SENZA CENSURA N.22

marzo 2007

 

Ora vogliamo parlare noi!

Intervento dei prigionieri comunisti Antonella, Ivano e Pauleddu

 

Dopo quasi un anno di detenzione preventiva - iniziata il 30 marzo del 2006 - e dopo tutto quello che è stato detto e scritto sul nostro conto, ora vogliamo parlare noi riguardo le motivazioni che hanno portato alla nostra prigionia e le difficoltà più disparate che siamo costretti a subire quotidianamente. Useremo il plurale per descrivere queste vicende perché le angherie che subisce uno le sentiamo come una ferita inferta a tutti. Siamo rinchiusi in carceri considerati tra i più duri d’Italia (Antonella a Santa Maria Capua Vetere, Ivano a Palermo-Ucciardone, Pauleddu a Palmi) in regime di E.I.V. (Elevato Indice di Vigilanza) che, visto il particolare trattamento che ci riservano e la quasi impossibilità di fare i regolari colloqui, possiamo considerare un 41bis mascherato (con il dovuto rispetto per tutti i prigionieri che subiscono questo infame trattamento).
È assai evidente, che le motivazioni della nostra deportazione, non sono dovute agli ormai frequenti e banali motivi di sicurezza con i quali lo Stato giustifica la reclusione, in posti tanto distanti dalla terra d’origine, di quegli uomini e donne che hanno la sfortuna di cadere nelle sue mani. In realtà, la vera ragione, è quella di torturare senza lasciare segni evidenti, nel vano tentativo di spersonalizzare, e quindi abbattere, chi non si piega di fronte allo schifo che la loro democrazia ci impone. Il dolore provocato non è solo quello di essere allontanati dalle proprie famiglie, le quali subiscono a loro volta una pena supplementare, essendo tutti di casta proletaria, con problemi di salute e pertanto impossibilitati ad affrontare lunghi viaggi con relativo dispendio economico; ma anche quello di essere sradicati dalla propria terra e cultura e catapultati in realtà completamente diverse, con mentalità e codici che non ci appartengono, costringendoci a rapportarci con persone che dei nostri principi e ideali non hanno quasi mai sentito parlare, e comunque estranei al nostro modo di confrontarci.
Anche questo, naturalmente, non è un caso: il non potersi confrontare, il farti vivere in mezzo a uomini e donne che ti considerano uno “sbagliato” perché odi un sistema dove i soldi e il potere sono le regole di vita, è il metodo che lo Stato utilizza per isolarti e atrofizzare la tua lotta, il tuo orgoglio, il tuo pensiero. Senza contare che questa lontananza non consente neanche la preparazione di una linea difensiva appropriata, non potendo quasi mai incontrare i nostri legali.
Queste difficoltà non possono certo essere compensate con la corrispondenza (riguardo questo ringraziamo tutti quei compagni amici e conoscenti di tutta italia, i quali non hanno mai fatto mancare la loro solidarietà e vicinanza), che tra l’altro fino a poco tempo fa era sottoposta a censura, con conseguenti ritardi e sparizioni misteriose. Il rischio di perdere se stessi è molto alto, bisogna continuamente far ricorso ai ricordi ed alla “vita precedente” per non perdere la propria identità. Ci troviamo rinchiusi in carceri dove in alcuni casi non erano mai stati “ospitati” prigionieri politici, tanto meno Sardi.
Ancora adesso qualcuno di noi, con il regime E.I.V., si trova a condividere questa situazione con detenuti A.S. (Alta Sorveglianza), con ulteriori difficoltà. Ma le strutture carcerarie stesse sono degradanti, con le finestre a bocca di lupo, i cubicoli con spazi ridottissimi, prive di ogni tipo di riscaldamento. L’assenza totale di una reale socialità con gli altri prigionieri, la mancanza di una qualsivoglia struttura sportiva (nelle due ore settimanali concesse si va in salette sprovviste di attrezzature), il numero limitato di libri e riviste (massimo tre alla volta), la doccia (tre volte la settimana!) che il più delle volte l’acqua calda non arriva. Vitto carente e da far schifo e sopravitto limitato a pochissimi generi alimentari.
Nelle sezioni si trovano massimo dieci detenuti, per giunta suddivisi in due gruppi per svolgere qualsiasi tipo di “attività”. Inoltre, i Direttori del carcere possono, a loro piacimento, modificare il già restrittivo ordinamento penitenziario, escludendo, dall’elenco degli oggetti da poter tenere in cella, quelle piccole cose che diventano importantissime nel niente che siamo obbligati a vivere.
