SENZA CENSURA N.22
marzo 2007
La lucha radiosa della Fasinpat
Lotte e autonomia di classe nel territorio di Neuquén
Anche in questo numero della rivista nella sezione
America Latina si parla delle lotte legate al fenomeno delle imprese occupate.
Se la scorsa volta è stato posto al centro della discussione il MNER e il MNFER
argentino, che raggruppano e vorrebbero rappresentarsi come la totalità delle
empresas tomadas y recuperadas incarnandone invece la tendenza cooptata e
riformista, ora trattiamo il caso della Zanón, in quanto la lotta degli operai
di questa fabbrica è indubbiamente il punto di riferimento per molte esperienze
di autonomia di classe legate alla toma a livello subcontinentale. Di fatto in
America Latina ci sono sempre più fabbriche occupate e ogni nuova esperienza di
questo tipo si accosta o al modello della cooperativa padronale o a quello del
controllo operaio sviluppato in Zanón.
La lotta questi compagni è significativa perché sono riusciti a conservare i
loro posti di lavoro dopo la serrata padronale dell’Ottobre del 2001 (prima del
crack finanziario argentino e le rivolte del Dicembre 2001) senza per questo
passare dall’investimento di capitali dell’ ex-padrone Zanón a quelli che
caratterizzano le imprese recuperate ad esempio di MNER e MNFER: di conseguenza
senza che la gestione della produzione sotto la dirigenza di Luigi Zanón fosse
trasferita alle cooperative padronali. E anzi, sono un caso emblematico e
riconosciuto a livello mondiale anche per le possibilità che il controllo
operaio mette in evidenza ancora una volta nella gestione di una fabbrica:
aumento dei posti di lavoro, diminuzione dei ritmi, diminuzione drastica degli
incidenti e dei problemi di salute.
Raggiungere traguardi simili e riattivare anche una piccola porzione di unità
produttiva vuol dire affrontare innumerevoli difficoltà se, come nel loro caso,
l’obiettivo è politico e non solamente il mantenimento del proprio posto di
lavoro. Le imprese recuperate gestite dalle cooperative padronali invece hanno
vita molto più facile dato che accedono a fondi di investimento, non sono
osteggiate dallo stato/sindacati e sono molto meglio inserite nel tessuto
produttivo capitalista (principalmente per quanto riguarda tecnologia e
distribuzione).
Quello che con questa raccolta di scritti vogliamo mettere in risalto non è
solamente il dettaglio cronologico di quello che si è svolto negli stretti
dintorni della fabbrica. I materiali che alleghiamo a questo articolo (nel senso
che li carichiamo nel sito www.senzacensura.org) rivestono un grosso interesse
per noi, anche da questa parte di mondo, per la dialettica che questa lotta ha
sviluppato e articolato nel territorio della regione di Neuquén negli ultimi
vent’anni: la Zanón sotto il controllo operaio, ovvero la Fabbrica Senza
Padroni, è il risultato della grande conflittualità di quella regione e, nella
sua tenuta e rafforzamento, è divenuta trampolino di lancio per nuove lotte e un
centro di mobilitazione autonomo e molto dinamico non solo a livello regionale
ma anche continentale.
Nelle organizzazioni popolari e Mapuche del territorio, nella solidarietà con
altri lavoratori del settore pubblico e privato della regione, gli operai della
Zanón hanno trovato di volta in volta le risorse per superare molti dei problemi
legati al mantenimento del loro posto di lavoro, trasformando inoltre le loro
specifiche criticità (di riattivazione della fabbrica) nell’elemento tattico per
avanzare nella ricomposizione politica e di classe nella regione di Neuquén e in
Argentina. Un esempio, tra i tanti che si potrebbero elencare, riguarda il
popolo Mapuche, sul cui suolo si trova la materia prima argillosa per la
produzione delle piastrelle e che è sempre stato derubato delle sue risorse da
Luigi Zanón: se in passato una delle linee di piastrelle dell’ex padrone era
stata disegnata e inaugurata da Menem (amico di Zanón), ha avuto un alto valore
simbolico il fatto che i disegni delle piastrelle Fasinpat (ex-Zanón) fossero
del popolo Mapuche. Altro esempio relativo alle macchine per l’inscatolamento
del prodotto finito: la soluzione tecnologica per questo problema è arrivata con
la collaborazione e il sostegno dei compagni dell’università della regione.
