SENZA CENSURA N.25

marzo 2008

 

i cani da guardia

Per una genealogia della “guerra sporca” contro l’organizzazione proletaria

 

Lo stato e il Capitale in Italia hanno sviluppato, in continuità con il ventennio fascista, un apparato di controllo sul movimento operaio e le sue istanze più avanzate che non ha mai smesso di funzionare.
Questa “macchina” si è via via potenziata e perfezionata fino a giungere alla fase attuale della “guerra al terrorismo”, espressione dietro cui si nasconde tra l’altro una maggiore pressione su una parte attiva della classe, si tratti di militanti impegnati a livello politico-sindacale, di esponenti di spicco delle varie “comunità” immigrate, di compagni libertari attivi in percorsi di lotta che toccano i gangli sensibili dell’attuale sistema sociale (immigrazione, carcere, devastazione ambientale).
Occorre fare una breve panoramica storica che ci permetta di iniziare a comprendere gli intrecci tra i vari apparati dello stato, delle aziende, di alcune forze politiche e di alcuni attori privati che danno un quadro di come in periodi differenti, a seconda della necessità, i padroni hanno praticato la lotta di classe contro i lavoratori.

Dopo il 25 aprile…
Tu vuoi fare degli attentati, - disse Alvaro. - A che scopo? Ti piace sentire il fragore dell’esplosione? O leggere sui giornali che per te, una sede comunista ha preso fuoco? Politicamente è idiota e soggettivamente è solo un gioco. Tu non colpisci a morte un avversario, gli fai il solletico. Metti invece la dinamite in un cinema o in un locale pubblico, o in una piazza affollata. È così che centri il cuore del nemico – Mi guardò con ironia e soggiunse: - il sangue ti fa paura? […]
Non avrei paura, ma non ammazzo per divertimento o senza una causa giusta e valida.
Non sempre la logica guida le azioni umane – intervenne Ciancicone. - Spesso ho eseguito degli attentati solo per il gusto di farli.
Per te la dinamite è una fissazione, - scherzò Alvaro.

Autobiografia di un picchiatore fascista,
Giulio Salerno, Einaudi, 1976

 

