SENZA CENSURA N.23
luglio 2007
Nato gendarme globale
Dal vertice di Riga alla riunione di Siviglia: gli sviluppi della politica del gendarme globale con i paesi non-Nato, la situazione afghana e la “piena operatività” della Nato Response Force
La NATO conferma il suo ruolo di attore politico globale, che forgia gli
strumenti in grado di svolgere questo compito nell’attuale quadro internazionale
e di potere intervenire in contesti e su questioni diverse da quelle prettamente
militari, conferendo a situazioni come calamità “naturali”, eventi sportivi,
“crisi umanitarie” ecc. e aspetti particolari dello scenario internazionale,
come “la questione energetica”, un profilo militare in cui l’Alleanza Atlantica
vuole avere un ruolo egemonico.
Anche se, non sempre, la possibilità di azione si tramuta in intervento diretto
vero e proprio della NATO, considerate le diverse esigenze espresse dai
differenti membri influenti dell’Alleanza e lo spettro di soluzioni
complementari di cui può disporre la borghesia internazionale, l’essere in grado
di intervenire rimane una risorsa per la “volontà di potenza” dell’Alleanza e
un’arma fondamentale nel definire i rapporti con le altre potenze che non ne
fanno parte.
Come abbiamo più volte ribadito, nella ri-definizione delle gerarchie di comando
della catena imperialista nel mondo multipolare il ruolo di paese-guida rimane
saldamente nelle mani degli USA che determinano le scelte politiche strategiche
a livello militare globale anche a livello NATO.
L’emergente polo imperialista europeo, il cui consolidamento è ostacolato dalle
contraddizioni sociali di cui è gravido e che esplodono puntualmente nel
protagonismo del proletariato metropolitano e dei popoli che lottano per
l’indipendenza nazionale e la giustizia sociale, ha avuto un ruolo del tutto
complementare e subordinato alle strategie USA e una sostanziale convergenza di
interessi nei confronti di ciò che si nasconde dietro alla “lotta al terrorismo
internazionale”.
Le scelte di USA e UE sul fronte interno, riguardo alle contraddizioni sociali
montanti nei processi di ristrutturazione del comando sulla forza-lavoro, e sul
fronte esterno, rispetto alla resistenza al processo di neo-colonizzazione, sono
infatti del tutto speculari e confermano una sostanziale convergenza di
interessi nella lotta al comune nemico.
Appare del tutto fuorviante porre gli interessi contrastanti tra USA e UE come
caratterizzanti il rapporto tra i due poli rispetto alla solida alleanza
militare che ha nell’Alleanza Atlantica un ambito centrale di relazione e di
determinazione delle scelte di fondo della politica internazionale nel tentativo
di consolidare l’ attuale sistema capitalista.
Il contesto afghano, in cui le forze d’occupazione si misurano con una notevole
capacità impattante da parte della resistenza anti-imperialista, rimane un
teatro operativo fondamentale.
Il ruolo centrale dell’Italia sia nel contesto dell’occupazione del paese
asiatico in ambito NATO, sia nella partecipazione (uomini, armi, strutture di
comando presenti sul territorio nazionale) a quel micidiale strumento di
intervento che va affinando le sue capacità operative: la NRF, deve far
riflettere tutto il movimento contro la guerra sulla necessità della messa in
agenda di iniziative di dibattito, mobilitazione e azione concreta contro
l’Alleanza Atlantica e la valorizzazione delle esperienze che a livello
internazionale si muovono in questa direzione.
RIGA
Si è svolto il 28-29 novembre a Riga il vertice dell’Alleanza Atlantica.
Il problema centrale di Riga è stato quello della situazione afgana, in cui la
NATO è impegnata in una “missione” ad ampio spettro, che va dal puro aspetto
combat alla cosiddetta “ricostruzione”.
Ha tenuto banco anche il tema della “sicurezza energetica”, tanto che per il
Segretario Generale de Hoop Scheffer potrebbe essere addirittura auspicabile un
inserimento dei temi relativi alla politica energetica nell’articolo 5 dello
Statuto dell’Alleanza Atlantica, proprio al fine di ribadire la centralità della
materia.
