SENZA CENSURA N.24

novembre 2007

 

EUSKAL HERRIA: QUESTIONE DI MUSCOLI
La repressione brutale non porterà alla pacificazione

 

di Julen Arzuaga, Giza Eskubideen (Behatokia)
 

Prima dell’estate sono terminati definitivamente i negoziati sul futuro del conflitto basco. La metodologia adottata prevedeva due tavoli di dibattito politico, un primo tra l’organizzazione ETA ed il Governo spagnolo per affrontare la questione del conflitto armato, ed un secondo tra i partiti Batasuna, PNV e PSE, per risolvere le problematiche politiche del conflitto, i nodi gordiani delle quali sono il riconoscimento del territorio basco al sud dei Pirenei e come questo possa esercitare il diritto a decidere sul proprio futuro.
E’ difficile capire con quanto interesse il Governo spagnolo si sia realmente impegnato per la risoluzione di questo conflitto storico e cosa fosse disposto a concedere nell’ambito dei negoziati. Stando alle sue dichiarazioni, molto poco, dato che ha negato ogni progresso sia in termini politici – Zapatero ha dichiarato: “la pace non avrà un prezzo politico”- che in termini di disattivazione della violenza statale – si ricordi il video del PSOE nel quale si mettevano sul tavolo i passi fatti dal PP nel processo del 1998, confrontati ora con l’immobilismo del PSOE. Probabilmente non si sono resi conto del fatto che ci sono due ritmi politici diversi, quello della società basca e quello della società spagnola. Le dichiarazioni funzionali a Madrid, all’elettorato extremeño o andaluso non vengono comprese dalla società basca, e viceversa. Forse ci si sarebbe dovuti accorgere già da tempo che è più facile convincere l’opinione pubblica spagnola del fatto che i baschi hanno dei diritti storici e che sarebbe positivo che questi venissero riconosciuti, piuttosto che convincere noi baschi del fatto che non abbiamo tali diritti. Un politico irlandese ci parlava dell’importanza della pedagogia in un processo risolutorio, spiegando bene alla propria “comunità” le decisioni che vengono prese, condividendo con la propria gente, militanza e simpatizzanti, i movimenti e i cambiamenti all’interno di un tale processo. Credo che oltre alla mancanza di volontà, si deve motivare il fallimento del PSOE nel portare avanti questo processo anche con l’incapacità di spiegare bene perché la risoluzione del conflitto sia preferibile al ritorno ai parametri di guerra. In ogni caso, il PSOE – con la collaborazione del PNV - ha abbandonato il tavolo dei negoziati.
Così, anche se sembra evidente che il motivo del disaccordo e della rottura dei negoziati siano questioni di ordine politico, divergenze sui contenuti, la forma ha avuto molta importanza: durante il processo una delle parti non si è disattivata neanche per un secondo e ha mantenuto una costante pressione contro l’altra.
Così come il movimento basco antirepressivo e pro-amnistia ha verificato e denunciato fin dal primo momento, non era concepibile la conclusione di un processo risolutivo quando una delle parti non indietreggiava di un solo millimetro nella sua azione violenta, in questo caso la repressione: perseverando nel considerare illegali gli stessi partiti con i quali negoziava; rendendo impossibile a un grande vettore sociale di presentarsi alle elezioni o esercitare il diritto di voto; imponendo la sospensione delle attività ai movimenti politici e sociali baschi e perseverando nei processi contro i loro attivisti pubblici; mantenendo una continua presenza di personale militare –esercito e Guardia Civile- nelle vie e nelle strade basche, in quello che rappresenta il territorio più militarizzato dell’intera Europa occidentale; esercitando una crescente pressione contro il collettivo dei detenuti politici con misure vecchie – dispersione nelle carceri di tutto il territorio dello stato spagnolo, compimento integrale delle pene fino ai 40 anni, impossibilità di scarcerazione per i detenuti malati - e con l’elaborazione di misure nuove - la nota dottrina Parot che nega l’esercizio del diritto alla libertà dopo aver scontato la condanna, o la fabbricazione di nuove accuse come nel caso di Iñaki de Juana - … . In definitiva, lo stato non è mai stato in tregua e così come ha denunciato questo movimento antirepressivo, oggi nell’occhio del ciclone, lo Stato spagnolo non ha voluto creare le condizioni minime, le radici democratiche basiche, per affrontare un processo di superamento di ogni violenza e di risoluzione politica.
Così, dopo l’estate si sono moltiplicate le dinamiche previste, e si è giunti a una brutale attività repressiva. Coloro che prima erano riconosciuti come negoziatori ora vengono messi in galera.
Il governo spagnolo torna nel suo vecchio castello, per esibire le sue obsolete armi: quelle politiche – la Costituzione spagnola, camicia di forza della legalità spagnola- e quelle repressive – Garzón dall’Audiencia Nacional (tribunale speciale “antiterrorismo”, NdR), l’isolamento, il sistema penitenziario spagnolo….