Come avviene anche da noi è il governo ‘amico’ che è chiamato a gestire i
problemi sociali che scaldano di più la piazza e le questioni di politica estera
perché la borghesia è convinta in questo modo di muovere meglio contraddizioni e
rotture all’interno del tessuto soggettivo ad essa antagonista e governare
meglio le contraddizioni prodotte dall’esercizio del proprio dominio. Nel
ricordo di lotta in Argentina, a cinque anni dalle rivolte del Dicembre 2001, il
Fronte Popolare Dario Santillan in un comunicato scrive: “... i settori
dominanti hanno dispiegato tutta la loro abilità per riciclare una parte della
vecchia classe politica di modo che adottasse alcune rivendicazioni generiche
della mobilitazione popolare per portare (n.d.t. la rivolta) ad un piano
compatibile che ne sottragga elementi di ‘pericolosità’: questo è il governo di
Kirchner” [1]. In più naturalmente, il fatto che si tratti di un governo che si
rappresenta come ‘di sinistra’, non significa che non dispieghi ampie e dure
operazioni repressive, o che non usi gli strumenti della guerra sporca. Anzi una
volta seminate rotture e contraddizioni dentro ai movimenti, la repressione
‘pulita’ o sporca che sia (anche solo psicologica) viene ritenuta più efficace.
Non si possono citare per questioni di spazio, tutti gli episodi repressivi che
hanno subito i compagni della Zanón [2] ma le organizzazioni popolari della
regione di Neuquén che si sono scontrate duramente con la polizia, unite agli
operai davanti ai cancelli della fabbrica, sono uno degli elementi più
importanti che ha permesso di difendere l’esperienza agli albori della Fasinpat.
Naturalmente oltre alla repressione, alle botte in piazza e alla
criminalizzazione, lo stato ha ben pensato di utilizzare i metodi paramilitari
del sequestro e della desapariciòn [3].
Oltre alla solidarietà internazionalista sviluppata con la Fasinpat che si
esprime condannando l’aggressione imperialista del governo Kirchner (insieme al
Brasile) ad Haiti e che rinnova la sua solidarietà di classe con la resistenza
irachena [4], un’altra cosa interessante sono le forme di lotta che vengono
impiegate dalle organizzazioni popolari della regione e in America Latina e
riguardo a questo è utile fare qualche breve considerazione.
La progressiva riconfigurazione dell’unità produttiva capitalista negli ultimi
30 anni è passata dalla strutturazione in grandi unità, a fabbriche molto più
piccole e integrate tra loro da complesse e brulicanti reti di circolazione di
merci, lavorati e semi lavorati. Il processo di valorizzazione del capitale non
contempla quindi la circolazione solo tra il trasporto della materia prima, la
sua lavorazione e la distribuzione della merce alla rete di vendita. All’interno
della fase di lavorazione, infatti avviene che per il suo completamento, è
necessario far circolare i semilavorati tra diverse piccole unità produttive che
eseguono anche minimi avanzamenti di processo; naturalmente ciò non è uguale in
tutto il mondo ma il modello a cui l’unità produttiva tende ad assomigliare è
comunque di questo tipo. Insieme agli scioperi interni in grandi complessi
industriali, oggi in molte lotte, spesso si combinano occupazioni di stazioni
ferroviarie, tranviarie, rotte stradali a rilevanza provinciale, regionale e
anche continentale (abbiamo parlato di questo in particolare quando ci siamo
occupati delle lotte in Bolivia). Sebbene queste forme di lotta siano sempre
state praticate, oggi vediamo come esse siano usate sempre più massicciamente e
abbiano degli impatti molto più significativi perché se scaturiscono da una
singola situazione di fabbrica (che opera ad uno stadio di processo) impattano
invece sulla valorizzazione dei capitali di molte altre piccole unità produttive
nonché su tutto il territorio investito dalle proteste. In America Latina c’è un
sapere diffuso su come tenere a lungo blocchi stradali tanto da avere gruppi e
organizzazioni popolari specializzate in questo senso, in Argentina e molte di
queste si sono mosse attorno all’esperienza della Zanón.
