SENZA CENSURA N.22
marzo 2007
La memoria non si cancella, le lotte non si processano!
Per la riconquista del "Mario Lupo" a Parma
Nell’ottobre del 2005 veniva sgomberato con la forza lo Spazio Sociale Mario
Lupo a Parma. A prescindere dal valore storico della palazzina di p.le Allende,
occupata dal 1977 e intitolata ad un giovane militante comunista ucciso dai
fascisti nel 1972 poco distante da quel luogo, quell’atto repressivo intendeva
cancellare 30 anni di esperienze di lotta, partecipazione e mobilitazione che
hanno attraversato almeno tre generazioni di militanti in città. Il Mario Lupo è
stato laboratorio politico e sociale dove hanno trovato forma ed espressione
diverse realtà che, fuori da una logica normalizzata e mercificata, hanno
organizzato ed autogestito nel corso degli anni la propria attività culturale,
artistica o semplicemente ricreativa. In particolare, nel deserto aggregativo di
questa città, il Mario Lupo è stato punto di riferimento per moltissimi giovani
immigrati e soprattutto per gli studenti medi che in quello spazio hanno fatto
nascere esperienze autorganizzate come il mercatino del libro usato o momenti
assembleari che hanno dato origine e continuità alle mobilitazioni contro le
riforme scolastiche. Il Mario Lupo, infine, ha rappresentato la sede naturale
del movimento cittadino nella promozione di campagne politiche contro le guerre
imperialiste, la precarietà, l’isolamento carcerario e il luogo in cui si sono
organizzate le risposte ed il supporto ai momenti repressivi che hanno toccato
il movimento cittadino e nazionale.
In seguito a quello sgombero, i compagni che facevano vivere lo spazio sociale,
attraverso un’assemblea permanente, hanno iniziato una campagna di lotta che ha
posto all’ordine del giorno la battaglia per la riappropriazione della
palazzina, non solo per le quattro mura in sé, ma soprattutto come risposta alle
politiche di riqualificazione urbana portate avanti dall’amministrazione. La
cosiddetta “riqualificazione urbana” è in realtà la messa in atto di un processo
speculativo che nell’ultimo decennio ha avuto una forte impennata trovando un
clima politico favorevole nella logica del “fare sistema”, grazie alla
complicità di tutte le forze istituzionali, indipendentemente dal colore dello
schieramento. Queste condizioni hanno permesso agli imprenditori del mattone
(tra cui ricordiamo Pizzarotti, coinvolto anche nella realizzazione della base
di Vicenza) ai grandi speculatori immobiliari, ai gruppi bancari e finanziari di
mettere le “mani sulla città”, ridisegnandone l’assetto urbanistico. La prima e
più grave conseguenza, è stato lo sradicamento del tessuto sociale di intere
aree urbane, la svendita progressiva di gran parte del patrimonio pubblico, il
trasferimento coatto di decine di realtà sociali e popolari. In particolare,
l’area a ridosso del centro storico dove sorge la palazzina del Mario Lupo è
stata da subito investita da questo tipo di processo. Il progetto prevede la
realizzazione di un enorme polo amministrativo-direzionale-commerciale che
rispecchia un modello di città/centro commerciale: normalizzata, mercificata,
videosorvegliata. L’innalzamento palese del livello repressivo a tutela di
questi interessi, è dimostrato dalla sequenza di sgomberi di case e spazi
occupati, in risposta alle emergenze sociali e abitative sempre più evidenti.
L’assemblea permanente, nel corso dell’ultimo anno, ha sostenuto la campagna di
lotta attraverso la produzione di un’inchiesta filmata (Mario Lupo Atto I), di
un dossier informativo (Memoria e futuro di uno spazio sociale), di un progetto
alternativo di ristrutturazione dello stabile, organizzando diversi momenti
pubblici di discussione e di confronto sulla proposta di creazione di un centro
di documentazione. Le occupazioni che hanno permesso di svolgere la nona
edizione dell’Hackmeeting, la risposta in seguito allo sgombero del centro
sociale Paguro, l’appoggio alla lotta per la casa, sono state ulteriori
occasioni di denuncia di questo sostanzioso processo speculativo e di
smantellamento del tessuto sociale in cui l’attacco dell’amministrazione nei
confronti del Mario Lupo rappresenta una tappa significativa.
