LA PACE IMPERIALISTA E' GUERRACollettivo Comunisti Prigionieri "Wotta Sitta" (seconda parte)
[segue da Controinformazione internazionale n.8]
Gli anni '90 si aprono in un clima di grande instabilità, determinata dalla fine del "bipolarismo", dall'approfondirsi della crisi di egemonia USA e dalla recessione economica che ormai investe l'intero mondo capitalistico. In questo contesto, il processo di integrazione economica che ha portato in questi anni alla costituzione del "Mercato Unico Europeo", subisce una ulteriore accelerazione verso l'unione economica e politica? Come la costruzione del "Mercato Unico" ha dato forte impulso alla integrazione europea, determinando il trasferimento/centralizzazione di molti poteri dagli Stati-nazione verso strutture e organismi sovranazionali, la nuova tappa, la "Unione Economica e Politica Europea", intensifica il processo di ridispiegamento del sistema di potere borghese sia all'interno dell'Europa che sullo scenario mondiale. Negli organismi CEE che in tutti questi anni hanno assolto il compito di coordinare le diverse politiche economiche dei singoli Stati, si sono venuti a sviluppare nuovi assetti politici istituzionali, che a loro volta hanno determinato profonde modificazioni su questo piano in tutti i 12 paesi della CEE. A dare corpo a questo processo sono i passaggi concreti - che caratterizzano il formarsi del polo imperialista europeo - per dotarsi di una politica industriale e commerciale comune, di una unione economica e monetaria, di una politica interna e di "sicurezza sociale", di una politica estera e difesa comuni. La realizzazione di questi passaggi e di questi obiettivi segna la attuale fase del processo di integrazione comunitaria dei 12 Stati europei, e della loro proiezione imperialista in ogni area del mondo. 1. La crisi capitalistica è sempre anche crisi delle forme economiche, politiche e militari di dominio. Quanto più si sviluppa il processo di integrazione/omogeneizzazione della formazione economico-sociale europea, tanto più la funzione degli Stati nazionali subisce profonde modificazioni. La crisi-sviluppo del modo di produzione capitalistico ha rotto la separazione tra le diverse formazioni sociali nazionali europee. Ha dato luogo a fenomeni economici, politici e sociali che non possono più essere regolamentati, diretti e governati in ambito nazionale.Alla fine degli anni '70, questo problema si impone in modo improrogabile e dirompente. Sull'asse franco-tedesco si accelera la fase dell'integrazione europea. Si costituisce il "Sistema Monetario Europeo", e si avvia concretamente la fase del "Mercato Unico" che, passando per l'"Atto Unico" dell'84, si concluderà entro la fine del 1992. Queste scelte danno respiro strategico alle politiche industriale e finanziarie dei grandi trust oligopolistici multinazionali, facendo convergere intorno ad essi, ai loro processi di ristrutturazione e di rilancio del profitto, tutte le risorse e le politiche economiche e sociali degli Stati europei. Ciò determina profonde trasformazioni nel rapporto capitale-lavoro, nella pubblica amministrazione, nella spesa pubblica, nel sistema legislativo, ecc., in tutti i paesi CEE, tese a garantire il massimo profitto e ad imporre una nuova qualità del dominio di classe. La costituzione del "Mercato Unico", è anche la risposta della borghesia imperialista europea alla svolta "neoliberista" che, a partire dalla politica dell'amministrazione USA negli anni '80, ha teso ad affermarsi in tutto il sistema capitalistico mondiale, per far fronte all'aggravarsi della crisi economica. Per i grandi trusts monopolistici multinazionali diviene di vitale importanza poter agire incontrastati e senza vincoli sull'intero mercato capitalistico mondiale, così da potersi comunque garantire un tasso di crescita, seppure su basi sempre più ristrette. L'insieme di questo movimento porterà al definitivo crollo del welfare-state. La "deregulation" economica e sociale si estende a tutti i paesi, i quali fanno della riduzione dei salari, dell'aumento della produttività, e della riduzione della spesa pubblica, un fattore determinante per la competitività internazionale. In nome del "libero mercato" e della "difesa della concorrenza" cadono le barriere tariffarie e i confini doganale, viene fortemente ridimensionato il ruolo e l'intervento dell'industria pubblica a vantaggio dei trust multinazionali privati che penetrano e divorano tutti i settori privatizzati. La legislazione sulla concorrenza comunitaria accelera i processi di concentrazione capitalistica a livello continentale, annullando progressivamente qualsiasi struttura o norma che non siano funzionali alla libera circolazione delle merci, dei capitali, e ad ottenere il massimo profitto. La Commissione e la Corte di Giustizia CEE, in tutti questi anni, hanno sviluppato una vera propria strategia per lo smantellamento dei monopoli pubblici, dei settori protetti e della legislazione del lavoro in tutti i paesi europei... Attualmente è in atto una deregulation progressiva che ha aperto una breccia nei monopoli energetici pubblici nazionali; nel campo degli apparecchi terminali, delle telecomunicazioni e dei servizi postali, a favore degli oligopoli multinazionali privati. Su questo terreno in Italia si sta da tempo giocando un aspro scontro tra partiti di regime, apparati dello Stato e altre forze borghesi. Privatizzare le "Partecipazioni Statali" significa infatti incidere pesantemente su uno dei pilastri che hanno sorretto il potere dei partiti di governo - Democrazia Cristiana in testa - dai primi anni '50 in poi. Ma la recessione, le pressioni dei monopoli privati, il disastro del bilancio pubblico e le direttive della CEE, hanno portato di fatto il governo a prendere una decisione irreversibile, collocandosi nella stessa direzione degli altri paesi europei. La recente approvazione della legge sulle privatizzazioni avvia la trasformazione in "Società per Azioni", da collocare sul mercato, della maggior parte delle aziende di Stato. Per citare le più importanti, l'IRI, l'ENI, l'EFIM, l'ENEL, le Ferrovie, le Poste e Telecomunicazioni... Un processo che comporta una gigantesca ristrutturazione e "razionalizzazione" produttiva con il consueto corollario di tagli, chiusure di stabilimenti