SENZA CENSURA N.23

luglio 2007

 

Dentro le prigioni statunitensi

Intervento di Bonnie Kerness, coordinatrice dell’American Friends Service Committee Prison Watch Project

 

Come materiale di chiusura di questa “sguardo” ragionato su isolamento e differenziazione, pubblichiamo qui di seguito un contributo che abbiamo richiesto a Bonnie Kerness, coordinatrice dell'American Friends Service Committee Prison Watch Project e da oltre tre decenni impegnata contro le carceri di massima sicurezza e il sistema penitenziario nel suo complesso negli Stati Uniti. Il suo intervento ci conferma ancora una volta, indipendentemente dal contesto geografico (ma, viceversa, sintetizzando comuni denominatori), finalità e gestione del controllo attraverso l'applicazione di torture psichiche e fisiche nei confronti dei prigionieri politici così come dei detenuti in genere. Una gestione studiata nei minimi particolari, dall'aspetto prettamente architettonico (struttura di celle e bracci) passando per le nuove tecnologie (docce guidate a distanza, video-camere, armi) a quello inter-relazionale. Un sistema, ribadiamo, che punta a modificare, in modo violento, personalità e identità di chi sconta anni di vita dietro le sbarre e all’annientamento nei confronti di chi, come nel caso dei prigionieri rivoluzionari, difende strenuamente il proprio percorso politico militante, passato e presente.
 

Ci sono oltre 2,2 milioni di detenuti (tra uomini, donne e minorenni) attualmente reclusi nelle carceri statunitensi. Il sistema carcerario si suddivide tra prigioni federali, prigioni statali, delle contee, centri di detenzione per minorenni, centri di detenzione per immigrati e prigioni metropolitane. Nei 2.2 milioni non sono contemplati i detenuti delle carceri metropolitane. Ci sono poi svariati milioni di persone poste sotto controllo da parte dello Stato attraverso altre forme e strumenti giudiziari come ad esempio la libertà sulla parola o la libertà vigilata.
Le condizioni trattamentali variano. La nostra più grande preoccupazione riguarda il numero di carceri di massima sicurezza e unità di controllo. Infatti, il sistema federale delle prigioni così come quello statale e cittadino, prevedono unità di isolamento all’interno delle loro strutture. La maggior parte delle denunce di torture provengono, non a caso, dalle unità di controllo, le quali, nella loro ultima “versione” realizzata sono state definite “Security Threat Group Management Units” (STGMU)1, e destinate in particolare alla “gestione” delle “gangs”. Dopo l’11 settembre (2001), il numero delle STGMU è cresciuto drammaticamente. Con l’etichettatura di “nuovi terroristi”, capita molto spesso che detenuti islamici siano messi in Control Unit senza alcuna plausibile motivazione.
Ojore Lutalo2, è stato rilasciato dall’unità di controllo del carcere speciale presente all’interno del carcere di Trenton (NJ) nel 2002, dopo aver vinto una causa legale. Nel 2006 è stato rispedito in Control Unit e quando ho chiesto le motivazioni mi è stato risposto che si trattava di una decisione della Sicurezza Nazionale3. Ojore si trova dietro le sbarre dal 1982 ed è un prigioniero politico anarchico New Afrikan. È stato membro del Black Liberation Army negli anni ‘70. Dopo 25 anni di carcerazione, è difficile per me capire che tipo di minaccia egli possa rappresentare per il governo degli Stati Uniti.
L’unico modo per uscire da questo “trattamento” è rinunciare alla propria “gang”4 e, in alcuni casi, al proprio credo religioso. È una forma di modificazione del comportamento dei detenuti ed è ovvio ritenere che le Control Unit siano state “disegnate” appositamente per annichilire l’identità delle persone che le subiscono. Sin dai primi anni ‘90, la costruzione di queste unità di controllo sono state sovvenzionate dal governo federale. Una volta, un funzionario del sistema penitenziario mi disse che il suo Stato non aveva alcuna necessità di un carcere di massima sicurezza ma che il governo stava pagando per la sua realizzazione per cui non c’era motivo di rifiutare.