La prima mossa, immediatamente dopo il fallimento del processo dei negoziati, è stata la detenzione e l’incarcerazione del portavoce di Batasuna e referente dei negoziati per la parte indipendentista Arnaldo Otegi. Il delitto che ha commesso consiste nell’aver elogiato in un omaggio nella sua città natale il contributo dello scomparso, storico membro dell’ETA, Miguel Angel Beñaran “Argala”. Argala si era contraddistinto nella battaglia antifranchista per la famosa azione contro il successore di Franco, l’Ammiraglio Carrero Blanco, ma il fatto di sottolineare il suo apporto, che in un altro paese sarebbe stato considerato come onorare un membro della resistenza antidittatoriale, nello Stato spagnolo, e in particolare in queste circostanze è un delitto di apologia.
Con l’arresto di Juan Mari Olano dopo una manifestazione brutalmente attaccata dalla brigata mobile della Policía Autonómica Basca il 9 settembre, causando dozzine di feriti in una giornata di festa, si è dato il via libera definitivo a questa nuova strategia. L’accusa non si basava sugli incidenti, e neanche sulla supposta illegalità della manifestazione: il delitto segnalato da Garzón consiste in “reiterazione delittuosa” per la continuazione delle attività come portavoce dell’organismo pro Amnistía Askatasuna. Bisogna ricordare che Olano è stato assieme ad altri 13 membri pubblici di questa associazione in custodia cautelare per quattro anni, senza che, ad oggi, si sia arrivati al giudizio. Bisogna ricordare che la sua attività, anche se senz’altro molesta per il governo, si risolve nella denuncia della repressione e dell’impunità con cui il governo la porta avanti. Bisogna ricordare – è interessante ricordarlo - che il giudice dell’Audiencia Nacional Baltasar Garzón, occupato nell’investigazione di questi casi, si è dimenticato di prolungare la sospensione delle attività di questo organismo dal febbraio 2007, per cui oggi come oggi si può considerare che tale divieto è sollevato, per negligenza del giudice responsabile. Bisogna ricordare, infine, che il giudizio per organizzazione terrorista, nell’ambito del quale si circoscrivono questo ed un’altra dozzina di organismi, non è stato segnalato e, al contrario, si susseguono le operazioni di polizia contro di essi ed i procedimenti processuali, sempre segreti.
Come dicevamo, dopo la detenzione di Juan Mari Olano si è aperta la caccia al militante independentista. Qualche settimana dopo ci sono stati gli arresti di Ohiana Agirre della stessa organizzazione antirepressiva Askatasuna e Joseba Alvarez, particolarmente conosciuto in Italia per le innumerevoli visite e conferenze a cui ha potuto partecipare, come responsabile dei rapporti internazionali di Batasuna.
Precisamente, alla radice di questa detenzione si trova l’operazione contro i membri della Direzione Collegiale Nazionale di Batasuna, unicamente ed esclusivamente per la loro attività politica. Sui mezzi di comunicazione internazionali si parla di “operazione di vendetta”. Il giorno 4 di Ottobre sono state arrestate 23 persone in una riunione che si stava celebrando in una piccola località della Gipuzkoa, e 17 di queste sono state portate in prigione. Le accuse sono quelle di appartenenza a organizzazione armata in alcuni casi, e in altri, come per Juan Mari Olano, di “reiterazione di attività terroristiche”.
La situazione del diritto alla libertà di espressione e di opinione in questo paese è ai minimi storici, inchiodata da un discorso osceno di “lotta antiterrorista”. Dopo il processo aperto con la detenzione della precedente Mesa Nacional nell’anno 1997 e con inusitata belligeranza aldilà della linea tracciata dal giudice responsabile di questa operazione a partire dal 1998, si apre la caccia, con le chiusure di mezzi di comunicazione e partiti, le sospensioni di attività politiche, sociali, culturali. E con la violazione dei principi processuali, con la legalità o l’illegalità con cui vengono compiute queste operazioni di polizia, al di fuori di presunti “fondamenti di diritto”, ciò che rimane è una pesante politica di persecuzione delle idee. Ed anche se si continua a utilizzare la polizia ed il sistema giuridico per la vendetta e come valvola di sfogo davanti alle congiunture politiche, voglio sottolineare che questa azione repressiva viene notata dagli osservatori internazionali e dai meccanismi e strumenti per i diritti umani.