e migliaia di licenziamenti. La liquidazione del siderurgico pubblico negli anni scorsi è stata una esemplare anticipazione di questa dinamica; di come la ristrutturazione di questo settore in tutta Europa sia stata diretta in modo centralizzato dagli organismi della CEE. 2. La costituzione del "Mercato Unico Europeo" (come d'altra parte quella di altri mercati regionali di libero scambio: quella tra USA-Canada-Messico e quello tra Giappone e paesi industrializzati del Sud-Est Asiatico...) riflette la necessità di una maggiore concentrazione dei capitali e di agire su aree economicamente integrate e di grande ampiezza. Una dinamica tutt'altro che lineare perché la concorrenza e concentrazione di capitali sono poli inseparabili della stessa contraddizione.Al di là del tanto sbandierato "libero mercato mondiale", stiamo assistendo alla formazione di aree continentali sempre più integrate al loro interno e sempre più protette e aggressive verso l'esterno. All'accrescersi dell'interdipendenza economico-commerciale tra le maggiori potenze mondiali, come USA, Europa, Giappone, corrispondono nuove forme di protezionismo, che sfociano puntualmente in vere e proprie guerre commerciali che investono tutti i settori produttivi. L'esigenza di fondo che muove il processo di costruzione dell'Unione Europea, e che allo stesso tempo ne costituisce la specificità, risiede nel fatto che l'Europa non è una nazione unica come gli USA, e, oltre a ciò, non c'è in Europa un paese che abbia la forza sufficiente per imporsi da solo, in quanto potenza egemone, come nel caso del Giappone nei confronti dell'area del Sud-Est Asiatico. E' senza dubbio vero che la rinata "Grande Germania" occupa in questo processo un posto fondamentale come maggiore potenza economica europea, cosa che le fa assumere un ruolo crescente sul piano della politica industriale e monetaria e della politica estera comunitaria. Ma è altrettanto vero che essa non può fare a meno di legarsi saldamente alla formazione del polo economico-politico europeo, che solo nel suo insieme può garantire la forza e il peso per collocarsi adeguatamente nella nuova configurazione del sistema imperialista che si sta delineando. Per questo, qualsiasi visione di ritorno ad una "Europa delle Patrie" per quanto presente nelle tendenze inevitabilmente innescate da questo grande processo, siano esse "Quarto Reich" o altre, è in realtà in contraddizione con le oggettive dinamiche imposte dalla crisi capitalistica. Il soggetto che si sta consolidando in questo contesto è, nei fatti, una vera e propria borghesia multinazionale europea, a cui sono subordinati tutti gli interessi particolari. Per la borghesia imperialistica europea, la costruzione del "Mercato Unico" non si può limitare ad una "zona di libero scambio" di circolazione di merci e capitali. Nei fatti l'Europa è già terreno di battaglia per i maggiori oligopoli multinazionali degli USA e Giappone. Di qui la spinta della borghesia imperialistica europea affinché all'integrazione economica corrisponda quella politica, ed ogni ritardo su questo terreno rischia di far saltare l'intero processo e di frenare la proiezione mondiale come polo imperialista. 3. L'approfondirsi della crisi-recessione, che a diversi livelli investe l'intero mondo capitalistico, è il fattore fondamentale che sta cambiando gli equilibri di potere esistenti fin dal dopoguerra tra le maggiori potenze mondiali. Essa ha determinato il crollo del blocco COMECON, ha approfondito la crisi di egemonia degli USA, ha ridefinito i rapporti di potere tra l'imperialismo occidentale e le aree del Tricontinente e nell'intero assetto del dominio di classe della borghesia verso il proletariato.Tutto questo ha, a sua volta, contribuito a spingere l'integrazione europea verso l'unione economica e politica. Il vertice intergovernativo di fine '91 ha Maastricht, che ha portato alla firma del nuovo trattato sull'Unione Europea, ha aperto la "terza fase" (dopo il Trattato di Roma e l'Atto Unico) dell'integrazione economica e politica dei paesi CEE e ne ha accentuato la proiezione esterna, ponendo questo processo come polo di attrazione dell'Europa intera, compreso l'ex blocco orientale. Alla progressiva omogeneizzazione della formazione economico-sociale europea, corrisponde un processo di centralizzazione dei poteri a livello sovranazionale che si impone oggi come movimento dominante rispetto alla struttura di potere dell'ambito nazionale. Una riarticolazione sempre più complessa del dominio borghese che svela, allo stesso tempo, in maniera chiara, una svolta autoritaria, nei sistemi politici dei paesi europei, e che fa emergere più che in passato la reale natura di classe dello Stato e della democrazia borghese, in quanto strutture di oppressione verso il proletariato. La crisi economica porta inevitabilmente allo smantellamento dello "stato sociale", al ridimensionamento di tutte le conquiste della classe operaia e del proletariato e dunque alla riduzione drastica di ogni spazio di autoorganizzazione e di rappresentanza autonoma di classe in tutta Europa. Sta qui, per inciso, la base principale del crollo di ogni ipotesi e apparato riformista. Grandi campagne di guerra psicologica borghese da anni ammorbano l'area occidentale, sulla "fine del comunismo", sulla "nuova era di pace", sul "nuovo ordine mondiale". In realtà le dinamiche della crisi stanno rapidamente spazzando via tutta questa cortina fumogena, mettendo allo scoperto la natura distruttiva del capitalismo e dei suoi rapporti sociali, e allo stesso tempo, l'impossibilità di un nuovo sviluppo equilibrato e pacifico. Le lacerazioni aperte dalla crisi capitalistica nell'assetto di potere della borghesia imperialista sono terreno di contraddizione e dunque di lotta, di resistenza proletaria, di sviluppo dell'autonomia di classe, di costruzione della coscienza e dell'agire rivoluzionario a livello internazionale. Ed è proprio attorno alla necessità di far fronte a questa nuova qualità dello scontro che la borghesia imperialista si è mossa per tutti gli anni '80 verso una ridefinizione della sua struttura di potere a livello continentale. Così il processo di formazione del polo imperialista europeo, con al centro i grandi oligopoli multinazionali, si è sviluppato in