SENZA CENSURA N.23
luglio 2007
USA for Africa…
Nasce il Comando unificato USA per l’Africa e si intensificano le piattaforme di cooperazione militare statunitensi con i Paesi Africani
«…I popoli del mondo ci considerano, noi americani, come delle caricature perché consentiamo ai nostri leader politici tanta libertà omicida. Se non troviamo alternative a questo corrotto sistema bipartitico la nostra repubblica rappresentativa morirà e sarà sostituita da quello verso cui stiamo rapidamente discendendo senza incontrare resistenza: il deserto fascista delle corporations…» [Cindy Sheehan, “Lettera di dimissioni da volto del movimento anti-guerra americano”].
Con l’inizio del nuovo millennio l’Africa è divenuta centrale delle strategie
statunitensi.
L’intervento degli USA appare come l’applicazione di una nuova “dottrina” Carter
per questo continente.
Nel Gennaio del 1980, l’ex presidente americano Jimmy Carter definì
l’approvvigionamento di petrolio dal Golfo Persico un “interesse vitale” degli
Stati Uniti, la cui protezione non escludeva il ricorso alla forza militare.
Ora, l’opzione militare, è l’unica chance statunitense per cercare di recuperare
terreno lì dove alcune vecchie potenze coloniali europee, tra cui la Francia e
senza dimenticare l’Italia, e soprattutto la Repubblica Popolare Cinese hanno
sviluppato un peso rilevante.
Le forniture di greggio africano saranno sempre più vitali per l’economia USA,
così come per la Cina, specie quelle, presenti e future, del Golfo di Guinea
vero e proprio oggetto del contendere tra il polo imperialista più forte e il
Paese asiatico.
Ma mentre gli States sono in ritardo rispetto alla concorrenza del “dragone
rosso” sul piano economico, l’attivismo militare nord-americano tiene banco ed è
un fattore di stabilizzazione politica per le élites al governo nei vari Paesi
africani che intraprendono un livello di cooperazione con gli USA ed un ostacolo
maggiore per tutte quelle organizzazioni e movimenti antagonisti che lottano per
l’emancipazione dei popoli africani.
La benedizione di Washington diviene l’ultima ancora di salvezza per i regimi
fortemente invisi a gran parte dei “governati” e una maledizione per tutti
coloro che contro questi si battono, riducendo gli spazi di agibilità politica
sul piano della legalità dei movimenti di opposizione, combattuti con soldi,
armi, addestratori e mercenari made in USA.
Il caso nigeriano, di cui ci occuperemo in maniera specifica sul prossimo numero
della rivista è assai indicativo di come una lotta, come quella degli Ogoni del
Delta del Niger, nonostante i tentativi di stroncarla sul nascere attraverso la
violenza statale “legale”, continui e sviluppi un profilo guerrigliero assai
efficace e in grado di mettere in serio pericolo i profitti delle maggiori
multinazionali dell’ “oro nero”.
Se la strategia di penetrazione economica della Cina può essere esemplificata
con la formula: “petrolio contro infrastrutture”, il paradigma di cooperazione
statunitense con l’Africa può essere definito di “petrolio contro protezione”,
intendendo con questo termine “aiuti” economici, addestramento militare,
fornitura d’armi e installazioni di basi statunitensi.
Così mentre le sorti delle classi dirigenti africane sono sempre più legate alla
politica americana, i movimenti di liberazione a livello internazionale si
trovano sempre di più ad affrontare il medesimo nemico principale grazie al
quale i vari governi fantoccio locali possono rimanere al potere.
In Africa, agli sforzi di emancipazione delle popolazione locali si
contrappongono i limiti ereditati dai singoli regimi coloniali del vecchio
continente durante la fase dell’ “indipendenza” post-coloniale, sommati alle
pressioni di USA e della Cina.
La questione politica che rimane sullo sfondo è sempre quella di come continuare
o incominciare a relazionarsi con la resistenza che i popoli del tricontinente
sviluppano, senza riprodurre i retaggi di cultura imperialista presenti nella
sinistra euro-centrica del vecchio Movimento Operaio e che, sotto nuove vesti,
spesso si nascondono dietro larga parte del ceto politico “altermondialista”.