Iniziamo dal dopo guerra.
La mancata epurazione del personale fascista e la non riforma degli apparati del regime, oltre che al persistere di codici legislativi promulgati nel Ventennio, insieme alla continuità dell’azione squadristica delle bande repubblichine anche dopo il 25 aprile del ‘45, ha posto subito una seria ipoteca alla trasformazione sociale radicale propugnata dalle componenti che hanno animato una parte consistente dei ranghi della Resistenza armata al nazi-fascismo.
«Basta dare una occhiata alle statistiche giudiziarie sugli amnistiati politici e si può scoprire che al 31 luglio 1946 gli amnistiati politici in base agli articoli uno e due (reati con pene non superiori a cinque anni e reati post-liberazione) erano 7.061 di cui solo 153 partigiani e ben 4.127 fascisti ed 804 vari; inoltre quelli amnistiati per l’articolo tre (sanzioni contro il fascismo) erano 2.979.
La pioggia di amnistie era stata amministrata da 18 Corti di Assise straordinarie che secondo i dati pubblicati nel ‘47 dalla rivista «Il Ponte», al 31 luglio del ‘47, avevano esaurito 37.335 denunce su 37.800». (1)
Bisogna soffermarsi un attimo su questo aspetto: la funzione anti-operaia della magistratura, assolutamente legittimata dal potere politico, attraverso tra l’altro l’azione del più lustre rappresentante del Partito Comunista, Palmiro Togliatti, Guardasigilli dal 1945 al 1946, prima dell’estromissione del PCI dal governo.
I fascisti hanno potuto quindi riorganizzarsi e continuare la propria attività squadristica contro esponenti del movimento operaio, sedi politiche e sindacali, cooperative, ecc. già prima della fondazione del Movimento Sociale Italiano, avvenuta il 26 dicembre del ‘46.
Uno degli episodi più cruenti rimane l’assalto dell’11 giugno alla federazione del PCI di Napoli da parte di un gruppo neo-fascista fornito di bombe, fusti di benzina e revolver, che causò sette morti e cinquanta feriti.
Un altro episodio significativo, per la capacità di contrastare l’azione delle squadracce fasciste avviene a fine agosto alla Casa del popolo di Lambrate a Milano, luogo di incontro tra l’altro della “Volante Rossa” che riesce a sventare l’attentato delle Squadre di Azione Mussolini che progettavano una vera e propria carneficina la sera di una importante assemblea generale di tutti i quadri del Pci, cui presenziavano rappresentanti della federazione del PCI e di altri partiti e organizzazioni antifasciste locali.
Grazie alle informazioni ricevute da un informatore della Volante, infiltrato nelle file dei fascisti, riescono a far si che l’ordigno collocato all’interno dell’edificio esplodesse senza fare danni a persone, traendo d’inganno i fascisti che volevano liquidare i superstiti all’esplosione a colpi di mitraglia, accolti dalle raffiche di mitra dei compagni.
L’attività della “Volante” dimostrerà tra l’altro come la base del PCI - i compagni di Lambrate diverranno il servizio d’ordine ufficiale del PCI a Milano sfilando con i loro giubotti da aviatore in corteo e prendendosi cura dei maggiori esponenti del comunismo internazionale che giungevano per iniziative politiche nella città - procedesse alla legittima epurazione dei fascisti, l’ultima azione fu la liquidazione dell’assassinio di Eugenio Curiel (2).
Il capitalismo italiano per il suo rilancio economico, oltre che dei finanziamenti statunitensi arrivati grazie al Piano Marshall ha bisogno di disfarsi di quei quadri operai comunisti con alle spalle l’esperienza della lotta clandestina e armata che costituiscono la vera ossatura del movimento operaio organizzato nel triangolo industriale.
Lo stesso discorso si può fare riguardo ai braccianti per ciò che concerne il contesto rurale, e i quartieri popolari delle realtà urbane più importanti del centro-sud.
Forgiati dalla lotta armata nelle formazioni partigiane che sono il modello organizzativo di riferimento, ancora largamente in possesso delle armi non consegnate nonostante gli appelli della dirigenza del PCI, convinti che la liberazione dal nazi-fascismo fosse una tappa intermedia e necessaria nella liberazione del proletariato per via insurrezionale (almeno fino all’attentato a Togliatti), questo corpo di militanti costituivano la spina nel fianco ai progetti di ristrutturazione del grande capitale.
L’organizzazione capitalista del lavoro doveva essere al più presto rigidamente ripristinata per avere mano libera per licenziare, imporre nuovamente una ferrea disciplina lì dove le varie figure preposte al controllo in fabbrica erano state desautorate, per assicurare quel mix di alta produttività e bassi salari funzionali al futuro “miracolo economico”.
Per questo i militanti politici dovevano essere espulsi dalle fabbriche, l’organizzazione sindacale di classe doveva essere fortemente ridimensionata, le lotte dei lavoratori dovevano avere come risposta il piombo delle forze dell’ordine e delle bande fasciste e/o malavitose ingaggiate per questi scopi.
Basti ricordare che i morti uccisi durante le manifestazioni politiche dalla polizia e dai suoi sgherri dal ‘46 al ‘50 sono più di 120! (3)
Inoltre bisognava dare pene esemplari a coloro che non si erano piegati al nuovo corso politico sociale dopo il ‘25 aprile, di cui il caso più eclatante riamane la vicenda giudiziaria della Volante Rossa, così sempre più ex-partigiani tornano in carcere mentre sempre più fascisti tornano alle loro cariche nelle fabbriche, nella pubblica amministrazione e in politica.
«In Lombardia, più che in ogni altra regione, i tribunali furono impegnati nel processare i partigiani per azioni compiute durante la lotta di Resistenza. Non esiste una statistica dettagliata ma le varie associazioni partigiane hanno fatto sapere che almeno il 10 per cento dei quadri dirigenti delle formazioni partigiane, e soprattutto le formazioni di sinistra, sono stati sottoposti ad inchiesta giudiziaria ed in parecchi casi condannati» (4).
Sarebbe lungo fare un elenco degli alti burocrati del regime mussoliniano riciclati dalla Repubblica, che testimoniano della sostanziale “continuità dello stato”, si può sceglierne uno a mo’ di esempio: Gaetano Azzariti.
Azzariti era stato il Presidente del Tribunale della razza presso il dipartimento di demografia e razza del ministro degli interni, aveva cioè il potere decisionale nei confronti di coloro che dovevano essere considerati, secondo l’espressione di Primo Levi, sommersi o salvati, cioè essere destinati o meno alla spoliazione di ogni più elementare diritto e deportati in un campo di concentramento.
Arriva il 25 luglio e Badoglio lo sceglie come ministro di Grazia e giustizia, nel ‘45 e ‘46 Palmiro Togliatti, segretario del PCI e Guardasigilli nel ministero Parri e nel primo ministero De Gaspari, lo scelse come consulente per l’epurazione, nel ‘55 fu designato giudice costituzionale e infine nel ‘57 ne divenne presidente.
Da presidente di una delle più nefaste istituzione del regime a presidente di un organo che dovrebbe decidere cosa è all’interno o fuori della costituzione della repubblica “nata dalla Resistenza”!
Giulio Salerno, in Autobiografia di un picchiatore fascista, ci ha lasciato tra l’altro la testimonianza delle attività di un giovane camerata nella Roma del dopoguerra, che sogna di uccidere il colonnello Valerio per vendicare Mussolini, la cui passione di soldato politico è sapientemente utilizzata nel contesto della Guerra Fredda per fare la guerra sporca ai “rossi”. Attività in cui l’addestramento paramilitare è funzionale alle future tentazioni golpiste di una parte della classe dirigente, e che svela i prodromi di quella che sarà la strategia stragista.
Abbiamo così a lungo accennato ai neo-fascisti, alla continuità del regime fascista con quello democratico e agli interessi padronali perché sono fondamentali elementi di comprensione per le pratiche che caratterizzeranno “la guerra sporca” contro i proletari sui luoghi di lavoro.
Bisogna tenere presente altri fattori come l’aiuto determinante dell’imperialismo americano attraverso le sue varie istituzioni per stroncare le istanze più avanzate del movimento operaio.

 

***

 

La FIAT di Valletta, lo scienziato della provocazione Cavallo e il partigiano bianco golpista Sogno
Il dramma vero, secondo me, la cosa che non riesci a comunicare, è quella paura. Quella paura lì è inconcepibile oggi. Non puoi spiegarla. Uscire dal reparto per lo sciopero da solo. E gli altri non sono contro di te. Vedi che ti guardano, sono con te, sono per lo sciopero, ma continuano a lavorare. Ecco, è questo: il patrimonio della paura. Una volta negli spogliatoi mi ferma un anziano. Mi dice che ha avuto un colloquio con l’ingegnere: se dichiari che Pacifico ha diffuso volantini, noi assumiamo tuo figlio. Aveva il figlio perito, che aveva fatto domanda. Questo poveraccio si mette a piangere: tu non mi conosci, ma sono un socialista, ho paura a dirlo ma la carognata non la faccio.


