SENZA CENSURA N.25
marzo 2008
editoriale
Elezioni, riformismo e dintorni
Il governo Prodi è caduto. Lungi dal volersi cimentare anche noi nel
paludoso dibattito pre elettorale, ne vogliamo approfittare unicamente per fare
alcune riflessioni di carattere più generale e cercare così di contribuire, come
sempre abbiamo cercato di fare da queste pagine, allo sviluppo di un punto di
vista di classe sulla situazione attuale.
Forse l’unico aspetto positivo emerso dall’esperienza del governo Prodi è l’aver
evidenziato con drammatica chiarezza quali nefasti risultati può generare la
scelta di misurarsi in modo compatibile col riformismo, coltivando l’illusione
di poter scendere, anche se magari in maniera conflittuale, sul suo terreno.
Cofferati sindaco e Rifondazione
Comunista al governo
Questo slogan potrebbe ben sintetizzare il bilancio sul piano politico
dell’intero ciclo di mobilitazioni sviluppatesi gli anni scorsi con la parola
d’ordine “per un altro mondo possibile” e che ha visto una buona fetta del ceto
politico di movimento impegnato a legittimare quelle componenti riformiste
istituzionali che proprio su quel movimento avevano investito per ridarsi una
rappresentatività “di massa” da usare poi come merce di scambio per le proprie
strategie di governo. (Tra parentesi, oltre ad essergli riuscito il giochetto,
sono pure riusciti a cooptarsi qualche quadro “politico” di movimento…).
Invece che tentare di individuare le forme e i modi per sviluppare in avanti
quanto di positivo quel movimento ha saputo evidenziare (sia in termini di
contenuti che in termini di partecipazione diretta), abbiamo assistito per lungo
tempo unicamente agli squallidi mercanteggiamenti tra politicanti all’interno
dei vari Social forum. In questo modo si è riusciti a consumare buona parte
dell’energia accumulata in precedenza.
Intanto, chi ha scelto di rimanere fuori da queste dinamiche o ha cercato in
questi anni, pur tra mille difficoltà e contraddizioni, di mettere in
discussione queste strategie scellerate, ha subito di continuo e non a caso le
attenzioni e gli attacchi della repressione. Del resto, le sentenze di primo
grado a Firenze, a Genova, a Napoli-Cosenza, cioé contro quei momenti che hanno
rappresentato e catalizzato l'opposizione politico-sociale, dimostrano che il
conto l'hanno presentato ed è piuttosto pesante.
Questo evidentemente è stato l’altro risultato politico di quelle scelte
opportuniste, l’altra faccia della stessa medaglia…
Ma anche per loro, e nonostante tutto, pare che ora i nodi siano venuti al
pettine e tutta l’area della cosiddetta sinistra “radicale” è costretta suo
malgrado a misurarsi con le accelerazioni di questa nuova fase politica.
Il Partito Democratico ha assunto con decisione la direzione dell’area
riformista, rompendo la logica delle coalizioni e imponendo senza mezzi termini
la scelta strategica del bipolarismo di governo. Una scelta di comando, coerente
con quanto da anni dimostrato nella propria pratica politica antipopolare ed
imperialista.
E a sinistra è il panico. Da chi si vende anche gli ultimi simboli per tentare
di stare a galla improvvisando fantomatiche formazioni unitarie, a chi si trova
definitivamente di fronte al baratro e, persa ogni reale rappresentatività di
classe, tenta disperatamente di accaparrarsi nuovamente spazi di legittimità
all’interno di ciò che resta del cosiddetto movimento.
Insomma, sembra si stia determinando un paradosso: ora che il quadro riformista
è di fronte ad una totale ed evidente incapacità di darsi come riferimento
politico per la classe, ora che si misura definitivamente con quella crisi di
rappresentatività propria della distruzione delle forme organizzative e sociali
che ha contraddistinto la storia del movimento di classe in Italia, si corre il
rischio che questo quadro riesca a rimettersi in gioco ancora una volta, sia sul
piano politico che su quello elettorale, attraverso improbabili operazioni di
cartello con settori interni alle stesse dinamiche di movimento.
Stiamo infatti assistendo da qualche tempo a questa parte a “strane manovre”
all’interno del ceto politico della cosiddetta “sinistra di classe”. Operazioni
che puzzano di scelte elettoraliste e che a nostro avviso possono mascherare
un’unica prospettiva, possibile oggi attraverso questi giochetti: quella di
proporsi per occupare uno spazio di controllo, a sinistra del quadro
istituzionale, lasciato attualmente libero da altri nel progressivo spostamento
a destra del quadro politico istituzionale. La gravità di questa strategia
consiste nel non considerare (o calcolando colpevolmente) che tenere agganciata
l’esperienza dell’opposizione e dell’antagonismo politico alle dinamiche della
rappresentanza borghese, lungi dal garantire spazi reali di opposizione
politica, oggi può essere unicamente funzionale al mantenimento e alla
legittimazione di questo sistema di comando.
