SENZA CENSURA N.27
novembre 2008
La differenziazione carceraria ha il volto dell’imperialismo
Note sul circuito paracarcerario destinato al proletariato multinazionale e
sui recenti accordi fra Italia e Libia
Al programma di edilizia penitenziaria si affianca l’ampliamento delle strutture
detentive per “extracomunitari” senza permesso di soggiorno: Centri di
Identificazione ed Espulsione (CIE), Centri Di Accoglienza (CDA), Centri di
Primo Soccorso e Accoglienza (CPSA), Centri di Accoglienza per Richiedenti Asilo
(CARA). Tanti e diversi nomi che identificano un vero e proprio circuito
parallelo paracarcerario integrato a pieno titolo nel modello
detentivo-carcerario differenziato. Ciò è tanto più concreto se si pensa alle
indicazioni contenute nella “direttiva rimpatri”, approvata nel giugno di quest’anno
dal Parlamento Europeo, che porta a 18 mesi, 1 anno e mezzo, il termine massimo
di detenzione nei CIE per gli immigrati sprovvisti di permesso di soggiorno
(art. 14). Indicazione che è stata prontamente recepita dal governo italiano che
ha stanziato 30 milioni di euro per la costruzione di 10 nuovi CIE con
l’obiettivo di realizzare un centro di detenzione in ogni Regione. Nel testo di
conversione in legge del decreto-legge del 2 ottobre 2008, n. 151, viene appunto
sottolineato che “[…] attraverso il piano straordinario di costruzione dei CIE
previsto dal provvedimento di urgenza, si anticipano, in parte, le misure per
dare applicazione alla nuova direttiva europea sui rimpatri, in corso di
pubblicazione, ed in particolare le disposizioni europee in materia di
trattenimento, già previste nell’articolo 18 del disegno di legge recante
Disposizioni in materia di sicurezza pubblica (atto Senato n. 733). Le nuove
costruzioni dei CIE quindi, mentre servono immediatamente a fronteggiare
l’emergenza in atto, consentono anche di predisporre un primo piano d’intervento
in modo da adeguare il sistema nazionale di trattenimento dei soggetti da
espellere alla normativa europea. Per recepire la disciplina comunitaria è,
infatti, previsto un aumento del numero dei posti dei CIE che in parte si
realizza immediatamente con il decreto-legge”.
Per costruire i nuovi CIE e ristrutturare quelli esistenti il costo stimato è di
233 milioni di euro dal 2008 al 2010 mentre il costo per la permanenza degli
stranieri in questi centri é stimato in 300 milioni di euro dal 2008 al 2010 più
93 milioni a partire dal 2011. Il numero dei posti passerà dagli attuali 1.219 a
4.640.
Secondo il Rapporto della Commissione per le verifiche e le strategie dei Centri
di Permanenza Temporanea per immigrati (Rapporto De Mistura), tra il 2005 e il
2006 sono stati detenuti nei Cie (che allora si chiamavano CPT) circa 22.000
immigrati senza documenti, di questi, il 60% circa sono stati rimpatriati. Il
totale delle espulsioni effettive, con accompagnamento alla frontiera, eseguite
nel 2006 sono state 12.562.
Con l’“emergenza sbarchi” del 2008 sono stati improvvisati 44 nuovi centri,
gestiti sempre da privati. Hanno una capienza di 2.471 posti, che si vanno ad
aggiungere ai 4.169 posti dei 10 CDA e ai 980 posti dei 6 CARA. Si tratta di
centri aperti, dedicati all’accoglienza degli stranieri in attesa del verdetto
della Commissione territoriale per il riconoscimento dello status dei rifugiati.
Le Prefetture rimborsano una quota di circa 50 euro al giorno per persona. Più o
meno il doppio di quanto lo Stato paga (25-30 euro al giorno a persona) alle
associazioni e ai 120 comuni che aderiscono allo SPRAR, il Sistema di Protezione
per Richiedenti Asilo e Rifugiati che accoglie una parte dei rifugiati, dopo il
riconoscimento del loro status (3.000 posti a fronte di oltre 7.726 rifugiati
riconosciuti - asilo o protezione umanitaria - nel 2007).