I materiali utilizzati nella sezione America Latina di questo numero sono
principalmente provenienti dai compagni della Zanón o presi dalla loro pagina
web www.obrerosdezanon.org. Ci siamo accorti che esiste un certo scarto tra i
materiali originali, provenienti da questa pagina web e quelli più approfonditi
(di università, sociologi, partiti e intellettuali).
La ricostruzione storico cronologica tradotta di seguito è un estratto di un
materiale non prodotto da loro [5], e che è stato verificato principalmente su
due loro documenti [6].
Inoltre vogliamo fornire altri materiali e studi che forniscono dati importanti
sulla regione di Neuquén [7-10] e sulla tendenza riformista tra le imprese
recuperate [11-12].
[1] allegato dal nome:
5 anni dopo le rivolte del 20 Dicembre 2001 Frente
Popular Dario Santillan
[2] un ultimo recente episodio di incendio doloso nell’allegato dal nome:
30
gennaio 07 attentato alla Zanón
[3] allegato dal nome:
Sequestrata e picchiata la moglie di un compagno
[4] allegato dal nome:
Zanón antimperialista
[5] che alleghiamo con il nome:
Teoría y práctica del Control Obrero
[6] che alleghiamo con il nome:
Cronologia 2001-2002 Zanón e il nome
Empresas recuperadas recuperaciòn del derecho al trabajo, in cui va cercato
il documento originale che da forma operativa al control obrero e che si chiama
‘Normas de Convivencia de Zanón bajo control obrero’
[7]
Neuquén como campo de
protesta
[8]
Changing relations among Ceramist workers and Mapuce in Neuquén,
Argentina (con mappe)
[9]
Izquierda y conflicto social el clasismo y la práctica del control obrero
en Cerámica Zanón Neuquén (2002-2005)
[10]
Política y estrategias de reproducción en las provincias. Neuquén y Río
Negro, 1983-2003
[Pagina web per approfondimenti su lotte e territorio di Neuquén:
http://investigadores.uncoma.edu.ar/cehepyc/biblioteca_virtual.html]
[11]
Cooperativas que Recuperan Empresas y Fábricas en Crisis
[12] Per un analisi in italiano ma del 2003 alleghiamo:
Nuovo movimento operaio e l’occupazione delle fabbriche in Argentina
I materiali elencati sono raccolti nella sezione "materiali di approfondimento" in www.senzacensura.org
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Alla fine di Novembre dell’anno
2001 la Ceramica Zanón S.A. ha licenziato tutto il suo personale che in quel
momento era composto da più di 380 dipendenti.
L’iniziativa della parte padronale viene sfidata dagli operai della fabbrica
che, nel medesimo giorno e di fronte alla municipalità di Neuquén, bruciano i
telegrammi di licenziamento inaugurando quella che sarà una giornata di proteste
nelle strade con la solidarietà di tutti i gruppi militanti e i lavoratori delle
imprese dello stesso settore che si trovano in quella regione, principalmente
dai lavoratori del settore pubblico aderenti ad ATE, ATEN, CTA, universitari e
partiti della sinistra. Questo punto si può considerare una prova di
‘inflessibilità’ che ha impostato il cammino verso il controllo operaio, tenendo
conto che loro, in strada e licenziati avrebbero dovuto trovare una alternativa
alla disoccupazione.
Almeno due aspetti sono irrinunciabili per parlare della situazione di lotta che
vede protagonisti i lavoratori ceramisti della Zanón:
a) il licenziamento degli operai avviene un mese prima che la magistratura
giudichi l’imprenditore Luigi Zanón per chiusura fallimentare forzata (ottobre
2001), una situazione che corona una serie ininterrotta di ingiustizie sia per
quel che riguarda le condizioni di lavoro degli operai sia riguardo al mancato
rispetto delle norme stabilite dalla legge per la soluzione del conflitto. Il
licenziamento culmina con altri provvedimenti che tagliano il diritto al
trasporto, il servizio medico, il pasto e il ritardo dei pagamenti degli
stipendi che sono, insieme alla morte di un giovane operaio verso la metà
dell’anno 2000, gli elementi che accendono il conflitto;
b) in tutto lo svolgimento della resistenza dei lavoratori del settore ceramista
si registra un tessuto di solidarietà composto da alcuni settori della comunità
di Neuquén e da un insieme soggettività sociali e politiche (settore
dell’educazione pubblica e partiti di sinistra) che contribuiscono a scatenare e
a dare una struttura al conflitto.
