SENZA CENSURA N.25
marzo 2008
Apartheid nel Paese Basco
Una strategia di guerra nel cuore dell’Unione Europea
Negli scorsi numeri di Senza Censura abbiamo dato conto di come il processo di
pace proposto dalla sinistra indipendentista basca sia stato messo fuori causa
dall’operato del governo Zapatero, coadiuvato da magistratura e polizia. Per
parte sua il Partito Nazionalista Basco, PNV, alleato di Madrid, aveva poi
riformulato una “nuova” proposta di soluzione del conflitto, che altro non è che
la copia carbone del vecchio, truffaldino, e ormai fallito piano del presidente
del PNV, il “Plan Ibarretxe”. Ancora quindi del fumo negli occhi per tentare di
ridare una legittimità alla prospettiva di una trattativa con lo stato spagnolo
dall’interno delle istituzioni occupanti.
Una prospettiva messa assolutamente fuori gioco invece dall’entità
dell’aggressione che queste istituzioni stanno alzando contro Euskal Herria.
Abbiamo già evidenziato l’apertura di una nuova fase repressiva seguita alla
chiusura delle trattative, che aveva visto già varie decine di arrestati fra i
rappresentanti e militanti della sinistra indipendentista; e aveva registrato
come operazione più eclatante la detenzione di 17 dei 18 componenti della
direzione collegiale di Batasuna.
E abbiamo letto nel contributo di Teresa Toda, portavoce degli imputati nel
processo 18/98 contro i militanti di organismi politici, d’informazione,
sociali, culturali e giovanili del Movimento di Liberazione Nazionale Basco,
pubblicato su SC 24, della imminente pronuncia delle condanne contro gli
imputati in questo processo.
Il 30 novembre ‘07 ha preso il via un’operazione di polizia per arrestare 46 dei
52 militanti processati nel maxiprocesso, operazione conclusasi con la
detenzione -nonostante la sentenza del processo non fosse stata ancora resa
pubblica- di 39 persone, di cui 6 sono poi state liberate dietro cauzione. Da
notare che peraltro la stessa sentenza, poi pubblicata il 19 dicembre, trapelava
già dai mass-media di regime.
Il tribunale speciale “antiterrorismo” spagnolo, “Audiencia Nacional”, ha emesso
47 condanne, 525 anni di carcere, per collaborazione e partecipazione alla
“banda armata” ETA, dopo un processo costellato di irregolarità e violazioni,
con pene superiori a quelle richieste dalla stessa accusa, finanche a 24 anni di
carcere.
Anzitutto esprimiamo la nostra forte solidarietà agli accusati del processo
18/98, così come a tutti i militanti abertzali colpiti dagli arresti e dalla
repressione prima e dopo il 30 novembre.
Teresa Toda spiegava chiaramente come le condanne contro di loro fossero gia
state decise in anticipo, scaturendo da una decisione politica, a prescindere da
qualsiasi base giuridica. Questo del resto è il compito principale di un
tribunale d’eccezione come l’Audiencia Nacional. Niente da stupirsi quindi che
questa abbia riconfermato il teorema del tristemente noto giudice Garzón, su cui
è fondato il processo 18/98, secondo cui chiunque lotta per il diritto a
decidere del futuro di Euskal Herria appartiene a ETA.
Le condanne di questo processo rivestono una particolare importanza.
Intanto perché si presentano come un cardine dello smantellamento sistematico
della libertà di pensiero e di organizzazione che gli stati spagnolo e francese
stanno attuando, anzitutto nel tentativo di ridurre al silenzio le sempre più
forti istanze per l’indipendenza del Paese Basco. Aprendo così la strada per gli
altri processi analoghi attualmente pendenti contro i militanti baschi, di cui
infatti si stanno stabilendo le date; e per la criminalizzazione futura di
qualsiasi posizione in favore del diritto alla decisione per il popolo basco.
Come denunciato dagli avvocati della difesa, queste condanne fondano una nuova
dottrina in cui ETA non è un’organizzazione armata, ma un “ambito organizzativo”
in cui si può far ricadere qualsiasi attività repressiva, politica, culturale o
sociale, divenendo impossibile prevedere fino a dove si possano estendere i suoi
effetti.
Inoltre perché chiudono una sperimentazione, avviata da alcuni anni, su una
procedura giudiziaria strutturata uniformemente in tutta l’UE, e che potrà
essere in qualsiasi momento rivolta contro chiunque, in Europa, esprima il
proprio dissenso.
La magistratura all’attacco
Passando per questa pesante ondata di arresti ordinati da Garzon,
dall’autunno fino a oggi abbiamo assistito a una serie di operazioni di
magistratura e polizia spagnola e francese che hanno complessivamente elevato di
circa 140 il numero dei prigionieri politici baschi, portandolo ben oltre il
tetto dei 700, su una popolazione di 3 milioni di abitanti.
