SENZA CENSURA N. 29
giugno 2009
India: all’alba della crisi
Volontà di potenza e fedeltà agli Usa
La politica estera del governo
indiano è improntata ad una alleanza sempre più stretta con gli Stati Uniti che
vedono nel Paese asiatico un tassello fondamentale della propria penetrazione in
Asia in contrapposizione a Cina, Russia e Iran. Una relazione che si svolge a
più livelli, tra cui gli investimenti diretti USA in India, indirizzati
prevalentemente verso settori “esternalizzati” della finanza USA e allo
sfruttamento di una forza- lavoro qualificata del settore informatico,così come
alla speculazione immobiliare, senza dimenticare i tentacoli delle
multinazionali dell’agro-business sulla produzione agricola indiana per ciò che
riguarda sementi, fertilizzanti ed altri mezzi agricoli e gli investimenti
greenfield delle multinazionali nelle Zone Economiche Speciali.
Queste enclaves industriali e/o estrattive, una quarantina circa, beneficiano di
sgravi fiscali, assumono lavoratori non sindacalizzati, deturpano il territorio
rendendo impossibile la vita agli abitanti del luogo, sono il fiore
all’occhiello del neo- liberalismo made in India, e vengono sponsorizzate dalla
dirigenza della sinistra istituzionale come vettori dello sviluppo.
Da quasi due decenni l’economia indiana si sta aprendo al capitale
internazionale, cercando di colmare il gap (soprattutto a livello logistico –
infrastrutturale), con altri competitori continentali, in primis la Cina, da cui
ha mutuato tra l’altro le Zone Economiche Speciali: le ZES sono al centro di
importanti lotte sociali, obiettivo della guerriglia maoista, fonte di
delegittimazione per la sinistra istituzionale che l’ha sponsorizzate in alcuni
stati in cui è al governo.
Tra le ultime lotte contro le ZES bisogna ricordare la lotta contro
l’insediamento dello stabilimento della Tata che avrebbe prodotto la Nano, una
utilitaria il cui prezzo di mercato sarebbe 1500 euro, in un Paese dove 3/4
della popolazione vive con meno di mezzo euro al giorno! L’automobile è uno dei
tanti status Symbol della media borghesia indiana, che compra o meglio comprava
per la maggior parte a credito la sua “occidentalizzazione”. Torniamo al
rapporto tra India e USA… Due settimane prima dello storica intesa sul nucleare
firmato dai due paesi nell’estate del 2005, gli stessi siglarono un accordo che
ridefiniva il quadro di una nuova relazione nel campo della Difesa. Bisogna
ricordare che il “dossier” sul nucleare “civile”, fine del trentennale embargo
nucleare Usa all’India, comprendeva anche altri aspetti inerenti la questione
energetica, includendo – per l’India - più forti legami commerciali con il
Kazakhistan e il Turkmenistan, due stati dell’Asia centrale con grandi riserve
energetiche che permettevano di congelare gli accordi militari ed energetici con
l'Iran, necessarie per lo sviluppo economico indiano.
La partnership con la Nato dell’India che è indispensabile all’Alleanza
Atlantica per le proprie strategie di penetrazione nell’Oceano Indiano e il
controllo dei traffici marittimi da e per la Cina. Questa relazione Nato-India
ha portato dopo l’esercitazione denominata Malbar, nella Baia del Bengala nel
settembre del 2007 e a cui hanno partecipato circa 20.000 tra militari di USA,
India, Australia, Giappone e Singapore, alla prima partecipazione dell’India
all’annuale esercitazione “Red Flag” svoltasi in Alaska. Esercitazioni
aereo-navali complesse mirate ad elevare il tasso di inter-operabilità secondo
gli standard Nato, per coinvolgere ancora più organicamente il gigante asiatico
nella politica made in USA. La più grande subordinazione della politica indiana
a Washington all’esterno, insieme alla sempre più aggressiva politica anti-mussulmana
all’interno - costellata da veri e propri pogrom contro la comunità mussulmana,
capeggiati dai potenti nazionalisti indu -, non ha mancato di avere i suoi
effetti collaterali con l’attentato all’ambasciata indiana a Kabul e con gli
attentati coordinati dell’autunno scorso contro i simboli della filo-atlantica e
“occidentalizzata” borghesia Indiana.
Ma il cosiddetto “terrorismo islamico” non sta in cima alla liste delle
preoccupazioni lista dei governanti indiani, comunque scossi dal fatto che non
fossero stati colpiti inermi proletari nei loro luoghi di maggiore
concentrazione all’interno di un conflitto inter-religioso ma i vari fiori
all’occhiello della “shining India”. L’estendersi, il consolidarsi,
l’intensificarsi della guerriglia naxalita, resta il principale minaccia per la
borghesia indiana. L’insurrezione maoista, attiva in 14 dei 28 stati di cui è
composta l’India e che controlla, amministrandolo, tra 1/3 e1/4 del territorio è
sempre più vicina alla creazione di un “corridoio rosso” che taglierebbe in due
il territorio dello stato asiatico e che unirebbe il sud con i territori
confinanti con il Nepal. Mentre la crisi incomincia a sgretolare i piedi d’
argilla del gigante indiano, dal cui miracolo sono state escluse comunque le
classi popolari tradizionali di un sistema che coniuga la gerarchia delle caste
alla divisione in classe (indigeni, intoccabili, mussulmani sono storicamente
gli esclusi) la lotta dei naxaliti accerchia sempre più le città, iniziando a
colpire in quei centri in cui una immensa mole di proletari inurbati si muove
tra economia “informale” dei servizi e precarietà del settore manifatturiero e
dove già si sono state importanti esperienze di lotta di lavoratori “precari”
del settore industriale, dopo che la pesante ristrutturazione che ha fortemente
precarizzato la forza-lavoro “tradizionale” del settore tessile ed
automobilistico. Le strategie contro-insurezionali mutuate dagli USA nella
gestione dei conflitti a bassa intensità in America Latina non hanno dato per
ora i frutti sperati, ma il nuovo governo ha tra le sue priorità un maggiore
coordinamento a livello asiatico per sconfiggere “l’estremismo di sinistra”, un
potenziamento del proprio arsenale che va da dai gruppi para-militari alle ONG
della “società civile”, ma che si basa sostanzialmente sul potenziamento degli
apparati di polizia. La repressione non ha mancato di colpire l’informazione
indipendente, tra cui quella in rete, nel mentre un numero sempre maggiore di
intellettuali si è allontanato dalla sinistra istituzionale, esprimendo non solo
le proprie simpatie per i naxaliti, ma auspicando la formazione di un fronte
realmente rivoluzionario guidato dagli insorti.
Questo contributo vuole iniziare quindi a dare un quadro più dettagliato di
questo contesto, impegnandosi come redazione a dare spazio ulteriore per
approfondire l’analisi, intrecciare relazioni e pubblicare materiale degli
insorti.