Siamo convinti che al movimento non serve appoggiarsi a quadri riformisti o
istituzionali, e la storia stessa ci ha dimostrato come queste “collaborazioni”
sono sempre state capitalizzate unicamente a livello istituzionale (come appunto
la citata esperienza dei Social Forum).
E diverse recenti esperienze stanno iniziando a dimostrare che quando questi
avvoltoi non vengono cercati, il loro ruolo finisce. Perché non rappresentano
niente!
Un altro aspetto ci preme evidenziare. Queste alleanze, queste operazioni di
“cartello” che si sviluppano unicamente attorno a questa prospettiva, non
possono produrre alcuna reale e proficua “cooperazione” nel campo antagonista.
Questo perché non vanno in una reale direzione di “crescita” o di sviluppo
dell’esperienza di classe ma vengono messe in piedi unicamente in funzione
strumentale, per il proprio specifico tornaconto, per la propria specifica
sopravvivenza. Ancora una volta, dunque, mosse da una deleteria logica
gruppettara.
Anzi, peggio, a volte sono le stesse dinamiche di classe che vengono usate
strumentalmente anche dalle stesse soggettività politiche di movimento per
definire il proprio peso politico, la propria “rappresentatività” all’interno di
queste alleanze, attuali o future.
Ma torniamo a alle grandi manovre. Magari qualcuno riuscirà pure a garantirsi
una poltrona “sicura”, anche se ne dubitiamo; ci sembra però che la fetta di
torta da spartirsi sia comunque troppo piccola perché tutti riescano a
capitalizzare qualcosa. Con il progressivo e naturale restringimento dei margini
di mediazione politica e sociale, questi sforzi a nostro avviso sono destinati a
produrre sempre meno risultati anche dentro ad una logica beceramente
opportunista. Chi si assume questo ruolo è destinato a contare sempre meno: da
un lato perché sempre minori sono gli spazi di manovra lasciati da un sistema in
crescente fase di esecutivizzazione; dall’altro perché sempre meno credibile è
la prospettiva che può concretamente proporre all’interno della classe.
Con l’inasprirsi della crisi economica e delle condizioni di vita reali, non è
più sufficiente lanciare appelli e occupare le vetrine televisive e mediatiche;
comincia ad essere necessaria la sostanza. Non servono più mostrine da portare
al petto ma una reale credibilità ed estraneità alle logiche degli “inciuci”.
E questo lavoro a nostro avviso può passare unicamente attraverso la
sperimentazione di piani di cooperazione concreti, anche fuori dalle dinamiche
di “movimento” o dalle logiche formali della rappresentazione politica, che
sappiano trovare nessi “orizzontali” con le forme di resistenza che la classe
esprime autonomamente.
Sono fin troppe le sigle che si propongono attualmente come portatrici di una
“reale rappresentanza politica di classe”. Bisogna uscire da queste logiche,
valorizzando innanzitutto gli sforzi di muoversi sulle cose in positivo, per il
loro sviluppo, non su un piano resistenziale di mantenimento.
Certo, questo lavoro non è per nulla semplice e la quotidiana e costante
sensazione di accerchiamento, a volte anche drammaticamente concreta, che noi
tutti proviamo non semplifica le cose.
Ma crediamo che le possibilità non siano poche!
La legittimità del sistema è sempre più scarsa e le contraddizioni sempre più
grandi.
Si sta iniziando a percepire un protagonismo giovanile frutto di un cambio
generazionale che, assieme alla crescente seconda generazione di immigrati, è
costretto a misurarsi con la totale assenza di prospettive e di garanzie dal
punto di vista economico, lavorativo e sociale. E che ovviamente tende a non
dare alcuna credibilità alle chimere del riformismo e alle “manovre” dei
politicanti, dentro e fuori dalle istituzioni.
E’ fondamentale provare a misurarsi su questo, ad investire sulle dinamiche
reali!
Nel proprio percorso, nei propri tentativi, il movimento deve riuscire ad
affermare e valorizzare una grande autonomia di pensiero, altra e antagonista al
sistema, alle sue regole e ai suoi controllori.
Se non viene sancita la totale autonomia da questo quadro e da questa
prospettiva, si rischia di sprecare l’impegno politico di tanti contribuendo
unicamente a raccogliere deleghe in bianco che altri faranno valere sul tavolo
dei potenti, sulla pelle nostra e di tutti gli sfruttati.
E questo sforzo oggi può essere fatto soprattutto partendo da esperienze che si
sviluppano sul piano “locale”, in modo concreto, senza cioé farsi condizionare
dall’ansia di rappresentare da subito qualcosa che possa occupare un posto nel
circo mediatico.
Un piano locale, non “localistico”. Come diceva qualcuno…: agire localmente,
pensare globalmente!
Secondo noi è questo oggi il compito e l’obiettivo primario su cui deve
misurarsi ogni militante politico. Un impegno a cui noi, come Redazione di Senza
Censura, cerchiamo con il nostro lavoro collettivo di dare un contributo.