SENZA CENSURA N.24
novembre 2007
Storie bolognesi
Episodi di “ordinaria repressione” e di delirio massmediatico
Comunicato sulle perquisizioni a Bologna
del 31 maggio 2007
Nella stessa città in cui il prode questore Birillo (ops! Cirillo,
scusate), in una brillante azione degna di encomio, insieme a due suoi degni
compari armati di tutto punto riesce coraggiosamente ad arrestare in un bar due
donne romene incinte di sette mesi per il furto di un portafoglio…
…alle sette del mattino del 31 maggio la digos si è presentata alla porta di 12
case e alla sede del Centro di Documentazione Fuoriluogo per effettuare
perquisizioni. Il provvedimento, firmato dal solito pm della procura bolognese
Paolo Giovagnoli, parla di otto indagati per i reati di apologia del delitto di
attentato per finalità terroristiche ed eversive dell’ordine democratico (art.
414 co.3 e 4 in relazione all’art. 280 co.4) e per associazione sovversiva (art.
270 bis), gli altri mandati invece si riferiscono a “persone informate sui
fatti”. In due casi le perquisizioni sono state condotte con l’ausilio di unità
cinofile.
L’episodio incriminato si riferisce alla distribuzione di un opuscolo contro la
legge 30, detta Biagi, in occasione di una conferenza pubblica che aveva come
titolo niente di meno che “La dignità del lavoro”. Che squallide facce di
bronzo!
Ricordiamo che, come riferiva in quei giorni di marzo il quotidiano locale, il
tutto era avvenuto a volto scoperto e anche con qualche parola di spiegazione ai
presenti sull’opuscolo distribuito che, tra l’altro, era stato pubblicato quasi
cinque anni prima. Stanno davvero grattando il fondo del barile: associazione
sovversiva per la critica di una legge che ha ridotto allo stremo i lavoratori e
del suo ideatore per le responsabilità che gli competono nell’aggravamento delle
condizioni di sfruttamento. Basterebbe farsi un giro in una qualunque fabbrica,
ufficio, ospedale dove insomma qualcuno sperimenta sulla propria pelle la
concretizzazione di quelle sue perspicaci idee, per sapere con che affetto lo
ricordano questi lavoratori.
La perquisizione al Centro di Documentazione Fuoriluogo è iniziata in assenza
dei compagni interessati grazie al sequestro delle chiavi in una delle case. Chi
non era schedato è stato portato in questura e alcuni compagni non indagati
hanno dovuto subire un interrogatorio come “persone informate sui fatti”. Hanno
sequestrato l’opuscolo “incriminato” a chi l’aveva e tutto quello che capitava
sotto mano, ovviamente senza alcun collegamento con il mandato, a seconda delle
preferenze dei digos distribuiti fra le varie case, oltre alla roba di altri
conviventi dei perquisiti con la solita indiscriminata arroganza autoritaria di
questi servi sadici e stolti. L’esito, secondo loro positivo, è dovuto al
ritrovamento di ben quattro bulloni, due petardini e tanti volantini, insieme ai
soliti computer che spariscono ogni due o tre mesi nei loro uffici per
ritornare, quando va bene, dopo anni. Le chiavi del Centro non sono state
restituite, quindi rimangono nelle mani degli sbirri.
Nessuno è stato trattenuto.
Continua l’atmosfera da ventennio fascista con la messa sotto accusa di
“terrorismo” di ogni manifestazione di pensiero anche minimamente, ironicamente,
sommessamente e a volte niente più che dissidente. Solo per riportare qualche
esempio recente, un compagno è stato perquisito per imbrattamento con successivo
sequestro dell’auto e del computer, una compagna è stata rincorsa e minacciata
dalla polizia, e salvata solo dalla presenza di altre donne, perché stava
cancellando l’originale maschio epiteto “puttana” da una scritta sul muro. Pochi
mesi fa sono stati incarcerati dei compagni perché avevano espresso solidarietà
verso alcuni arrestati.. Tra poco bisognerà aspettarsi che uno che sta leggendo
un libro sulle bierre o sugli anarchici alla fermata dell’autobus possa venire
preso e condotto in carcere per apologia di reato.
Ma tutto questo succede perché all’avanzare della repressione corrisponde un
aumento tale della paura da far arretrare la lotta fino ai limiti del
soffocamento. Se è vero che i rapporti di forza ci sono avversi, è anche vero
che il terrore non può abbassare così tanto il volume delle nostre parole e
delle nostre azioni da ridurci al silenzio totale.
