SENZA CENSURA N.25
marzo 2008
Il processo belga al DHKP-C
Comunicato del Comitato belga per la libertà di espressione e di associazione
Processo DHKP-C
Con il verdetto della Corte d’Appello di Anversa pronunciato questo giovedì 7
febbraio 2008, tre giudici hanno - questa volta - deciso non di capitolare.
Rifiutando di criminalizzare il DHKP-C (in relazione alla sua presenza in Belgio
e alle azioni che questa organizzazione ha condotto in questo stato, il DHKP-C
non può essere considerato né un’associazione di malfattori, né
un’organizzazione criminale, né un gruppo terroristico), la Corte non ha voluto
soltanto disconoscere le esigenze dello Stato turco, ma anche rifiutare di
limitare la libertà di espressione, nel nostro paese, del cittadino belga Bahar
Kimyongür.
A oltre otto anni dal suo esordio, l’affare DHKP-C ha dunque conosciuto un nuovo
epilogo.
I sette membri dell’organizzazione dell’estrema sinistra turca sono stati tutti
scagionati dall’accusa d’appartenenza ad una organizzazione “criminale e
terroristica”.
Tre imputati sono stati condannati ad una pena con la condizionale: Musa Asoglu
(3 anni di prigione), Fehriye Erdal (2 anni) e Kaya Saz (21 mesi) – poiché la
Corte d’Appello li ha riconosciuti colpevoli di infrazioni alla legge sulle armi
e di falsificazione di atti scritti.
Mentre, non sono state prese in considerazione le imputazioni di associazione di
malfattori e appartenenza a un gruppo terroristico.
I sette imputati sono stati scagionati da questa accusa. Fra loro, Bahar
Kimyongür, che il procuratore Johan Delmulle si è affannato a presentare nelle
sue accuse come uno dei dirigenti più pericolosi dell’organizzazione
rivoluzionaria turca. In realtà, egli era stato - tra il 1995 e il 2006 -
soltanto il portavoce efficiente dell’Ufficio d’informazione che, a Bruxelles,
si sforzava di denunciare la sorte ignobile che la Turchia riserva ai suoi
prigionieri politici.
Sükriye Akar, Dursun Karatas, Bahar Kimyongür e Zerrin Sari sono stati dunque
scagionati su tutta la linea.
Con questo verdetto senza appello, la Corte di Anversa (sottoposta tuttavia,
fino all’ultimo, alle pressioni del ministro degli Interni Patrick Dewael) ha
così rovesciato un giudizio dato per scontato dalla Turchia (Stato che, in
Europa, resta alla testa dei paesi che vìolano i diritti dell’uomo): mettere a
tacere uno dei suoi oppositori (B. Kimyongür) e porre fuori legge un movimento
d’opposizione politica al regime di Ankara - facendo passare questa
organizzazione di sinistra per una banda di criminali.
SCANDALI A CATENA
Con questa sentenza, è dunque la terza volta che un tribunale è stato chiamato a
pronunciarsi su un dossier costruito ad arte, in cui l’accusa non ha mai cessato
di distorcere la realtà a danno della verità. Dal momento che questo caso
giudiziario – attraversato da ripetuti scandali – ha versato dapprima
nell’assurdo (con la nomina, ordita dal procuratore federale Johan Delmulle, di
un giudice designato ad hoc alla testa del Tribunale di primo grado), per cadere
poi nell’ ignominia: il 26 aprile 2006 (su istigazione del ministro della
giustizia Laurette Onkelinx), una coalizione di funzionari - appartenenti alle
più alte sfere dello Stato - aveva segretamente deciso di estradare Bahar
Kimyongür in Turchia incaricando la polizia olandese di rapirlo.
