SENZA CENSURA N.23
luglio 2007
Dentro le prigioni statunitensi
Intervento di Bonnie Kerness, coordinatrice dell’American Friends Service Committee Prison Watch Project
Come materiale di
chiusura di questa “sguardo” ragionato su isolamento e differenziazione,
pubblichiamo qui di seguito un contributo che abbiamo richiesto a Bonnie Kerness,
coordinatrice dell'American Friends Service Committee Prison Watch Project e da
oltre tre decenni impegnata contro le carceri di massima sicurezza e il sistema
penitenziario nel suo complesso negli Stati Uniti. Il suo intervento ci conferma
ancora una volta, indipendentemente dal contesto geografico (ma, viceversa,
sintetizzando comuni denominatori), finalità e gestione del controllo attraverso
l'applicazione di torture psichiche e fisiche nei confronti dei prigionieri
politici così come dei detenuti in genere. Una gestione studiata nei minimi
particolari, dall'aspetto prettamente architettonico (struttura di celle e
bracci) passando per le nuove tecnologie (docce guidate a distanza,
video-camere, armi) a quello inter-relazionale. Un sistema, ribadiamo, che punta
a modificare, in modo violento, personalità e identità di chi sconta anni di
vita dietro le sbarre e all’annientamento nei confronti di chi, come nel caso
dei prigionieri rivoluzionari, difende strenuamente il proprio percorso politico
militante, passato e presente.
Ci sono oltre 2,2
milioni di detenuti (tra uomini, donne e minorenni) attualmente reclusi nelle
carceri statunitensi. Il sistema carcerario si suddivide tra prigioni federali,
prigioni statali, delle contee, centri di detenzione per minorenni, centri di
detenzione per immigrati e prigioni metropolitane. Nei 2.2 milioni non sono
contemplati i detenuti delle carceri metropolitane. Ci sono poi svariati milioni
di persone poste sotto controllo da parte dello Stato attraverso altre forme e
strumenti giudiziari come ad esempio la libertà sulla parola o la libertà
vigilata.
Le condizioni trattamentali variano. La nostra più grande preoccupazione
riguarda il numero di carceri di massima sicurezza e unità di controllo.
Infatti, il sistema federale delle prigioni così come quello statale e
cittadino, prevedono unità di isolamento all’interno delle loro strutture. La
maggior parte delle denunce di torture provengono, non a caso, dalle unità di
controllo, le quali, nella loro ultima “versione” realizzata sono state definite
“Security Threat Group Management Units” (STGMU)1, e destinate in particolare
alla “gestione” delle “gangs”. Dopo l’11 settembre (2001), il numero delle STGMU
è cresciuto drammaticamente. Con l’etichettatura di “nuovi terroristi”, capita
molto spesso che detenuti islamici siano messi in Control Unit senza alcuna
plausibile motivazione.
Ojore Lutalo2, è stato rilasciato dall’unità di controllo del carcere speciale
presente all’interno del carcere di Trenton (NJ) nel 2002, dopo aver vinto una
causa legale. Nel 2006 è stato rispedito in Control Unit e quando ho chiesto le
motivazioni mi è stato risposto che si trattava di una decisione della Sicurezza
Nazionale3. Ojore si trova dietro le sbarre dal 1982 ed è un prigioniero
politico anarchico New Afrikan. È stato membro del Black Liberation Army negli
anni ‘70. Dopo 25 anni di carcerazione, è difficile per me capire che tipo di
minaccia egli possa rappresentare per il governo degli Stati Uniti.
L’unico modo per uscire da questo “trattamento” è rinunciare alla propria
“gang”4 e, in alcuni casi, al proprio credo religioso. È una forma di
modificazione del comportamento dei detenuti ed è ovvio ritenere che le Control
Unit siano state “disegnate” appositamente per annichilire l’identità delle
persone che le subiscono. Sin dai primi anni ‘90, la costruzione di queste unità
di controllo sono state sovvenzionate dal governo federale. Una volta, un
funzionario del sistema penitenziario mi disse che il suo Stato non aveva alcuna
necessità di un carcere di massima sicurezza ma che il governo stava pagando per
la sua realizzazione per cui non c’era motivo di rifiutare.