Otello Pacifico,
ex-operaio della Fiat Ferriere

Dovevi agire nella clandestinità. Nel senso del modo come raccoglievi le quote sindacali, distribuivi la propaganda, facevi il tesseramento. Allora: i volantini, in generale, si distribuivano fuori. Dentro si esponevano solo i compagni dell’apparato, quellli che non avevano più niente da perdere. Passavi i bollini delle tessere dentro una scatola di cerini, o al cesso. Anche per le informazioni, le direttive, scambiavi tre parole al cesso. O li cercavi a casa. O li cercavi al caffè.

Emilio Pugno,
sindacalista della CGIL
 

Due personaggi di spicco dell’attività anti-operaia sin dagli anni ‘50 sono Edgardo Sogno e Luigi Cavallo, entrambi defunti e riabilitati oggi in chiave anti-comunista.
La loro attività è particolarmente significativa sia per gli ingenti mezzi impiegati grazie all’appoggio dei centri di potere politico-economico anche statunitensi, che per il loro smascheramento ad opera dei compagni che si occuparono in maniera militante dell’inchiesta sulle provocazioni padronali - precedendo l’opera della magistratura e per così dire superandone i limiti d’iniziativa, nonostante l’azione coraggiosa di qualche pretore sinceramente democratico - e trovando livelli di organizzazione adeguata ad affrontare la situazione.
Quei livelli di organizzazione che i media oggi, riferendosi a quegli anni, definiscono: “terrorismo”.
Per ciò che riguarda l’azione giudiziaria postuma, quando ci fu, causata dalla pressione operaia scaturita dal ciclo di lotta iniziato negli anni ’60, va ricordato che l’emersione di un sistema di controllo che andava ben oltre i limiti legislativi e di una rete di potere che ne era il motore non produsse praticamente alcuna condanna e quando l’attività di provocazione anti-operaia aveva dato tragicamente i suoi frutti.
La FIAT di Valletta sarà il teatro della transitoria sconfitta delle istanze di emancipazione scaturite dal movimento operaio con la lotta di liberazione del ’43-‘45, coadiuvato dalle tecniche di provocazione imparate nelle centrali internazionali della provocazione made in USA.
Sarà proprio Valletta ad accreditarsi come bastione dell’anticomunismo in Italia, tra l’altro in un incontro avvenuto a Roma il 4 febbraio del 1954 presso l’amabasciata americana con l’ambasciatrice americana Clare Luce, nel resoconto del quale, pubblicato nell’aprile del ’74, si può leggere la descrizione dettagliata dell’attività vallettiana coadiuvata naturalmente dall’autorità poltica, per ridurre al lumicino l’influenza dei comunisti: «alla Fiat la lotta nei confronti di tali attivisti comunisti per la rigenerazione, oltre che dell’insieme dell’azienda, dei quadri e degli operai, si è appunto iniziata col 1946 ed è continuata da allora ininterrottamente fino ai giorni nostri» dichiarerà il presidente della Fiat per fugare gli ipotetici dubbi dell’ambasciatrice rispetto all’immagine data dalla stampa USA per cui «A lato di larghi sacrifici fatti dagli USA (oltre un miliardo di dollari), la situazione del comunismo in Italia in luogo di retrocedere parrebbe in continuo progresso» (5).
E dalla primavera del ‘52 che la casa automobilistica torinese darà il via alla prima ondata di licenziamenti di attivisti del PCI e della FIOM: quattrocento licenziamenti nel ‘52, di cui 35 politici.
In Inchiesta alla Fiat, pubblicata sulla rivista «Nuovi Argomenti» nel 1958, Giovanni Carocci scrive: «tiriamo le somme: 1930 lavoratori di sinistra sono stati estromessi dalla FIAT dal dicembre del 1954 ad oggi per mezzo di licenziamenti collettivi. […] Con i licenziamenti collettivi il monopolio si è costantemente proposto un duplice scopo: da una parte estromettere dagli stabilimenti i nuclei più combattivi di dirigenti, attivisti del movimento operaio (a formare questi operai fedeli ai motivi di classe hanno concorso tutta la tradizione del movimento operaio torinese, anni di resistenza al fascismo, la guerra partigiana e le grandi lotte del dopoguerra), dall’altra intimorire le maestranze ed orientare il loro voto in occasione del rinnovo delle Commissioni Interne».
In qualche hanno dal ‘55 al ‘57 la FIOM avrà un vero e proprio tracollo passando da un risultato già inferiore a quello precedente pari al 63,2 % per giungere al 21,4 %, così come crollano drasticamente gli iscritti al PCI nella provincia di Torino: da 54.000 nel ‘54 a 30.000 nel ‘59; se si fa riferimento agli operai, da 44.000 a 18.000.
Come è stato possibile questo? Sogno e soprattutto Cavallo non hanno avuto un ruolo secondario.
La storia di quest’ultimo, a cui Alberto Papuzzi, nel ‘76 dedicò un libro dal significativo titolo di “Il provocatore”, che inizia con il suo arresto, insieme a quello di Sogno, il 5 maggio del ‘76 su mandato di cattura firmato dal giudice istruttore Luciano Violante (6), è di difficile di ricostruzione, ma lo ritroviamo in tutte le vicende politiche del paese fino alla fine degli anni ‘70.
A noi interessa in questo contributo mettere in luce la sua attività specificatamente anti-operaia, agita principalmente tra Milano e Torino, e che rappresenta un modello che si è esteso anziché estinguersi (7).

