SENZA CENSURA N. 29

giugno 2009

 

Primavera bollente

La crisi globale mette KO la “Nuova Europa”

 

L’amministrazione Bush li ha battezzati come “la Nuova Europa”, ma i paesi che fino al 1991 orbitarono intorno a Mosca rivivono vecchi fantasmi. Colpiti senza pietà dalla crisi globale, le speranze di felicità delle loro popolazioni svaniscono con l’entrata nell’UE. E rimane il risentimento dopo decenni di promesse fatte in cambio che facessero loro il credo neoliberale più ortodosso.

Di David Lazkanoiturburu
[Pubblicato su Gara il 1° marzo 2009]

Le recenti e crescenti proteste popolari in Europa Centrale ed Orientale e la possibilità di uno smantellamento a catena delle economie hanno acceso tutte le luci rosse in Unione Europea. Le reazioni popolari, di una violenza sconosciuta negli ultimi decenni, portano alcuni ad affermare che saremmo alle porte di una “primavera dello scontento” che porterà parallelamente ad una crescente destabilizzazione politica, un aumento della conflittualità sociale ed inoltre, prevedono i più pessimisti, un aumento delle tensioni etniche in un area particolarmente sensibile, come dimostra la storia di guerre e conflitti del secolo scorso.
Gli esperti dicono a voce alta che l’economia di molti paesi dell’Est europea subirà quest’anno una contrazione del 5%, e che l’inflazione arriverà al 13%. Tutto ciò in economie che hanno presentato nell’ultimo decennio tassi di crescita macroeconomica annuali a due cifre.
Ugualmente, pronosticano che il numero dei disoccupati nella regione aumenterà in breve tempo ed in maniera sistematica da 15 a 18 milioni. Questo in un momento in cui l’Occidente non assorbe più gli immigrati, ma li espelle per mancanza di lavoro.
La situazione è, se si può, ancora più grave nelle repubbliche baltiche, dove si prevede una contrazione economica fino al 15%.
Di fronte a tale situazione, la risposta dei governi - sotto lo sguardo attento ed indagatore degli organismi finanziari e delle istituzioni come l’UE – è stata quella di imporre drastici tagli ai programmi sociali, già di per sé rachitici dalla caduta del Muro di Berlino e per le pressioni neoliberali imposte dall’Occidente.
La crisi ha già riscosso la sua prima vittima politica in Lettonia, ex repubblica sovietica di 2,3 milioni di abitanti ed uno degli epicentri della protesta. Il Governo di centro-destra di Ivars Godmanis si è dimesso poco più di una settimana fa, non senza avvertire di non essere in condizioni di firmare alcun documento internazionale.
Membro dell’UE dal 2004, la Lettonia si salvò in extremis dalla bancarotta dopo essere riuscita ad ottenere alla fine dello scorso dicembre un credito di 7.500 milioni di euro concesso da Bruxelles e dal FMI, sempre con la contropartita di una riduzione draconiana delle spese sociali. A questo malessere si somma la percezione da parte della popolazione di una “umiliazione nazionale”.
La Lituania e la Bulgaria, e soprattutto le rispettive capitali, Vilnius e Sofia, sono state allo stesso modo scenari di proteste simili. Non va meglio alla Romania, con mobilitazioni di diversi settori, dai funzionari ai professori, fino alla gioventù del paese, inferocita per la corruzione e la mancanza di prospettive.
Edmund Conway, responsabile di Economia del giornale britannico “The Telegraph”, non ha peli sulla lingua. “Le economie si sono svuotate, il capitale, evaporato. Polonia, Lettonia, Lituania ed Ungheria stanno scivolando, poco a poco, verso la depressione”. E, sintomatico, “i paesi che hanno seguito a piedi uniti la dieta economica prescritta da Washington sono quelli che hanno sofferto di più. Hanno scommesso su una prosperità fondata su una crescita stimolata dal debito e dalle esportazioni. Il sogno è stato spezzato”, aggiunge.
Jonathan Eyal, esperto del Royal United Services Institute di Londra, ricorda che ”stiamo parlando di gente che è rimasta a galla durante un periodo abbastanza nefasto dopo la caduta dell’URSS, quando le economie si ridussero di un terzo, nella convinzione che entrare nell’UE avrebbe portato prosperità e stabilità (…). Questa aspirazione si è dimostrata deludente e ciò risulta fortemente destabilizzante”.
Tanto che c’è chi augura un ritorno di movimenti fascisti e/o razzisti. La città di Litvinov, in Repubblica Ceca, è stata recentemente teatro di un tentativo di pogrom in una zona abitata prevalentemente da rom (gitani). “Il clima politico di questa regione risulta essere assai propizio per un sentimento ostile nei confronti delle minoranze”, avverte Larry Olomoofe, del Centro Europeo per i Diritti dei Rom a Budapest.
Mike Whitney aggiunge, dal portale della rivista statunitense “Counterpunch”, che “se si consente il crollo di un paese, l’effetto domino potrebbe abbattere tutta la regione e dare il via a spettacolari alterazioni del clima politico. Ormai non si può non considerare il ritorno in auge del fascismo”, avverte.
Heather Cortin, in un articolo di Global Research tradotto per Rebelion, ricorda la dottrina economica conosciuta come “terapia d’urto” imposta a questi paesi dopo la caduta del Muro di Berlino e che consisteva nella privatizzazione generalizzata delle industrie di proprietà statale (70000 dal 1999), la riduzione dei salari, la disoccupazione di massa, la deregolamentazione dei prezzi ed i drastici tagli alle spese per salute ed educazione.

Come un castello di carte
“L’auge che ne derivò, alimentata dal credito facile, gli investimenti di dubbia provenienza, la speculazione senza freni ed i sordidi affari immobiliari, si è trasformata in una perdita con il collasso del sistema bancario e l’evaporazione dei mercati globali”.
Questa è la situazione attuale. Però il problema va oltre e minaccia direttamente il cuore occidentale dell’UE. La crisi sembra aver colpito più duramente ad est negli ultimi mesi, ma tutto indica la possibilità di un effetto boomerang.
“Quasi tutti i debiti dell’Est europeo hanno come creditore l’Europa occidentale, soprattutto attraverso banche austriache, svedesi, greche, italiane e belghe. Inoltre, gli europei hanno a carico uno spaventoso 74% del portafoglio di 4,9 bilioni di dollari di prestiti ai cosiddetti mercati emergenti. Sono cinque volte più esposti delle banche statunitensi o giapponesi”, secondo i dati del FMI.
Mike Whitney disegna, complessivamente, un quadro scoraggiante. “L’Europa dell’est è al punto di scoppiare. Se succedesse, si porterebbe con sé gran parte dell’UE. È una situazione d’emergenza, che non ha rimedi facili.
L’FMI non ha abbastanza risorse per un salvataggio di queste dimensioni, e la recessione si propaga molto più rapidamente di quanto sia necessario per riuscire ad organizzare gli sforzi di riscatto. È solo questione di tempo perché vengano sopraffatti dagli eventi”.
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