Quando Marion5, la prigione federale dell’Illinois venne trasformata in Control
Unit nel 1980, l’allora Direttore Ralph Arons venne chiamato a testimoniare
all’interno di una commissione del Senato. Disse che l’unità di controllo
sarebbe stata d’aiuto per gestire “le attitudini rivoluzionarie presenti
all’interno del carcere e nella società”. Era, quello, un periodo di
significativo scontro sociale e politico in questo Paese.
Molti di noi sono portati a legare lo sviluppo di queste sezioni speciali
all’epoca in cui innumerevoli erano le lotte per i diritti civili, periodo nel
quale molti militanti e attivisti politici conobbero direttamente il sistema
penitenziario statunitense. Forme di deprivazione sensoriale come metodo di
modificazione del comportamento sono state utilizzate contro membri del Black
Panther Party, del movimento indipendentista portoricano, dell’American Indian
Movement, degli antimperialisti bianchi. Negli anni seguenti, abbiamo trovato
“jail house lawyers”6, militanti islamici e membri di gangs molti dei quali
altamente politicizzati. Un numero consistente di questi gruppi ha rappresentato
un reale contropotere rispetto al Sistema all’interno delle carceri. Proprio il
tipo di lotte contro il razzismo, la brutalità, il sovraffollamento e le
generali condizioni di detenzione dietro le sbarre hanno permesso a questi
stessi gruppi di avere visibilità e sostegno. Quello che non si sapeva allora,
ma che abbiamo conosciuto poi, è il ruolo di un programma di controspionaggio
del FBI denominato COINTELPRO7. Molte di queste organizzazioni sono state
obiettivi primari del COINTELPRO a causa delle loro iniziative. Una modalità di
controllo tuttora in uso (sotto altro nome, n.d.t.) come monitoraggio
all’interno del sistema penitenziario.
In New Jersey, il prigioniero politico Ojore Lutalo è stato sottoposto
all’isolamento totale della sezione speciale del carcere statale di Trenton dal
4 Febbraio 1986 al Gennaio 2002. Ruchell Magee, in California, vive questa
condizione da oltre 20 anni. Russel Shoats, in Pennsylvania, da oltre 25 anni.
Nessuna sorpresa quando vediamo che Ojore, Ruchell e Russells sono tutti quanti
in qualche modo legati alla militanza tra Pantere e BLA, che sono considerate
dal sistema giudiziario “gang”.
Negli ultimi anni, l’evoluzione delle unità di controllo ha visto la
specializzazione di queste sezioni in vere e proprie carceri architettonicamente
indipendenti che, in genere, prendono il nome di “supermax prisons”. Come AFSC,
monitorando queste carceri di massima sicurezza, abbiamo notato come la sua
popolazione carceraria sia composta da una grande percentuale di detenuti con
problemi mentali, giovani di colore imprigionati a seguito delle tante leggi
sulla droga, militanti politici ma anche detenuti “comuni”.
Il governo statunitense e i media vorrebbero farci credere che esiste un solo
modo per definire il vocabolo “gang” e “attività di una gang”. Circoscrivono le
implicazioni alla semplice “banda di adolescenti anti-sociali” che portano
avanti variegate attività illegali. Se diamo un occhio al dizionario Webster,
scopriamo che “gang” è un gruppo di persone, legate tra loro da forti relazioni
sociali, che operano assieme. In pratica, una gang è qualsiasi associazione di
persone con identità, obiettivi e direzione comune.
Nel 1997, il Dipartimento di Giustizia ha attivato una indagine nazionale
all’interno delle carceri per accertare lo stato di sicurezza/minaccia da parte
delle “gang”. Il risultato ha riportato ad esempio come per lo Stato del
Kentucky, l’ Aryan Brotherhood sia in conflitto con tutti i gruppi neri, mentre
questo non corrisponde al vero. Ho avuto modo, infatti, di leggere alcuni
documenti dell’ Aryan Brotherhood lavorando a sostegno dei prigionieri politici
neri.
Lo Stato del Minnesota e dell’Oregon definiscono “gang” tutti gli asiatici, così
come sempre lo Stato del Minnesota fa con i Nativi Indiani. Lo Stato del New
Jersey ha inserito il Black Cat Collective nell’elenco delle gang. Il Black Cat
Collective è il collettivo che mio figlio adottivo ha messo in piedi con altri
tre amici con l’obiettivo di far crescere iniziative afro-centriche all’interno
delle biblioteche.