Le giornate del 27 e del 28 gennaio sono state nelle intenzioni dell’assemblea
un’occasione per riaprire una questione che i poteri forti hanno voluto
considerare chiusa con lo sgombero del 2005, denunciare gli interessi
speculativi sull’area e restituire alla città lo spazio, destinandolo a centro
di documentazione. Tre compagni sono saliti sul tetto della palazzina e lì sono
rimasti per circa 36 ore, mentre un presidio permanente ha preso possesso del
piazzale esterno. Nessuna risposta è arrivata dal comune, se non tramite le
parole del sindaco Elvio Ubaldi che addirittura ci definisce “fascisti” (?!) e
la condanna pressoché unanime dell’arco dei partiti cittadini.
Alla fine delle due giornate di lotta vengono arrestati i tre compagni, accusati
di danneggiamento aggravato ed occupazione. Le istituzioni, in accordo armonioso
e perfetto tra comune e procura, hanno avallato la convalida dello stato di
arresto per due giorni, dapprima con un provvedimento che in questi casi è
facoltativo, poi in attesa di una perizia da parte del comune, poi di un
giudice, di un cancelliere e infine di uno stenografo.
Per il reato di danneggiamento nella forma aggravata è previsto infatti
l’arresto facoltativo in flagranza di reato, ma di fatto questa facoltà non
viene mai esercitata. Per noi, in base ad una “quasi flagranza”, è stata fatta
un’eccezione alla prassi. L’utilizzo di questo tipo di istituti giuridici
difforma anche dallo “spirito” della legge che li vorrebbe come istituti da
applicare con un margine di discrezionalità, in casi di particolare gravità o
allarme sociale, che nulla hanno a che vedere con tre persone che passano 36 ore
su un tetto. La scelta di tali misure di custodia cautelare, nonostante i tre
compagni fossero incensurati, e le condanne che ne sono conseguite,
costituiscono per questa città un palese innalzamento del livello repressivo,
chiaramente a scopo preventivo. È la prima volta che un’occupazione viene
repressa così duramente.
Questa “punizione esemplare”, concretizzatasi nella condanna a sei mesi per i
tre compagni, ed in particolare per due di loro convertita in un anno senza
condizionale di libertà controllata (obbligo di firma, restrizioni sugli
spostamenti, ritiro di patente o passaporto, a seconda di quanto deciderà il
Tribunale di sorveglianza), dimostra la natura politica di questa sentenza,
giustificata e sostenuta da istituzioni e politici cittadini. La scelta di non
concedere la sospensione condizionale –che generalmente non viene fatta neppure
per persone che hanno commesso fatti di sangue– è stata ispirata dalla
considerazione dei “precedenti di polizia” (cioè presidi non autorizzati,
occupazioni o furto di una bandierina italiana durante la festa degli alpini), e
formalmente giustificata come recidività. Recidività e concorso morale sono
strumenti che ormai abbiamo imparato a conoscere bene. Le procure le tirano
fuori magicamente dal cilindro ogni qual volta servano a rafforzare le
imputazioni, in mancanza di prove reali o spesso per giustificare periodi più o
meno lunghi di carcerazione preventiva. In città piccole come Parma, è evidente
il messaggio intimidatorio nei confronti di tutti coloro che in diversi ambiti
portano avanti lotte sociali. D’altra parte, il disinvolto uso della
carcerazione preventiva è un’indicazione generale della risposta repressiva nei
confronti di chi mette in discussione con determinazione lo stato di cose
presenti, lo sfruttamento, la speculazione, la società carceraria ed in
particolare il monopolio della violenza da parte dello Stato, indipendentemente
dalla gravità dei fatti contestati.
Fieri di costituire ancora una spina nel fianco delle istituzioni cittadine,
esprimiamo tutta la nostra solidarietà ai compagni del cpo Gramigna di Padova e
della Fucina di Sesto S.Giovanni, spesso al nostro fianco in questi anni in
tante occasioni di lotta.
Sempre avanti.
Assemblea permanente Mario Lupo
[www.parmantifascista.org -
mariolupo@bastardi.net]