 

Cavallo torna in Italia dagli USA nel ‘54 e si unisce a doppio filo con Edgardo Sogno, che nel ’53 ha aperto una centrale italiana dell’organizzazione anticomunista “Paix et Liberté” sorta a Parigi per iniziativa di un ex funzionario della NATO Jean Paul David.
Sogno, ex-partigiano monarchico e diplomatico italiano del Partito Monarchico Italiano, ha già lavorato per una struttura della NATO a Londra e giunge a Parigi per seguire i corsi del Nato Defense College, ha ottimi rapporti con A. Dulles capo dell’OSS (da cui nasce la Cia), ed è stato il comproprietario di un quotidiano edito dagli Alleati.
Nella sua lunga intervista con Aldo Cazzullo: Testamento di un anti-comunista, Edgardo Sogno dice chiramente di avere ricevuto da Valletta venti milioni al mese, insieme con il gruppo ristretto della confindustria, che era la stessa quota che spettava inizialmente alle altre organizzazioni finanziate dal padronato: DC, PNM e partito liberale, per poi rivolgersi direttamente a Dulles che finanziò con dieci milioni al mese l’attività di Pace e Libertà fino alla sua fine nel ’58 (8).
Milano, Torino e Genova erano i principali teatri di questa centrale della provocazione.
La sezione italiana dell’organizzazione, secondo una nota del Sifar, disporrebbe di «rilevanti mezzi finanziari forniti da industriali di Lodi, Codogno, Legnano e Monza, e da esponenti dell’alta finanza di Torino, oltre che dalla Nato».
Non avendo trovato l’appoggio di politici del PNM si rivolge ad ambienti del neo-fascismo missino, potendo contare su altre relazioni importanti con i servizi segreti americani e inglesi, l’ambasciatrice USA a Roma e l’ex presidente del consiglio e ministro dell’Interno dal 10 marzo 1954 Mario Scelba, feroce repressore delle manifestazioni operaie.
Cavallo stringe rapporti con Renzo Rocca, allora capo della sezione Reparto Economico Industriale del Sifar e poi dipendente della Fiat dal ‘65, morto in circostanze oscure nel ’68 in un ufficio romano dell’azienda di Agnelli.
Secondo una testimonianza processuale di un un subordinato del Rocca, Vittorio Avallone: «Il Rocca appoggiava Cavallo presso le industrie da cui Pace e Libertà veniva finanziato».
Dopo avere litigato con Sogno si trasferisce a Torino all’inizio del ’55 e diventa consigliere politico e sindacale di Valletta.
Attraverso una campagna martellante di opuscoli, manifesti, riviste, scritte murali, volantini, lettere personalizzate ai lavoratori e alle famiglie proletarie, Cavallo attacca le organizzazioni e gli uomini della FIOM e del PCI.
Camapagne di raccolta firma per la messa fuori legge del PCI, campagne diffamatorie con attacchi personali rispetto ai trascorsi poco cristalini, corruzione, malcostume, tutto fa brodo per screditare il personale politico comunista agli occhi della base.
Le fonti di “Pace e Libertà”, ce le racconta Sogno stesso nel citato testamento: «il ministero degli Interni: attraverso l’ufficio affari riservati, arrivavano per disposizione di Scelba le carte dell’Ovra, la polizia politica fascista. Poi c’era l’archivio di Cavallo, con tutte le carte del partito. Altro materiale arrivava dal socialista Matteo Matteotti e da Giuseppe Saragat, attraverso il suo capo di gabinetto Baratta»
Nel ’55 iniziano le pubblicazioni di “Pace e Lavoro” (in seguito “Fronte del Lavoro”) che è l’organo principale della provocazione.
Insieme a Cavalo lavorano un futuro senatore missino, un socialista che curerà la campagna elettorale per il futuro sindaco socialista di Milano, e Fulvio Bellini, un esponente della dissidenza comunista, coature insiema a Giorgio Galli di una storia del Pci data alle stampe negli anni ’50, poi ripubblicata negli anni ’70 con il solo nome di Galli.
La tecnica giornalistica è impeccabile: dichiara di combattere i principi ai quali in realtà si ispira.
Uno dei capolavori di L. Cavallo è un opuscolo inviato a casa di migliaia di attivisti e simpatizzanti alla vigilia delle elezioni delle commissioni interne del 1958 nella formula di lettera aperta e anonima, con un linguaggio para-comunista, con una collocazione da sinistra, attaccando con calunnie dirigenti della CGIL, della FIOM e del PCI: Perché non mi presento né come candidato né come scrutatore FIOM alle elezioni di commissione interna Fiat.