un duplice movimento: sul piano interno, verso una maggiore integrazione/centralizzazione degli apparati di potere e del dominio di classe, finalizzati all'esigenza di governare i conflitti sociali nella formazione sociale europea; sul piano esterno come proiezione delle strategie, interessi e rapporti di potere imperialisti dei paesi CEE a livello mondiale. E' intorno all'emergere di una formazione sociale capitalistica europea che nasce e si concretizza la ridefinizione dell'assetto di potere della borghesia imperialista; dalla costituzione degli organismi sovranazionali nel quadro della "Unione Europea", al processo di rifondazione politico-istituzionale in atto negli stati europei. Lo Stato "non è altro che la forma di organizzazione che i borghesi si danno per necessità, tanto verso l'esterno che verso l'interno, al fine di garantire reciprocamente la loro proprietà e i loro interessi" (Marx Engels). I suoi assetti istituzionali, di potere, e i paini di intervento mutano in stretta dialettica con gli interessi della classe di cui è espressione, questo per fare in modo che le sue strutture non si trasformino in "gabbie" che impediscano alla borghesia di far fronte alle necessità imposte dalla crisi economica e dal conflitto di classe. In Europa è il processo di integrazione che ha innescato questa dinamica in ogni Stato del continente. Così in Italia, il progetto di "riforme istituzionali", lungi dall'esprimere solo una rideterminazione tecnica degli apparati politico-istituzionali, implica una profonda ridefinizione dell'assetto di potere, incorporando in questo movimento quanto su questo piano è stato sancito in precedenza (come ad esempio le "forzature" operate durante la guerra nel Golfo, vere e proprie sperimentazioni di un modello di imposizione autoritaria di decisioni e scelte politiche a tutto il paese). In sostanza una riarticolazione verticale dei poteri e degli apparati dello Stato a partire dai centri di comando più importanti, in primo luogo l'Esecutivo, che garantisca alla classe al potere la possibilità di decisioni politiche rapide, in linea con gli oneri e compiti che comporta la localizzazione dell'Italia nel processo di integrazione europea. Una scelta strategica che il potere borghese italiano intende portare avanti in un quadro di governo delle contraddizioni sociali dove il "consenso" delle masse non è da esso ritenuto condizione indispensabile. Questa dinamica ha i suoi corrispettivi qualitativi praticamente in ogni stato europeo. Dalla Francia, dove la retorica di Mitterand sulla VI Repubblica accompagna un concreto mutamento politico istituzionale di cui il governo Cresson è battistrada, alla Germania, dove è in atto, tra l'altro, una revisione costituzionale per permettere la formalizzazione dell'interventismo militare pantedesco. Il fattore dominante in questa complessa ridefinizione del sistema di potere imperialista in Europa, sono gli interessi dei grandi oligopoli multinazionali che ormai fanno il bello e il cattivo tempo sull'intero continente, i processi di ristrutturazione e concentrazione capitalistica finalizzati al rilancio dell'accumulazione, come pure la proiezione e la salvaguardia dei loro interessi in ogni area del mondo. 4. Tre sono i pilastri su cui si basa la nuova tappa verso la "Unione Europea": la "Unione Economica e Monetaria"; la "Politica degli Interni e della Giustizia comune"; la "Politica estera e di Difesa comune".Questi tre pilastri, nella loro interazione, rappresentano i passaggi centrali della formazione del polo imperialista europeo. In questo l'unificazione economica e monetaria procede e sollecita il processo complessivo. C'è un nesso di distinzione dialettica tra il momento del governo economico e monetario e l'intero riassetto politico -istituzionale del potere politico che dagli organismi CEE si estende fino allo Stato nazionale e alle diverse istituzioni e organismi regionali. 4.1. L'unione economica e monetaria dà un'ulteriore accelerazione al processo di convergenza economica perseguita ormai da anni dalla borghesia europea per dotarsi di una Banca Centrale e una moneta unica entro la fine degli anni 90. Ciò determinerà il trasferimento definitivo della "sovranità monetaria" di ogni singolo Stato alla Banca Centrale, che opera indipendentemente dal potere politico. Sono direttamente i grandi trusts bancari-finanziari-industriali a spingere la centralizzazione delle politiche monetarie attorno alle loro esigenze. Un processo iniziato negli anni 70 con la crisi degli accordi di Bretton Woods, che nel '78 porta alla fondazione del "Sistema Monetario Europeo" (SME) e alla liberalizzazione dei capitali aperta nel 90. Un'ulteriore tappa, legata ai tempi necessari ad una maggiore convergenza economica, è stata fissata per il gennaio del '94 e prevede la costituzione di un "Istituto Monetario Europeo" (IME). Tutti questi passaggi stanno portando alla costituzione di un sistema europeo di banche centrali imperniato sulla Banca Europea e l'ECU come moneta unica. Una dinamica resa possibile da una già esistente convergenza economica e monetaria realizzata attraverso il processo di "disinflazione" degli anni '80, che nel concreto ha significato il drastico taglio delle spese sociali in ogni singolo Stato, e politiche di contenimento del costo del lavoro in tutta Europa. Un attacco che oggi e per tutti gli anni 90 è condizione per realizzare le tappe fissate dalla borghesia nella prospettiva dell'unione economica e monetaria. Questo è il punto di riferimento per la Banca d'Italia, che sta già sviluppando profonde trasformazioni nella sua struttura per renderne irreversibile l'autonomia e predisporsi all'interno del nascente "Sistema Europeo di Banche Centrali" (SEBC) con al centro la futura Banca Centrale Europea. 