I fuoriluogo
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La disfatta di un idiota
Il tribunale del riesame del 13 giugno 2007 ha accolto le richieste di
annullamento dei decreti di perquisizione per i compagni del Fuoriluogo del 31
maggio. Le motivazioni della sentenza, arrivate il 25 giugno, entrano nel merito
anche delle accuse di apologia di attentato terroristico e di associazione
sovversiva e smontano tutto l’apparato accusatorio dicendo che non ci sono
elementi che lo supportino.
Il Pm alla ricerca ossessiva di fama, Paolo Giovagnoli, ha chiesto il
trasferimento.
I fuoriluogo
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Ecco il testo del volantino “Apologia” distribuito il 7 giugno in occasione
di un aperitivo itinerante in città, con un carrello della spesa adibito a
“Osteria dai terroristi”, costato altre denunce per manifestazione non
autorizzata e ancora apologia e l’accerchiamento con carabinieri in tenuta anti
sommossa che, in quella occasione, sembravano più increduli di noi e dei
passanti solidali per l’esagerazione delle forze messe in campo.
APOLOGIA
ovvero Storia di un opuscolo considerato sovversivo
Niente di nuovo né di francamente originale oggidì a Bologna.
Perquisizioni, sequestri, lunghe attese fuori dalla questura. Sono otto gli
indagati. I rei presunti avrebbero distribuito un opuscolo esplicativo sulla
legge 30 (non diremo il nome del martire per rispetto alla sua memoria). E
l’avrebbero fatto nello scorso marzo durante una conferenza sulla “dignità del
lavoro”, in occasione dell’anniversario della morte dell’innominato.
Nell’opuscolo il verbo criminoso, sul quale si costruisce l’intero impianto di
accusa in quanto avrebbe offeso l’ordine, lo stato e il suo potente apparato di
difesa, è PAGARE.
Certamente la pubblica opinione rimarrà quanto meno comprensibilmente attonita
domandandosi, a ragione, come possa una seppur in genere sgradevole parola
diventare sovversiva. PAGARE è un verbo fin troppo patito dalla gente; di solito
rimanda immediatamente alle quotidiane tribolazioni fin troppo ignorate, al
contrario, dai magnanimi tutori del comune benessere. A PAGARE sono coloro che
ingrassano le agenzie di lavoro temporaneo e che per sopravvivere devono
accettare a denti stretti disumane condizioni lavorative; sono i 1.352 morti
all’anno sul lavoro e le centinaia di migliaia di infortunati.
Il nuovo modello di sfruttamento beneficia dell’inattaccabilità che gli deriva
dal fatto che ogni parola critica viene direttamente considerata un insulto al
suo ideatore, un gesto “terroristico”, e che consente di evitare qualunque
discorso sulle responsabilità di una legge che affligge migliaia di lavoratori.
Sollevarsi contro le rinnovate ingiustizie del nostro caro e insostituibile
sistema assume così una diversa pregnanza, significa diventare “terroristi”,
essere additati come sedicenti mostri sanguinari, anche quando le armi in
questione sono evidentemente il nero di una pagina bianca. L’inchiostro che
denuncia le ovvie verità dà fastidio, nessuno dovrebbe uscire dai binari
costruiti per trasportare i corpi nell’unica direzione concessa dagli esseri
superiori: che nessuno alzi la testa per guardare oltre l’orizzonte di questa
deprimente realtà!
Viviamo in una grande democrazia dove la libertà di parola è sancita dalla Santa
Costituzione, ma si tratta della libertà di dire e pensare tutti la stessa cosa.
Nessuna critica è possibile, bisogna continuare a lavorare, muoversi, andare,
camminare; fermarsi è illecito, è illegale, è pericoloso, occorre allinearsi,
stare in riga.
È così che le verità più evidenti diventano bestemmie, è così che il buon senso
diventa oggetto del ridicolo, perché troppo fuori dal pensiero comune,
differenziato per quel minimo che può farci credere di aver scelto.