Così, dopo tanti anni di soprusi in cui il procedimento giudiziario è stato
manipolato dalla polizia e dal Procuratore federale Delmulle; in cui Fehriye
Erdal è stata imprigionata, secondo lo stesso Consiglio di Stato, in via
preventiva “più che a ragione”; in cui si è stato messo su un tribunale
eccezionale per essere sicuri di arrivare, in prima istanza, a un giudizio
esemplare; in cui il ministro della Giustizia ha rifiutato, per cinque volte, di
fare applicare le sentenze dei tribunali che ingiungevano a lei come
all’amministrazione penitenziaria di non sottoporre più Sükriye Akar, Musa
Asoglu e Kaya Saz a condizioni di detenzione degradanti e contrarie ai diritti
dell’uomo (come tuttavia è avvenuto, dal febbraio 2006 a febbraio 2007)…; dopo
tanti anni di soprusi, vogliamo ricordare l’ultimo guizzo di una parte della
magistratura: il 19 aprile scorso, la Corte di Cassazione pronunciava una
sentenza “rarissima” negli annali giudiziari del nostro paese. Colpo su colpo
veniva infranta la sentenza pronunciata in prima istanza e annullato il verdetto
comminato in appello dai tribunali incaricati di giudicare gli imputati… Cosa
veniva messo in causa? La nomina, dubbia, del giudice Freddy Troch alla testa
del tribunale correzionale di primo grado - una manovra organizzata dal
Procuratore federale Delmulle e che i giudici d’appello avevano, “a torto”,
accettato di convalidare.
Di conseguenza il caso è stato rinviato dinanzi alla Corte d’Appello di Anversa.
Davanti alla Corte di
Anversa (settembre 2007), gli avvocati della difesa hanno contestato (come a
Bruges e a Gand) una serie di incidenti e di abusi di potere che avevano già
viziato i due verdetti precedenti: manovre che, alla fine, avevano contribuito a
restringere (se non ad annullare) una serie di diritti ai quali gli imputati
avrebbero dovuto normalmente far ricorso.
Questi elementi pregiudiziali si erano cristallizzati in particolare attraverso
un procedimento istruttorio “unilaterale”, la trasformazione di questo dossier
in un dossier evidentemente politico, azioni giudiziarie intentate in nome di
imputazioni penali completamente inventate, e l’illegittimità della parte
civile.
- L’istruzione giudiziaria è stata condotta in maniera illegale, affinché
risultasse manifestamente soltanto “a carico” degli imputati.
Fin dal 1999, il provvedimento giudiziario era stato chiaramente manipolato
dalla polizia e dalla Corte federale. Inizialmente, nel dossier istruito, contro
11 presunti membri del DHKP-C non erano state rispettate né la legge, né la
giurisprudenza. Nonostante queste raccomandassero che l’insieme dei fatti
allegati fossero oggetto di un’istruttoria a carico ma anche “a discolpa” degli
imputati… Ma così non era stato. L’istruttoria doveva dunque essere ripresa,
rompendo il suo carattere unilaterale.
Ad Anversa, il Presidente Stefaan Libert risponderà positivamente a questa
esigenza degli avvocati, che utilizzeranno molte udienze per illuminare i tre
giudici della Corte d’Appello circa la situazione dei diritti dell’uomo
prevalente in Turchia e sulla legittimità a difendersi dalla violenza e dal
regime di Stato (avendo l’ultimo putsch dell’esercito, all’inizio degli anni 80,
instaurato una dittatura spaventosa e provocato l’arresto di 650.000 persone).
In realtà, dietro una facciata democratica, i soldati tengono ancora e sempre le
redini del potere “nel 1997, appena dieci anni fa, le forze armate non hanno
esitato ad abbattere il governo diretto dall’islamista moderato Erbakan. Non era
loro gradito, nonostante il primo ministro disponesse di un’ampia maggioranza
parlamentare. Per intimidirlo e accellerare la sua dipartita, l’esercito ha
fatto sfilare i carri armati nel quartiere di Sincan ad Ankara. Trovate questo
normale?
Si potrebbe paragonare Erbakan a un eminente esponente del CVP di venti anni fa…
Idem nel 1994, quando i soldati avevano occupato l’Assemblea nazionale per
arrestare il deputato del DEP, Leyla Zana. Il suo crimine: aver pronunciato
parole in kurdo ed avere ornato i suoi capelli di un nastro dei colori del
Kurdistan. Era stata immediatamente condannata a 15 anni di detenzione mentre
molti altri deputati dello stesso partito erano stati condannati a 50 anni di
carcere. In Turchia, si è in un altro mondo” (Jan Fermon, avvocato del sig.
Asoglu, udienza del 15 novembre).