Tutte operazioni condotte dall’Audiencia Nacional spagnola, o dalla
corrispondente 14ª corte del tribunale francese, entrambe “sezioni speciali” per
i cosiddetti reati di terrorismo.
Particolarmente presi di mira sono risultati i giovani, con numerose operazioni
in cui a 5, 10, 15, sono stati arrestati grazie a inchieste pendenti da tempo o
con nuove inchieste aperte ad hoc, accusandoli di essere dei terroristi per la
propria appartenenza all’organizzazione giovanile Segi, e per la partecipazione
a degli atti di lotta di strada, con le medesime accuse inconsistenti con cui si
regge il processo 18/98.
Sono state montate inchieste, anche con un grosso effetto massmediatico,
soprattutto dalla magistratura francese, che in alcuni casi si sono poi smontate
nel giro di pochi giorni, ma che complessivamente evidenziano il tentativo di
dispiegare tutta la capacità repressiva degli stati occupanti.
La polizia spagnola ha ricevuto l’autorizzazione a condurre operazioni contro i
baschi anche in territorio “francese”.
Sullo sfondo restano sempre le torture della polizia spagnola contro agli
arrestati, durante i primi 9 giorni di detenzione che grazie alle leggi spagnole
possono essere di isolamento assoluto, apposta per rendere possibile la tortura
senza che possa venir denunciata efficacemente. In quest’ultimo periodo due
prigionieri sono stati ricoverati in ospedale con ferite gravi in seguito alle
torture subite.
Abbiamo visto, dicevamo, che dopo l’ennesimo rifiuto degli occupanti di prendere
in considerazione la possibilità di una soluzione negoziata del conflitto Basco,
in questi mesi si va delineano un attacco su tutti i fronti possibili contro al
Movimento di Liberazione basco.
La magistratura sta lavorando alacremente per celebrare al più presto i processi
pendenti che vedono coinvolti i militanti di altre strutture del Movimento,
sotto accusa da anni, sull’onda del processo 18/98. A proposito l’Audiencia
Nacional ha fissato l’inizio del giudizio contro Gestoras Pro Amnistia ed
Askatasuna per il 21 aprile. E si è impegnata nei giorni passati fino a
illegalizzare anche i partiti baschi “Accion Nacionalista Vasca” (ANV) e
“Partito Comunista delle Terre Basche” (EHAK). Queste formazioni si sono
schierate nettamente per il diritto all’autodeterminazione e contro
l’eliminazione del diritto di espressione e autoorganizzazione, e vanno quindi
ad aggiungersi alle già illegalizzate Batasuna e alle altre formazioni politiche
abertzali illegalizzate per aver tentato di partecipare a elezioni in questi
ultimi anni.
Date le prossime elezioni legislative spagnole del 9 marzo, l’illegalizzazione è
stata condotta in fretta e furia per impedire alle due formazioni la
presentazione delle loro liste elettorali. Intanto, già nei giorni
immediatamente precedenti, alcuni loro esponenti, fra cui il presidente dell’EHAK,
Juan Carlos Ramos, sono stati arrestati con la solita accusa di terrorismo.
Del resto il PSOE di Zapatero ha impostato la campagna elettorale proprio sulla
propria capacità di avere il pugno di ferro contro la sinistra indipendentista
basca come e di più del Partido Popular.
Nella stessa ottica dobbiamo segnalare l’arresto di Pernando Barrena, l’unico
rappresentante della direzione collegiale di Batasuna rimasto in libertà dopo
gli arresti del 4 ottobre scorso. Pernando è stato arrestato assieme a Patxi
Urrutia su ordine del giudice Baltasar Garzón che li accusa di “appartenenza a
organizzazione terroristica e reiterazione criminale, per continuare ad agire a
nome di Batasuna-ETA”. Questo per aver tenuto alcune conferenze e interviste di
denuncia della situazione repressiva.
La manifestazione che è seguita al suo arresto è stata vietata dalla
magistratura, come ormai tutte le demo indipendentiste, e attaccata
selvaggiamente dalla polizia, che ha arrestato numerosi dimostranti.
14 persone, fra cui anche Karmelo Landa, che aveva appena sostituto Pernando
Barrena dopo il suo arresto, sono poi state arrestate con l’accusa di terrorismo
per aver convocato la giornata di sciopero generale del 14 febbraio in tutto il
Paese Basco contro la repressione giudiziaria, politica e poliziesca; sciopero
poi riuscito con oltre 40.000 adesioni (e 24 arresti).