Quando Marion5, la prigione federale dell’Illinois venne trasformata in Control Unit nel 1980, l’allora Direttore Ralph Arons venne chiamato a testimoniare all’interno di una commissione del Senato. Disse che l’unità di controllo sarebbe stata d’aiuto per gestire “le attitudini rivoluzionarie presenti all’interno del carcere e nella società”. Era, quello, un periodo di significativo scontro sociale e politico in questo Paese.
Molti di noi sono portati a legare lo sviluppo di queste sezioni speciali all’epoca in cui innumerevoli erano le lotte per i diritti civili, periodo nel quale molti militanti e attivisti politici conobbero direttamente il sistema penitenziario statunitense. Forme di deprivazione sensoriale come metodo di modificazione del comportamento sono state utilizzate contro membri del Black Panther Party, del movimento indipendentista portoricano, dell’American Indian Movement, degli antimperialisti bianchi. Negli anni seguenti, abbiamo trovato “jail house lawyers”6, militanti islamici e membri di gangs molti dei quali altamente politicizzati. Un numero consistente di questi gruppi ha rappresentato un reale contropotere rispetto al Sistema all’interno delle carceri. Proprio il tipo di lotte contro il razzismo, la brutalità, il sovraffollamento e le generali condizioni di detenzione dietro le sbarre hanno permesso a questi stessi gruppi di avere visibilità e sostegno. Quello che non si sapeva allora, ma che abbiamo conosciuto poi, è il ruolo di un programma di controspionaggio del FBI denominato COINTELPRO7. Molte di queste organizzazioni sono state obiettivi primari del COINTELPRO a causa delle loro iniziative. Una modalità di controllo tuttora in uso (sotto altro nome, n.d.t.) come monitoraggio all’interno del sistema penitenziario.
In New Jersey, il prigioniero politico Ojore Lutalo è stato sottoposto all’isolamento totale della sezione speciale del carcere statale di Trenton dal 4 Febbraio 1986 al Gennaio 2002. Ruchell Magee, in California, vive questa condizione da oltre 20 anni. Russel Shoats, in Pennsylvania, da oltre 25 anni. Nessuna sorpresa quando vediamo che Ojore, Ruchell e Russells sono tutti quanti in qualche modo legati alla militanza tra Pantere e BLA, che sono considerate dal sistema giudiziario “gang”.
Negli ultimi anni, l’evoluzione delle unità di controllo ha visto la specializzazione di queste sezioni in vere e proprie carceri architettonicamente indipendenti che, in genere, prendono il nome di “supermax prisons”. Come AFSC, monitorando queste carceri di massima sicurezza, abbiamo notato come la sua popolazione carceraria sia composta da una grande percentuale di detenuti con problemi mentali, giovani di colore imprigionati a seguito delle tante leggi sulla droga, militanti politici ma anche detenuti “comuni”.
Il governo statunitense e i media vorrebbero farci credere che esiste un solo modo per definire il vocabolo “gang” e “attività di una gang”. Circoscrivono le implicazioni alla semplice “banda di adolescenti anti-sociali” che portano avanti variegate attività illegali. Se diamo un occhio al dizionario Webster, scopriamo che “gang” è un gruppo di persone, legate tra loro da forti relazioni sociali, che operano assieme. In pratica, una gang è qualsiasi associazione di persone con identità, obiettivi e direzione comune.
Nel 1997, il Dipartimento di Giustizia ha attivato una indagine nazionale all’interno delle carceri per accertare lo stato di sicurezza/minaccia da parte delle “gang”. Il risultato ha riportato ad esempio come per lo Stato del Kentucky, l’ Aryan Brotherhood sia in conflitto con tutti i gruppi neri, mentre questo non corrisponde al vero. Ho avuto modo, infatti, di leggere alcuni documenti dell’ Aryan Brotherhood lavorando a sostegno dei prigionieri politici neri.