Effettivamente, la Turchia detiene sempre il record sulle violazioni della
Convenzione europea dei diritti dell’uomo (nel 2007, il numero di sentenze -
pronunciate dalla Corte europea di Strasburgo contro di questo paese - è salito
a… 175), e conta sempre migliaia di prigionieri politici detenuti in condizioni
innominabili (“nelle memorie che recentemente sono state pubblicate, ex soldati
di alto rango espongono nei dettagli e senza complimenti, le torture
maggiormente consigliate: il supplizio della falaka che consiste nel colpire
senza sosta la pianta dei piedi; il tenere appesi al soffitto gli interrogati
per il tempo necessario; l’utilizzo di scariche elettriche sui genitali… La
polizia utilizza di solito tecniche di tortura dai nomi che suonano come ‘il
pozzo della libertà’ (quando la vittima è immersa in un pozzo di escrementi), o
‘l’uomo blu’ (quando un sacco di plastica copre la testa fino a che la persona
diventa blu)”. “Amnesty descrive il caso di due studenti torturati per avere
fatto firmare petizioni”. Sono stati immersi nell’acqua gelata e sodomizzati con
un manganello. Un caso, come altri, classificati “senza seguito”… Secondo il
trattato di Jan Peter Loof, laureatosi nel 2005 all’università olandese di
Leiden (Diritti dell’Uomo e sicurezza di Stato), la Turchia è “campione in
merito alle violazioni dei diritti fondamentali, e mantiene sul suo territorio
misure eccezionali permanenti organizzando un vero e proprio terrore di Stato”
(gli avvocati della difesa, 15 novembre 2007).
- Il procuratore Delmulle, per due volte almeno, ha portato ad avallare accuse
penali che non esistono nel diritto belga. Per due volte, giudici - chiamati ad
applicare la legge - hanno accettato di seguirlo nelle sue millanterie.
Nel corso dei processi di Bruges e di Gand, il Procuratore è arrivato (senza
scrupolo alcuno) a raggirare i giudici invocando l’associazione di malfattori
“con finalità di terrorismo”. Un’accusa che non esiste nel nostro diritto? Che
importa. Inventata per la circostanza, questo nuovo reato era un modo di
riqualificare in maniera retroattiva fatti a carico degli imputati (quando al
momento dell’esecuzione di questi fatti, nel 1999, nessuna legislazione
antiterrorista era stata ancora partorita). Ma vi è di più. I tribunali di
Bruges e di Gand, ogni volta, hanno rigorosamente condannato gli imputati come
membri di un’associazione di malfattori agenti “contro uno Stato”.
Interrogati con insistenza ad Anversa a proposito di questa innovazione penale,
i giudici hanno dovuto arrendersi all’evidenza e decidere che le incriminazioni
iniziali A e B dovevano assolutamente essere tagliate delle loro ultime tredici
parole (“essere stato l’istigatore di un’associazione avente lo scopo di
commettere attentati contro persone o proprietà [o di averne fatto parte in
qualità di capo o di avervi esercitato in qualsivoglia maniera un’attività di
comando] - associazione comprovata dalla sola costituzione di questa banda,
avente come obiettivo la messa in opera di attentati contro gli interessi dello
Stato turco”)…
- La designazione dello Stato turco a parte civile nel processo è un abuso di
potere, perchè questa qualificazione era e resta illegittima.
Ad Anversa, di nuovo, lo Stato turco intendeva partecipare al processo
nonostante non ne avesse diritto. Questo è del resto quello che il giudizio di
prima istanza aveva finalmente dovuto riconoscere, secondo quanto enunciato
dalla 14esima Camera correzionale di Bruges il 28 febbraio 2006: “L’articolo 3
del codice di procedura criminale determina che il reclamo giudiziario civile
spetti a chi ha subito dei danni.” Perché la costituzione in parte civile sia
ammissibile, la parte deve non soltanto avanzare la sua richiesta di
risarcimento dei danni, ma anche dimostrare di essere stata personalmente
danneggiata (Cassazione, 4 aprile 1987). Deve, pertanto, aver ricevuto un danno
personale dal reato.
