imperialismo in tutta l'area. [continua su Controinformazione internazionale n.9] Firenze, 21/5/1992 I militanti delle Brigate
Rosse per la costruzione del Partito Comunista Combattente: I militanti rivoluzionari: Daniele Bencini, Marco Venturini |