Lo Stato del Minnesota e dell’Oregon definiscono “gang” tutti gli asiatici, così come sempre lo Stato del Minnesota fa con i Nativi Indiani. Lo Stato del New Jersey ha inserito il Black Cat Collective nell’elenco delle gang. Il Black Cat Collective è il collettivo che mio figlio adottivo ha messo in piedi con altri tre amici con l’obiettivo di far crescere iniziative afro-centriche all’interno delle biblioteche.
Ritengo che queste isterie “contro le gang” e “contro il crimine” siano cresciute in parallelo nel corso degli anni. La criminalizzazione della povertà serve per insinuare differenziazioni all’interno delle comunità oppresse. Molti degli attivisti che conosco stanno legando, politicamente, il sostegno alle gang con la lotta di trasformazione all’interno delle organizzazioni con la finalità di combattere i veri problemi con cui ci si trova a confrontarsi all’interno dei quartieri.
Le politiche mosse contro le “gang” dentro le prigioni sono un riflesso preciso delle politiche che, più complessivamente, vengono agite nel contesto fuori dalle carceri. Il sistema penitenziario rappresenta oggi uno dei settori di maggiore investimento economico e di profitto e la criminalizzazione della povertà è diventata un enorme giro d’affari. Molti si affannano ad affermare che il sistema giudiziario non lavora. Io credo, invece, l’esatto opposto, ovvero che stia operando ottimamente sia sul piano politico che in ambito economico. Il sempre più crescente numero delle STGMU è parte di questo programma.
Non conosciamo il numero esatto delle unità di controllo sparse lungo gli Stati Uniti. Per fare un esempio, se voi scriveste al Dipartimento Penitenziario dello Stato di New York chiedendo loro informazioni a proposito delle carceri di massima sicurezza la loro risposta sarebbe “non esistono queste carceri”. Dalle testimonianze che siamo riusciti a raccogliere, tuttavia, sempre per quanto concerne le prigioni dello Stato di New York, sappiamo che sono centinaia le Control Unit.
Alcune delle missive più tristi che ricevo, provengono da detenuti con gravi problemi mentali; tra questi, un uomo solito cospargere normalmente feci sulla sua faccia. La risposta delle guardie, specificamente al suo caso, è stata di sbatterlo sotto una doccia con l’acqua talmente calda che gli ha provocato ustioni sul 30% del corpo. Sono centinaia le richieste d’aiuto da parte di prigionieri o loro familiari, con descrizioni dettagliate delle disumane condizioni di reclusione tra cui freddo, sporcizia, cure mediche inadeguate, isolamento prolungato anche oltre dieci anni, utilizzo di strumenti di tortura, minacce, brutalità, razzismo. E ancora: “four point restraints”8, “five point restraints”, sedie e letti di contenimento, attacchi con gas lacrimogeni, utilizzo di pistole e cinture che trasmettono elettricità, catene, manette per i polsi o le caviglie. Ci sono molti, molti detenuti, doppiamente prigionieri all’interno delle carceri di massima sicurezza.
Le regole di gestione variano da carcere a carcere. In alcune prigioni, l’isolamento è costante, 24 ore al giorno, sette giorni alla settimana, senza mai uscire dalla cella. In altre, è prevista un’ora d’aria, spesso in un gabbia adiacente alla cella. La deprivazione sensoriale su celle “impermeabili” sia al suono che alla vista. Nel caso in cui vi sia la presenza di finestre, si parla di piccole fessure ricavate nel cemento della parete. Una donna ha descritto la sua “attività” di “ampliamento” della finestra dicendo, dopo quattro mesi di lavoro, di aver finalmente sentito per la prima volta l’odore dell’aria fresca dopo due anni. In molti casi, l’isolamento individualizzato (quindi l’impossibilità di vedere altri prigionieri) può durare per mesi e mesi. Tutto quanto è organizzato tecnologicamente, comprese le docce, che si trovano all’interno della cella, e la cui acqua è pilotata dalle guardie che gestiscono la vita dei detenuti dall’interno di una stanza. Un prigioniero politico mi ha scritto di aver subito tre perquisizioni rettali prima di un colloquio (col vetro divisorio) col suo avvocato, e tre ulteriori perquisizioni dello stesso tipo prima del ritorno in cella. Questo, a dispetto del fatto che il prigioniero politico in questione arrivava da tre mesi di isolamento totale e quindi non aveva avuto alcuna possibilità di incontrare altri detenuti. Gli effetti del permanere in isolamento sono molteplici. Le persone ad esempio si tagliano, ma giusto per sentire qualcosa. In alcuni casi diventano paranoici e spesso diventa per loro impossibile stabilire una relazione con gli altri detenuti nel momento in cui vengono tolti dalle unità di controllo e rimessi in cella con altri.