Tutto questo nonostante la Russia di Putin, attivissima nei suoi progetti di
politica energetica europea con Gazprom, non aveva fatto mistero di non gradire
ingerenze in questo campo già al vertice UE di Helsinki.
Naturalmente questa vicenda si inquadra sullo sfondo dell’allargamento della
NATO ad est e dei “punti di criticità” tra NATO e Russia, approfonditi anche
dall’ufficializzazione della proposta di adesione alla NATO ai paesi del
Membership Action Plan e dal fatto che Bosnia, Montenegro e persino la Serbia si
sono visti rivolgere l’invito di aderire alla Partnership for Peace e all’Euro-Atlantic
Partnership Council.
Un altro punto di frizione tra NATO e Russia è senz’altro il più volte
rivendicato “rapporto privilegiato” della NATO con l’Ucrania e la Georgia,
nonché la questione dell’indipendenza del “Kossovo”.
Riguardo ai livelli di cooperazione della NATO con i paesi che non sono membri
effettivi bisogna ricordare che esistono tre iniziative di uno spessore
rilevante in questo ambito: il Membership Action Plan con alcuni paesi balcanici,
Albania, Macedonia e Croazia; il Mediterrean Dialogue con tutti i paesi
nord-africani (Marocco, Mauritania, Algeria, Tunisia, Egitto) più Israele; la
Istanbul Cooperation Iniziative con tutti gli stati della penisola arabica; e
ancora il NATO-Russia Council.
Queste iniziative di cooperazione indicano le direzioni in cui si sta muovendo
il tentativo di consolidamento dei rapporti della NATO, sullo sfondo della
ridefinizione delle gerarchie della catena imperialista nel “bilancio” di
potenza con le forze emergenti asiatiche quali Cina e India.
Un altro punto d’importanza rilevante ha riguardato i rapporti tra NATO e Unione
Europea: «in questo caso», secondo Gabriele Colombini, autore dell’articolo:
“NATO: messaggi da Riga”, apparso sul numero di febbraio di quest’anno di
Tecnologia & Difesa «non si tratta di smussare le tensioni, quanto di
ritagliarsi ognuno un proprio spazio che non porti a duplicazioni (e quindi allo
spreco di risorse) nella gestione delle missioni internazionali».
Si tratterebbe quindi di un rapporto di complementarità, in cui le possibili
divergenze e frizioni non assumerebbero la forma di contrapposizione in un
acceso conflitto inter-imperialistico, ma più realisticamente una divisione dei
ruoli, funzionale alle mire della borghesia multinazionale nei confronti del
proletariato metropolitano e delle popolazioni della periferia integrata o in
via di integrazione.
Per ciò che concerne la NATO Reaction Force e l’Afghanistan, occorre fare un
analisi un po’ più approfondita, integrando, rispetto alla situazione del paese
asiatico, i contenuti del vertice di Riga con ciò che è uscito ai primi di
febbraio di quest’anno all’incontro NATO di Siviglia.
NFR
La NRF è una forza joint e multinazionale di circa 25.000 effettivi, formata
dalla componente terrestre, marittima e aerea e per operazioni speciali, in
grado di schierarsi entro 5 giorni dalla decisione assunta dal North Atlantic
Council (NAC, massimo organo decisionale della NATO) e di operare autonomamente
nel teatro per un minimo di 30 giorni, estendibili con un adeguato supporto
logistico.
La componente terrestre è formata da una brigata, mentre quella marittima si
articola in tre task groups di cui fanno parte capacità aeree (una portaerei),
anfibie (un’unità d’assalto anfibio) e antisuperficie, antiaeree e
antisommergibile (unità d’altura), cui si associa la funzione di supporto
logistico.
La componente aerea deve assicurare 200 sortite giornaliere di tipo combat,
mentre ai reparti speciali sono assegnati missioni speciali quali ricognizione
in profondità e la neutralizzazione “discreta” di obiettivi specifici.