Ogni giorno si susseguono le notizie di nuovi arresti, e complessivamente la
spirale repressiva nel paese basco sembra attorcigliarsi sempre più, prendendo
una dimensione che comincia a diventare, diremmo, di massa. Viene da chiedersi
quanto lo stato spagnolo riuscirà a sostenere una situazione che risulta essere
di repressione brutale di qualsiasi per quanto minima forma di espressione
favorevole alla sinistra abertzale; situazione che rasenterebbe il ridicolo, non
fosse per la sua gravità. Al riguardo ci vengono alla mente le parole di
Pernando Barrena che, denunciando l’arresto di Marije Fullaondo aveva dichiarato
che, malgrado la pesante offensiva subita la sinistra abertzale si trova in una
posizione di “forza” e può contare su “più di 200.000 portavoce politici”
disposti a continuare il lavoro politico attuato fin’ora.
Ebbene, la magistratura e il potere politico spagnoli, gli stessi che sostengono
che –nonostante la ripresa della sua attività armata- ETA è agli sgoccioli, si
spingeranno fino a dichiarare –in pratica – 200.000 persone “appartenenti a ETA”?…
L’emergenza come regola
Il risultato di tutto questo è che la sinistra abertzale si trova al
momento a dover far fronte a una situazione repressiva di portata storica. Del
resto la storia del Movimento di Liberazione basco è caratterizzata, dalla
“caduta” del franchismo in poi, da un andamento che vede fasi di lotta che
culminano con la discussione fra le parti di una proposta di soluzione politica
del conflitto; la quale proposta viene puntualmente stroncata dagli occupanti
col dispiegamento della repressione.
Gli stati occupanti, spagnolo e francese, con alle spalle la nuova legislazione
“antiterrorismo” europea ormai pienamente operativa, hanno deciso, ancora, che è
il momento di tentare la chiusura del Movimento indipendentista, e stanno
mettendo in campo tutti gli strumenti a loro disposizione.
D’altra parte, anche la sinistra indipendentista non è nuova a questi attacchi,
e ha lavorato, anche con l’ultima proposta di soluzione politica, in maniera da
determinare una sensibile crescita del consenso rispetto alla richiesta di
vedere garantito il diritto all’autodeterminazione; se con gli scorsi cicli di
lotta il consenso di cui questa sinistra godeva è complessivamente aumentato,
con la chiusura di quest’ultima fase di trattativa questa richiesta risulta
maggioritaria fra la popolazione basca; con il coinvolgimento di numerosi e
variegati settori sociali nelle attività per veder garantito questo diritto.
Già nelle precedenti fasi di repressione vissute nel Paese Basco gli stati, pur
assestando colpi pesanti e di difficile assorbimento per la controparte basca,
non erano mai riusciti ad azzerare le realtà indipendentiste, che volta per
volta hanno saputo ricostruirsi con più forza e radicarsi nel tessuto sociale.
L’operazione che gli apparati della repressione dovranno tentare per azzerare il
Movimento indipendentista, e mettere in campo dei meccanismi terroristici che
dissuadano la popolazione dal reclamare il proprio diritto alla decisione,
dovrebbe, per essere efficace, stabilizzare uno stato di apartheid politico
molto pronunciato e generalizzato nella società basca; e non sono poche per la
sinistra abertzale le possibilità di buttare della sabbia negli ingranaggi…
Così come la sentenza del processo 18/98, anche la situazione generale in cui
versa il diritto di espressione e autoorganizzazione nel Paese Basco rappresenta
un banco di prova su scala europea. Nel territorio attualmente più militarizzato
dell’Europa occidentale, vediamo come la Fortezza Europa è in grado di
rispondere a chi mette seriamente in discussione dall’interno il suo assetto
politico e territoriale.
“Fino alla data di oggi” – scrivono i compagni baschi di Askapena – “l’analisi
che si faceva di quel che stava succedendo era la seguente: in Spagna si sta
violentando la separazione dei poteri, la giustizia agisce su spinta politica ed
è questo potere quello che prende decisioni che poi il potere giudiziario si
incarica di rivestire con apparenze giuridiche… Dopo la detenzione di massa di
tutta la dirigenza di Batasuna, la brutale sentenza del 18/98, la ripresa dei
processi illegalizzatori, ecc, sta prendendo corpo un’altra teoria abbastanza
più scandalosa: non si tratta di un esercizio adulterato della giustizia, ma di
una giustizia incorporata nella guerra come uno dei fronti della stessa: la
persecuzione giudiziaria. Vale a dire, non si tratta di una manipolazione della
giustizia ma di uno stato d’eccezione.”
Quel che risulterà da questa fase della lotta politica in Euskal Herria, ci
mostrerà bene qual è il livello repressivo e gli strumenti di regime che le
moderne democrazie sono disposte a utilizzare ovunque il dissenso sul proprio
fronte interno assuma proporzioni di massa; quali gli strumenti giuridici che
possono arrivare ad attivare. E la capacità di tenuta e sviluppo che ci
auguriamo il Movimento basco saprà mettere in campo potrà fornire utili
indicazioni per chi resiste all’attacco alle libertà fondamentali sul fronte
interno dell’UE.