Una persona, rilasciata dopo molti anni di isolamento, ha detto che “il rumore e la sensazione di essere osservato” l’hanno spinto a commettere infrazioni che avevano come risultato la nuova segregazione nella sezione speciale. L’ American Friends Service Committee Prison Watch Project, che coordino, ha curato un libro chiamato “Survivor’s Manual”9, una raccolta di scritti e testimonianze di prigionieri sottoposti all’isolamento con l’obiettivo di razionalizzare modalità di sopravvivenza all’interno delle Control Unit.
A questo punto, mi piacerebbe condividere alcune delle testimonianze che ho raccolto attraverso le lettere che mi sono giunte. Le prime due sono di ragazzi giovani che hanno speso molto tempo in carceri minorili.
“Sono giunto qui quando avevo 14 anni. È presente quella che loro chiamano MCU, in pratica il “buco” delle prigioni regolari. I ragazzi che si picchiano finiscono lì dentro. Se rifiuti di andarci, vengono e ti ci portano di peso. Hai la possibilità di fare una doccia alla settimana. Il cibo te lo passavano loro. C’era un freddo pazzesco là dentro”.
“Ho sentito persone urlare, gridare. Il cibo era per lo più Sloppy Joes con un bicchiere d’acqua. Hanno usato lo spray al peperoncino contro una ragazza che si stava picchiando, una volta. Gliel’hanno spruzzato direttamente in bocca e non riusciva più a respirare. Abbiamo provato in tutti i modi a dir loro che la ragazza soffriva d’asma, ma non si sono fermati”.
Nella città di Elizabeth (NJ), Eddie Sinclair, Jr. s’è impiccato nel carcere minorile Union County Youth. Aveva 17 anni e aveva rubato una bicicletta. Si era dimenticato di una scadenza fissata in tribunale ed è stato arrestato dalla polizia e messo in isolamento. Non è irrilevante che suo padre sia Afro-americano e sua madre portoricana. Il responsabile del Juvenile Justice Commission del New Jersey mi ha detto che proibire l’isolamento prolungato nelle carceri minorili è prevenzione al suicidio. Tuttavia, questa pratica condotta nei confronti dei ragazzi continua e persiste in tutto il Paese.
Voglio ora riportare alcune testimonianze di prigionieri adulti relative a casi di tortura nelle prigioni statunitensi:
“A John venne ordinato di lasciare la cella della perquisizione, poi gli hanno coperto la testa con un cuscino inondato di piscio. Venne accompagnato, sotto percosse, e fissato ad un dispositivo denominato “la sedia”, dove è stato trattenuto per oltre 30 ore producendogli enormi sofferenze psicofisiche.”
Un altro detenuto ha raccontato di come gli abbiano strappato i suoi vestiti, lo abbiano sbattuto a terra e quindi pestato a forza di calci. È stato bastonato direttamente in faccia, sugli occhi, mentre le guardie gli gridavano: “questa volta ti fottiamo”. Il prigioniero poi ha rilasciato una descrizione dettagliata relativa al pestaggio.
Un’altra persona ha scritto raccontandoci di quando l’hanno bloccato alla sedie di contenzione. Era stato denudato e piazzato sulla sedia con le sue natiche molti centimetri sotto le ginocchia. Mani e gambe erano ammanettate ai piedi della sedia per impedirgli qualsiasi movimento. È stato lasciato in quella condizione per oltre 24 ore.