Vari osservatori internazionali si sono avvicinati a Euskal Herria per valutare di prima mano la situazione attuale, dopo il fallimento dei negoziati. Giova sapere che il Relatore Speciale per la Libertà di Espressione delle Nazioni Unite, dopo aver raccolto l’ingente mole di informazioni accumulata riguardo a questa dinamica di violazione sviluppatasi nello Stato spagnolo, ha deciso di occuparsi della faccenda e ha richiesto nel 2005 il permesso alle autorità spagnole per realizzare una visita e conoscere “in situ” la realtà. Il governo, in una decisione senza precedenti nell’ambito diplomatico di riferimento risponde, alla massima istituzione per la tutela della Libertà di espressione del sistema delle Nazioni Unite, di no, che gli nega l’accesso in territorio spagnolo. Gli effetti di questa decisione, denunciati dallo stesso Relatore in un’informativa rimessa alla Commisione per i Diritti Umani, sono gravissimi. Lo Stato spagnolo delegittima le stesse Nazioni Unite e mostra al mondo ciò che pretende nascondere: che è responsabile di una situazione asfissiante di restrizione delle libertà pubbliche. Anche al Relatore, il Sr. Ambeyi Ligabo, vietandogli l’ingresso per valutare la situazione della libertà di espressione nello Stato spagnolo, è stata messa una museruola, così come a parte della società di Euskal Herria.
Bisogna menzionare, senza dubbio, il fatto che la situazione repressiva non deve farci disperdere le forze, anche se è necessario rispondere, probabilmente con maggiore indignazione e vigore che mai per la gravità del momento politico, in cui la maggioranza della società basca esige un cambiamento nella maniera di fare politica. Bisogna dosare bene le energie e non cadere in una mera attività di resistenza, di continua risposta antirepressiva, dimenticando l’obiettivo della lotta. E’ in gioco l’articolazione di questo paese, l’evitare la chiusura del dibattito con pseudo soluzioni – accordi di competenza, patti di governo… tra il PNV ed il PSOE - che farebbero solo slittare il rimedio definitivo. Anche se queste misure possono avere un respiro elettorale, di fronte alla vicinanza delle elezioni statali e alla sicurezza da parte del PSOE del fatto che il colpire il movimento independentista basco gli garantisce benefici davanti all’opinione pubblica spagnola, si tratta di un’operazione con aspirazioni maggiori: il Governo del PSOE sta effettuando un rimodellamento statutario senza scalfire sostanzialmente la struttura dello Stato; c’è già riuscito in altre comunità e doveva provare anche in Euskal Herria. E’ questo ciò a cui puntano quando si riferiscono alla Costituzione ed alla legalità spagnola, cancellando in un colpo solo le rivendicazioni della società basca riguardo all’esercizio del diritto all’autodeterminazione.
Ma sembra che l’ascia di guerra non sia mai stata davvero sotterrata in terra basca. L’arresto di cittadini e cittadine basche riunite con carta e penna e la volontà di invertire la deriva della situazione politica attuale ha mostrato la linea a cui pensa il governo per il futuro. Non credo che Zapatero stia facendo un calcolo degli effetti, insospettati, che questa operazione potrà avere sulla società basca e spagnola. perché sta improvvisando. Dimostra di non avere un progetto per Euskal Herria, non sa qual’è il suo progetto per sradicare la tortura, non sa come affrontare la profonda crisi istituzionale che sta fronteggiando lo stato spagnolo. E quando non si sa cosa fare, è più semplice dichiarare guerra e colpire chi davvero rende pubblico un suo progetto e un cammino, divergente, ma espresso con chiarezza.
Differenti espressioni di violenza, differenti attori, differenti responsabilità. E’ sicuro che ETA è tornata in attività. Però, sono le stesse le responsabilità di un’organizzazione clandestina e quelle di un governo che si dice portavoce di uno stato di diritto, con tutti gli impegni presi davanti alla comunità internazionale in materia di diritti umani presuntamente rispettati? Si possono comparare un’attività riconosciutamente illegale e l’azione, di eccezione, di uno stato con tutta la sua capacità giudiziaria, bellica, di polizia? Appare con totale nitidezza uno stato di eccezione non dichiarato dotato di totale impunità per la violazione evidente ed oscena dei diritti civili e politici.
Questa è la situazione che dobbiamo affrontare ora. Lo stato spagnolo torna ad instaurare nel territorio basco un laboratorio repressivo che pretende colpire, o quanto meno assimilare, i progetti di un intero movimento sociale e politico impegnato per un cambiamento politico in chiave progressista, reclamando una vera democrazia. Non ci dimentichiamo, infine, in questi momenti in cui ci fanno vedere i muscoli, di quello strumento di lotta che è la solidarietà internazionale, questa capacità di adottare tra di noi impegni “ad solidum”, in solido. Gli apparati di potere globalizzano la repressione. Noi globalizziamo la protesta. Globalizziamo la speranza. E’ questo il nostro muscolo più potente.



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