SENZA CENSURA N.25

marzo 2008

 

Scioperi in Francia, un’occasione mancata?

Cronaca delle prime proteste al governo Sarkozy

 

L’attuale quadro caratterizzato dall’internazionalizzazione del lavoro ha determinato la necessità per il capitale di una continua ristrutturazione e di un continuo rivoluzionamento dell’organizzazione della produzione e della riproduzione che si è tradotta all’interno dei singoli stati-nazione nell’intensificazione dello sfruttamento della manodopera e nell’attuazione di riforme del mercato del lavoro, che hanno toccato sia la sfera del lavoro che quella dello stato sociale. Le direttive di queste riforme avvengono a livello di aree omogenee o poli imperialisti che seguono una gerarchia dettata dallo sviluppo oggettivo dell’organizzazione capitalistica della produzione, così le linee guida sono dettate dalle politiche del polo USA ed a scalare a quelle degli altri poli imperialisti fra cui quello Europeo.
Abbiamo affrontato nei numeri scorsi gli indirizzi che il capitale ha imposto (le linee guida) che i singoli stati hanno cercato di tradurre in forma attuativa.
Questo piano di ristrutturazione si attua nella:
- riduzione del costo del lavoro ed allungamento della giornata lavorativa nella direzione di un aumento della produttività
- introduzione di forme di flessibilità dei contratti, orari e salari
- allungamento dell’età lavorativa sia per gli uomini che per le donne e tagli al sistema pensionistico/previdenziale
- progressivo ridimensionamento dello stato sociale nella tendenza alla sua eliminazione
- nei paesi a capitalismo avanzato distruzione della forza organizzata del movimento operaio e rivoluzionario
Anche la Francia non è stata immune da questo processo e negli anni si sono attuate politiche economiche che seguono questa direzione. Tentativi di riforma che hanno continuamente visto lo sviluppo di forme di resistenza e di opposizione da parte dei diversi settori sociali interessati a queste manovre, con talvolta percorsi di incontro e di unità di questi in movimenti di lotta che vedevano convergere forme di solidarietà generazionale, lavoro stabile e precario nella reciproca comprensione che l’attacco padronale riguardava tutti.
Il nuovo governo, insediatosi nella primavera scorsa all’Eliseo, sta mantenendosi in continuità con le politiche dei suoi predecessori.

 

Sulle pensioni
(testo tradotto da “Dans le monde une classe en lutte - Decembre 2007” - www.mondialisme.org)
L’attacco del capitale questo autunno ha riguardato in particolare alcuni ‘regimi speciali’ di pensionamento. Fa parte di un percorso teso a ridurre tutto quel che concerne il salario differito in modo tale da accrescere la parte di plusvalore che il capitale estorce al lavoro.
Benché incentrata sui regimi pensionistici speciali della SNCF (impresa pubblica che si occupa del trasporto di persone e merci e dello sfruttamento e della manutenzione della rete ferroviaria; è una delle principali imprese pubbliche francesi) e della RATP (impresa pubblica che gestisce le linee della metropolitana e i trasporti urbani di Parigi e delle sue banlieue), questa riforma riguarda allo stesso tempo i lavoratori delle imprese nazionali EDF (Électricité de France è la principale impresa per la produzione e la distribuzione di energia elettrica in Francia. L’azienda è al secondo posto mondiale dei gruppi che si occupano d’energie davanti alla russa Gazprom in termini di capitalizzazione borsistica) e GDF (Gaz de France è un gruppo francese del settore energetico specializzato nel trasporto e nella distribuzione del gas naturale. Dopo la liberalizzazione dei mercati europei dell’energia, Gaz de France è divenuto anche un importante attore nel settore dell’elettricità, avendo sviluppato delle offerte combinate di gas naturale e elettricità) e di altri regimi pensionistici speciali (come quelli dell’Opéra di Parigi).
Nello stesso tempo un certo numero di regimi pensionistici speciali non vengono toccati dalla riforma, e si tratta di regimi forse meno importanti numericamente, ma rilevanti per i privilegi di cui dispongono (poliziotti, militari, parlamentari, ecc….).