Ritengo che queste isterie “contro le gang” e “contro il crimine” siano
cresciute in parallelo nel corso degli anni. La criminalizzazione della povertà
serve per insinuare differenziazioni all’interno delle comunità oppresse. Molti
degli attivisti che conosco stanno legando, politicamente, il sostegno alle gang
con la lotta di trasformazione all’interno delle organizzazioni con la finalità
di combattere i veri problemi con cui ci si trova a confrontarsi all’interno dei
quartieri.
Le politiche mosse contro le “gang” dentro le prigioni sono un riflesso preciso
delle politiche che, più complessivamente, vengono agite nel contesto fuori
dalle carceri. Il sistema penitenziario rappresenta oggi uno dei settori di
maggiore investimento economico e di profitto e la criminalizzazione della
povertà è diventata un enorme giro d’affari. Molti si affannano ad affermare che
il sistema giudiziario non lavora. Io credo, invece, l’esatto opposto, ovvero
che stia operando ottimamente sia sul piano politico che in ambito economico. Il
sempre più crescente numero delle STGMU è parte di questo programma.
Non conosciamo il numero esatto delle unità di controllo sparse lungo gli Stati
Uniti. Per fare un esempio, se voi scriveste al Dipartimento Penitenziario dello
Stato di New York chiedendo loro informazioni a proposito delle carceri di
massima sicurezza la loro risposta sarebbe “non esistono queste carceri”. Dalle
testimonianze che siamo riusciti a raccogliere, tuttavia, sempre per quanto
concerne le prigioni dello Stato di New York, sappiamo che sono centinaia le
Control Unit.
Alcune delle missive più tristi che ricevo, provengono da detenuti con gravi
problemi mentali; tra questi, un uomo solito cospargere normalmente feci sulla
sua faccia. La risposta delle guardie, specificamente al suo caso, è stata di
sbatterlo sotto una doccia con l’acqua talmente calda che gli ha provocato
ustioni sul 30% del corpo. Sono centinaia le richieste d’aiuto da parte di
prigionieri o loro familiari, con descrizioni dettagliate delle disumane
condizioni di reclusione tra cui freddo, sporcizia, cure mediche inadeguate,
isolamento prolungato anche oltre dieci anni, utilizzo di strumenti di tortura,
minacce, brutalità, razzismo. E ancora: “four point restraints”8, “five point
restraints”, sedie e letti di contenimento, attacchi con gas lacrimogeni,
utilizzo di pistole e cinture che trasmettono elettricità, catene, manette per i
polsi o le caviglie. Ci sono molti, molti detenuti, doppiamente prigionieri
all’interno delle carceri di massima sicurezza.
Le regole di gestione variano da carcere a carcere. In alcune prigioni,
l’isolamento è costante, 24 ore al giorno, sette giorni alla settimana, senza
mai uscire dalla cella. In altre, è prevista un’ora d’aria, spesso in un gabbia
adiacente alla cella. La deprivazione sensoriale su celle “impermeabili” sia al
suono che alla vista. Nel caso in cui vi sia la presenza di finestre, si parla
di piccole fessure ricavate nel cemento della parete. Una donna ha descritto la
sua “attività” di “ampliamento” della finestra dicendo, dopo quattro mesi di
lavoro, di aver finalmente sentito per la prima volta l’odore dell’aria fresca
dopo due anni. In molti casi, l’isolamento individualizzato (quindi
l’impossibilità di vedere altri prigionieri) può durare per mesi e mesi. Tutto
quanto è organizzato tecnologicamente, comprese le docce, che si trovano
all’interno della cella, e la cui acqua è pilotata dalle guardie che gestiscono
la vita dei detenuti dall’interno di una stanza. Un prigioniero politico mi ha
scritto di aver subito tre perquisizioni rettali prima di un colloquio (col
vetro divisorio) col suo avvocato, e tre ulteriori perquisizioni dello stesso
tipo prima del ritorno in cella. Questo, a dispetto del fatto che il prigioniero
politico in questione arrivava da tre mesi di isolamento totale e quindi non
aveva avuto alcuna possibilità di incontrare altri detenuti. Gli effetti del
permanere in isolamento sono molteplici. Le persone ad esempio si tagliano, ma
giusto per sentire qualcosa. In alcuni casi diventano paranoici e spesso diventa
per loro impossibile stabilire una relazione con gli altri detenuti nel momento
in cui vengono tolti dalle unità di controllo e rimessi in cella con altri.