La caratteristica di Neuquén è quella di essere una regione particolarmente
carica di protesta sociale e questo va a rafforzare e rendere dinamica
l’esperienza dei lavoratori del settore ceramista che quindi daranno il loro
apporto all’immaginario dei settori mobilitatisi collocandosi come il referente
della lotta sociale che riattualizza il legame con altre lotte precedenti (per
esempio le ‘puebladas’ - ndt lotte di intere città- de Cutral Có nel 1996/97,
gli scioperi degli insegnanti ecc). Questo ultimo aspetto è di particolare
importanza visto che dentro questo percorso di solidarietà ci sarà l’arco
militante, composto dai partiti della sinistra, che giocherà un ruolo centrale
nella dimensione politica del conflitto aiutando materialmente e dal punto di
vista politico perché la strada intrapresa fosse quella del controllo operaio.
Gli operai della Zanón hanno istituzionalizzato la data nella quale è cominciato
il controllo operaio nella fabbrica. Il primo di Ottobre dell’anno 2001 è il
giorno in cui nelle dichiarazioni, nelle loro date da ricordare e nei documenti,
viene individuato come l’inizio di una nuova modalità organizzativa. Senza
dubbio il processo nel quale si cristallizza questa forma non è proprio un
momento preciso e definito; più che altro si è trattato, da una parte di una
combinazione di avanzamenti e arretramenti nella dinamica che la lotta ha
determinato. E’ per questo che prima e dopo della serrata padronale e mentre gli
operai erano accampati intorno alla fabbrica, si prova ad accendere i forni per
dimostrare che con la materia prima che c’era in fabbrica all’epoca era
possibile pagare i salari che il padrone non aveva pagato (1). Ma d’altra parte
è stata presente fin dall’inizio della lotta la possibilità di avanzare verso
l’occupazione dello stabilimento inserendo nella lotta un chiaro contenuto
politico e questa possibilità fu all’inizio presa in considerazione anche da
alcuni referenti della commissione direttiva del sindacato.
Il sindacato della categoria ceramista neuquino (SOECN), in cui sono incorporati
i lavoratori della Ceramica Zanón (che porta il grosso degli iscritti), della
Ceramica del Valle, Stefani e Alba, ha cambiato radicalmente di impostazione e
orientamento politico a seguito di una grande lotta interna da parte della base
combattiva che inizia nel 98 con le elezioni per la commissione interna della
Zanón, e per le quali sarà più avanti cacciata la dirigenza della SOECN diretta
da Oscar Montes, notoriamente corrotta e legata al padrone Luigi Zanón stesso.
Quindi nell’anno 2000 la commissione direttiva diviene composta da un gruppo
entusiasta di giovani che combinano assemblearismo, combattività, democrazia
diretta, un prestigio ottenuto in diversi e successivi scioperi vittoriosi (lo
sciopero dei 9 giorni e lo sciopero dei 34 giorni durante gli anni 2000 e 2001)
e una politicizzazione di sinistra per quanto riguarda i suoi ambiti direttivi.
Ma in ogni caso la presenza di attivismo politico ci dice solo una parte di un
processo molto più vasto e complesso, non garantisce di per se il successo di
una lotta, ne’ ne determina totalmente l’andamento di una iniziativa. Dopo la
serrata forzata della fabbrica da parte del padrone il giudice ordina il
sequestro del 40% del magazzino che era presente nello stabilimento per
destinarlo al pagamento dei salari arretrati. Di fronte a costanti ritardi che
lo stato provinciale genera nel non concretizzare accordi con nessun compratore,
il principale compito che gli operai hanno svolto è stato quello di organizzare
una commissione di vendita incaricata di liquidare lo stock; e qui è importante
sottolineare come queste commissioni nascenti che si incaricano di prendere in
mano la gestione di alcune questioni sono quelle che più avanti si
consolideranno come nuclei organici di controllo operaio.