Pur riguardando alcuni dei punti già imposti negli anni passati al regime pensionistico generale (innalzamento del periodo di versamento dei contributi da 37,5 a 40 anni e dell’età di pensionamento a 60 anni) queste lotte, per quanto specifiche, potevano essere un passaggio ed un tentativo di rimettere in questione le precedenti riforme.
Già nel 1995 il governo aveva dovuto cedere di fronte all’estensione della lotta sulla questione dell’età pensionabile nel settore dei servizi pubblici e molti pensarono che quella vittoria avrebbe significato un arresto rispetto ad una riforma più ampia.
Ma la riforma Balladur dell’estate 1993 aveva già aperto una breccia in quella direzione, senza che ciò provocasse una reazione adeguata. Tale riforma portò la durata del versamento dei contributi a 40 anni. Nel 2003, l’attacco al regime generale non aveva riguardato i regimi speciali. Il governo si era preoccupato di precisare che tale riforma non metteva assolutamente in questione i ‘regimi speciali’, quelli che essendo di importanza strategica disponevano di un reale potere contrattuale: l’energia e i trasporti.
Tali settori si erano fidati delle promesse e non si erano mobilitati: questa opera di divisione all’interno dei lavoratori ha fatto si che malgrado la vastità del movimento, specialmente presso gli insegnanti, la lotta pur protraendosi per diversi mesi non è riuscita ad ottenere effetti positivi in particolare per non aver ricevuto e trovato l’appoggio di quei settori chiave dell’economia che potevano mettere in difficoltà il governo e le organizzazioni padronali.

Una simile dinamica che si è fatta sentire nello sciopero del 2007 con un insuccesso dovuto anche alla mancanza di solidarietà insieme ad una reiterata fiducia nelle promesse del potere.
Questa volta sono stati i regimi speciali ad essere chiamati in causa, rispondendo ai piani della riforma contabile europea che costringe le società nazionali a costituire casse di pensionamento separate. Il governo agisce in questo modo frantumando il possibile fronte di opposizione, separando oggettivamente i lavoratori che si sentono costretti a difendere la loro specifica condizione aziendale.
EDF e GDF sono state regolamentate prima dell’attacco contro la SNCF e RATP che insieme alle Opéras di Parigi saranno così le sole che tenteranno di opporsi alla riforma. Per i lavoratori di queste società la durata del versamento dei contributi è ancora di 37,5 anni e l’età di pensionamento può variare dai 50 ai 60 anni a seconda dei casi.
Il governo vuole invece allineare la durata di versamento a 40 anni e l’età di pensionamento a 60 ed allo stesso tempo modificare le basi salariali di valutazione dello stipendio e quelle di indicizzazione dei salari. Lo stesso governo ha da subito dichiarato che questi progetti non sono discutibili.
Le lotte precedenti e la determinazione della base rispetto a tale diktat del governo, hanno costretto sei federazioni sindacali a mostrare un minimo d’opposizione: esse hanno così indetto uno sciopero di 24 ore per il 18 ottobre. Tre sindacati: Sud Rail (secondo sindacato in seno alla SNCF, SUD Rail è un sindacato che fa parte dell’’Union syndicale Solidaires. SUD è un acronimo che significa «solidale, unitario e democratico), FO (Force Ouvrière) e FGAAC (un sindacato professionale che raggruppa il 30% dei conducenti), si sono associati allo sciopero dichiarandolo ‘rinnovabile’. Lo sciopero è stato molto seguito (almeno dall’80% dei lavoratori); le manifestazioni lo sono state meno a causa sia dei tentativi sindacali di controllare e di porre un freno sia della poca adesione di lavoratori degli altri settori.
Il tentativo di dare continuità allo sciopero, che in alcuni settori viene effettivamente praticato, diviene subito difficile di fronte all’opposizione dei ‘grandi’ sindacati e nel momento in cui la FGAAC sigla con il governo un accordo distinto sulle modalità d’applicazione della riforma per i conducenti. Cosi per questa organizzazione sindacale la mobilitazione veniva dichiarata terminata.