4.2 Al processo di costruzione dell'unione economica e politica corrisponde un riadeguamento delle strutture di potere della borghesia. Un riadeguamento che ha la sua finalità principale nella necessità di garantire la riproduzione dei rapporti sociali capitalistici nel quadro attuale della crisi. Quindi questo nuovo assetto di potere non si definisce solo attorno alle esigenze politiche derivanti dalla concentrazione-centralizzazione capitalistica, ma trova la sua ragion d'essere anche nel governo delle contraddizioni e dello scontro di classe. A ciò corrisponde la necessità di una politica degli Interni e della Giustizia comune a livello europeo, e un complesso di trasformazioni politico-istituzionali dello Stato in ogni paese. Tutta la propaganda borghese sul passaggio alla cosiddetta "II Repubblica" qui in Italia non è altro che il rivestimento massmediato di una serie di mutamenti nel sistema politico di potere, in cui emerge chiaramente la volontà di sancire lo spostamento dei rapporti di forza a favore della borghesia per un più adeguato governo del conflitto di classe. Ciò si inquadra in quel processo di strutturazione autoritaria della "democrazia" da tempo in atto in tutti i paesi del centro imperialista. E' a questo disegno che vanno ricondotti i ripetuti attacchi alla conquiste operaie e proletarie, succedutesi per tutti gli anni '80 in Italia. Questi attacchi, condotti dall'Esecutivo e dal grande padronato, non hanno solo l'obiettivo di liquidare le conquiste, essi sono finalizzati infatti a stabilire meccanismi istituzionalizzati che limitino ogni possibili sbocco e ogni forma di lotta di classe. In pratica si vuole porre sul piano dell'illegalità qualsiasi istanza di classe e proletaria che sfugga alla cooperazione sociale istituzionalizzata. Una dinamica resa possibile anche dall'opera di svendita del patrimonio di lotta operaia da parte dei sindacati e partiti riformisti, i quali, facendo proprie le necessità della borghesia e del grande capitale, si stanno muovendo a livello nazionale, con i loro consimili degli altri paesi, per impedire che le lotte del proletariato in Europa esprimano coscientemente la loro qualità unitaria e i loro processi di organizzazione autonoma. Al processo di integrazione europea degli anni 80 ha corrisposto un progressivo spostamento di poteri verso gli organismi sovranazionali e una conseguente delega di sovranità, su molti piani, degli stati nazionali. Parallelamente si è imposta una supremazia giuridica sull'intero territorio europeo. I "trattati istitutivi" CEE rappresentano ciò che le "leggi istitutive" sono per gli Stati, e insieme agli accordi UEO, TREVI e Schengen , come pure alle molteplici sentenze della Corte di Giustizia comunitaria, stanno uniformando le "carte costituzionali" e la legislazione di ogni singolo Stato. Allo stesso tempo i loro emendamenti, sganciati da ogni autorità politica parlamentare, hanno determinato un "deficit democratico" che crea non poco imbarazzo ai tecnocrati degli organismi comunitari, provocando su molti piani un esautoramento dei poteri parlamentari, spesso ridotti a pura ratificazione delle loro direttive. La legislazione comunitaria sviluppa ulteriormente l'integrazione e la rifunzionalizzazione istituzionale degli Stati intorno agli interessi della borghesia monopolistica sovranazionale. In questo modo ogni singolo Stato incorpora in sé il livello più alto dato dalla dimensione sovranazionale dei rapporti di forza sull'intero proletariato e l'insieme della sua strategia controrivoluzionaria. L'omogeneizzazione della legislazione e delle politiche comunitarie di controllo e di repressione, si è venuta sviluppando a partire dagli organismi CEE (Consiglio, Commissione, Corte di Giustizia Europea...) e con l'affermazione di una molteplicità di strutture come TREVI, Schengen, ecc., fino alla costituzione di un vero e proprio spazio giuridico europeo. Queste diverse istituzioni e apparati sovranazionali, forti dell'esperienza accumulata ai massimi livelli dello scontro di classe, attraverso trattati, codici, statuti, leggi, ecc., hanno sviluppato una politica di pianificazione sull'intero territorio europeo, omogeneizzando un personale imperialista e rispettive strategie collocati ad alto livello su tutti i piani dello scontro. L'insieme degli apparati di controllo e di repressione a livello nazionale (polizie, magistrature, servizi segreti...) hanno sviluppato in questa dinamica una strutturazione sempre più integrata e coordinata in ogni paese e sul piano continentale. La recente scelta operata in Italia per razionalizzare e coordinare l'intervento di polizia, carabinieri e finanza, risponde a una duplice esigenza: riorganizzare le forze in campo per ottenere un controllo più capillare del territorio; usufruire di un forte strumento centralizzato in grado di partecipare efficacemente alle strutture integrate e di coordinamento operanti e con requisiti necessari alla prevista formazione della "Europolizia". E' sempre in riferimento al processo di integrazione che si devono inquadrare quelle mutazioni - attualmente allo stadio di proposta e oggetto di aspri scontri tra i partiti e forze borghesi - quali la ridefinizione della magistratura inquirente (che prevede fra l'altro la subordinazione all'Esecutivo dell'iniziativa della "Pubblica accusa"), e in generale del ruolo stesso della magistratura e dei suoi organi di governo (in particolare il Consiglio Superiore della magistratura). Tra i passaggi già operati c'è la riforma del "codice di procedura penale'" che avvicina la politica penale italiana al modello legislativo nord-europeo che incorpora la sostanza della cosiddetta "legislazione d'emergenza", prodotta in 20 anni di attacchi violenti alle avanguardie rivoluzionarie, alla guerriglia e alla lotta di classe nel suo insieme. Migliaia di licenziamenti, aumento della disoccupazione, riduzione del costo del lavoro, aumento dello sfruttamento, riduzione di ogni spesa per l'assistenza, militarizzazione capillare del territorio, razzismo, distruzione attiva e preventiva di ogni forma di autoorganizzazione e opposizione di classe e rivoluzionaria, attacco a tutte le conquiste della classe operaia e dei lavoratori dei servizi, fino al diritto di sciopero; uso della tortura, delle carceri speciali, fino all'annientamento psicofisico dei prigionieri rivoluzionari attraverso l'isolamento. E' questo il quadro di riferimento su cui si è venuta sviluppando e omogeneizzando la politica interna e la legislazione comunitaria, all'interno della rifondazione autoritaria dei singoli stati. E' così, ad esempio, che il "gruppo TREVI", e su un altro piano gli accordi di Schengen, si impongo come pilastri della controrivoluzione integrata tra i 12 Stati europei.