La commissione di vendita sarà quindi la futura commissione di vendita anche con
il controllo operaio (anno 2002), lo stesso succede con la commissione
propaganda e diffusione. E anche prima, all’accendersi della lotta dopo la morte
di Daniel Ferrás (Luglio 2000), prende subito forma una commissione di salute e
sicurezza incaricata di controllare la sicurezza degli operai nello
stabilimento. In questo caso le commissioni sono state la prima forma di
organizzazione.
Dall’Ottobre del 2001 e per 5 mesi. la situazione è difficilmente definibile e
oscilla tra occupazioni temporanee della fabbrica, la disperazione degli operai
(che vendono quello che rimane del magazzino) (2), e il ‘sabotaggio’ che implica
la situazione giudiziaria che inizia a manifestarsi con le successive minacce di
sgombero. La prima, alla fine del Novembre 2001, avviene con la ratificazione
della serrata padronale da parte della Camera di Apelaciones (e più tardi dalla
Corte Suprema). Questa situazione mette gli operai nella condizione di serrare
le fila nel presidio attorno alla fabbrica mentre sospettano manovre di sgombero
all’interno dello stabilimento. Gli operai non entrano fino al Gennaio 2002 (3)
e quando vanno dentro, come in altre occasioni, accendono i forni e producono.
In quel momento nella fabbrica ci sono solo i rappresentanti dell’impresa di
sicurezza che custodiscono la proprietà. Il giudice autorizza la creazione di
turni operai di 20 persone per evitare lo svuotamento padronale delle macchine e
dei materiali. A questo punto vediamo in che modo si comincia a percepire la
possibilità di produrre. Ogni volta che entravano nella fabbrica per prendere il
materiale da vendere e quando facevano i turni, hanno cominciato a mettere a
fuoco in che modo potevano avare un guadagno diretto:
(...) giravamo intorno ad essa. Da fuori sempre da fuori. Fino a che non abbiamo
deciso di entrare (...) e siccome non avevamo avuto risposta, ne’ dal padrone
ne’ dal governo nazionale, provinciale, da nessuna parte, abbiamo deciso in una
assemblea -eravamo 260 lavoratori più o meno- (..) bene ‘che facciamo?’. Beh,
già non volevamo più uscire a chiedere soldi per il fondo cassa di sciopero,
perché lo avevamo fatto per 4 mesi (...) cercando soldi per lo sciopero, dai
sindacati, alcuni ci sostenevamo monetariamente, altri alla fine no. E la
situazione non permetteva di ottenere di più stando fuori senza nessuna
risposta. In quel momento si è deciso in assemblea di entrare e mettere in moto
la fabbrica (4).
Non tutti gli operai sono concordi nel momento in cui dare una risposta ovvero
il preciso istante in cui è venuta l’idea di prendere la fabbrica e produrre. E
in più i testimoni possono dimostrare che quello che imperava erano le necessità
economiche e uscire binari su cui stava correndo lo scontro: senza risorse,
attaccati dal punto di vista giudiziario, perseguitati dal settore “montista”(5)
e spiazzati dall’atteggiamento padronale che aveva presentato all’inizio del
2002 un piano di riattivazione che contemplava solo 62 operai; gli eventi
stavano avvicinando quindi possibili azioni radicali:
(...) Noi avevamo la necessità di mangiare, educare i nostri figli, dare loro
salute, tutto (...) se non lavoravamo l’unica cosa che ci rimaneva era lottare
per le strade per un sussidio di 150 pesos come i compagni delle organizzazioni
dei disoccupati che molte volte sono anche morti (...) a noi non rimaneva che
questo o guardare qui dentro alla fabbrica e pensare: questa è la fabbrica,
questa è la materia prima, le risorse umane ci sono perché siamo tutti operai e
ognuno sa quello che deve fare(...) era solamente una idea, dovevamo aprire il
gas perché era stato tagliato (...) abbiamo preso in mano la situazione e
abbiamo cominciato a fare assemblee, e quello che si è cominciato a discutere è:
che facciamo? e beh di fame non saremmo morti e quindi abbiamo detto: apriamo la
fabbrica, apriamo la fabbrica, apriamo la fabbrica!