Con questo contributo vorremmo aggiornare il quadro delle strategie militari USA
in Africa già delineate sul numero precedente della rivista, così come in una
serie di interventi che l’hanno preceduto.
Delle piattaforme di interconnessione strategico-militare tra USA e Paesi
Africani, la Trans-Saharan Counter-Terrorism Partnership (TSCTP) - evoluzione
della Trans-Saharan Counter-Terrorism Inititiative, preceduta dalla PAC – è una
delle iniziative di cooperazione multilaterali più rilevanti.
Con questa, e con le altre iniziative messe in campo, gli Stati Uniti non si
limitano a fornire ai paesi in cui agiscono “gruppi terroristici” un apporto
logistico e finanziario, ma collaborano fattivamente in termini di formazione ed
equipaggiamento militare di unità speciali, di assistenza al pattugliamento del
territorio per bloccare i flussi “illegali” di armi o di merci e per
compenetrare le strategie di lotta.
Il caso somalo, con l’invasione del suo territorio da parte dell’esercito etiope
con l’ausilio delle truppe USA, è un esempio significativo di questa modalità
d’intervento anti-terror “multilaterale” di cui abbiamo già trattato nel numero
precedente.
La TSCTP - che comprende oltre agli USA, tre paesi del Maghreb (Algeria,
Marocco, Tunisia), e sei della fascia del Sahel (Ciad, Mali, Mauritania, Niger,
Nigeria, Senegal) - è stata recentemente rafforzata nella 3° Conferenza dei
Responsabili della difesa della TSCTP tenutasi in Senegal a Dakar il 6 e 7
febbraio di quest’anno nei suoi meccanismi di funzionamento e nel dispositivo di
cooperazione militare, di collaborazione nel settore della sicurezza e dello
scambio di informazioni.
Il budget proposto per tale partnership è di 100 milioni dollari l’anno in
cinque anni, anche se per l’anno fiscale 2007, il primo del quinquennio, sono
stati stanziati solo 16,75 milioni di dollari, su di un budget americano della
difesa che ammonta, per l’anno fiscale che va fino al settembre 2008 a 716,5
miliardi di dollari (contro gli 87 della Cina e i 31 della Russia spesi per la
“difesa” da questi paesi per il 2006).
Questo “network” è uno dei vettori della relazione preferenziale tra USA e i
paesi che vi aderiscono, e costituisce l’ossatura (insieme alla Combined Joint
Task Force – Horn of Africa e alla Joint Task Force Aztec Silence), del comando
militare unificato Statunitense per l’Africa (AFRICOM), cui l’annuncio della
creazione è stato dato il febbraio di quest’anno.
La STF Aztec Silence è stata costituita dal comando europeo statunitense per
l’Europa (EURCOM) nel dicembre del 2003, sotto la responsabilità del comando
della Sesta Flotta e può contare sul supporto d’Intelligence, sorveglianza e
ricognizione fornito dalle strutture della base navale USA di Sigonella.
La base siciliana si trova perciò ad essere, almeno dal 2003, al centro della
strategia USA di “lotta al terrorismo” nell'Africa settentrionale.
La STF Horn of Africa, che dipende attualmente dallo US Central Command, è stata
fondata nell’ottobre 2002 a Camp Lejeune nella Carolina del Nord (sede delle
Expeditionary Forces in Readiness) e opera dal maggio 2003 a Camp Lemonier in
Gibuti.
La sua area di intervento è costituita dallo spazio terrestre, aereo e marittimo
di Gibuti, Kenya, Somalia, Sudan, Etisia, Eritrea e Yemen.
Proprio a Camp Lemonier verrà probabilmente installata la sede dell’AFRICOM.
Il Pentagono, infatti, ha iniziato dal gennaio 2007 a programmare l’ampliamento
della sua superficie dagli attuali 88 ettari ai previsti 600.
In questa base sono stanziati dal 2002 1.500 soldati statunitensi, questo sito
costituisce la principale base delle attuali operazioni anti-terror USA nel
Corno d’Africa e il centro di coordinamento delle missioni che dal dicembre 2006
vedono direttamente coinvolte unità statunitensi in Somalia.