Con il nuovo Trattato di Maastricht la nascente "Unione Europea" estende i propri poteri in materia di immigrazione, giustizia, interni, in una dimensione sempre più integrata e gestita dalle istituzioni comunitarie. Queste centralizzano materie come: politica comune di immigrazione, diritto di asilo, lotta alla droga, cooperazione giudiziaria e soprattutto tra le polizie (Europol) sul modello del FBI americano. Questa è una delle nuove competenze in materia di "affari interni e di giustizia" che la riforma del trattato CEE ha attribuito alla "Unione Europea", come pure in materia di immigrazione, di visti e diritto di asilo (in Italia l'ormai famosa "legge Martelli" ha costituito il passaggio necessario per aderire a "Schengen" e omologare il quadro legislativo alla ridefinizione autoritaria delle politiche europee sul terreno del controllo dei flussi migratori), di cooperazione giudiziaria, civile e penale. In sostanza una struttura europea di controllo e repressione per la "prevenzione e lotta al terrorismo" e altre "forme di criminalità internazionale". La "unione Europea" si dispone così a far fronte alla massa di immigrati che preme ai confini mediterranei e orientali della CEE, e alle lotte di resistenza e rivoluzionarie del proletariato metropolitano europeo. 4.3 Il trattato di Maastricht prevede che "gli orientamenti generali" di politica estera e difesa siano votati all'unanimità dal Consiglio Europeo (capi di Stato e di Governo), che le "linee di azione" siano votate all'unanimità dal Consiglio dei Ministri degli Esteri, che le "modalità di attuazione" vengano decise dal Consiglio dei Ministri degli Esteri a maggioranza qualificata. La Commissione potrà formulare proposte in materia di politica estera, di sicurezza comune, mentre i poteri reali dell'Europarlamento saranno di semplice consultazione, se sarà ritenuta necessaria. Si tratta di fissare, sul piano economico, le nuove coordinate della sua proiezione internazionale, del peso e del ruolo che il polo imperialista europeo intende assumere in una rinnovata divisione internazionale del lavoro, in competizione con le altre potenze imperialista USA e Giappone, entro cui garantire gli interessi dei grandi gruppi multinazionali europei. E di ricollocare in questa organica prospettiva tutta la fittissima rete di accordi e relazioni bilaterali e multilaterali che la CEE ha sottoscritto in tutto il mondo, di integrare definitivamente in questi il sistema di relazioni economiche e politiche internazionali dei singoli Stati europei, di ampliare sempre più la sua penetrazione e la sua opera di influenza nelle altre aree del mondo. Sul piano politico-militare, la "Unione Europea", superando il terreno della semplice "cooperazione intergovernativa" tende a diventare una vera e propria potenza internazionale, all'interno di un nuovo "equilibrio di potere". Questo significa da un lato collocarsi in maniera sempre più diretta a fianco degli USA (e del Giappone), per mantenere il proprio dominio sul proletariato e i popoli di tutto il mondo, dall'altro ritagliarsi e garantirsi un suo proprio ruolo e peso sempre più autonomi nella gestione dei conflitti e delle "aree di crisi". Nei confronti delle altre potenze imperialiste, USA e Giappone in testa, il polo europeo si trova impegnato in una vera e propria guerra commerciale, fatta di tariffe protezionistiche, sovvenzionamenti, politiche monetarie, diretta a salvaguardare le proprie aree di mercato e a penetrare quelle avversarie, a garantire la propria produzione industriale dalla concorrenza delle merci e dei capitali americani e giapponesi. D'altra parte il polo imperialista europeo è sempre più proiettato verso un ampliamento delle sue aree di diretta influenza politica. In ambito continentale la "Unione Europea" punta alla costruzione di accordi di integrazione/subordinazione con gli altri paesi europei. Uno è l'accordo per lo "spazio economico europeo" che nei fatti altro non è che l'estensione/imposizione ai 7 paesi EFTA delle normative, legislazioni e istituzioni della "Unione Europea". Su un piano diverso sono gli accordi firmati in questi mesi da Ungheria, Cecoslovacchia e Polonia di "superassociazione" per la costruzione di un'area di libero scambio per la totale apertura di quei paesi alla penetrazione delle multinazionali europee, garantendo la totale liberalizzazione del mercato del lavoro, delle merci, dei capitali. Ma è tutta l'area europea che i tecnocrati della CEE considerano "naturale orizzonte" per l'imperialismo europeo. Basta vedere il ruolo che la "Unione Europea" intende giocare nelle trasformazioni che investono tutta l'area ex COMECON e la rete di accordi stipulati con i nuovi gruppi dirigenti di quei paesi. Le vicende yugoslave mostrano in modo esemplare tutta la forza di incidenza e pressione raggiunta dalla "Unione" sul piano economico, politico e militare, ma anche la diretta volontà politica di intervento che ha acquisito maggiore organicità con le direttive del vertice NATO di fine '91 a Roma, che ne ha orientato il livello di autonomia rispetto alle politiche USA e alle decisioni dell'ONU. Tutto il Tricontinente è, nel suo complesso, obiettivo della penetrazione imperialista dei grandi oligopoli multinazionali europei, nella loro esigenza imprescindibile di allargare il loro campo d'azione all'intero mercato mondiale. Basti pensare all'America Latina o all'Africa. Ma è principalmente nell'area Mediterraneo-orientale che la pressione e l'iniziativa europea hanno assunto una rilevanza e una caratteristica evidentissime. Spazzate via tutte le chiacchiere sulla "integrazione tra le due sponde del Mediterraneo" o sulla "area di pace", l'imperialismo europeo sta concretamente mostrando sul suo "Fronte Sud" cosa intende per "rapporto Nord-Sud". Dal tentativo, patrocinato dai ministri degli esteri CEE, di stringere tutti i paesi del Mediterraneo in un sistema di relazioni (la "Helsinki del Mediterraneo"...) che doveva sancire e formalizzare in tutta l'area lo strapotere assoluto dei paesi CEE, della NATO e di "Israele", si è passati alla guerra di aggressione nel Golfo, fino a ritagliarsi uno spazio nell'imposizione della cosiddetta "Conferenza di pace" di Madrid, fino alle attuali minacce contro la Libia. Il trattato della "Unione Politica Europea"definisce esplicitamente la UEO (Unione Europeo Occidentale) come nucleo di costruzione-elaborazione di una difesa comune. La UEO attuerà le decisione della "Unione Europea" in un quadro di complementarietà con la NATO. Una