I contributi in termini di forze forniti da tutte le nazioni alleate si
alternano secondo cicli di sei mesi, mentre il comando operativo ruota invece a
cadenza annuale tra i tre quartieri generali interforze alleati (Joint Forces
Command, JFC) di base in Europa, tra cui quello di Napoli.
Ciascun JFC è in grado di attivare e schierare nel teatro un quartier generale
responsabile di una Deployable Joint Task Force (DJTF), cioè un elemento
operativo interforze e multinazionale chiamato a dirigere sul campo una
determinata operazione.
Il comando delle tre componenti classiche è invece affidato a rotazione
semestrale ai quartieri generali delle forze NATO ad elevata prontezza per
quanto riguarda le componenti terrestre e marittima, e ai comandi nazionali e
alleati per quella area.
Il comando strategico della NRF è affidato al quartier generale NATO di Mons
(Belgio), meglio noto come Shape.
La NFR ha già condotto alcune operazioni su scala ridotta: Afghanistan, nel
luglio 2004, in cui è stato schierato un battaglione italiano a sostegno delle
elezioni presidenziali; in Grecia, ad Atene, per le Olimpiadi del 2004, in cui
un contingente delle forze speciali venne per la prima volta integrato in un
comando NATO; lo stesso ragionamento vale per la sorveglianza dello spazio aereo
affidata ad alcuni AWCS della forza NATO per le Olimpiadi invernali a Torino del
2006.
A parte questi precedenti, il primo schieramento operativo della NRF è stato
approvato dal NAC nel settembre 2005 e ha riguardato l’assegnazione di velivoli
da trasporto e unità mercantili roll-on/roll-off al trasporto materiali per il
soccorso alla popolazione statunitense colpita dall’uragano Latrina negli USA,
mentre lo schieramento operativo più complesso si è avuto con il trasferimenti
di alcuni elementi della NRF in Pakistan a sostegno delle operazioni di soccorso
e ricostruzione scattate dopo il terremoto che ha colpito il Paese nell’ottobre
2005.
La possibilità di impiego della NFR e le modalità di finanziamento delle sue
missioni sono ancora soggette ad una serrata discussione e in via di
definizione, e si sono confrontate con le situazioni di “crisi” che si sono
succedute dal Darfur al Libano per cui l’intervento diretto della NATO è stato,
per ora, scartato, “prediligendo” l’ONU.
Una tappa decisiva per la verifica del livello di operatività effettivo della
NFR in ambito addestrativo è stata l’operazione “Steadfast Jaguar”, condotta
nell’estate del 2006 nell’arcipelago di Capo Verde. L’evento ha visto la
preparazione di circa 7.800 uomini, schierati grazie al contributo congiunto di
24 velivoli da trasporto strategico e 19 unità navali a notevole distanza dal
contingente europeo e caratterizzati da un clima e da una orografia poco
accoglienti, e da un elevato grado di necessità di comunicazione multinazionale
e interforze propria della strategia “netcentrica”.
Si è trattato di quattro operazioni rigorosamente interforze, comprendenti una
gamma di eventi quali: infiltrazioni di forze speciali turche mediante
elicotteri, bombardamenti a precisione a cura di AV-8B spagnoli e F-16
statunitensi, un assalto anfibio sulla spiaggia “Flamingo” dell’isola Sao
Vicente da parte di truppe spagnole e di elementi della brigata franco-tedesca,
col fuoco controcosta effettuato da una fregata tedesca.
Una e vera simulazione sul campo di una aggressione militare via cielo e mare…
Come afferma Michael Turner, in “NFR: pronta all’azione” sul numero di febbraio
del 2007 di Tecnologia e Difesa: «Un evento complesso come “Steadfast Jaguar” ha
dimostrato anche come la NFR sia uno strumento della trasformazione in corso in
ambito NATO che, oltre a cercare di allineare reparti e unità militari europei
agli standard statunitensi, è utile anche per l’introduzione di nuove
tecnologie.”
Afghanistan
A Riga, quasi tutti i paesi a cui era stato chiesto un maggior impegno militare
nel sud dell’Afghanistan, tranne la Polonia che annunciato l’invio di un altro
battaglione senza alcuna restrizione operativa e la Francia che ha dato
disponibilità all’invio di altri aerei ed elicotteri, oltre ad autorizzare le
proprie forze sul terreno a partecipare ad operazioni anche a Kabul, hanno
risposto negativamente.