Così non è consentito ricevere pacchi-cibo da casa e le poche volte che ai nostri parenti è stato possibile venirci a trovare non gli è stato consentito di far entrare buona parte degli alimenti che in tutte le altre carceri non sono proibiti. La conseguenza di queste deficienze è, di riflesso, un isolamento della persona. La mente deve impegnarsi per sopperire alla mancanza di tutto, cercare di tenerla ancorata alle nostre priorità naturali, nel tentativo di non perdere i nostri sentimenti, i nostri familiari, compagni, amici.
Non perdere soprattutto la voglia di lottare! Ad evidenziare la nostra “differenza” dagli altri detenuti ci pensano, non per ultimo, le guardie. Ogni gesto che viene fatto nei confronti dei nostri corpi e delle nostre menti è finalizzato a renderci “diversi” agli occhi degli altri detenuti. Veniamo perquisiti ogni qualvolta usciamo ed entriamo nelle “nostre” celle, i ritmi cadenzati degli orari per la battitura delle sbarre (la mattina presto verso le 6,30/7,00 e il pomeriggio) in orari appositi, affinché non sia possibile poter rimanere a letto neanche in quei giorni in cui la febbre o malanni vari non concedono nessun movimento. Un altro vile sistema per cercare di annientare la nostra resistenza è quello di negarci le necessarie cure sanitarie (a tal proposito, ad uno di noi, che ha subito vari interventi chirurgici per una grave malattia, non viene permesso, dal giorno dell’arresto, di poter essere accompagnato in un centro clinico idoneo per sottoporsi alla visita di controllo di cui necessita).
Preferiamo poi non scendere nei particolari delle proposte infami fatteci da “misteriosi personaggi” e dei vani tentativi di metterci gli uni contro gli altri con il “solito trucco”: ovvero, che qualcuno di noi stesse “collaborando…
Ma collaborando su cosa…? Su qualcosa di cui solo “loro” conoscono l’esistenza…?
A parte il peso delle loro mani sempre addosso, quello che fa male all’animo e infastidisce veramente è l’umiliazione di dover subire questi soprusi da delle…… nullità!
E con i mesi che passano, anche il sopportare questa differenziazione da persone che vivono insieme a noi queste situazioni, ma dalle quali comunque ci allontanano troppe cose, inizia a diventare pesante, portandoci ad avere reazioni di auto-emarginazione, non trovando più neanche quegli stimoli elementari che ci permettano una comunicazione “intelligente” con chi abbiamo accanto.
Non a caso l’arma che lo Stato utilizza per spegnere le nostre menti e ridurre ad un sussurro le nostre parole è sempre la stessa, subdola e vigliacca: il tempo passato a vivere non-realtà, nel tentativo di farci rinnegare quelle che per noi sono strade indelebilmente segnate nei nostri percorsi. I castelli costruiti sulla base del niente per incatenare chi orgogliosamente lotta per un “sogno”, sono sufficienti a tenerci in gabbia per lungo tempo. È dalle piccole cose che troviamo la forza di reagire e continuare a lottare, piccole cose in sè ma grandi per noi, come l’affetto e la solidarietà che sentiamo arrivare dall’esterno di questa esistenza fatta di sbarre e cemento. È, inoltre, anche questo che ci spinge ad andare avanti a testa alta: la consapevolezza che dietro le sbarre siamo molto più liberi dei “portachiave in grigio”, la consapevolezza che è meglio stare dentro con la nostra coscienza che fuori con la loro!
Il fatto che, dopo tanti mesi, i giudici non abbiano ancora fissato la data per l’udienza dal GUP è dovuto alla pochezza delle motivazioni che hanno portato al nostro arresto. Siamo stati accusati di essere gli ideatori e gli esecutori materiali di un attentato alla sede provinciale di Alleanza Nazionale a Nuoro.
Le “prove” sono tutte incentrate su intercettazioni effettuate mediante GPS, e relativa microspia, piazzati all’interno della macchina di uno di noi. Questa macchina avrebbe funzionato, secondo gli…”inquirenti”, da vero e proprio “covo”, visto che tutte le discussioni sulla presunta pianificazione dell’attentato sarebbero avvenute all’interno della stessa. Con la stessa si sarebbe poi andati a posizionare materialmente l’ordigno....