Una persona, rilasciata dopo molti anni di isolamento, ha detto che “il rumore e
la sensazione di essere osservato” l’hanno spinto a commettere infrazioni che
avevano come risultato la nuova segregazione nella sezione speciale. L’ American
Friends Service Committee Prison Watch Project, che coordino, ha curato un libro
chiamato “Survivor’s Manual”9, una raccolta di scritti e testimonianze di
prigionieri sottoposti all’isolamento con l’obiettivo di razionalizzare modalità
di sopravvivenza all’interno delle Control Unit.
A questo punto, mi piacerebbe condividere alcune delle testimonianze che ho
raccolto attraverso le lettere che mi sono giunte. Le prime due sono di ragazzi
giovani che hanno speso molto tempo in carceri minorili.
“Sono giunto qui quando avevo 14 anni. È presente quella che loro chiamano MCU,
in pratica il “buco” delle prigioni regolari. I ragazzi che si picchiano
finiscono lì dentro. Se rifiuti di andarci, vengono e ti ci portano di peso. Hai
la possibilità di fare una doccia alla settimana. Il cibo te lo passavano loro.
C’era un freddo pazzesco là dentro”.
“Ho sentito persone urlare, gridare. Il cibo era per lo più Sloppy Joes con un
bicchiere d’acqua. Hanno usato lo spray al peperoncino contro una ragazza che si
stava picchiando, una volta. Gliel’hanno spruzzato direttamente in bocca e non
riusciva più a respirare. Abbiamo provato in tutti i modi a dir loro che la
ragazza soffriva d’asma, ma non si sono fermati”.
Nella città di Elizabeth (NJ), Eddie Sinclair, Jr. s’è impiccato nel carcere
minorile Union County Youth. Aveva 17 anni e aveva rubato una bicicletta. Si era
dimenticato di una scadenza fissata in tribunale ed è stato arrestato dalla
polizia e messo in isolamento. Non è irrilevante che suo padre sia
Afro-americano e sua madre portoricana. Il responsabile del Juvenile Justice
Commission del New Jersey mi ha detto che proibire l’isolamento prolungato nelle
carceri minorili è prevenzione al suicidio. Tuttavia, questa pratica condotta
nei confronti dei ragazzi continua e persiste in tutto il Paese.
Voglio ora riportare alcune testimonianze di prigionieri adulti relative a casi
di tortura nelle prigioni statunitensi:
“A John venne ordinato di lasciare la cella della perquisizione, poi gli hanno
coperto la testa con un cuscino inondato di piscio. Venne accompagnato, sotto
percosse, e fissato ad un dispositivo denominato “la sedia”, dove è stato
trattenuto per oltre 30 ore producendogli enormi sofferenze psicofisiche.”
Un altro detenuto ha raccontato di come gli abbiano strappato i suoi vestiti, lo
abbiano sbattuto a terra e quindi pestato a forza di calci. È stato bastonato
direttamente in faccia, sugli occhi, mentre le guardie gli gridavano: “questa
volta ti fottiamo”. Il prigioniero poi ha rilasciato una descrizione dettagliata
relativa al pestaggio.
Un’altra persona ha scritto raccontandoci di quando l’hanno bloccato alla sedie
di contenzione. Era stato denudato e piazzato sulla sedia con le sue natiche
molti centimetri sotto le ginocchia. Mani e gambe erano ammanettate ai piedi
della sedia per impedirgli qualsiasi movimento. È stato lasciato in quella
condizione per oltre 24 ore.
Una donna in Texas ci ha scritto: “...le guardie mi hanno spruzzato lo spray al
peperoncino perché mi son rifiutata di togliermi i vestiti di fronte a 5
secondini maschi. Poi mi hanno portata di peso in una cella, mi hanno fissato al
letto d’acciaio e quindi mi hanno strappato tutti i vestiti. Mi hanno lasciato
in quella cella con lo spray al pepe sulla faccia e nulla per potermi lavare o
pulire. Non ho dato loro alcuna ragione per trattarmi così. Mi sono solo
rifiutata di togliermi i vestiti”.