Una donna in Texas ci ha scritto: “...le guardie mi hanno spruzzato lo spray al peperoncino perché mi son rifiutata di togliermi i vestiti di fronte a 5 secondini maschi. Poi mi hanno portata di peso in una cella, mi hanno fissato al letto d’acciaio e quindi mi hanno strappato tutti i vestiti. Mi hanno lasciato in quella cella con lo spray al pepe sulla faccia e nulla per potermi lavare o pulire. Non ho dato loro alcuna ragione per trattarmi così. Mi sono solo rifiutata di togliermi i vestiti”.
Un altra detenuta ci ha scritto di essersi rifiutata di andare in una cella doppia; c’è stata portata con la forza, quindi l’hanno picchiata sulla faccia e sulla testa mentre un’altra guardia premeva le dita sui suoi occhi deliberatamente. Ha riferito: “Mi hanno piegato sullo stomaco e in quella posizione mi hanno immobilizzata, ammanettandomi. Quindi mi hanno denudata”.
Le denunce delle prigioniere sono in continuo aumento, e le condizioni di segregazione sconfinano sempre più nella tortura. Molte sono le violenze sessuali operate dalle guardie. A questo proposito una detenuta ha scritto: “Non mi pare facesse parte della mia sentenza fare sesso orale con le guardie”. Gli abusi sono condotti anche nei confronti di donne malate o in stato di gravidanza.
Nelle sezioni speciali e nelle carceri di massima sicurezza, che sono a tutti gli effetti dei luoghi di sperimentazione di controllo sociale, il numero dei colloqui è limitato così come quello dei libri, la posta è censurata; i programmi televisivi, per chi la fortuna di possedere un televisore, sono decisi dai secondini. I momenti di autonomia individuale sono pressoché assenti. Ad oggi, molti prigionieri politici sono segregati nelle Control Unit, altri si trovavo con gli altri detenuti, fuori dalla “specialità”. Clinton ha scarcerato, nel suo ultimo giorno da presidente, diversi prigionieri politici compresi alcuni indipendentisti portoricani.
Quando le informazioni a proposito di ciò che succedeva nella prigione di Abu Ghraib sono venute a galla, il presidente Bush ha dichiarato: “ciò che succede in quel luogo non rappresenta l’America che conosco”. Sfortunatamente, oltre due milioni di detenuti nelle carceri statunitensi, i loro familiari e i loro legali, conoscono sulla propria pelle quelle esperienze, che sono la norma negli Usa. Quello che è successo ad Abu Ghraib, quello che sta succedendo in tutte le prigioni segrete in giro per il mondo10, quello che sta accadendo a Guantanamo Bay, sono riflessi di pratiche che coinvolgono la quotidianità di uomini, donne e minorenni dietro le sbarre d’America.
Le condizioni e le pratiche di reclusione nei confronti di questi uomini, donne e ragazzi sono una violazione comprovata della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani del 1948, della Convenzione delle Nazioni Unite contro la Tortura e della Convenzione delle Nazioni Unite sulla Cancellazione di Tutte le Forme di Discriminazioni Razziali, le ultime due delle quali ratificate dagli Usa nel 1994. Queste condizioni, per altro, violano dozzine di altre leggi e standard internazionali e regionali e si ritrovano in quello che le Nazioni Unite hanno definito come genocidio.
L’Articolo 1 della Convenzione delle Nazioni Unite Contro la Tortura11, proibisce condotte e pratiche che “costituiscono crudeli, disumane e degradanti punizioni”. Nel 1995, il Comitato delle Nazioni Unite per i Diritti Umani, ha stabilito che le condizioni in alcune carceri di massima sicurezza statunitensi erano incompatibili con gli standard internazionali.