De Hoop Scheffer ha evidenziato come ora quasi 26mila dei 32.000 uomini
complessivamente schierati in Afghanistan siano disponibili a partecipare anche
a missioni di combattimento.
Positivamente, è stata poi valutata la proposta dell’istituzione di un gruppo di
contatto che dovrebbe permettere ai partecipanti alla missione in Afghanistan di
discutere in tempo reale di questioni strategiche.
I tre obiettivi principali riguardo al paese asiatico decisi a Siviglia sono
stati:
Primo: sviluppare la cooperazione transfrontaliera con le forze pakistane, dopo
gli accordi per condividere l’intelligence che hanno già visto l’apertura, tra
l’altro, del Joint Intelligence Center presso il quartier generale ISAF a Kabul
lo scorso 25 gennaio.
Secondo: accelerare l’addestramento e migliorare l’equipaggiamento delle forze
di sicurezza afghane per raggiungere già nel 2008 gli obiettivi previsti per il
2011 (70.000 uomini per l’Esercito e 82.000 per la Polizia). Va ricordato che
Bush, il 15 febbraio, ha aggiornato l’offerta di “assistenza” all’Afghanistan,
già annunciata dalla Rice, a 11,8 miliardi di dollari, di cui 8,6 per
l’addestramento e l’equipaggiamento delle forze di sicurezza afgane.
Terzo: la diffusione della “governance” a livello locale.
L’incremento dell’attività della resistenza afgana è stato messo in rilievo
anche dall’analista Anthony Cordesman del Centro Studi Strategici e
Internazionali di Washington, che in una audizione del 15 febbraio di fronte
alla Commissione Affari Esteri della Camera americana ha dichiarato:
«Dal 2005 al 2006 gli attacchi suicidi sono aumentati più di sei volte: da 27 a
139. Gli attacchi diretti sono stati triplicati: da 1.558 a 4.542. Gli attacchi
indiretti e gli attacchi con IED [gli ordigni di fabbricazione artigianale, NdA
] sono più che raddoppiati: i primi da 599 a 1.511, i secondi da 783 a 1.677.
Gli attacchi alle forze di Coalizione sono passati da 1.077 a 2.891, e quelli
contro le forze afgane da 830 a 3.549.»
In previsione della cosiddetta offensiva di primavera, diverse nazioni, USA e UK
in testa hanno offerto nuovi contributi.
La 3° Brigata della 10° Divisione di montagna, ancora in forze per la missione
afgana, come annunciato il 25 gennaio dal Pentagono, al termine dei 120 giorni
del proseguimento del proprio impiego verrà sostituito dalla 173° Brigata
Aviotrasportata, la forza di risposta rapida con base a Vicenza.
Il contingente britannico passerà dagli attuali 6.300 a 7.700 e rimarrà tale
fino al 2009.
Mentre a fine Aprile è arrivato un battaglione d’assalto aereo polacco alla base
di Baghram, 50 km a nord di Kabul.
Del contributo italiano abbiamo già abbondantemente parlato in un altro articolo
su questo numero, mentre la Germania, con una decisione presa il 7 febbraio dal
proprio gabinetto e ratificata dal parlamento, ha approvato l’invio di 6 Tornado
e di 500 uomini alla base aerea di Mazar-e-Sharif.
Per ciò che riguarda le forze collaborazioniste afghane bisogna registrare il
proseguimento dell’operazione OQAB, lanciata lo scorso 28 ottobre in continuità
con l’operazione MEDUSA.
L’operazione OQAB, scrive Gianluca Cazzaniga in: “NATO: l’Afghanistan tiene
banco a Siviglia”, sul numero di aprile 2007 di Rivista Italiana di Difesa, «è
la prima campagna congiunta e concepita per mantenere la pressione sugli
insorgenti durante l’inverno e favorire l’implementazione di progetti di
ricostruzione e sviluppo di alcune realtà selezionate»