posizione di mediazione tra le posizioni anglo-italiane (che sottolineano il ruolo insostituibile della NATO) e quelle franco-tedesche (che spingono per affidare alla UEO la difesa autonoma dell'Europa). Queste scelte vanno inquadrate in rapporto alla ridefinizione già operante - a fronte dello scioglimento del Patto di Varsavia e all'emergere di nuove esigenze - della strategia NATO, dalla "difesa avanzata" alla costruzione delle "forze multinazionali di rapido impiego", capaci di fronteggiare anche le emergenze del Fonte Sud. Questa ridefinizione sta comportando una riduzione quantitativa delle forze USA e una loro sostituzione con truppe europee. Nei fatti il potenziamento della UEO è un rafforzamento del "pilastro europeo dell'Alleanza" che tuttavia non segna un netto sganciamento della difesa europea dagli USA. Ma nello stesso tempo l'accordo di Maastricht prevede la possibilità di nuovi sviluppi a partire da una maggiore integrazione delle forze armate europee. E' ancora una volta l'asse franco-tedesco a rilanciare il piano per la creazione di una forza militare europea pienamente indipendente sotto il comando UEO, in grado di agire in piena autonomia; Questo piano prevede la piena subordinazione della forza europea al Comando Atlantico in caso di aggressione al territorio NATO, ma il suo impiego indipendente in caso di crisi fuori area (tipo guerra nel Golfo). Si parte dall'embrione della Brigata Franco-Tedesca per dar vita ad una forza militare integrata a quella anglo-italiana e sviluppare una forza di intervento rapido che operi nelle aree di crisi fuori dal territorio NATO. Infine tutti i paesi membri della CEE dovranno aderire alla UEO (non ne fanno ancora parte Grecia, Danimarca e Irlanda) la quale ingloberà nelle sue attività anche la Norvegia e la Turchia (membri della NATO ma non della CEE). E' in questo quadro che lo Stato italiano, in stretto rapporto con gli altri Stati CEE, per coordinare i progetti di integrazione della "difesa europea" della NATO, sta approfondendo la riforma e la ristrutturazione delle proprie forze armate. Con l'elaborazione di un "Nuovo Modello
di Difesa" punta ad adeguare il dispiegamento di Esercito, Marina
e Aeronautica, della "forza di rapido intervento" attorno a
tre funzioni strategiche: Per l'esercito il progetto di ristrutturazione prevede la riduzione della componente di leva per arrivare alla costituzione di un esercito professionale forte di 50.000 effettivi, integrato da 80.000 soldati di leva con l'appoggio dell'Arma dei Carabinieri che, oltre alla funzione all'interno delle Forze Armate, ha quella di polizia e sicurezza interna. Una dottrina che, per quanto riguarda il suo ambito territoriale, abbiamo visto all'opera quando hanno scagliato migliaia di soldati di leva a fianco dei Carabinieri contro gli immigrati albanesi a Bari. La "Forza di Rapido Intervento" in questo quadro è costituita per essere pronta in permanenza ad operare fuori area. L'Italia, inoltre, contribuisce alla Forza di Reazione Rapida della NATO con 5 brigate. Per la Marina e l'Aeronautica, nell'ottica di gestione unitaria delle forze e mezzi aeronavali, lo Stato ha articolato un piano di potenziamento per farne una componente integrata con compiti di intervento in tutto il bacino del mediterraneo e nel Vicino-Medio Oriente in funzione delle necessità di sicurezza e difesa della NATO-UEO e nazionali. Strettamente interessato a questi sviluppi è naturalmente il "complesso militar-industriale che è da tempo uno degli elementi costitutivi di quella borghesia imperialista che è il motore della formazione del polo imperialista. Il "mercato unico delle armi" è affidato da tempo al "Gruppo Europeo Indipendente di Programmazione" al quale aderiscono tutti i paesi CEE che fanno parte della NATO. Esso si muove per raggiungere una maggiore efficienza dell'apparato bellico europeo, un aumento della cooperazione del complesso militar-industriale comunitario, la liberalizzazione degli appalti pubblici degli armamenti, la costruzione di consorzi e fusioni tra le maggiori industrie belliche europee. A questo stesso scopo la CEE ha elaborato uno "statuto della compagnia europea" per incoraggiare la costituzione di associazioni internazionali europee di produzione. Attività questa che integra e coordina quella dei singoli paesi europei che finanziano ed incentivano le proprie industrie militari nell'espansione sui mercati internazionali. E' evidente come proprio intorno alla costruzione di una "difesa europea" si darà un enorme sviluppo di questo settore che, come è già accaduto per il complesso militar-industriale negli USA, potrà funzionare come volano delle economie durante le fasi di crisi. 5. La scomparsa del "bipolarismo" e gli ultimi radicali e repentini mutamenti hanno accelerato l'emergere del polo europeo come fondamentale soggetto politico del "nuovo ordine mondiale". Al centro di questo complesso movimento, che abbiamo schematicamente delineato, c'è il formarsi di una borghesia multinazionale europea. Sono le dinamiche di concentrazione finanziaria, di dislocazione produttiva, l'esigenza di realizzare profitti su tutta l'area europea e in tutte le aree di penetrazione raggiungibili, che spingono i gruppi finanziari e industriali europei a farsi incessantemente promotori della definizione di indirizzi politici omogenei e di strutture economiche, politiche e istituzionali adeguate alla loro traduzione concreta. Politiche che agevolino questi processi di concentrazione, liberalizzino il mercato del lavoro, garantiscano un'adeguata politica monetaria, permettano il rilancio dei progetti di Ricerca e Sviluppo comuni, la pianificazione di grandi progetti economici di scala (da quelli del complesso militar-industriale, a quelli della produzione e distribuzione energetica, a quelli delle comunicazioni telematiche, alla costruzione di un sistema integrato di infrastrutture e trasporti). E' in questo processo che la borghesia multinazionale si rafforza e si riproduce come protagonista del nascente polo imperialista europeo. Ma la stessa dinamica di crisi-concentrazione-internazionalizzazione capitalistica che porta alla costruzione e consolidamento di una frazione di borghesia monopolistica multinazionale su scala continentale, e il processo di integrazione/proiezione imperialista che essa promuove, conducono anche, conseguentemente e inevitabilmente, alla formazione del soggetto che ad essi è irriducibilmente antagonista: il proletariato metropolitano europeo. Concretamente la dimensione continentale dei processi capitalistici determina l'omogenea qualità delle contraddizioni che investono i proletari europei; le caratteristiche del modo di produzione, del livello tecnologico e dell'organizzazione del lavoro sono comuni all'interno dei 12 Stati e in tendenza in tutta l'area. Le strategie di ristrutturazione, innovazione e dislocazione di interi fondamentali cicli produttivi, la regolazione e composizione della forza lavoro, dell'esercito industriale di riserva, sono concepite e organizzate a livello dell'intero polo europeo. La comune qualità metropolitana dei rapporti sociali e le politiche "neoliberiste" (incremento dello sfruttamento / marginalizzazione ed emarginazione / taglio delle spese sociali...) rendono sempre più omogenee le contraddizioni vissute da centinaia di milioni di proletari europei. Tutto ciò si pone come solida base materiale della costituzione in classe del proletariato metropolitano come soggetto politico omogeneo su scala continentale. Ciò non si traduce automaticamente in una già consolidata coscienza di classe dei proletari europei, sebbene questa consapevolezza vada sempre più concretamente crescendo. Significa però che è questo proletariato metropolitano il soggetto politico dello scontro di potere tra le classi in Europa. 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1. Come abbiamo visto, il quadro generale dello scontro di questa epoca è segnato in modo determinante dall'accelerarsi della dinamica di integrazione delle economie su scala mondiale per grandi aree regionali e dall'intensificarsi del movimento di concentrazione dei capitali in grandi oligopoli multinazionali con proiezione planetaria.Questi processi avvengono in un contesto,
sotto la direzione e con strumenti capitalistici, e perciò non
possono che determinare l'esplosione violenta di contraddizioni tra tutto
l'arco delle forze coinvolte. Le aree metropolitane del centro imperialista sono attraversate in lungo e in largo da strategie capitalistiche sempre più integrate ed omogenee: la ristrutturazione industriale, la ridefinizione del mercato del lavoro, le deregulation economica e sociale accrescono come non mai la polarizzazione tra ricchezza e povertà, tra sviluppo e sottosviluppo nelle stesse aree, spingendo verso il basso il potere d'acquisto dei salari, aumentando il costo dei servizi e inasprendo in generale le condizioni di vita minime delle classi subalterne. In questo contesto saltano rapidamente i livelli di mediazione sociale e si acuiscono le contraddizioni di classe. In tutta Europa il proletariato metropolitano si trova sempre di più a scontrarsi in ogni situazione con l'attuale assetto di potere della borghesia imperialista. Il dispiegarsi delle strategie di penetrazione dei monopoli capitalistici occidentali nel Tricontinente genera la marginalizzazione di intere economie preesistenti e la crescente proletarizzazione della maggior parte delle popolazioni in quelle aree, provocando al contempo la pauperizzazione e l'affamamento con la distruzione di ogni condizione autonoma di sussistenza. La necessità per i poli capitalistici del centro di disporre in permanenza di un esercito industriale di riserva determina una dislocazione della forza-lavoro lungo le direttrici della dinamica di sviluppo e sottosviluppo, con massicci movimenti migratori dalle aree del Tricontinente verso le metropoli del centro. Tutto ciò pone sempre più i popoli del Tricontinente in un rapporto di scontro diretto con la borghesia imperialista. Grandi monopoli multinazionali, blocchi
imperialisti, singole nazioni, stanno dando vita ad uno scontro a tutto
campo nel quadro della concorrenza/competizione capitalistica per determinare
la gerarchia di potere nel sistema imperialista. Il riflesso politico di tutto ciò è che esistono oggi ben pochi spazi per politiche e strategie che non siano strettamente subordinate alle necessità del sistema imperialista occidentale. Ne è una diretta conseguenza lo scompaginamento del "campo non allineato" che, nel venir meno dell'equilibrio "bipolare" non ha più trovato un proprio ruolo autonomo, come si è visto, molto chiaramente, durante la guerra nel Golfo. Parliamo di esplosione violenta di contraddizioni perché esse oggi si traducono non solo in termini di distruzione economica, immiserimento, alienazione e oppressione di classe, ma anche, - e in questa epoca sempre più - in concreti processi di guerra. E non è il caso qui di ripercorrere lo stillicidio di guerre a "bassa" o "media" intensità - come le chiamano i boia tecnocrati dell'imperialismo - che in questi ultimi dieci anni hanno preceduto il massacro del popolo iracheno. Con questo noi vogliamo mettere in evidenza come oggi meno che mai esista la possibilità di uscita da questo quadro di crisi capitalistica, al di fuori di una radicale rottura con l'intero assetto imperialista in ogni area del mondo, e della riaffermazione della prospettiva comunista attraverso la rivoluzione mondiale nella sua forma di guerra di lunga durata. La sequenza delle ristrutturazioni innovative della formazione sociale capitalistica hanno proiettato masse crescenti di uomini e donne in una dimensione universale della loro esistenza e della loro lotta, ponendole immediatamente di fronte alla distruttività del capitalismo. Questa nuova qualità dello scontro informa il processo rivoluzionario di questa epoca e va affermato dalle forze comuniste per suscitare e connettere energie e tensioni emancipative e di liberazione sociale in ogni area del mondo. 2. I mutamenti in atto nella formazione sociale capitalistica a livello mondiale determinano nuove configurazioni e condizioni dello scontro sul piano generale, con cui da tempo i movimenti e le forze rivoluzionarie si stanno misurando nelle principali realtà di lotta.La fine del "bipolarismo" Est/Ovest
è uno di questi fattori di mutamento. Da tempo il blocco degli
stati ad economia centralizzata aveva cessato di essere punto di riferimento
ideologico per i processi rivoluzionari, data la natura di classe che
era venuto ad assumere, ma la sua contrapposizione con gli USA aveva di
fatto potuto costituire per una lunga fase terreno di sviluppo per numerosi