Nel 1996, il Rapporto Speciale delle Nazioni Unite sulla Tortura ha altresì riportato casi di trattamenti crudeli, disumani e degradanti nelle carceri speciali statunitensi. Nel 1998, il Rapporto Speciale sulla Violenza Contro le Donne ha testimoniato i casi raccolti in California12. Nel 2000, la Commissione delle Nazioni Unite Contro la Tortura, ha condannato gli Stati Uniti per il trattamento che il sistema penitenziario riserva ai detenuti, citando le carceri di massima sicurezza e l’uso di strumenti di tortura, così come la pratica di incarcerare minori con adulti. Nello stesso documento si accenna anche all’utilizzo di sedie di contenzione e a pistole che colpiscono attraverso corrente elettrica. Nel Maggio del 2006, la stessa Commissione ha concluso che gli Stati Uniti dovrebbero “rivedere il regime sulle detenzioni nelle prigioni di massima sicurezza, in particolare la pratica di isolamento prolungato”. A dispetto delle molte attenzioni ufficiali in ambito internazionale, questo tipo di politiche rimangono ampiamente diffuse all’interno del sistema penitenziario americano, dalle carceri federali alle carceri delle contee passando per quelle metropolitane.
Nel 1998 e, ancora, nel 2005, l’American Friends Service Committee Prison Watch Project ha contribuito all’Organizzazione Mondiale Contro la Tortura e alla stesura di “Rapporti Ombra”13 della Riforma Internazionale della Prigione sulla condizione di conformità dal governo degli Stati Uniti con la Convenzione Internazionale Contro la Tortura. All’interno di questi documenti, inviati successivamente alle Nazioni Unite, abbiamo stabilito come il governo degli Stati Uniti venga meno agli obblighi sottoscritti attraverso i trattati internazionali. Dato quello che è successo ad Abu Ghraib e Guantanamo e nelle prigioni segrete statunitensi in giro per il mondo; e poiché le istituzioni del governo degli Usa sembrano sancire la tortura, è diventato imperativo approfondire l’attenzione su ciò che accade all’interno delle carceri nei confini degli Stati Uniti.
Un altro aspetto importante riguarda la salute dietro le sbarre, considerato l’alto tasso di malati di epatite C, tubercolosi, detenuti con frequenti sintomi da stress post traumatico, Hiv. Ritengo anche che nel prossimo futuro le prigioni si “arricchiranno” di molti veterani della guerra in Iraq, così come successe decenni fa con la guerra del Viet Nam.
L’oppressione è una condizione comune tra tutti noi che siamo privati del potere decisionale rispetto all’amministrare la vita sociale, politica ed economica di questo Paese. Siamo vittime di una ideologia disumana. Scaviamo più in profondità nelle pratiche operative negli Usa. Gli organi di polizia, le corti dei tribunali, il sistema carcerario e la pena di morte sono al servizio di un complesso meccanismo di controllo sociale. Idem sul piano economico. La mancanza di strumenti e conoscenze tecniche rappresentano, ad esempio, un’altra forma di controllo.
Il Dipartimento delle Prigioni non si limita ad essere semplicemente una istituzione. È anche uno stato mentale. Questo stato mentale guida Abu Ghraib e Guantanamo. Questo stato mentale governa la pulizia etnica made in Usa che molti hanno potuto vedere a New Orleans14.
L’American Friends Service Committee lavora da sempre sulla continua espansione del sistema carcerario e la crisi generale in atto. La stessa crisi che legittima la tortura, l’isolamento e gli abusi di potere. Una crisi che si estende dalle prigioni fino all’interno delle scuole e del sistema giudiziario. So che ogni volta che mandiamo a letto un bambino affamato, stiamo facendo una violenza. È violenza il potere concentrato nelle mani di poche persone. È violenza la dignità negata in base a razza, classe o preferenze sessuali. Povertà e prigioni sono una forma manifesta di violenza.