E’ così che hanno preso il via altre grandi manovre con lo scopo di piegare la pressione della base. Il 6 novembre le stesse federazioni sindacali hanno annunciato uno sciopero a intervalli di 24 ore per il 13 novembre. Il governo ha proposto possibili contrattazioni riguardanti l’applicazione progressiva del periodo di versamento dei contributi proponendo negoziazioni distinte ad ogni impresa.
Il 9 novembre il capo della CGT non solo ha accettato di contrattare senza porre condizioni (il che significa l’accettazione dei principi della riforma) ma ha anche permesso che la discussione avvenisse con ogni impresa singolarmente determinando di fatto una divisione del fronte di lotta. La CGT abbandonava così la precedente posizione di rifiuto delle contrattazioni.
Il 12 novembre, alla vigilia dello sciopero, il governo ha risposto accettando le proposte della CGT e precisando che almeno un mese sarebbe stato necessario al fine di portare a buon termine le trattative che gli altri ‘grandi’ si affrettavano ad accettare. Sarkozy si vantava ‘che non avrebbe accettato nessuna discussione sino a quando lo sciopero non fosse stato annullato’ e ora accettava le trattative ‘pur di facilitare la ripresa del lavoro’.

Malgrado queste manovre, sospendere lo sciopero è stato per loro assai difficile e per evitare il rischio di andare incontro ad imprevedibili reazioni della base hanno fatto in modo che lo sciopero fallisse. Per questo si sono adoperati in modo congiunto sia le forze di potere che i sindacati, facendo prefigurare questo comportamento come risultato di una strategia di lunga portata.
Lo sciopero è iniziato come previsto il 13 novembre ed è stato particolarmente seguito all’interno della SNCF così come alla RATP. Numerose assemblee generali si sono tenute nei giorni seguenti riuscendo a dare continuità alla lotta. Benché sia difficile conoscere il numero degli scioperanti, due fatti tuttavia richiamano la nostra attenzione: giorno dopo giorno lo sciopero continuava e sia i trasporti ferroviari nazionali che quelli di Parigi erano totalmente disorganizzati.

Mentre ‘le grandi centrali sindacali’ speravano che lo sciopero non durasse a lungo, esso è andato avanti ed ha oltrepassato l’ostacolo del week-end del 17-18 novembre, congiungendosi con lo sciopero dei funzionari (contro sia i tagli al personale che la riduzione dei salari) previsto per mercoledì 21 novembre.
Continuavano tuttavia allo stesso tempo le manovre sindacali: il 16 novembre la CFDT dei ferrovieri si ritirava dallo sciopero annunciando però allo stesso tempo uno sciopero per il 20 novembre. Lunedì 19 novembre è stata annunciata una tavola rotonda per il 21 nella sede della SNCF in considerazione del fatto che ‘sempre più treni e linee di metropolitana stavano riprendendo’.

Nonostante che il 21 novembre scioperassero quasi i 3/4 dei ferrovieri, tuttavia la manifestazione collettiva dei funzionari e dei lavoratori ancora in sciopero era evidentemente organizzata in modo tale da non dare l’impressione di essere un movimento di massa e da non poter esplodere. Si è cercato in tutti i modi di minimizzare l’impatto della giornata. Come spesso accade infatti, una lunga giornata di sciopero senza seguito ha la capacità di disinnescare la combattività dei movimenti più specifici che vi si sono trovati associati.
Di fatto a partire da giovedì 22 è stata una lenta ripresa del lavoro che si è combinata con un bombardamento mediatico, con la manipolazione delle assemblee e gli ostacoli introdotti dalle burocrazie sindacali ai tentativi di dare un coordinamento alle singole assemblee locali. In questo clima durante il week-end successivo tutto è tornato alla normalità, alla SNCF così come alla RATP.