La lista degli enti gestori è lunga. Si va dal Comune di Ancona, che ospita 100
richiedenti asilo negli hotel Iori e Le Terrazze, alla Arciconfraternita del
S.S. Sacramento, che a Roma gestisce 484 posti letto. Ma in molti casi sono gli
stessi enti gestori dei CARA ad avere l’appalto dei centri destinati
all’emergenza. Succede a Siracusa con l’Alma Mater e a Trapani con la
Cooperativa Insieme. Lo stesso accade con la Croce Rossa Italiana, che gestisce
il CARA-CDA di Foggia e ha avuto in appalto centri emergenziali a Roma, Palermo,
Milano, Marina di Massa, Mantova, e Torino, per un totale di 2.116 posti.
Inoltre, sempre seguendo le indicazioni della “direttiva rimpatri”, che
stabilisce la possibilità di espellere i clandestini verso i paesi di transito –
se ci sono accordi bilaterali di riammissione – e non solo quelli accertati di
provenienza, vi sono i recenti accordi fra Italia e Libia sottoscritti il 30
agosto di quest’anno. Tali accordi prevedono, fra l’altro, pattugliamenti
congiunti anti-immigrazione in acque libiche, già previsti dal protocollo
siglato lo scorso 29 settembre 2007 dall’allora Ministro dell’Interno Giuliano
Amato che stabilivano l’invio di sei navi della Guardia di Finanza, tre
guardacoste e tre vedette, pronte a operare in acque territoriali libiche con
equipaggi misti, allo scopo di riportare nei porti africani le barche
intercettate oltre alla possibilità di richiedere l’intervento dei ulteriori
mezzi italiani schierati a Lampedusa. L’accordo prevedeva anche la fornitura
(con un finanziamento Ue) di un sistema di controllo per le frontiere terrestri
e marittime libiche. La direzione e il coordinamento delle attività di
pattugliamento e di addestramento sono affidate ad un Comando operativo
interforze, con sede in Libia, con un responsabile libico e un vice comandante
designato dal Governo italiano.
L’Italia si é preparata da anni per il sostegno del governo libico nel
“contrasto dell’immigrazione irregolare”, con una politica di piena continuità
tra i diversi governi che si sono succeduti nel tempo.
Nel 2004 viene promulgata la legge n. 271, che attribuisce al Ministero
dell’Interno la possibilità di finanziare la realizzazione in paesi terzi di
“strutture utili ai fini del contrasto di flussi irregolari di popolazione
migratoria verso il territorio italiano”. Con i fondi stanziati grazie a questa
legge, negli anni scorsi, sono stati finanziati almeno 3 dei 20 centri di
detenzione per immigrati di cui si conosce l’esistenza in Libia e in cui le
torture e gli abusi sono sistematiche.
Nel 2006, mentre cresceva in maniera esponenziale il numero delle vittime
dell’emigrazione cosiddetta irregolare, sono proseguiti i contatti tra la Libia
e l’Italia per superare l’antico contenzioso post-coloniale ed instaurare più
proficui rapporti commerciali, ridefinendo le frontiere meridionali dell’Unione
Europea con l’esternalizzazione dei centri di detenzione amministrativa e delle
pratiche di espulsione collettiva.
L’Italia è stato il paese europeo che si è maggiormente impegnato per la
rimozione dell’embargo contro la Libia, dimostrando da questo punto di vista una
totale continuità di politica estera, dal Governo D’Alema nel 1999, al Governo
Berlusconi ed al Governo Prodi, poi, ed oggi ancora al Governo Berlusconi.
La stipula dell’accordo tra Italia e Libia, giunta alla fine del 2007 pochi
giorni dopo la conclusione del vertice europeo di Lisbona, non stupisce più di
tanto. Malgrado il progetto francese di una Unione Euromediterranea, fortemente
contrastato proprio da Gheddafi, tutti i paesi comunitari nel corso del 2008
hanno intensificato le politiche tendenti alla stipula di accordi bilaterali. In
testa a tutti la Spagna di Zapatero.