Ma dalle intercettazioni non si rileva nessuna discussione che faccia riferimento a quanto asseriscono i “pinotti”. Questi ultimi si “scordano”, poi, di far presente che quella vettura veniva sottoposta a minuziosi controlli e perquisizioni per tre/quattro volte alla settimana, alla ricerca di armi, esplosivi e “materiale eversivo” (perquisizioni che hanno sempre dato esito negativo). È quindi improbabile che sia stata utilizzata per commettere un atto delicato e rischioso come quello addebitatoci, a meno che non si vogliano mettere in discussione le nostre capacità mentali!
Ma dai verbali delle indagini da “loro” svolte, risulta pure che qualcuno di noi era “sotto osservazione” già dal 2001, e qualche volta era stato indagato per “legami con gruppi eversivi” – e poi prosciolto – senza che gli sia mai stato notificato alcunché!
La verità sta nel fatto che gli “investigatori” dovevano portare risultati e motivazioni per giustificare lo sperpero di miliardi di lire (o milioni di euro, se preferite), spesi per pedinare e “intercettare” decine di persone in base al famoso, e molto fumoso, “teorema-Pisanu” (che sarebbe meglio definire meteora-Pisanu…!!!). Secondo il “nostro (purtroppo) conterraneo”, che in quei tempi era ancora ministro degli interni, la Sardegna era diventata una sorta di laboratorio dove si cercava di unire, sotto la stessa bandiera di lotta, Marxisti-Leninisti, Indipendentisti e Anarchici per dare vita ad una organizzazione sovversiva. Nei suoi cinque lunghi anni di mandato come ministro, tutte le indagini da lui “sentitamente” seguite non hanno mai avuto alcun riscontro. Ma, guarda caso, proprio alla vigilia delle elezioni del 2006, gli “sforzi” delle “forze dell’ordine” danno finalmente i frutti sperati: vengono arrestati tre pericolosi terroristi (i sottoscritti)!
Un’altra strana “coincidenza” è che, riguarda caso, il “nostro” ministro proprio in quei giorni si trovava in Sardegna, per la sua tournee di campagna elettorale. Che tempismo!!!!
Questa “grande operazione antiterrorismo” è stata poi, naturalmente, il suo cavallo di battaglia: confermava “tutte le paure (sue!) di un insorgere delle nuove leve del terrorismo”.
L’ultima coincidenza, ma anche la più strabiliante, è che pochi giorni dopo i nostri arresti sarebbero terminati i tempi limite di questa indagine con i relativi finanziamenti!
Ma, tralasciando queste “piccole casualità”, come dicevamo prima tutte le “prove inconfutabili” che hanno portato al nostro arresto trovano evidentemente difficoltà ad essere portate davanti ad un tribunale per essere confermate e discusse (…anche se la nostra fiducia nei confronti di questi tribunali e giudici è pari a zero visto il loro ruolo all’interno delle istituzioni borghesi – ne abbiamo un palese esempio dalle condanne emesse a Milano per i “fatti di marzo”).
Così come si sta rivelando, in eguale misura, una grossa buffonata un’altra inchiesta, cosiddetta Arcadia, che a Luglio ha portato all’arresto di una decina di compagni di “A Manca Pro s’Indipendentzia” – ai quali va il nostro più caloroso e solidale saluto – la cui unica colpa è quella di aver dato vita ad una organizzazione politica, presentata anche ufficialmente, in cui si riconoscono tanti giovani proletari delusi da altre realtà “indipendentiste” istituzionalizzate.
Anche se, per vari motivi politici, noi tre non abbiamo mai aderito a questa organizzazione, non possiamo non riconoscergli l’impegno, la serietà e gli sforzi, fatti per portare avanti le loro lotte e ideologie.
Le nostre differenze non hanno comunque impedito di ritrovarci tutti insieme a manifestare per quelle problematiche che sono di tutto il popolo sardo, e del proletariato in generale, quali disoccupazione, basi militari, situazioni detentive del proletariato prigioniero, e tante altre. Noi tre abbiamo sempre partecipato a titolo individuale, non essendo aderenti a nessun partito o associazione di alcun tipo, ed anche se potrà arrivarci qualche critica, siamo comunisti che preferiscono muoversi senza i vincoli che il “gruppo” comporta. Le nostre singole esperienze non hanno comunque compromesso o limitato la nostra voglia di partecipare alle lotte, combattere e criticare la “nuova” organizzazione della società capitalista e la sua brutale retorica, che porta gli esseri umani ad un nuovo scontro di civiltà nel cuore di una società opulenta, dove il diverso, il vicino, il simile e il nemico si toccano, contendendosi uno spazio senza qualità, un tempo senza spessore, un agire senza significato.