movimenti rivoluzionari e di liberazione soprattutto nel Tricontinente. Il persistere e il radicalizzarsi della contraddizione di classe tra il proletariato metropolitano e la borghesia imperialista nelle metropoli del centro; il crollo del Patto di Varsavia come sistema politico militare e lo sviluppo di un aperto scontro di classe tra il proletariato e le frazioni di borghesia negli Stati ex COMECON; i processi di proletarizzazione sempre più accentuati nel Tricontinente, fanno emergere sempre più la contraddizione tra il proletariato internazionale e la borghesia imperialista come il cuore di ogni strategia e prospettiva rivoluzionaria in questa epoca. Questo non significa la scomparsa di specificità
e caratteristiche peculiari nelle lotte delle varie aree geopolitiche,
dovuto alle differenze di composizione di classe o ai diversi tempi e
forme di esplicitazione delle contraddizioni con la borghesia imperialista. L'esigenza di concepire e costruire concretamente una nuova dimensione dell'internazionalismo proletario vive da tempo nella prassi delle forze rivoluzionarie più avanzate. Gli sviluppi di questi anni nello scontro generale con il formarsi di aree regionali integrate (come in Europa e in altre parti del mondo); la pressione e l'iniziativa delle potenze imperialiste per subordinare ad esse le aree del Tricontinente, legando così indissolubilmente le sorti del processo rivoluzionario nel centro e nella periferia; l'unitarietà delle strategie capitalistiche che i proletari si trovano a dover fronteggiare in ogni area del mondo e che tende ad omogeneizzarli come classe, danno all'esigenza di un nuovo internazionalismo proletario concrete basi oggettive e un importanza fondamentale in una prospettiva rivoluzionaria. Nel quadro attuale della crisi capitalistica, la riduzione dei margini di manovra dei capitalisti nella ricerca del profitto e quindi la loro esigenza di invadere sempre di più ogni ambito della vita sociale, la dinamica violenta delle contraddizioni che rischiano di mettere in discussione il suo assetto di potere, portano l'imperialismo a scatenare una controrivoluzione dispiegata e preventiva. Questo non è certo un dato nuovo. Sono 20 anni che la lotta di classe deve fare i conti con la controrivoluzione preventiva. Ma è evidente che siamo di fronte ad un salto di qualità nelle forme, nell'intensità, negli strumenti messi in campo. Dalla crescente militarizzazione del conflitto sociale, determinatasi col restringimento dei margini di compatibilità e mediazione tra proletariato e potere borghese; alla depoliticizzazione, ossia la sistematica opera di svuotamento dei contenuti di classe di ogni movimento o forza di classe che mantenga un'identità antagonista e rompa il quadro dio compatibilizzazione sociale. A tutto ciò si aggiunge la capacità
acquisita da tempo dalla controrivoluzione di anticipare le dinamiche
di organizzazione proletaria e rivoluzionaria, anche a fronte della fase
di debolezza attraversata dalla guerriglia metropolitana. 3. La prospettiva rivoluzionaria attuale non può fondarsi sull'obiettivo di impedire lo sviluppo dei processi di integrazione e concentrazione capitalistica in atto; essi esprimono la tendenza storica alla mondializzazione delle forze produttive. Per i rivoluzionari si tratta invece di mettersi all'altezza di questa nuova qualità dello scontro per determinare la rottura di un ordine imperialista che si rivela sempre più come il cappio che soffoca le forze produttive e la dimensione sociale dell'uomo. Costruire dunque le condizioni per distruggere il potere imperialista nelle forme che esso assume in questa epoca.Adeguare la progettualità rivoluzionaria a questo livello e con questa qualità, non è un processo semplice né lineare; la complessità e la profondità stesse dei cambiamenti in atto rendono difficile per le avanguardie misurarsi con questo compito. Non è un caso che oggi il dibattito su ciò è tutto aperto. Ma l'esperienza della guerriglia in Europa Occidentale ha già concretamente posto i primi elementi per la necessaria rifondazione della strategia rivoluzionaria. Noi pensiamo, con la guerriglia europea, che collocarsi in una prospettiva rivoluzionaria significa sempre costruire ed affermare la pratica di potere proletario al reale livello in cui si giocano i rapporti di potere tra le classi. Questo oggi si traduce nel concepire da subito la propria lotta come parte dello scontro rivoluzionario a dimensione internazionale. La prospettiva di un processo rivoluzionario nella nostra area, dunque, non può che svilupparsi in riferimento alla costruzione dell'organizzazione rivoluzionaria del proletariato europeo e della guerriglia europea, in dialettica con i movimenti e con i processi rivoluzionari dell'area Mediterraneo - Mediorientale e in più generale del mondo. Non solo perché i rivoluzionari oggi debbono contrastare una controrivoluzione integrata sul continente europeo. ma, ancor prima, perché la dinamica della lotta di classe e della composizione del proletariato, strettamente integrate e tendenzialmente omogenee a livello europeo, rendono possibile e necessario porre a questo grado e con questa qualità la dialettica con i movimenti di lotta e di resistenza e la costruzione e organizzazione del potere del proletariato. Perché i processi di concentrazione capitalistica e le interrelazioni tra dimensione nazionale e sovranazionale del sistema di potere imperialista rendono possibile e necessario collocare a questo livello la capacità di disarticolazione. Le forze rivoluzionarie oggi si stanno misurando con questi compiti e nodi politici, e in ciò esse partono dai punti più avanzati della loro esperienza di guerriglia e dall'intero percorso del movimento rivoluzionario qui in Europa Occidentale. Oggi è il momento di valorizzare pienamente i contenuti che hanno caratterizzato il processo del Fronte Rivoluzionario Antimperialista fin dal suo sorgere e la pratica delle organizzazioni rivoluzionarie che gli hanno dato vita. E contemporaneamente le molteplici esperienze del movimento di resistenza rivoluzionaria che hanno dimostrato come la nuova qualità dello scontro tra proletariato internazionale e borghesia imperialista possa e debba essere fatta vivere nel quadro allargato delle lotte di massa. Unire le diverse lotte del proletariato nel continente e rivolgerle in un'unica strategia contro il potere imperialista, legando lo scontro qui nel centro con le lotte dei proletari e popoli del Tricontinente. Questo è il concetto di fondo che ha caratterizzato la pratica del Fronte. E' un contenuto vitale perché coglie l'aspetto essenziale dello scontro di potere tra proletariato internazionale e borghesia imperialista in questa epoca: la dimensione internazionale del processo rivoluzionario.
Collettivo Comunisti Prigionieri
"Wotta Sitta" |