Le pratiche poliziesche di “extraordinary rendition” o “di espulsione per motivi
di sospetto terrorismo” hanno consentito l’esternalizzazione della tortura e
l’arresto arbitrario di immigrati che alcuni paesi di transito, dal Marocco alla
Tunisia ed all’Egitto in Africa, utilizzano per accreditarsi come partner
affidabili dei governi europei.
Già dal 2003, peraltro, l’Italia aveva concluso e praticato con la Libia intese
operative, come quelle che tra il 2004 e il 2005 avevano supportato le
operazioni di rimpatrio dalla Libia verso numerosi paesi di origine degli
immigrati e, tra le altre, le deportazioni collettive da Lampedusa, malgrado la
condanna del Parlamento Europeo e della Corte Europea dei diritti dell’Uomo. E
sono noti da tempo casi (ancora) isolati di respingimento in mare di
imbarcazioni cariche di migranti, praticato da unità militari italiane, verso i
porti libici.
Lo spostamento dei pattugliamenti aero-navali nelle acque libiche avverrà sotto
l’egida dell’agenzia europea per il controllo delle frontiere esterne (FRONTEX).
Nel Canale di Sicilia FRONTEX ha già operato due missioni. Nautilus I (dal
cinque al 15 ottobre 2006 con la partecipazione di Italia, Malta, Francia,
Grecia e Germania) e Nautilus II (dal 25 giugno 2007 al 27 luglio 2007 e di
nuovo dal dieci settembre 2007 al 14 ottobre 2007, con la partecipazione di
Italia, Malta, Francia,Grecia, Germania, Portogallo e Spagna). I pattugliamenti
congiunti riprenderanno dal 2008 in forma permanente e con la partecipazione,
per l’appunto, della Libia. Intanto il bilancio di Frontex per il 2008 è stato
raddoppiato a 70 milioni di euro, dai 34 del 2007. L’Unione europea ha offerto
alla Libia l’installazione di un sistema di sorveglianza elettronica lungo la
sua frontiera meridionale. Le autorità libiche hanno già consegnato a Frontex,
nel maggio 2007, un elenco dettagliato dei mezzi richiesti: 12 aerei da
ricognizione, 14 elicotteri, 240 fuoristrada, 86 camion, 80 pick-up, 70 autobus,
28 ambulanze, 12 sistemi radar, dieci navi, 28 motovedette, 100 gommoni, 400
visori notturni, 14 sistemi di scannerizzazione delle impronte digitali, e poi
stazioni radio e sistemi di navigazione satellitare.
Questa volta (2008) l’accordo sull’immigrazione, che prevede fra l’altro la
costruzione da parte di Finmeccanica di un sistema di controllo radar e
satellitare sulle frontiere meridionali del Paese, sarà finanziato con una
enorme quantità di denaro che l’Italia dovrà versare per venti anni alla Libia a
titolo di indennizzo per i crimini commessi dall’Italia durante la guerra in
Libia dei primi decenni del ‘900. 5 miliardi di dollari di dollari per 20 anni,
250 milioni all’anno, saranno versati dall’Italia per la realizzazione di
progetti infrastrutturali di base, progetti industriali ed investimenti.
Infatti, oltre alla questione dell’immigrazione i recenti accordi
approfondiscono le relazioni commerciali fra i due paesi.
Da tempo Italia e Libia sono legate da stretti rapporti economici, soprattutto
nel settore energetico.
L’ENI (Ente Nazionale Idrocarburi, controllata dallo Stato con il 38% delle
azioni) è presente in Libia dal 1959 e ha recentemente rinnovato con la società
petrolifera di stato libica “National Oil Company” i suoi contratti di
esplorazione e produzione su petrolio e gas fino al 2047 con investimenti di 28
miliardi di dollari in 10 anni.
Nel 2006, la produzione di idrocarburi in quota ENI in Libia è stata
l’equivalente di circa 222.000 barili al giorno. Tra gennaio e aprile del 2008,
secondo l’Istituto nazionale per il Commercio Estero (ICE) l’Italia ha importato
dalla Libia petrolio e gas per un valore complessivo di 5,23 miliardi di euro,
con un aumento del 50% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Allo
stesso tempo, l’Italia ha esportato in Libia prodotti petroliferi raffinati per
367 milioni di euro nei primi quattro mesi del 2008.