A questo punto le discussioni all’interno delle commissioni d’impresa possono svolgersi senza scontri. Il presidente della repubblica francese ha poi reso omaggio al ‘senso di responsabilità di cui le grandi organizzazioni sindacali hanno dato prova’. In una dichiarazione il ministro del lavoro Xavier Bertrand (dell’UMP L’Union pour un mouvement populaire, il partito di destra del presidente Sarkozy) afferma che: ‘E’ meglio negoziare con Bernard Thibault (dal 1999 segretario generale della CGT) piuttosto che con estremisti o con coordinamenti poco controllabili’. Il primo ministro François Fillon ha poi rincarato dichiarando che c’è finalmente stata una ‘gestione quasi perfetta della crisi dei regimi speciali’.
Tutto questo è l’annuncio di quello che seguirà: il passaggio a 41 anni per le pensioni, la riforma totale del codice del lavoro e la questione della rappresentatività sindacale. Questa situazione ci pone davanti a diverse questioni che sono state sollevate dallo svolgimento della lotta che abbiamo appena descritto.
L’attitudine dei sindacati è forse classica ed ha numerosi precedenti nella storia, tuttavia la loro ‘docilità’ rispetto al potere - la rappresentazione del capitale - nella riorganizzazione globale del sistema di gestione del capitalismo francese in modo da adattarlo alle necessità del super-stato europeo e ai bisogni del capitale mondiale mira alla preservazione delle loro posizioni di mediazione nelle relazioni di lavoro. E’ di questo che essi discutono con il potere quando parlano di riforme.
Il ruolo dei sindacati radicali come Sud nel polarizzare le opposizioni funzionano in ultima analisi nell’impedire oggettivamente la formazione di organizzazioni autonome di lotta come i coordinamenti o altre forme che dalla lotta possono svilupparsi. Da un certo punto di vista essi reintroducono nella loro specificità sindacale i lavoratori combattivi nel circuito della mediazione che rimane la giustificazione e la funzione del sindacato, radicale o no che sia.
Lo sviluppo di un movimento di sciopero che numerosi lavoratori potevano interpretare come l’inizio di un movimento di resistenza più vasto, non è stato forse provocato e organizzato in modo tale che questo non potesse svilupparsi, e che il suo fallimento, con lo scoramento che ha implicato, servisse anche da contrappeso allo sviluppo di un movimento selvaggio di grande ampiezza che possa andare oltre questo fallimento? …”
 

***

 