Il reclamo di una persona fisica o giuridica non può essere accettato se la
parte civile non ha un interesse personale e diretto. Qui, la parte civile (lo
Stato turco, nda) non prova quale danno diretto materiale e/o morale essa ha
subito a seguito dei fatti a carico degli imputati. Questo è il giudizio
incontrovertibile del tribunale (Cassazione, 16 dicembre 1992) (…). Il fatto che
lo Stato turco ha probabilmente un interesse nella condanna degli imputati non è
sufficiente per accogliere la sua azione civile (…) (fintanto) che l’interesse
della condanna si lega all’interesse della Comunità - lo Stato belga - che ha
affidato l’esecuzione dell’azione giudiziaria al pubblico ministero (Cassazione,
24 gennaio 1996).
Attesi i principi precedenti, la costituzione dello Stato turco come parte
civile a seguito di questi misfatti deve essere considerata come non
ammissibile”.
Ma, in grado d’Appello a Gand, il Presidente Logghe e i suoi due assistenti
(debitamente nominati da J. Delmulle) avevano ricusato questo incontestabile
giudizio - autorizzando la parte turca ad assistere al processo, perorare la
propria causa e a vedersi risarcita simbolicamente. Nel far questo, essi hanno
autorizzato l’avvocato di Ankara a comportarsi, in tribunale, come un secondo
Procuratore. Cosa inammissibile.
La Corte d’Appello di Anversa rifiuta questa impostura.
IL DHKP-C…: DEI
CRIMINALI?
Il procuratore federale Delmulle ha sempre voluto che i giudici condannassero
gli imputati per partecipazione ad un’organizzazione “criminale”….
Questo concetto, ricordiamo, è stato introdotto nel diritto penale belga nel
1999. Si tratta dunque di un’incriminazione recente per la quale “il processo
Erdal e soci” è servito come test.
Occorre ricordare che al momento in cui il disegno di legge era stato presentato
al Parlamento, si era sviluppato un ampio movimento di protesta perché si temeva
che questa incriminazione fosse utilizzata per reprimere fastidiose correnti
politiche e sindacali.
Pertanto, le versioni iniziali avevano subito profonde modifiche, e il concetto
di “attentato alle istituzioni politiche” era stato messo da parte - i
movimenti, con finalità squisitamente politiche, non potevano essere toccati
dalla legge.
Nel febbraio 2006, il tribunale correzionale di Bruges aveva dunque ritenuto,
giustamente, che la legge sulle organizzazioni criminali non potesse applicarsi
al DHKP-C. Nove mesi più tardi, la Corte d’Appello di Gand (in scherno alla
lettera e allo spirito della legislazione) affermerà il contrario.
Ma, durante il processo davanti ai giudici di Anversa, la difesa cercherà di far
carta straccia di tutte le famose “prove” avanzate dal procuratore Delmulle per
rendere credibile il ricorso innegabile e metodico alla criminalità da parte del
DHKPC. La droga, per esempio. “Il procuratore federale ha costantemente
ricordato i traffici d’eroina per i quali sarebbero stati indagati membri
dell’organizzazione nei Paesi Bassi.” Affermazioni false portate con un unico
scopo: far gravare il sospetto sugli imputati. Ma, gli esempi perentori avanzati
dal procuratore non hanno mai convinto altri che lui, e certamente non hanno
convinto i giudici di Bruges e di Gand. Commercio di droga: è la peggiore delle
accuse che il magistrato federale ha mosso contro Asoglu”.
Al contrario, il DHKC non ha mai cessato di condurre campagne contro la droga,
il suo commercio e i suoi trafficanti. Invece, non sono state mai riconosciute
tra gli atti d’accusa le prove innumerevoli che dimostrano che il Ministero
della Giustizia turco – questo sì – ha in realtà remunerato (con 80 chili
d’eroina) alcuni gangsters e mafiosi. Il “contratto”?
Assassinare, in Europa, militanti progressisti che erano fuggiti dalla Turchia
(tra cui Dursun Karatas, uno degli imputati). In realtà, se è appurato che ci
sono molti trasferimenti regolari di fondi (dai paesi dell’Europa verso la
Turchia) che garantiscono al DHKP-C importanti risorse finanziarie, questi
provengono dalla diaspora e dalle migliaia di simpatizzanti- attraverso regali,
entrate derivanti da attività culturali (come i concerti) e la vendita dei
giornali dell’organizzazione. Non dalla droga.