Un altra detenuta ci ha scritto di essersi rifiutata di andare in una cella
doppia; c’è stata portata con la forza, quindi l’hanno picchiata sulla faccia e
sulla testa mentre un’altra guardia premeva le dita sui suoi occhi
deliberatamente. Ha riferito: “Mi hanno piegato sullo stomaco e in quella
posizione mi hanno immobilizzata, ammanettandomi. Quindi mi hanno denudata”.
Le denunce delle prigioniere sono in continuo aumento, e le condizioni di
segregazione sconfinano sempre più nella tortura. Molte sono le violenze
sessuali operate dalle guardie. A questo proposito una detenuta ha scritto: “Non
mi pare facesse parte della mia sentenza fare sesso orale con le guardie”. Gli
abusi sono condotti anche nei confronti di donne malate o in stato di
gravidanza.
Nelle sezioni speciali e nelle carceri di massima sicurezza, che sono a tutti
gli effetti dei luoghi di sperimentazione di controllo sociale, il numero dei
colloqui è limitato così come quello dei libri, la posta è censurata; i
programmi televisivi, per chi la fortuna di possedere un televisore, sono decisi
dai secondini. I momenti di autonomia individuale sono pressoché assenti. Ad
oggi, molti prigionieri politici sono segregati nelle Control Unit, altri si
trovavo con gli altri detenuti, fuori dalla “specialità”. Clinton ha scarcerato,
nel suo ultimo giorno da presidente, diversi prigionieri politici compresi
alcuni indipendentisti portoricani.
Quando le informazioni a proposito di ciò che succedeva nella prigione di Abu
Ghraib sono venute a galla, il presidente Bush ha dichiarato: “ciò che succede
in quel luogo non rappresenta l’America che conosco”. Sfortunatamente, oltre due
milioni di detenuti nelle carceri statunitensi, i loro familiari e i loro
legali, conoscono sulla propria pelle quelle esperienze, che sono la norma negli
Usa. Quello che è successo ad Abu Ghraib, quello che sta succedendo in tutte le
prigioni segrete in giro per il mondo10, quello che sta accadendo a Guantanamo
Bay, sono riflessi di pratiche che coinvolgono la quotidianità di uomini, donne
e minorenni dietro le sbarre d’America.
Le condizioni e le pratiche di reclusione nei confronti di questi uomini, donne
e ragazzi sono una violazione comprovata della Dichiarazione Universale dei
Diritti Umani del 1948, della Convenzione delle Nazioni Unite contro la Tortura
e della Convenzione delle Nazioni Unite sulla Cancellazione di Tutte le Forme di
Discriminazioni Razziali, le ultime due delle quali ratificate dagli Usa nel
1994. Queste condizioni, per altro, violano dozzine di altre leggi e standard
internazionali e regionali e si ritrovano in quello che le Nazioni Unite hanno
definito come genocidio.
L’Articolo 1 della Convenzione delle Nazioni Unite Contro la Tortura11,
proibisce condotte e pratiche che “costituiscono crudeli, disumane e degradanti
punizioni”. Nel 1995, il Comitato delle Nazioni Unite per i Diritti Umani, ha
stabilito che le condizioni in alcune carceri di massima sicurezza statunitensi
erano incompatibili con gli standard internazionali.
Nel 1996, il Rapporto Speciale delle Nazioni Unite sulla Tortura ha altresì
riportato casi di trattamenti crudeli, disumani e degradanti nelle carceri
speciali statunitensi. Nel 1998, il Rapporto Speciale sulla Violenza Contro le
Donne ha testimoniato i casi raccolti in California12. Nel 2000, la Commissione
delle Nazioni Unite Contro la Tortura, ha condannato gli Stati Uniti per il
trattamento che il sistema penitenziario riserva ai detenuti, citando le carceri
di massima sicurezza e l’uso di strumenti di tortura, così come la pratica di
incarcerare minori con adulti. Nello stesso documento si accenna anche
all’utilizzo di sedie di contenzione e a pistole che colpiscono attraverso
corrente elettrica. Nel Maggio del 2006, la stessa Commissione ha concluso che
gli Stati Uniti dovrebbero “rivedere il regime sulle detenzioni nelle prigioni
di massima sicurezza, in particolare la pratica di isolamento prolungato”. A
dispetto delle molte attenzioni ufficiali in ambito internazionale, questo tipo
di politiche rimangono ampiamente diffuse all’interno del sistema penitenziario
americano, dalle carceri federali alle carceri delle contee passando per quelle
metropolitane.