Personale militare e civile per l’AFRICOM giungerà probabilmente dalle basi USA
già esistenti del EUCOM con l’attuale denominazione di Cooperative Security
Locations di Dakar in Senegal, Entebbe in Uganda, Libreville in Gabon, e dai
Foward Operating Sites come la base Lemonier stessa e quelli in Tunisia e in
Marocco.
US Africa Command, è frutto della decisione di D.Rumsfield che costituì, verso
la metà del 2006, un gruppo di studio con il compito di stabilire i requisiti
per la creazione di un comando militare unificato in Africa, autorizzato agli
inizi del dicembre dello stesso anno da Bush e definitivamente annunciato lo
scorso 6 febbraio dal segretario della difesa R. Gates in una audizione davanti
al senato.
Esso raggrupperà i tre esistenti comandi separati USA per l’Africa: «lo scopo
dichiarato dell’iniziativa» - scrivono A.Pigoli e A.Fabbiano in “L’Africom: gli
USA nel continente nero”, sul numero d’aprile di Panorama Difesa - «è quello di
coordinare la cooperazione in materia di sicurezza, costruire e rafforzare le
capacità operative delle partnership con i vari paesi africani, fornire supporto
difensivo alle missioni non militari e, eventualmente, organizzare le operazioni
militari nel continente africano».
La gestione del neo-costituito AFRICOM avrà in carico la gestione dell’intero
continente africano e delle isole circostanti, con l’eccezione dell’Egitto.
La sua entrata in funzione è prevista per il mese di settembre 2008 e nel
frattempo sarà attivo un Transition Team nella base militare di Stoccarda, in
Germania, per organizzare e coordinare le strutture e il personale che
formeranno l’AFRICOM quando diverrà operativo.
Il Transition Team, composto da circa 60 unità, è incaricato di sviluppare non
solo i diversi aspetti relativi alle dimensioni ed alla collocazione della
struttura di comando in Africa, ma anche le questioni concernenti
l’organizzazione dei contingenti di truppe impiegati ed alle varie basi,
terrestri, navali e aeree di cui il nuovo comando dovrà disporre. Il budget
previsto per l’anno fiscale 2007 è di 50 milioni di dollari e sono allo studio
le risorse necessarie per il 2008, in vista dell’attivazione del 2008.
Il silenzio sulla localizzazione europea di questa funzione di ri-organizzazione
complessiva del dispiegamento delle truppe USA nel continente africano non deve
essere un dato su cui assestarsi, ma un limite da cui partire per ridare forza e
slancio alle iniziativa del movimento contro la guerra.
Assetti e bilanci della Difesa - UE, Russia, USA |
|||||||
Area |
Personale effettivo |
Personale riserva |
Carri armati |
Navi & SMG |
Aerei comb. |
Aerei trasp. |
Budget (MLD $) |
UE |
1.887.688 |
3.001.737 |
12.352 |
288 |
3.041 |
860 |
200,15 |
RU |
1.027.000 |
20 MLN |
8.023 |
81 |
2.242 |
293 |
23,7 |
USA |
1.546.372 |
956.202 |
8.000 |
190 |
3.099 |
550 |
561 |
Assetti e bilanci della Difesa - Maggiori paesi UE |
|||||||
Area |
Effettivi |
Riserva |
Carri |
Navi |
Aerei comb. |
Aerei trasp. |
Budget (MLD $) |
FR |
254.895 |
21.650 | 926 |
45* |
388* |
157 |
200,15 |
GE |
284.500 |
354.650 | 2.200 | 28 | 442 | 100 | 31,3 |
IT |
191.152 |
56.500 | 320 | 31 | 249 | 105 | 15,8 |
GB |
216.890 |
241.520 | 543 | 49* | 378* | 66 | 50,2* |
TOT |
947.437 |
674.320 | 3.989 | 153 | 1.457 | 428 | 140,3 |
% UE |
50,1 |
22,4 |
32,3 |
53,1 |
47,9 |
49,7 |
70 |
* Inclusa capacità nucleare. [Fonte: Tecnologia & Difesa]