Sono attiva nella lotta per i diritti civili da 45 anni, 35 dei quali spesi lavorando con l’American Friends Service Committee. Ho visto l’orrore delle politiche delle varie amministrazioni statunitensi. Non ho mai visto, tuttavia, nulla di quello che mi capita di osservare con i i miei occhi all’interno delle carceri americane. Sono quanto mai scossa da quello che leggo quotidianamente dalle lettere che mi arrivano. Dobbiamo colpire il vero centro nervoso di ogni sistema che si basa su schiavitù, razzismo e povertà. Il governo degli Stati Uniti deve smettere di violare i diritti umani di uomini, donne e minori. Dobbiamo de-criminalizzare povertà e malattie mentali e, in molti casi, l’omosessualità. Dobbiamo eliminare l’isolamento, la tortura e l’utilizzo di strumenti di tortura. Dobbiamo prestare attenzione a Malcolm X che, nel suo ultimo discorso, invitò tutti noi a combattere per i diritti umani attraverso l’uso del diritto internazionale.

Note a cura di Senza Censura:

1 Materiali disponibili sulle STGMU si possono trovare sul sito dell’American Friends Service Committee Prison Watch Project al seguente url: http://www.afsc.org/nymetro/criminalJustice/prisonwatch.htm
2 Di Ojore Lutalo abbiamo avuto modo di parlare in passati articoli su Senza Censura. È possibile trovare aggiornamenti costanti sul sito del Jericho Movement (www.thejerichomovement.com).
3 www.dhs.gov
4 Il sistema giudiziario qualifica come “gang” sia le cosiddette bande di strada che le organizzazioni politiche, le quali, sul piano penale, non vedono riconosciuto questo status per cui a oggi negli Stati Uniti non esistono formalmente prigionieri politici e prigionieri di guerra (e conseguentemente non esistono, sempre formalmente, conflitti politici interni ma solo e semplicemente “problemi di criminalità”).
5 Sul carcere di Marion, è possibile consultare i materiali pubblicati dal 1985 fino alla fine degli anni ‘90 dal The Committee to End the Marion Lockdown (www-unix.oit.umass.edu/~kastor/ceml.html).
6 Letteralmente: detenuti reclusi che assistono legalmente altri detenuti.
7 In svariate occasioni abbiamo avuto modo di parlare diffusamente del COINTELPRO. Per la documentazione in oggetto, rimandiamo quindi all’archivio on line di Senza Censura oppure al seguente sito web: www.cointel.org
8 Il detenuto viene ammanettato tra i polsi e le caviglie, dietro le schiena, e lasciato su apposite strutture, che bloccano qualsiasi tentativo di movimento. In questa posizione, viene torturato. In molti casi le torture hanno portato alla morte dei prigionieri. Un articolo di Amnesty International http://web.amnesty.org/web/ttt.nsf/june2001/USA mostra immagini di questi strumenti e spiegazioni delle modalità di funzionamento. Un altro articolo http://web.amnesty.org/library/index/engamr510312002 spiega l’utilizzo di queste particolari “sedie” di contenzione. La stragrande maggioranza delle morti sopraggiunge per asfissia e arresto cardiaco.
9 È possibile scaricare “Survivors’ Manual” al seguente url: http://www.afsc.org/resources/pdf/CJSurvivorsManual.pdf
10 Sono consultabili, on line, molti articoli di mass-media ufficiali che testimoniano il network carcerario organizzato e strutturato dal governo statunitense a livello mondiale, come “contributo” alla “lotta al terrorismo”. Ne segnaliamo un paio: http://observer.guardian.co.uk/international/story/0,6903,1237589,00.html - http://www.washingtonpost.com/wp-dyn/content/article/2005/11/01/AR2005110101644.html. Notizie approfondite, per quanto riguarda nello specifico la prigione di Guantanamo, sono consultabili sul sito dell’Human Rights Watch: http://hrw.org/doc/?t=usa_gitmo
11 http://www.ohchr.org/english/law/cat.htm
12 http://www.unhchr.ch/Huridocda/Huridoca.nsf/0/7560a6237c67bb118025674c004406e9?Opendocument
13 Dal sito www.reproductiverights.org: The purpose of Shadow Reports is to supplement, or “shadow,” the report of the government of a particular nation on a reproductive rights issue.
14 Riferimento a quanto successo dopo il passaggio dell’uragano Katrina.



http://www.senzacensura.org/