La riforma dei regimi pensionistici speciali è solo l’ultima manovra per riscrivere i rapporti fra le forze sociali in Francia, riforme che hanno avuto la funzione principale di destinare sempre maggiori profitti al capitale e di pianificare la disorganizzazione della classe proletaria. In Francia le riforme sono state realizzate in un contesto di dismissione delle aziende pubbliche e più in generale in un contesto di deindustrializzazione che negli ultimi 25 anni ha dimezzato gli addetti nell’industria e spostato nei paesi dell’est Europa, vicini all’area di influenza dell’euro, di parti consistenti della produzione legati soprattutto al settore tessile e dell’abbigliamento.
Punto di svolta di questo processo «riformista» si è avuto con la legge sulla riduzione dell’orario di lavoro, dove in cambio di una riduzione del tempo di lavoro venivano concesse flessibilità di orario, orari atipici, crescita del tempo di utilizzo degli impianti legati alla produttività, moderazione salariale e riduzione degli oneri sociali per le imprese.
Negli anni ’90 il ruolo particolarmente attivo dello Stato e del governo, con il pretesto mediatico di «lottare contro la disoccupazione», si concretizzò ella proposta di legge per la riduzione del tempo di lavoro. Questo avvenne in coincidenza con la ripresa delle lotte del 1995, che manifestarono il rifiuto di vedere innalzata l’età pensionabile e in cui venne espressa una fortissima conflittualità portata per lo più dai settori più proletari dei salariati pubblici che riuscirono a rappresentare i bisogni di tutta la classe, ed in cui confluirono elementi di ricomposizione intorno alla difesa della «sicurezza sociale», .
Per il padronato si trattò di un campanello d’allarme sufficiente a sollecitare la ripresa dell’intervento statale visto il forte movimento di solidarietà che si era sviluppato in particolare fuori dalla prassi istituzionale e dalle organizzazioni classiche del movimento operaio (in Francia il livello dei tassi di sindacalizzazione é molto basso e vi sono meno iscritti rispetto ai maggiori Paesi industriali europei). E’ qui che si sviluppa l’operazione neo-corporativa dell’allora governo presieduto dal socialista Jospin attraverso una politica sub-keynesiana (per la modestia degli obbiettivi e i mezzi economici disponibili).
Con lo Stato regista della vita economica e sociale, le imprese hanno proceduto, con la riduzione a 35 ore dell’orario di lavoro, al completo ricalcolo del tempo di lavoro come tempo effettivo di produzione, avvicinando così al massimo il tempo di presenza ed il tempo di lavoro effettivo.
Si è assistito alla massima destrutturazione possibile della precedente regolamentazione degli orari e delle pause collettive con la chiusura di buona parte delle mense, all’abolizione delle micro-pause o allo spostamento della pausa a fine turno, il tutto abbinato ad una politica di moderazione salariale (che ha segnato il declino del salario reale) in conformità con le indicazioni di Medef (la Confindustria francese) e della Banca Centrale Europea.
Le 35 ore hanno poi agito come arma per frazionare ulteriormente le condizioni dei salariati in quanto ne erano stati esclusi milioni di addetti delle medie e piccole imprese, i lavoratori interinali, gli immigrati e i più giovani. Gli inclusi invece, tramite la complicità delle burocrazie sindacali, avevano dovuto fare i conti con la prassi degli accrodi azienda per azienda, per stabilimento, reparto, mansioni.
Questo processo di disorganizzazione e destrutturazione della classe finalizzata alla massimalizzazione del profitto si è susseguito in tutti questi anni in una dimensione di attacco e resistenza.
Un nuovo scenario improntato sulla concertazione dove oltre al recente accordo sopra descritto sui regimi pensionistici speciali e al tentativo d’introdurre il servizio minimo nei trasporti e nei pubblici servizi in caso di agitazione sindacale, sindacati e imprenditori hanno raggiunto un accordo sulla flessibilità.
Fra le altre cose viene semplificata la procedura di rottura del contratto di lavoro (dalle parti definito «divorzio consensuale», vengono previsti contratti a termine per progetti e viene allungato il periodo di prova e con l’intervento del governo viene defiscalizzato il lavoro straordinario, maggiorazioni salariali già messe in discussione dalla rimodellazione del calcolo delle ore di lavoro fatte su base annuale.

La breve analisi di questa esperienza di lotta in Francia può essere da spunto per una riflessione più generale in quanto mette in evidenza alcuni elementi che sono strettamente connessi e simili alla situazione italiana:
- Il ruolo dei sindacati «istituzionali» sempre più interni alla logica della concertazione e orientati verso forme di corporativismo.
- La difficoltà del sindacalismo di base ad essere una reale alternativa.
- I limiti complessivi dell’esperienza sindacale, dati da un’impossibilità oggettiva a superare quella dimensione della «mediazione» e degli «accordi» per mettere in equilibrio interessi contrapposti.
- Il piano delle riforme nel contesto europeo e di competizione internazionale - del mercato del lavoro e dello stato sociale - è sempre più simile tra tutti i vari stati sia nei modi che nei tempi di attuazione.
- Non ci sono governi amici.
- Il continuo attacco per indebolire il movimento dei lavoratori anche attraverso il ridimensionamento del diritto di sciopero con ad esempio l’introduzione dei servizi minimi garantiti, i tempi per l’indizione, le quote di rappresentanza, ecc…
- La valenza del ruolo dello strumento «sciopero» e delle attuali forme di lotta praticate quali strumenti per colpire i reali interessi padronali ed incidere così nelle vertenze specifiche e su un piano complessivo dei rapporti di forza.

Questa «occasione mancata» pone il movimento degli sfruttati sempre più di fronte alla necessità di mettere in connessione - a livello non più solo nazionale - saperi, esperienze, forme di lotta. Un nuovo internazionalismo rivoluzionario.



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