Per illustrare le infamie di Johan Delmulle riguardo ai vantaggi patrimoniali
illegalmente acquisiti, gli avvocati ritorneranno una volta ancora “sul caso
Taka”. I precedente di questo caso? La polizia aveva messo le mani su
un’importante quantità di droga, trasportata in uno dei camion della società
olandese di trasporti internazionali De Lange Weg. In seguito a questa
ispezione, avrà luogo un processo da cui Kemal Taka (l’ex-proprietario
dell’autocarro) uscirà innocente.
Non importa: risistemando la storia a modo suo, J. Delmulle la trasforma in una
torta a più piani (decorata con panna), la serve a Bruges, la presenta a Gand e
la riserve alla Corte d’Appello di Anversa. Obiettivo: demonizzare il DHKP-C.
Jan Fermon: “Prima che cominciasse il processo davanti al tribunale correzionale
di Bruges, avevamo già chiesto, alla camera di Consiglio, di ricevere copia del
giudizio in cui Taka, in seguito alle informazioni ricevute, era stato
condannato.” Invano. Per fare chiarezza su questo caso, avevamo allora suggerito
doverose indagini complementari: J. Delmulle, come sempre, ha fatto il gradasso
per impressionare i giudici successivi e convincerli a rifiutare. Il Procuratore
federale ha sistematicamente fatto dell’ostruzionismo perché non fosse possibile
smascherare le sue manipolazioni”.
Musa Asoglu: “Kemal Taka è uno dei miei amici.” Ma non ha nulla a che vedere con
qualsivoglia traffico di droga. Se così fosse, perché il Procuratore non lo ha
esplicitamente accusato di questo crimine? O si toglie dal dossier penale questo
cosiddetto traffico “organizzato da e per il DHKP-C”, o mi si accusa. Ma in
questo caso, verrà fuori la verità e Delmulle sarà smascherato…”.
IL DHKP-C…:
TERRORISTI?
In occasione dell’udienza di Anversa dell’8 novembre, Musa Asoglu (uno degli
imputati principali) farà le seguenti precisazioni circa le ragioni della sua
militanza, e del contesto patologico nel quale essa si è sviluppata (la violenza
sistematica con la quale lo Stato tuttora in vigore continua a dirigere la
società turca e i popoli che la compongono)…: “Io vivo nei Paesi Bassi.” Là come
in Belgio, ogni mio atto è sempre avvenuto nel rispetto della legalità. Né il
DHKC, di cui sono membro, né il DHKP hanno mai commesso o voluto commettere la
minima azione violenta in Europa. In Turchia invece, l’organizzazione ha
eliminato poliziotti torturatori e mafiosi legati e protetti da dispensari dello
Stato. Le armi trovate a Knokke erano destinate a proteggere Fehriye Erdal che
sicari, pagati da Ankara, erano stati incaricati di assassinare con ogni mezzo”.
In realtà, l’interpretazione estensiva del reato di “terrorismo” è stata presa
in considerazione contro due dei sette imputati perché avevano reso pubblico
(nel mese di giugno 2004) un comunicato che riferiva di un mancato attentato in
Turchia.
La legge che regola i reati per terrorismo risale al dicembre 2003. Il periodo
dell’incriminazione - per la quale i due imputati (Bahar Kimyongür et Musa
Asoglu) sono accusati di “reati di terrorismo” – copre il primo semestre 2004
(la conferenza stampa, di cui l’accusa si serve per applicare la legge, ha avuto
luogo il 28 giugno).
Ma J. Delmulle ha continuato a invocare, per fissare irrimediabilmente l’accusa
di terrorismo, i “15 dossier a carico di Kimyongür” riguardanti fatti tuttavia
antecedenti al periodo incriminato. Quindici dossier terribilmente accusatori…?
Ma di che? “Di manifestazioni, perfettamente legali, di denuncia della guerra
americana in Iraq;” o della detenzione amministrativa fra le più arbitrarie di
cui era vittima Fehriye Erdal “, sottolineerà la difesa.