Il rifiuto diventa crimine, la parola diventa un pericolo da scongiurare,
reprimere prima che riesca nell’intento di riattivare il pensiero; intento quasi
utopistico visto il condizionato piattume delle odierne menti. L’imperativo è
distruggere qualsiasi forma di dissenso, attraverso il controllo, la minaccia,
la calunnia, la smania di notorietà di magistrati, di sbirri sceriffi che usano
il loro sporco distintivo per violentare i pochi umani che cercano ancora di
resistere all’omologazione. Nondimeno i giornalisti, i precari dell’informazione
che infamano per un pugno di euro e per una carriera che al massimo li vedrà
collaboratori di venditori di cartastraccia e pubblicità. Essi pendono dalle
labbra degli inquisitori, assecondano le menzogne dei tribuni, giocano con le
vite altrui senza farsi nessuno scrupolo, sono avvoltoi in attesa di carne
fresca da beccare. Impongono un linguaggio misero, fatto di poche e ripetute
“certezze”: anarchici = terroristi = attentati.
I cubitali titoli incutono il giusto terrore, il resto passa in secondo piano.
Lo stato cerca in tutti i modi di mozzare le teste di chi crede che l’uomo non
sia una merce, una risorsa da sfruttare, un mezzo per far girare l’economia
multinazionale.
E poco importa se per farlo dovrà far passare una lista delle agenzie di lavoro
temporaneo, trovata durante una delle accurate perquisizioni, per una
schiacciante prova di passati o futuri attentati, ignorando completamente che
chiunque voglia trovare lavoro a Bologna, come altrove, deve inevitabilmente
rivolgersi al racket dello sfruttamento temporaneo. E poco importa se per farlo
dovrà far passare come un’arma letale un’artigianale fionda sequestrata
anch’essa insieme agli altri “pericolosi esplosivi”: colla, puntine da disegno,
volantini, opuscoli, manoscritti, computer.
A quanto dice il saggio procuratore Di Nicola, in un impeto di lucidità, la
società attuale è ormai agonizzante - ma non sarebbe quella democrazia così
superiore da dover essere esportata anche a suon di bombe? - e quindi «un trauma
leggero può essere pericoloso per un organismo debilitato». Dovevano pur trovare
un modo per giustificare tanto clamore sul nulla!
Augurandoci di poter danzare sui fumanti resti di questo organismo malato prima
che ci uccida tutti,
I Fuoriluogo ringraziano per l’attenzione.
Bologna 31/05/2007
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Anarchici: i fantasmi di un magistrato
bolognese
Prive di fondamento - secondo il Tribunale del Riesame di Bologna - le
ipotesi di apologia di attentato terroristico e associazione sovversiva per gli
anarchici del Centro di Documentazione bolognese Fuoriluogo, che subirono
quattordici perquisizioni familiari il 31 maggio scorso.
Per l’ennesima volta si rivelano infondate le costruzioni accusatorie di Paolo
Giovagnoli, pm della procura bolognese, ossessionato dall’idea di vivere in una
città sull’orlo dell’insurrezione.
Questa volta è stato il Tribunale del Riesame, presieduto dal giudice Sergio
Cornia, a smontare le accuse rivolte da Giovagnoli a otto attivisti del Centro,
ordinando il dissequestro di tutto il materiale sequestrato.
Gli otto anarchici distribuirono all’entrata di un convegno tenutosi alla
Facoltà di Economia il 21 marzo scorso un opuscolo intitolato “La classe operaia
va all’inferno” all’interno del quale la frase “certe responsabilità prima o poi
si pagano”, riferita al giuslavorista Marco Biagi, ucciso dalle Brigate rosse,
avrebbe delineato, secondo l’accusa, i reati di apologia di attentato per
finalità terroristiche o di eversione, nonché di associazione sovversiva.
Una vera caccia alle streghe o, nella migliore delle ipotesi, la persecuzione di
un mero reato di opinione incompatibile con uno stato di diritto.
Distribuire quell’opuscolo, che il Riesame definisce “ironico... e privo di
espressioni particolarmente radicali” sarebbe stata sì una condotta “gravemente
provocatoria e offensiva della sensibilità dei partecipanti”, ed in particolare
nei confronti di Marina Orlandi, vedova Biagi, ma rivolta ad un pubblico del
tutto “refrattario a raccogliere stimoli a delinquere”.
In altre parole, non c’è fondamento per le ipotesi di reato formulate da
Giovagnoli.
Mer, 25/07/2007 – 09:06
[fonte http://vinc3nt.noblogs.org]