Nel 1998 e, ancora, nel 2005, l’American Friends Service Committee Prison Watch
Project ha contribuito all’Organizzazione Mondiale Contro la Tortura e alla
stesura di “Rapporti Ombra”13 della Riforma Internazionale della Prigione sulla
condizione di conformità dal governo degli Stati Uniti con la Convenzione
Internazionale Contro la Tortura. All’interno di questi documenti, inviati
successivamente alle Nazioni Unite, abbiamo stabilito come il governo degli
Stati Uniti venga meno agli obblighi sottoscritti attraverso i trattati
internazionali. Dato quello che è successo ad Abu Ghraib e Guantanamo e nelle
prigioni segrete statunitensi in giro per il mondo; e poiché le istituzioni del
governo degli Usa sembrano sancire la tortura, è diventato imperativo
approfondire l’attenzione su ciò che accade all’interno delle carceri nei
confini degli Stati Uniti.
Un altro aspetto importante riguarda la salute dietro le sbarre, considerato
l’alto tasso di malati di epatite C, tubercolosi, detenuti con frequenti sintomi
da stress post traumatico, Hiv. Ritengo anche che nel prossimo futuro le
prigioni si “arricchiranno” di molti veterani della guerra in Iraq, così come
successe decenni fa con la guerra del Viet Nam.
L’oppressione è una condizione comune tra tutti noi che siamo privati del potere
decisionale rispetto all’amministrare la vita sociale, politica ed economica di
questo Paese. Siamo vittime di una ideologia disumana. Scaviamo più in
profondità nelle pratiche operative negli Usa. Gli organi di polizia, le corti
dei tribunali, il sistema carcerario e la pena di morte sono al servizio di un
complesso meccanismo di controllo sociale. Idem sul piano economico. La mancanza
di strumenti e conoscenze tecniche rappresentano, ad esempio, un’altra forma di
controllo.
Il Dipartimento delle Prigioni non si limita ad essere semplicemente una
istituzione. È anche uno stato mentale. Questo stato mentale guida Abu Ghraib e
Guantanamo. Questo stato mentale governa la pulizia etnica made in Usa che molti
hanno potuto vedere a New Orleans14.
L’American Friends Service Committee lavora da sempre sulla continua espansione
del sistema carcerario e la crisi generale in atto. La stessa crisi che
legittima la tortura, l’isolamento e gli abusi di potere. Una crisi che si
estende dalle prigioni fino all’interno delle scuole e del sistema giudiziario.
So che ogni volta che mandiamo a letto un bambino affamato, stiamo facendo una
violenza. È violenza il potere concentrato nelle mani di poche persone. È
violenza la dignità negata in base a razza, classe o preferenze sessuali.
Povertà e prigioni sono una forma manifesta di violenza.
Sono attiva nella
lotta per i diritti civili da 45 anni, 35 dei quali spesi lavorando con
l’American Friends Service Committee. Ho visto l’orrore delle politiche delle
varie amministrazioni statunitensi. Non ho mai visto, tuttavia, nulla di quello
che mi capita di osservare con i i miei occhi all’interno delle carceri
americane. Sono quanto mai scossa da quello che leggo quotidianamente dalle
lettere che mi arrivano. Dobbiamo colpire il vero centro nervoso di ogni sistema
che si basa su schiavitù, razzismo e povertà. Il governo degli Stati Uniti deve
smettere di violare i diritti umani di uomini, donne e minori. Dobbiamo
de-criminalizzare povertà e malattie mentali e, in molti casi, l’omosessualità.
Dobbiamo eliminare l’isolamento, la tortura e l’utilizzo di strumenti di
tortura. Dobbiamo prestare attenzione a Malcolm X che, nel suo ultimo discorso,
invitò tutti noi a combattere per i diritti umani attraverso l’uso del diritto
internazionale.
Note a cura di Senza Censura: