SENZA CENSURA N.22
marzo 2007
La precarietà chiama… i lavoratori Atesia rispondono
L’esperienza di lotta del Collettivo PrecariAtesia nella giungla dei call center
Si stima che in Italia il numero degli addetti
ai call center sia nell’ordine dei 400.000, prevalentemente concentrati in Lazio
e Lombardia, in particolare attorno alle aree metropolitane di Roma e Milano.
Atesia, società del Gruppo Cos, in compartecipazione con il Gruppo Telecom
Italia, svolge prevalentemente attività di customer care, gestione documenti,
ricerche di mercato e comprende anche aree della Pubblica Amministrazione. Si
costituisce nel 1989, all’interno del gruppo Seat Pagine Gialle, per le ricerche
di mercato. Nei primi anni ’90 viene quindi acquisita con tutta la Seat dalla
Telecom e da allora si trasforma in call center con servizi di contact center,
oltre alle ricerche di mercato. Le decine di migliaia di operatori di Atesia nel
corso di vari anni si sono viste rinnovare il contratto Co.Co.Co., avendo come
elemento utile alla loro retribuzione «il contatto», cioè ogni telefonata chiusa
«positivamente» che si giudica in base alla durata e alle risposte ricevute dal
cliente.
Il 24 maggio 2004 un accordo fra Telecom e CGIL-CISL-UIL stabilisce che a
partire dal 1 luglio 2004 le sue attività e le lavoratrici ed i lavoratori
coinvolti vengano suddivisi: trasferendo a Telecontact Center (gruppo Telecom)
le attività relative al 187 mentre le restanti attività (119 e campagne esterne
a Telecom/Tim) rimangono ad Atesia, che però viene acquisita per l’80,1% del
capitale dal gruppo COS. Si prometteva “un percorso verso la stabilizzazione del
lavoro”, attraverso un massiccio uso di contratti di “apprendistato” e di
“inserimento”. Era un accordo che utilizzava i meccanismi della legge 30 sulla
flessibilità e a salutarlo con soddisfazione era uno dei maggiori sostenitori di
quella legge, il sottosegretario al welfare Maurizio Sacconi, che lo definiva
“la risposta migliore alle polemiche di coloro che senza argomentazione alcuna
attribuivano alla legge Biagi effetti certi di precarizzazione”, e ne elogiava
la “flessibile organizzazione aziendale” cui si ispirava.
Questa situazione di differenziazione sul piano contrattuale, di precarietà e
flessibilità, ha trovato una risposta avanzata nell’esperienza di lotta portata
avanti dal collettivo PrecariAtesia di Roma. Nonostante il collettivo nasca in
un settore in cui i lavoratori sono peculiarmente frammentati e la piattaforma
iniziale articolata dal collettivo si basi da subito su rivendicazioni avanzate
(contratti a tempo indeterminato, full o part-time per tutti i lavoratori che lo
richiedano; reintegro immediato dei cinque licenziati; rimodulazione dei
compensi che preveda buste paga non al di sotto del limite di povertà;
miglioramento delle condizioni igienico-sanitarie dell’ambiente lavorativo ai
sensi della legge 626; riconoscimento della dignità del collaboratore inteso
come persona e non solo come risorsa), questa esperienza rappresenta
un’eccezione in quanto a continuità e unità, in quanto ha saputo puntualmente
fare fronte sia agli attacchi padronali che a quelli dei sindacati confederali.
La vicenda Atesia si colloca in un panorama, quello dei call center, in cui le
contraddizioni che emergono si risolvono spesso in momenti di lotta o
mobilitazioni diffuse (vedi In action di Arese, Wind di Sesto, Telegate di
Livorno, Call&Call di Spezia, Mibi di Catania, ecc..), ma che rimangono comunque
molto frammentate.
In questo caso specifico ci interessava mettere in evidenza la prospettiva di
autonomia, di critica al riformismo e di superamento della settorialità che
questo tipo di esperienza si è proposto di portare avanti, sia internamente
all’ambito delle telecomunicazioni (come si evince dalla partecipazione e
attivazione del collettivo a scioperi, assemblee e scadenze di livello
nazionale) che in quello più generale delle lotte precarie. Qui di seguito
pubblichiamo un’intervista al collettivo e una cronologia ragionata.
Rispetto alla piattaforma elaborata, quali sono gli obbiettivi raggiunti e
quali questioni rimangono aperte?
L’enorme risultato è l’ottenimento del tempo indeterminato per tutti.
All’inizio venivamo derisi da tutti. La Cgil ci dava, nella migliore delle
ipotesi, degli illusi. L’azienda avrebbe chiuso in quanto non si sarebbe potuta
permettere di assumere tutti. Abbiamo cambiato la legislazione italiana. Non
sarà più possibile in Italia fare dei contratti a progetto per i call-center
Inbound. Per gli Outbound, Damiano e la finanziaria lasciano ancora la porta
aperta (nelle Inbound è il cliente che chiama per richiedere il servizio mentre
nelle Outbound è l’operatore che chiama per proporre il servizio). Abbiamo posto
con forza l’argomento concreto della precarietà, e del mondo del lavoro in
generale, non in modo folkloristico come invece fanno partiti del
centrosinistra, sindacati e grossa parte di quello che definiscono movimento.
Gli accordi però non li facciamo noi, quindi in Atesia rimane enorme il problema
dell’orario di lavoro. Imponendo di lavorare solo 4 ore, ci impongono un reddito
troppo basso. I turni sulle 24h non permetteranno di gestire un altro lavoro
(che è necessario dato il salario ma perché dobbiamo avere due lavori e non uno
solo?) e la vita in generale. Il pregresso viene cancellato del tutto, e c’è chi
lavora da più di 10 anni.
Perchè la scelta di organizzarsi come collettivo? Qual’è stato il processo di
formazione di PrecariAtesia?
La scelta è venuta abbastanza naturale e rapidamente. Volevamo
differenziarci nettamente dai sindacati confederali ed essere il più orizzontali
possibile. E’ nato tutto da una parte dall’enorme insoddisfazione e dalla presa
di coscienza che eravamo tanti, dall’altra dal fatto che, da anni, l’Assemblea
coordinata e continuativa contro la precarietà teneva informati i lavoratori e
li invitava ad autorganizzarsi.
Potete sintetizzare, se c’è stato il dibattito sui rapporti da tenere con i
sindacati confederali, che profilo hanno tenuto prima e durante la vertenza?
All’inizio c’era chi continuava a sperare che sarebbe stato possibile almeno
dialogare con la Cgil. Gli altri non sono stati presi in considerazione. C’è
stato anche una loro rsa, candidato di rifondazione, disobbediente, che
partecipava alle nostre assemblee. Era un chiaro tentativo di guidarci, a volte
proponendo dell’avventurismo autolesionistico. Avendo fallito nel suo tentativo
ci ha accusato di essere degli eversivi legati al sindacato estremista che vive
ai margini della legalità (i Cobas!). Dopo il primo sciopero sono venuti i
nazionali Slc Cgil a volantinare un documento dove ci accusavano di essere
prezzolati dall’azienda! Da allora i rapporti sono stati decisamente
conflittuali.
Che rilievo ha avuto il contatto tra il Cobas Telecom e i PrecariAtesia? Più
in generale, quali sono i rapporti con i sindacati di base?
I Cobas delle telecomunicazioni erano presenti nell’Assemblea coordinata e
continuativa contro la precarietà. Il percorso sino alla nascita del cartello
“stop precarietà ora” in vista della manifestazione del 4 novembre 2006 è stato
lo stesso. Loro hanno ritenuto utile quel percorso, noi no. Non siamo mai
diventati Cobas, e neanche c’è stato chiesto, ma la lettura rispetto alla
vertenza è stata la stessa. Tuttora molte iniziative ci vedono insieme. Inoltre
ci hanno sempre messo a disposizione vari strumenti che ci sono serviti per la
nostra attività, tipo stampatrice ecc. I rapporti con i vari sindacati di base
sono argomento di discussioni interne. In generale non abbiamo mai puntato a
sostituirci ad un sindacato o a fare esclusivamente attività sindacale. Sono
evidenti le difficoltà generali che in questa fase vivono i sindacati di base.
Quello che possiamo lamentare è che a volte ci si limita a coltivare la propria
nicchia e si punta più ad acquisire visibilità per la struttura, che a tentare
di migliorare realmente la condizione dei lavoratori.
Come si è posta nei vostri confronti la sinistra istituzionale locale? Cè
stato un dibattito interno circa l’atteggiamento da tenere nei confronti dei
partiti, viste le responsabilità che voi stessi in più occasioni avete
denunciato?
Una delle nostre scelte dall’inizio è stata quella di andare ovunque
(fascisti esclusi) per portare la nostra esperienza e la nostra lotta. Quindi,
anche se pesantemente “irritati”, siamo andati ad iniziative di Rifondazione,
Pdci, Margherita, Ds, e anche Cgil. Da parte dei partiti, della cosiddetta
sinistra radicale, c’è stato un costante tentativo di usarci e di guidarci. Una
delle frasi che abbiamo sentito di più è stata: “voi avete ragione ma sbagliate,
dovete fare così…”. Anche non nutrendo nessuna fiducia abbiamo tentato anche la
via istituzionale per le vertenze. Ovvero, abbiamo incontrato assessori,
deputati, ecc. Questo, sia per non dare alibi a nessuno, che per far vedere ai
lavoratori meno politicizzati come da parte nostra c’era tutta la volontà di
percorrere tutte le strade possibili. In Atesia è venuto Bertinotti in campagna
elettorale. E’ stato contestato e non ha lasciato un bel ricordo. Le sue vaghe
promesse e l’equiparazione che ha fatto tra l’azione delle lavoratrici e dei
lavoratori rispetto a quella dei confederali ha irritato chi è stato vittima per
anni dell’azione di Cgil, Cisl e Uil. Tutti sono venuti meno come al solito alle
promesse fatte. Passate le elezioni non hanno più dovuto fingere di condividere
il nostro disagio e hanno mal sopportato le nostra contestazioni. Alla festa di
Rinascita contestiamo Epifani e Damiano. Interviene il servizio d’ordine che
tenta di cacciarci. Imponiamo di intervenire e dire la nostra.
Quali sono le forme di lotta utilizzate nel corso della vertenza, in
particolare quelle specifiche portate avanti come lavoratori di un call center?
La particolarità di Atesia è sicuramente nelle dimensioni. Un posto con 4000
persone ha fatto sì che potessimo parlare ed agire insieme con tantissime
persone. Anche l’ambiente, ovvero degli enormi stanzoni, ha reso possibile la
conoscenza diretta tra di noi e quindi un rapporto spesso di amicizia-fiducia.
Per il resto abbiamo puntato sempre sul coinvolgimento di più persone possibile.
Assemblee aperte, continui volantinaggi o comunicati. Il mezzo su cui abbiamo
più investito è il nostro giornalino. Ne abbiamo fatto 18 numeri (stiamo facendo
il 19), con una tiratura media di 1300 copie, per informare su quello che
avveniva, soprattutto di fronte al silenzio e all’ignoranza su cui puntano i
confederali per gestire l’azienda. La risposta tipica sindacale è: “non ti
preoccupare ci pensiamo noi”. La nostra invece è: “sta accadendo questo,
preoccupati, facciamo qualcosa”. Abbiamo usato molte forme di lotta: scioperi,
assemblee interne ed esterne, azioni interne all’azienda per rispondere a
soprusi e palesi violazioni della legge. Abbiamo fatto una decina di scioperi
(non mi ricordo esattamente) tutti con alta adesione. Una volta l’azienda ha
sospeso l’attività per 450 persone. Abbiamo convocato un’assemblea improvvisata
per parlarne. Centinaia di persone hanno smesso di lavorare, Atesia ha perso
molte chiamate (in questo caso ci sono delle penali) ed è andata in tilt. Ha
licenziato 4 membri del collettivo per dare un segnale e da allora si è creato
un clima ancora più conflittuale. Atesia, a causa dei licenziamenti, è diventata
un mostro anche per i media. L’azienda in seguito è stata costretta a mandare
via i managers operativi in quanto avevano creato un clima di scontro che alla
fine non erano più in grado di gestire. Abbiamo fatto due picchetti, che
nonostante quello che azienda e stampa hanno detto, hanno visto d’accordo la
stragrande maggioranza delle persone.
Dal punto di vista legale, ci siamo opposti all’azienda in tutti i modi
possibili. Quello più fortunato per noi è stato l’esposto all’ispettorato del
lavoro. Il che non vuole limitarsi a presentare l’esposto, ma seguirne e
sollecitare ogni passaggio dell’iter. Poi siamo intervenuti in una causa
precedente tra Inps ed Atesia (arrivata al secondo grado, era prevista
un’udienza il 9 febbraio, rinviata al 13 giugno 2008…).