Articolare una scelta qualunquista attraverso la serrata critica della linea politica comunista e del sindacato, speculando sulla paura del licenziamento in caso di esposizione…
A volte sullo stesso numero ci sono articoli che si contraddicono l’un l’altro, così come articoli che si contraddicono da un numero all’altro: tutto è teso a disorientare lo spirito critico del lettore, per orientarlo a disinteressarsi della politica.
Intorno al ’56-’57 si fa strada la tendenza a scindere sempre più i termini “socialista” e “comunista” contrapponendo e privilegiando il primo al secondo, secondo una ipotesi socialdemocratica che spacchi la sinistra, gradita agli USA e lautamente finanziata dalle centrali sindacali corporative statunitensi (9).
L’attività di Cavallo è assai prolifica: nel ’57 fonda a Milano un’altra rivista “Ordine Nuovo”, prendendo il nome dal giornale torinese diretto a Antonio Gramsci, pubblica una storia del PCI romanzata e a fumetti, uno studio delle ingerenze del PCI sul PSI, rinfocola le polemiche contro la sinistra socialista…
Buoni fonti informative all’interno della sinistra, il coordinamento con le industrie locali e le associazioni industriali per un monitoraggio dei “rossi”, in particolare di coloro che non hanno trovato lavoro o l’hanno perso perché comunisti, regolari conttatti e scambi con l’ufficio politico della questura, un servizio anagrafico che si appoggia all’anagrafe comunale per l’aggiornamento degli indirizzi, permettono di recapitare a casa, prima dell’era della televisione, la propaganda di Cavallo e Co.
La coscienza dell’efficacia della strategia della paura era ben chiara in Cavallo come emerge in un documento a lui sequestrato e utilizzato nel processo:
«Se un militante comunista non viene assunto, né promosso, né avrà facilitazioni a causa della sua appartenenza al Pci, esso sarà profondamente disturbato dal regolare recapito a domicilo dell’ “Ordine Nuovo”[…] Il militante comunista, quando si sente individuato, perde la propria sicurezza, diventa più guardingo, incomincia a rifiutare gli ordini dell’apparato, non diffonde più l’Unità, non raccoglie più bollini, non vende più tessere. Casi di questo genere si contano a decine di migliaia. Abbiamo saputo di migliaia di litigi di famiglia, parecchi con percosse. Mogli che non sapevano che il marito fosse comunista, lo hanno affrontato e gli hanno impedito di frequentare la sezione del PCI. Figli che litigano col padre perché temono di non essere assunti in certe fabbriche importanti»
Cavallo si assumerà il compito di costruire il sindacato “giallo” SIDA e nel 1962 fonda il giornale “Tribuna Operaia” i cui obiettivi sono spiegati in un rapporto riservato del SIFAR. Cavallo si incontrerà in quel periodo con il col. Renzo Rocca e su incarico di Agnelli getterà le basi della schedatura e del controllo degli operai alla FIAT in collaborazione con i servizi segreti. Così è scritto in un rapporto riservato del SIFAR, datato 4 luglio 1964 sul giornale Tribuna Operaia: «Il giornale mensile anticomunista “Tribuna Operaia” (direttore responsabile: dott. Luigi Cavallo) viene stampato a Milano. L. 50 a copia. La funzione del giornale è quella di controbattere la propaganda della stampa comunista tra le masse operaie. E’ diretto a tutti, comunisti e non comunisti con un frasario idoneo alla lotta nella quale è impegnato. Il periodico riporta critiche al PCI e ai suoi “compagni di strada” partendo da posizioni in apparenza socialiste e di difesa della classe operaia. É ricco di disegni satirici, fotografie e grafici ben impostati, molti titoli e sottotitoli e colpisce il lettore per la chiarezza delle sue argomentazioni. Gli articoli trattano tutte le questioni sindacali, di politica economica ed amministrativa interessanti gli operai. Polemizza e denuncia scandali e malversazioni ed illeciti ed arricchimenti dei capi del PCI, della CGIL e dei carristi del PSI, la errata amministrazione degli istituti di previdenza, gli errori e gli sprechi della politica economica, le speculazioni finanziarie e commerciali del PCI ed altri argomenti analoghi per un’attiva propaganda anticomunista. In definitiva il giornale sa controbattere tra le masse operaie la propaganda comunista e dei suoi alleati, con un’azione semplice ed efficace. E’ l’unico giornale compilato in modo adatto per la mentalità degli operai. Viene redatto in 40.000 copie mensili ed inviato a domicilio ad altrettanti operai iscritti al PCI, merita ogni collaborazione ed elogio. Invece di spendere centinaia di milioni in una congerie di pubblicazioni inutili, malfatte e che servono soltanto a far guadagnare del denaro a chi le pubblica, sarebbe molto meglio aiutare questa pubblicazione. »
Nel 1967 il SIDA non è più credibile per nessun operaio FIAT, Cavallo allora si inventa una nuova sigla: “Iniziativa Sindacale”, che dati i larghi mezzi finanziari conduce una intensa campagna antisciopero. Nel 1968, in coincidenza con il “suicidio” del Col. Rocca, Cavallo sparisce dalla circolazione, la madre addirittura sparge la voce che il figlio è morto. Ricompare dopo breve tempo durante l’autunno caldo del ‘69. Questa volta “se la prende” con i gruppi della sinistra rivoluzionaria. Il contesto è cambiato: Agnelli l’Indocina ce l’hai in officina, recita una scritta del tempo…
 