Altri affari milionari riguardano BNL nel settore bancario, Alenia Aermacchi e
Agusta-Westland nella fornitura di 24 elicotteri, e infine Sirti e la milanese
Prysmian Cable & Systems nel settore delle telecomunicazioni.
Italia e Libia sono strettamente connesse anche grazie al gasdotto di 520 km
Green Stream, tra Mellitah e Gela, la cui capacità passerà presto da 8 a 16
miliardi di metri cubi l’anno. Il gasdotto venne inaugurato l’8 ottobre 2004, lo
stesso giorno il governo libico dichiarò di aver deportato nel deserto del Niger
nel solo mese di settembre circa 5 mila immigrati e tre giorni dopo, l’11
ottobre, l’Unione Europea tolse l’embargo alla Libia.
Gli stranieri espulsi dal 2003 al 2006 dalla Libia verso altri paesi o
semplicemente al loro confine o verso destinazioni ignote erano 198 mila e,
secondo un rapporto di FRONTEX alla Commissione Europea, nel 2007 erano 60 mila
gli immigrati detenuti nei centri in Libia.
Buona parte del materiale utilizzato per questo articolo è stato liberamente
tratto dal prezioso sito di Fortress Europe,
fortresseurope.blogspot.com. Per una
approfondita trattazione sulle condizioni di vita nei lager libici, vedi anche
il dossier “Fuga da Tripoli. Rapporto sulle condizioni dei migranti di transito
in Libia” curato sempre da Fortress Europe e presente sul sito.
Mappatura delle strutture adibite agli immigrati “irregolari” (CDA, CARA, CIE) a settembre 2008 |
||||
Città |
Regione |
CDA |
CARA |
CIE |
Catanzaro, Lamezia Terme |
Calabria |
|
|
75 |
Crotone, località Sant’Anna |
Calabria |
1.202 |
256 |
|
Bologna, Caserma Chiarini |
Emilia Romagna |
|
|
95 |
Modena, Località San’Anna |
Emilia Romagna |
|
|
60 |
Gorizia, Gradisca d’Isonzo |
Friuli |
112 |
150 |
136 |
Roma, Ponte Galeria |
Lazio |
|
|
300 |
Milano, via Corelli |
Lombardia |
|
20 |
112 |
Torino, Corso Brunelleschi |
Piemonte |
|
|
92 |
Bari Palese, area areoportuale |
Puglia |
744 |
|
196 |
Brindisi, Restinco |
Puglia |
180 |
|
|
Foggia, Borgo Mezzanone |
Puglia |
342 |
198 |
|
Cagliari, Elmas |
Sardegna |
200 |
|
|
Caltanissetta, Contrada Pian del Lago |
Sicilia |
360 |
96 |
96 |
Siracusa, Cassibile |
Sicilia |
200 |
|
|
Agrigento, Lampedusa |
Sicilia |
804 |
|
|
Trapani, Pantelleria |
Sicilia |
25 |
|
|
Trapani, Salina Grande |
Sicilia |
|
260 |
|
Trapani, Serraino Vulpitta |
Sicilia |
|
|
57 |
TOTALE |
|
4.169 |
980 |
1.219 |
Secondo le definizioni ufficiali: I CDA/CPSA servono al primo soccorso e a un'accoglienza limitata al tempo necessario per l'identificazione dei migranti sbarcati e il successivo trasferimento nei CARA o nei CIE. I CARA ospitano solo i profughi sbarcati in Italia che chiedono asilo politico, o comunque i richiedenti asilo politico privi di documenti di identità, in attesa del riconoscimento del loro status di rifugiato o di protezione internazionale, che viene deciso dalle Commissioni territoriali. Le Commissioni territoriali sono attualmente 10, a Gorizia, Milano, Torino, Roma, Caserta, Foggia, Bari, Crotone, Trapani e Siracusa. I CIE, ossia i vecchi Centri di Permanenza Temporanea (CPT), sono destinati alla detenzione, convalidata dal giudice di pace, degli stranieri non comunitari privi di permesso di soggiorno, per un periodo massimo di 60 giorni.
|