Una condizione sine qua non del controllo operaio è che nel gruppo di lavoratori
disposti a promuoverlo deve esistere una quantità di persone di ogni settore
della fabbrica che permetta di lavorare un minimo ma almeno tutto l’arco della
linea di produzione; non avere questa presenza in settori nevralgici può
significare un ostacolo difficile da superare visto che si dovrebbe prendere
gente da fuori della fabbrica.
Alla Zanón i 270 operai che hanno resistito fino a questo punto erano
sufficientemente strutturati per cominciare a produrre; in più per il minimo del
funzionamento c’era anche gente in abbondanza. C’erano tecnici del gas,
elettricisti, meccanici, un paio di ex capi, e impianti completi per ogni
settore. Un altro fattore che si evidenzia è relativo alla stessa organizzazione
del lavoro di fabbrica che vigeva in Zanón, dove la polivalenza significava che
un lavoratore molte volte doveva realizzare e ricoprire i compiti di vari operai
e a volte di settori diversi tra loro:
(...) quando siamo entrati sono andato alla linea. Ogni compagno è andato al suo
settore e beh ragazzi, vediamo che possiamo fare. Io ho cominciato a pulire la
linea e sono andato dove ho sempre lavorato (...) Qui tutto funzionava grazie ai
lavoratori. Sempre era stato gestito dai lavoratori, qui i capi non facevano
nulla. Loro davano gli ordini. Niente di più. No, no il lavoro manuale non lo
facevano (...) ne’ alle macchine, niente di tutto questo. Loro maneggiavano
carte, davano ordini, dirigevano, niente di più.
Con questi precedenti all’inizio del Marzo del 2002 gli operai aprono una linea
di produzione e presentano, a metà Aprile, quello che sarà il primo prodotto
creato da loro: il modello operaio. La materia prima che c’era nello
stabilimento e l’utilizzo di smalti recuperati hanno permesso di raggiungere il
primo risultato di 20000 metri quadri di piastrelle (6). Gli operai ceramisti
hanno sempre messo in campo una innumerevole quantità di iniziative al fine di
consolidare la partenza iniziale della loro esperienza considerato che la
situazione della produzione e dell’occupazione di fatto della fabbrica si porta
con se numerose minacce (7) e tentativi di sgombero: queste iniziative sono
state concerti (8), incontri con altre esperienze di lotta e con attivisti, con
visite di intellettuali indipendenti, donazioni, programmi alla radio, con
pubblicazioni, con manifestazioni promosse da loro anche in solidarietà con
tutti i settori in lotta, viaggi per il paese e all’estero, convegni con
università (UNC y UBA) e partecipazione a seminari di discussione; questa sorta
di iperattivismo si può capire dal doppio impulso che danno la pressione
esercitata dalla incertezza per la parte legale e dall’altra parte
dall’impostazione che gli operai ceramisti hanno dato dall’inizio della lotta.
Come direbbero loro quello che produrrà e consoliderà questa situazione è la
coerenza e la relazione tra i due pilastri del conflitto: la politica e la
produzione.
(..) Questo è quello che noi sempre diciamo. Questa lotta ha due pilastri: uno è
produttivo e l’altro e politico. E sono legati uno all’altro. Perché quando un
pilastro cade, cade anche l’altro.
Nel Luglio del 2002 gli operai presentano un Progetto di Amministrazione Operaia
Transitoria, elaborata con l’aiuto della Università Nazionale del Comahue.
All’inizio dell’Agosto i ceramisti fanno un passo rischioso e poco frequente
nell’universo delle fabbriche occupate: incorporano i primi 10 lavoratori, che
si inseriscono nei turni di lavoro per massimizzare l’ingresso economico
incorporando ancora più lavoratori. I primi a entrare sono di organizzazioni di
disoccupati (MTD,Teresa Vive, Polo Obrero e Barrios de Pia) che sono quelli che
appoggiano gli operai della Zanón dall’inizio della lotta, in particolare il MTD,
poi entrano familiari e ex operai ceramisti.