Agnelli ha paura e paga la questura
Pubblichiamo in questo opuscolo tutta la documentazione in nostro possesso sullo “spionaggio Fiat”, quale risulta dai fascicoli sequestrati dal pretore Guariniello il 5 agosto 1971 negli uffici della Fiat, e che ora si trovano a Napoli. Da questi atti emerge un dato preciso ed inequivocabile: la Fiat aveva (ed ha) il pieno e totale controllo su tutte le “forze dell’ordine” di Torino.
Ricevevano infatti dalla Fiat assegni mensili o emolumenti una tantum i prefetti e i questori (compreso il famigerato Guida) che via via si sono succeduti a Torino negli ultimi anni, il capo-gabinetto della Questura dott. Stabile, i capi dell’Ufficio Politico della Questura dott. Bessone e dott. Romano, il capo regionale del SID (ex Sifar) Ten. Col. Stettermajer, il capo del nucleo investigativo dei Carabinieri Col. Astolfi, più 150 circa tra agenti e funzionari della P.S. e dei C.C.
Insomma tutti, proprio tutti coloro che avevano la responsabilità della politica repressiva a Torino erano alle dipendenze della famiglia Agnelli. Tutte le montature poliziesche, gli arresti arbitrari, le false testimonianze, le aggressioni contro operai e studenti di questi ultimi anni portano dunque impresso il marchio della Fiat.
Sempre dagli atti del processo risultano direttamente responsabili di corruzione tre fra i massimi dirigenti della Fiat: l’ing. Bono, vice-presidente della Fiat; l’ing. Garino ex-direttore del personale Fiat e l’ing. Gioia, Direttore Generale della Fiat.
Avevamo sempre saputo che il potere dei capitalisti e il potere dello stato sono tutt’uno e non avevamo mai mancato di denunciare il potere assoluto e dispotico che la Fiat esercita su tutta la città. Lo slogan “poliziotti servi dei padroni” che tante volte ha risuonato per le strade di Torino in questi anni nasceva da una semplice constatazione dei fatti, che chiunque avrebbe potuto compiere. Lo sapevano perfettamente le migliaia di operai che vivono ogni giorno il sistema di sfruttamento della Fiat, che conoscono le sue spie e che tante volte sono stati aggrediti, anche dentro la fabbrica, dalla polizia accorsa in difesa del capitale. E non si tratta di una storia nuova. Le 150.000 schede, che il pretore Guariniello ha trovato negli uffici della Fiat, sono il risultato di una rete di spionaggio che risale agli anni ‘50, al periodo della gestione Valletta.
Fra le persecuzioni di allora contro i militanti della Fiom, i licenziamenti di rappresaglia, i reparti confino, la caccia sistematica all’operaio di sinistra di quegli anni e l’attuale vicenda dello spionaggio Fiat vi è una precisa continuità. E le rivelazioni attuali non fanno che confermare le denunce che già allora, a più riprese, furono fatte contro i metodi fascisti e polizieschi della Fiat.
Ciò nonostante le attuali rivelazioni sul “dossier Fiat” sono un fatto nuovo e estremamente importante.
Oggi dire che la polizia è serva del padrone, non è più soltanto una giusta affermazione ideologica sui rapporti che intercorrono fra capitale ed istituzioni statali, non e più solo un giudizio politico sul comportamento delle forze di Polizia, ma è un dato di fatto indiscutibile, di fronte a cui nessuno può tirarsi indietro. Non solo, ma attraverso questi dati, oggi possiamo avere una coscienza più precisa di quelle che sono le trame del potere in una società borghese. Conoscere i nomi dei corrotti e dei corruttori significa per noi conoscere meglio i nostri nemici ed offrire alle masse elementi più concreti per combatterli.

Introduzione di
Agnelli ha paura e paga la questura,
Lotta Continua, Gennaio 1972

 

Sembra paradossale, ma il sistema di spionaggio della FIAT e le sue connivenze con le forze dell’ordine emerge ad inizio anni ’70 grazie alla citazione dinnanzi alla sezione lavoro della Pretura di Torino di un sua ex spia: Cereda Caterino, licenziato senza «giusta causa» dalla casa madre dopo avere svolto “onestamente” per ben 17 anni, sempre la mansioni di spia.
Ancora più paradossale è il fatto che ad incrinare i rapporti tra l’azienda di Torino e il nostro spione sia stato il fatto che ad un certo punto per svolgere il proprio lavoro in trasferta a Milano gli sia stata negata l’automobile di servizio!
Sebbene il pretore dia torto al Cereda, viene trasmesso il rapporto al pretore penale, perché durante il processo sono emerse le indagini sui privati fatte senza licenza e la corruzione di pubblici ufficiali… Cereda, che lavorava per i «Servizi Generali» aveva iniziato a controllare in motorino tra l’altro l’accertamento di assenze abusive dal lavoro e l’accertamento delle tendenze politiche di chi faceva domanda d’assunzione…