Società nella quale, intorno ai templi del consumismo, si conforma un “nuovo” fascismo, molto più insidioso in quanto più afasico, persuasivo e subliminale. Dove un nazionalismo xenofobo e violento verso i più deboli, dal nulla del consumo cerca di generare una “patria” e una senso di “appartenenza”.
La futilità, l’opulenza, il pacifico conformismo, la mentalità infantile, sono divinità che troneggiano al centro della società del consumo. Esse, grazie alla loro rassicurante mediocrità, avrebbero dovuto “proteggerci”, secondo i propositi dei padroni, dai grandi conflitti e dalle “tragiche passioni” del Novecento, diventando il fondamento della gerarchia e il dispositivo del dominio.
Il fascismo post moderno si annida nelle innocue consuetudini del presente, nei suoi bisogni, reali o indotti, di sicurezza, in un tempo di vita interamente colonizzato dai profitti. Ma sembra quasi che il fascismo post moderno non voglia la conquista del potere politico, solo creare le condizioni affinchè il potere politico realizzi un “programma minimo”: l’instaurazione di una democrazia plebiscitaria in cui la tolleranza repressiva sia il contraltare di una feroce gerarchia sociale. Basti pensare a come le strategie di sicurezza sono organizzate oggi rispetto alla criminalità: uno specchio che deforma fino al grottesco, che astrae artificialmente i comportamenti delinquenti dal tessuto dei rapporti sociali nei quali essi acquistano senso.
Dall’incarcerazione di massa alla telesorveglianza, dalla criminalizzazione e segregazione del “diverso” alla proliferazione dei reati di sospetto e d’opinione, i confini dello Stato poliziesco si estendono sempre di più.
Non a caso le carceri sono da sempre luoghi di interruzione del dialogo, in cui il silenzio e l’esclusione dallo sguardo altrui rivelano gli aspetti più nascosti della asimmetria del potere. E quanto più il potere agisce nell’ombra, tanto più esige dal singolo la trasparenza dell’uomo di vetro, giustificando ogni espropriazione della dignità, della privacy e della libertà in nome delle supreme esigenze di sicurezza della società. Così il carcere torna ad essere oggi lo spazio simbolico di politiche di esclusione e controllo degli “esclusi sociali”, che la dinamica neoliberista rilega ai margini della società.
Vittime di logiche repressive che fanno di chi non è conforme a questa “libertà” un nemico da punire con l’arma della pena. La pretesa di risolvere con la prigionia problemi e comportamenti che nascono dalla crisi dello Stato sociale e dalle disuguaglianze strutturali del sistema neoliberista, serve da tecnica per rendere invisibili i reali problemi sociali. La prigione diventa una sorta di “pattumiera” giudiziaria dove gettare i “rifiuti” umani della società di mercato non soggiogati al “loro” credo. Anche noi tre – come tanti altri compagni – ci troviamo a subire le “loro” soluzioni, fatte di galere e repressione per il “reato” di non avere abbassato o chiuso gli occhi davanti a questi orrori, condividendo con tanti altri momenti di lotta, per non essere risucchiati nel torpore della rassegnazione. Possiamo concludere affermando che, se essere comunisti è un reato, noi ci consideriamo colpevoli!
Siamo ancora convinti che l’utopia è una cultura che arricchisce chi sa coltivarla e praticarla, ed è una forte speranza per la quale vale la pena battersi.
Vogliamo infine ricordare quello che diceva il NOSTRO CONTERRANEO Antonio Gramsci, che di sicuro sarà ancora ricordato a lungo per quello che proponeva con i suoi grandi ideali, a differenza del piccolo “teoreta” Pisanu, del quale rimarrà ben poco....

“Vivere vuol dire essere partigiani. Indifferenza è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita.
Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

A pugno chiuso e sempre in alto.

Antonella, Ivano, Pauleddu.
 



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