Per quanto riguarda la stessa conferenza stampa, risulta chiaramente dai verbali
della polizia che chi ha steso il rapporto non poteva essere sul posto, che ne
hanno semplicemente inventato la stesura in loco poiché le principali accuse (“Asoglu
e Kimyongür, di loro iniziativa, hanno letto e diffuso un comunicato che
rivendica un attentato; lo hanno messo sulla tavola, ecc….”) sono smentite da un
documento video registrato al momento dei fatti. “Ma vi è di più, tradurre in
francese un’informazione già nota e diffusa in Turchia… è forse un crimine?”.
Secondo il Procuratore, l’Ufficio d’Informazione (di cui i due imputati erano
portavoce) era innegabilmente un covo di sovversivi. “Ma perché allora, il
ministro della Giustizia in persona aveva dichiarato, nel settembre 2004, che i
servizi di Stato non avevano assolutamente nulla da rimproverare all’Ufficio?”
Perché le autorità hanno scelto Musa Asoglu quale intermediario tra il gabinetto
e la Erdal, posta ai domiciliari? Perché il Procuratore non ha sollecitato
perquisizioni in via Belliard per fare valere, nel dossier penale, le prove
innegabili di un attivismo pericoloso?” (Jan Fermon, udienza del 14 novembre
2007).
La legge antiterrorismo del 19 dicembre 2003? È tra le più confuse e permette
interpretazioni estensive eccessivamente pericolose: con l’articolo 3, infatti,
“si inquadra come reato di terrorismo… l’infrazione che, per sua natura o
contesto, può minacciare seriamente un paese (…) dove sia commessa
intenzionalmente allo scopo di forzare indebitamente pubblici poteri (…), o di
destabilizzare seriamente o distruggere le strutture politiche fondamentali,
costituzionali, economiche o sociali di un paese (…)”. Minacciare “seriamente”,
forzare “indebitamente” pubblici poteri, destabilizzare “gravemente” le
strutture di un paese…, questi avverbi dal torvo contenuto non permettono di
distinguere chiaramente ciò che è legale da ciò che non lo è.
Inoltre, l’instaurazione di una lista europea delle organizzazioni considerate
“terroristiche” (adottata nel 2002 e includente il DHKP-C) non è che
l’espressione di un’esigenza formulata arbitrariamente dagli Stati Uniti. Una
lista costituita in maniera unilaterale, senza alcuno dibattito, contraria a
tutte le convenzioni internazionali. “Poiché questa lista non è stata redatta in
maniera regolare- ha raccomandato la difesa rivolgendosi ai giudici di Anversa-
voi non dovete prenderla come riferimento per accusare il DHKP-C di essere
un’organizzazione terroristica”. Una esagerazione? Dick Marty, relatore del
Consiglio d’Europa sulle attività illecite della CIA, lo aveva già riconosciuto
senza retorica. “Le liste nere dei presunti terroristi stabilite dall’ONU e
dall’Unione europea si fanno beffe dei diritti dell’Uomo. La pratica attuale
delle liste nere nega i diritti fondamentali e toglie credibilità alla lotta
internazionale contro il terrorismo”, aveva inoltre sottolineato il senatore
svizzero, denunciando “l’assenza di diritti della difesa per le persone e le
organizzazioni inserite nella lista”. (La Stampa, 13 novembre 2007).
CONCLUSIONI…
In questo processo chiaramente politico, la Corte federale - assecondata, prima
dal Ministro della Giustizia Onkelinx; e poi, dal Ministro degli Interni Dewael
- ha sempre cercato di far arretrare i confini dello Stato di diritto e del
processo equo, in nome di una pretesa “guerra al terrorismo”.
In questo stupefacente caso, la lotta non è terminata, al contrario: rimane
ancora da contestare le recenti legislazioni in materia di “sicurezza pubblica”.
Poiché esse mirano all’introduzione di nuove giurisprudenze in base alle quali
giudici asserviti decreteranno ciò che l’azione politica può fare… per essere
ragionevole, efficace, legittima e tollerata.
COMITATO PER LA LIBERTÀ DI ESPRESSIONE E DI ASSOCIAZIONE
[www.leclea.be - Traduzione a cura
dell’Associazione di Solidarietà Proletaria]