Dalla tipologia degli assunti e dei respinti, risultò che l’operaio ideale per la Fiat doveva essere apolitico, frequentatore della parrocchia, godere di buona reputazione pubblica, e andava bene anche se iscritto ai partiti di centro, oppure monarchico e missino.
A fine luglio l’Unità esce con un articolo dal titolo: Gli spioni del monopolio FIAT, in chiusura è scritto: «Un’ultima considerazione va fatta sulla collaborazione che questo ufficio di spionaggio della Fiat non può non aver avuto con organi dello stato, come la polizia e i carabinieri»
Il 5 agosto, ricevuti gli incartamenti del processo, Raffaele Guariniello, decide di andare a vedere direttamente gli uffici dei Servizi Generali, visionandone gli schedari.
In via Giacosa a Torino vengono trovati i fascicoli degli schedati: operai, giornalisti, professori, dirigenti industriali, uomini politici di ogni livello; dei corrotti: poliziotti, carabinieri, questori, ecc; i fascicoli degli informatori periferici: messi comunali, parroci di paese, ecc.
Sono oltre 150.000 schede in cui è scrupolosamente annotato tutto.
Il Pretore “d’assalto” torna in pretura con ciò che può, mentre vengono posti i sigilli giudiziari alla cassaforte incriminata.
Naturalmente i giorni successivi viene fatto sparire tutto, mentre l’Avvocato Gianni Agnelli, il presidente della Repubblica Giuseppe Saragat e il procuratore generale di Torino, Giovanni Colli si incontrano in una piccola località valdostana per riuscire a soffocare lo scandalo.
Intanto Guariniello avendo ravvisato nel materiale sequestrato estremi per reati ben più gravi di quelli di competenza del pretore, trasmette gli atti alla procura della repubblica, perché proceda alla fase istruttoria.
A capo del servizio di spionaggio interno vi era un ex colonnello di aviazione, Mario Cellerino (pilota personale di Giovanni Agnelli) che per vent’anni era stato nei servizi segreti. Venne assunto nel 1965 alla Fiat insieme ad una ventina di ex carabinieri. Il Cellerino, con il consenso del Sid, costituì il collegamento esterno dello spionaggio Fiat, che prevedeva il passaggio di informazioni reciproche con carabinieri, polizia, Sios dell’aeronautica di Torino e Sid. La Fiat assunse praticamente anche il colonnello dei carabinieri Enrico Settermaier che comandava il Sid di Torino. I dirigenti della Fiat addetti alla selezione del personale avevano praticamente libero accesso agli schedari del Sid, del Sios, dei carabinieri e della polizia e potevano commissionare a basso costo - rilevarono gli inquirenti - qualunque tipo di schedatura. Per la Fiat lavoravano anche Marcello Guida, questore, ex carceriere di Pertini a Ventotene, implicato nel caso Pinelli a Milano e costruttore della pista anarchica per piazza Fontana; e Filippo De Nardis, che Giovanni Leone dopo la nomina a presidente della repubblica volle a capo dell’ispettorato di Ps al Quirinale. Anche l’ufficio di collocamento di Torino era al servizio della Fiat e si limitava a dare il nullaosta sulle richieste avanzate dall’azienda. I lavoratori che costruirono la fabbrica di Togliattigrad in Urss ed i tecnici sovietici in Italia furono costantemente sorvegliati dai servizi segreti Fiat. Le schedature proseguirono tranquillamente anche dopo l’approvazione dello Statuto dei lavoratori nel 1970.
Se la giustizia ordinaria fa il suo corso, affossando tutto grazie ad artifizi legali, quella proletaria continua la sua opera. Colla avocò a sé l’inchiesta, la tenne nei cassetti per un mese e successivamente la spedì alla Corte di cassazione a Roma, sostenendo che per motivi di ordine pubblico l’inchiesta non poteva essere fatta a Torino. La Cassazione accettò la tesi di Colli e il processo venne trasferito a Napoli dove fu insabbiato.
52 persone tra cui alti dirigenti, ufficiali dei carabinieri, funzionari della PS, vicequestori sedevano sul banco degli imputati per corruzione e violazione del segreto d’ufficio: il dibattimento iniziò solo nel gennaio 1976 e alla prima udienza fu rinviato a tempo indeterminato.
A fine settembre “Lotta Continua” comincia a tirar fuori i nomi dei poliziotti corrotti, attacchinando in tutta la città dei manifesti con i loro nomi, continua a fare conferenze stampa in cui dice chiaramente chi sono i responsabili, e nell’assemblea popolare al teatro Alfieri a fine novembre il compagno Luciano Parlanti di LC è l’unico a citare i responsabili…
Intanto la Fiat aveva escogitato da tempo un approccio al problema dell’insubordinazione operaia esplosa dal ‘69 in poi: l’infiltrazione nei gruppi extra-parlamentari per definirne la composizione, la costituzione squadracce di picchiatori assunte attraverso le sedi del MSI del meridione, l’utilizzo di agenzie private come quella dell’ex-repubblichino Tom Ponzi, le provocazione del “sindacalismo costruttivo” ennesimo parto del prolifico Cavallo, ecc.
 