A questo punto è necessaria l’organizzazione interna della produzione. Bisogna
immaginare che la partenza di questa esperienza è stata un po’ caotica; i turni
all’inizio della produzione non vengono completamente rispettati, molte volte si
arriva tardi, c’è un significativo assenteismo, i ritmi di produzione sono ‘rilassati’,
ci sono problemi tra lavoratori (molti di loro attraversano crisi familiari).
Succede che, in mezzo a mobilitazioni e iniziative, insieme allo stress
accumulato per anni di lotta e in una situazione che apre costantemente
prospettive che obbligano a mantenere uno stato di allerta permanente, costa
molto ai lavoratori avere un ritmo di lavoro del quale sono completamente
responsabili. Prima di questi problemi nel settembre del 2002 gli operai
elaborano e approvano in assemblea le “Normas de Convivencia de Zanón bajo
Control Obrero”, il vero statuto interno che struttura l’organizzazione del
lavoro nella fabbrica e definisce il profilo politico del lavoratore ceramista.
A partire da questo viene stabilito dalla nascente gestione operaia la necessità
di una struttura e di regole che non smettano di garantire “la democrazia per i
lavoratori e la disciplina del lavoro nel segno dell’unità”(9).
Una delle caratteristiche più importanti delle Norme è il rifiuto al formato
cooperativo. La gestione operaia autonoma non sarebbe garantita in una
cooperativa perché non terrebbe conto dell’organizzazione e del funzionamento di
una piena democrazia per come la intendono alla Zanón e nella cooperativa
padronale non ci sarebbe il controllo operaio che i ceramisti praticano.
Guardando il documento delle Normas di Convivencia si usa solo il nome di
“cooperativa” per una questione legale, in altre parole perché sono obbligati a
farlo.
Note:
(1) Gli operai ceramisti avevano riattivato
una piccola porzione dello stabilimento e per questo hanno convocato la stampa
locale e nazionale in un iniziativa pubblica. Di fronte a questa sfida pubblica
il padrone Zanón si rivolge alla giustizia e con l’avallo legale vengono spenti
i forni definitivamente tagliando la somministrazione del gas.
Riferimenti nel Bollettino informativo del sindacato di categoria SOECN del 19
Ottobre del 2001.
(2) Nonostante la situazione economica degli operai peggiora di giorno in
giorno, saranno sempre orientati alla solidarietà a differenza di qualunque
altra esperienza; nel dicembre del 2001 gli operai fanno la prima donazione di
materiale prodotto da loro a un ospedale regionale segnando l’inizio di questo
modo di fare tipicamente loro. Riferimenti nel quotidiano Rio Negro del
19/12/2001.
(3) Riferimento al quotidiano Rio Negro del 5/01/2002.
(4) Testimonianza di un lavoratore Zanón.
(5) I “montisti” sono gli ex lavoratori della Zanón che hanno accettato il
licenziamento, non hanno denunciato la dirigenza e si sono solo presi i
contributi per il licenziamento. Essi si sono attenuti agli ordini del leader
del sindacato della categoria ceramista SOECN, Oscar Montes, leader prima della
lotta interna nel sindacato stesso, che poi è stato protagonista di sabotaggi
agli operai della Zanón, con minacce e botte ad alcuni di essi, ma tutti
tentativi senza risultati significativi.
(6) Le produzioni successive si chiameranno “Serie Mapuche”, in onore alle
comunità Mapuche con cui concordano una fornitura di argilla che si trova nelle
loro cave.
(7) I primi giorni di Maggio vengono sequestrati due operai e vengono rubati 50
mila pesos destinati alle paghe. Il 20 di Maggio c’è il primo tentativo di
sgombero dello stabilimento occupato. Riferimenti nei quotidiani Rio Negro del
12/05/2002 e La Manana del Sur del 31/05/2002.
(8) Nel primo concerto in solidarietà con gli operai della Zanón il gruppo
musicale Versuit Vegarabat (Marzo del 2002) raccoglie 4000 persone; nel 2004 con
Attaque77 sono presenti 8000 persone.
(9) Si può leggere questa frase nel documento originale “Normas de Convivencia
de Zanón bajo Control Obrero” che abbiamo allegato a questo articolo. Le Normas
de Convivencia sono le norme che un nuovo assunto in Zanón deve avere compreso e
deve applicare, oltre che essere sintesi politico/pratica dell’essenza del
Control Obrero.