Continua la guerra sporca di Agnelli, s’irrobustisce la risposta operaia
«Noi possiamo organizzare dei commandos sul piano clandestino e fare pulizia. Ma, data la situazione, lo possiamo fare solo fuori dagli stabilimenti, a domicilio e in tutta segretezza. Farlo pubblicamente, nel corso di assemblee, con elementi nostri, tutti ben noti agli avversari, ed altri facilmente identificabili, significarebbe trasformare pubblicamente in “fascisti” elementi che abbiamo presentato come “democristiani” in rapporti fatti dall’on.Scalfaro alle compententi autorità»

Relazione sequestrata a Luigi Cavallo
 

L’ennesima creazione di Cavallo si chiama “Iniziativa Sindacale” e nasce a Torino nel ’69.
La Fiat, morto Valletta, così come l’Unione Industriali continuano a foraggiare regolarmente il nostro scienziato della provocazione fino alla primavera del ’73.
La repressione padronale dal ’68 in poi colpisce i delegati che sono stati alla testa delle lotte.
Migliaia di lavoratori vengono licenziati con la scusa dell’assenteismo, altri vengono trasferiti per creare e isolare le squadre dei “rompicoglioni”.
L’attenzione delle manovre di Cavallo non è più indirizzata esclusivamente verso attivisti della FIOM e del PCI, ma verso i gruppi extra-paralmentari: «ho mandato un nostro uomo a Lotta Continua e uno a Potere Operaio e alla V Lega FIOM […] Infine ho organizzato a Roma un servizio informativo centrale, con un nostro uomo alla Direzione del Pci e uno alla CGIL».
Si parla apertamente di «nuclei di attivisti di combattimento», in grado di «neutralizzare» le avanguardie di lotta, appartenenti alle organizzazioni neo-fasciste.
La corpertura politica di questa operazione attraverso i contatti presi è assai ampia e si va da esponenti di spicco della DC, al clero ostile alla svolta a sinistra delle ACLI, agli elementi della “destra” socialista, pezzi del sindacalismo “collaborazionista” come il SIDA e la UIL, fino agli ambienti reazionari e filo-golpisti milanesi e non solo…
Cavallo pensa addirittura di creare dei falsi Comitati Unitari di Base, organismi nati nei maggiori stabilimenti industriali durante il ciclo di lotte di fine anni ’60, per mascherare la natura delle sue operazioni.
Come sostiene Papuzzi giustamente: «Valletta e gli Agnelli, dagli anni ’50 agli anni ’70, sostengono dietro le belle immagini una identica organizzazione di provocazioni anti-operaie. Anzi «Iniziativa Sindacale» è un modello più completo. La differenza è nella forza della risposta e delle lotte operaie.»
Visto il pericolo, Cavallo, non è l’unica pedina del padronato.
In una “lettera aperta agli industriali italiani”, inviato nel gennaio ’70 a 50.000 tra dirigenti e proprietari d’azienda da la Tom Ponzi Mercurius Investigazioni, si può leggere che le squadre di suddetta agenzia di investigazioni private: «saranno vere e proprie squadre di sicurezza interna che gli industriali dovranno ingaggiare per salvaguardarsi da insidie che il mondo economico d’oggi pare avere appreso dalle tecniche belliche più perfezionate.»
Tramite tale agenzia Agnelli ha assunto tra il febbraio e il maggio del ’70 una trentina d’elementi, altre agenzie utilizzate dall’avvocato sono la Argus e la A.I.R.I.T.
Vi è poi una fervente attività propagandistica per isolare la classe operaia FIAT dal resto della città, rinchiudendola in un ghetto, promuovendo l’ostilità delle altre categorie sociali sotto la spinta di un blocco sociale anti-proletario guidato e finanziato dagli uomini di Agnelli.
Uno dei fenomeni più vistosi è l’assunzoni di fascisti in fabbrica.
«Soprattutto al Sud le federazioni missine, le sedi CISNAL, le stesse organizzazioni dell’estrema destra extraparlamentare […] si trasformano in agenzie di collocamento al servizio Fiat.»
I neo assunti, circa 350, nel ‘70-’71, nella sola Mirafiori, vengono impiegati in mansioni che gli permettono libertà di movimento tra i reparti, prima studiano l’ambiente in cui vengono inseriti poi si fanno riconoscere, provocano e attaccano…
È contro questo sistema di terrore che prende corpo l’iniziativa operaia: le sedi delle provocatori vengono “ispezionate” dai compagni, questi vengono duramente “redarguiti”, le loro automobili s’incediano, ad alcuni succede di essere invitati in modi non troppo garbati dai compagni a passare un po’ di tempo con loro per scambiare due chiacchere su questo sistema di controllo ed i suoi responsabili, rendendo pubbliche queste “interviste”.
Le lance appuntite dell’offensiva padronale vengono così spezzate.
 


Note:


1) Sette sentenze su 607 denunce, Roberto Pesenti, in “Processo popolare in fabbrica. Costituzione repubblicana e connivenze neofasciste nei corpi separati dello stato. Milano, 21-24 aprile 1975 ”, «Quaderni di dibattito sindacale», edizioni FLM Milano
2) Storia e mito della volante rossa, Cesare Bermani, Nuove Edizioni Internazionali, ottobre 1996, Milano
3) Cronistoria degli eccidi delle forze dell’ordine in Italia dal 25 luglio 1943 al 1 maggio 1982, Cesare Bermani, in 625 libro bianco sulla legge Reale. Materiali sulle politiche di repressione e controllo sociale, a cura del Centro di Iniziativa Luca Rossi, febbraio 1990, Milano
4) Sette sentenze…
5) La relazione, pubblicata nel fascicolo 2 dell’aprile 1974 dalla “Rivista di Storia Contemporanea”, è stata ripubblicata nell’undicesimo capitolo: Vecchi e nuovi “dossier” Fiat, dell’inchiesta della Commissione operaia torinese di Lotta Continua, a cura di Enrico Deaglio, La Fiat così com’è. La ristrutturazione davanti all’autonomia operaia, Feltrinelli, marzo ’75.
6) Sia detto pro forma, ma Sogno e Cavallo insieme agli altri imputati: l’ex ministro della difesa Randolfo Pacciardi, famoso per avere impiegato un battaglione di alpini per reprimere a Genova i moti scoppiati nel ‘48 per l’attentato a Togliatti, Ugo Ricci, generale di brigata coinvolto nell’inchiesta sulle trame eversive della “rosa dei venti”, Salvatore Dago, aderente al tentato colpo di stato organizzato dal principe Borghese nel dicembre ‘70, Salvatore Pecorella, colonnello dei Carabinieri, anch’esso arrestato per le indagini sul golpe Borghese, ed altri tra cui esponenti, come Vincenzo Pagnozzi, del movimento reazionario Maggioranza Silenziosa, saranno prosciolti dall’accusa di stare organizzando un colpo di stato.
7) I tratti più salienti del percorso di Cavallo sono contenuti, oltre che nel documentato libro di Papuzzi, che riporta integralmente la sentenza del processo aperto dal pretore Raffaele Guariniello l’8 luglio del 1975 contro Cavallo e Maria Unia per “violazione delle norme della legge sulla stampa e violazioni delle norme sulle investigazioni e ricerche”, in due articoli apparsi su Controinformazione, uno nel numero unico in attesa di autorizzazione dell’ottobre del ‘73, Progetto Agnelli ‘70: i fascisti in fabbrica, l’altro sul numero 9-10 del novembre ‘77, Luigi Cavallo lo scienziato della provocazione.
Da questo materiale abbiamo preso prevalentemente spunto per elaborare questo capitolo e quello: “Continua la guerra sporca di Agnelli, s’irrobustisce la risposta operaia”
8) Testamento di un anti-comunista. Dalla resistenza al golpe bianco. Edgardo Sogno con Aldo Cazzullo, Mondadori, 2000
9) Già dopo il ’45 ai sindacati liberi in Italia andavano secondo una intervista di un membro della CIA pubblicata sul quotidiano americano nel maggio del ’67: “Saturday Evening Post” ben due milioni di dollari l’anno!
 



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