Abbiamo fatto diversi manifesti su Atesia, migliaia di copie che hanno avuto un
buon impatto su Roma; la vertenza è conosciutissima nella città. Inoltre abbiamo
un sito e un indirizzo e-mail (http://precariatesia.altervista.org/;
precariatesia@yahoo.it) che ci hanno permesso di entrare in contatto con
tantissime realtà. Dal singolo lavoratore che magari ci chiede consigli a realtà
attive in tutta italia.
C’è stato e a che livello, collettivo o individuale, un collegamento con
lavoratori di altri settori, e si è concretizzato in qualche iniziativa
specifica?
Facciamo parte dell’Assemblea coordinata e continuativa contro la precarietà
e quindi siamo interessati a sviluppare un discorso che non si limiti ad Atesia
o ai call center. Abbiamo partecipato ad iniziative anche in appoggio ad altre
vertenze. Penso agli operatori sociali e ai tentativi di mobilitare ad esempio i
lavoratori di Ikea. Abbiamo tentato almeno due volte tramite assemblee cittadine
e manifestazioni di creare un punto d’incontro e di sviluppare una vertenza
generale. Non è andata bene. Noi sicuramente avremmo potuto lavorare meglio, ma
è evidente la volontà di molti di coltivare il proprio orticello. Evidente è
anche il fatto che la nostra lettura si differenzia molto rispetto a quella di
molti altri che non vedono di buon occhio le realtà come la nostra che rifiutano
ogni compromissione con il ceto politico (istituzionale e non) e soprattutto
pongono l’antico problema dello sfruttamento del lavoro senza cercare innovative
interpretazioni su “ceti precari”, “superamento del capitalismo”, “redditi
universali”.
Che appoggio c’è stato più in generale a livello territoriale e nazionale?
A Roma tutti conoscono Atesia, decine di migliaia di persone ci hanno
lavorato, quindi tra parenti ed amici c’è spesso una conoscenza diretta. La
solidarietà non ci è mai mancata. Siamo stati contattati moltissimo da tutta
Italia, sia dai media che da molte situazioni. Il che ci ha reso consapevoli, da
una parte della visibilità della vertenza e dall’altra del fatto che purtroppo
non si muove molto in generale. Rispetto alle istituzioni, ai sindacati, ai
partiti e anche a molti “falsi amici”, abbiamo la consapevolezza di averli
contro. Niente di personale, è che ci sembra evidente che siano nemici di tutti
i lavoratori.
Dovendo tracciare un bilancio, quali sono state le difficoltà a mantenere un
livello unitario e una continuità della mobilitazione tra i lavoratori?
La ricattabilità e la repressione. I licenziamenti si pagano. Li paga sia chi
viene licenziato, che la lotta che perde i pezzi. Inoltre c’è l’effetto di
intimidazione rispetto agli altri. Questo sicuramente ci ha condizionato. Molti
lavoratori, nonostante siano d’accordo, hanno paura, ed è normale.
Poi ci sono fattori di stanchezza. In una lotta lunga, dura, intensa e faticosa
è normale perdere qualcuno per strada. All’interno del collettivo non ci sono
state spaccature, cè una sana dialettica per cui ognuno ha le sua posizioni ma
siamo sempre riusciti ad arrivare a delle sintesi condivise. Ormai grazie alla
pratica della lotta e alle esperienze vissute abbiamo un bagaglio condiviso
ampio sui temi legati alla vertenza.
Rispetto a tutti gli altri lavoratori, è chiaro che ci saranno quelli
“filoaziendali” e/o filosindacali, ma la “gravità” della situazione e l’assoluta
ragionevolezza delle nostre richieste ha fatto sì che le nostre posizioni
fossero condivise dalla maggior parte delle lavoratrici e dei lavoratori. Il
confine tra il collettivo e “gli altri” è molto sottile.
Non abbiamo mai voluto sostituirci alla Cgil, abbiamo sempre spinto alla
partecipazione. Si interagisce continuamente. Tutti gli scioperi, ad esempio,
sono passati per l’approvazione dei lavoratori (il che non vuol dire che non
esistano meccanismi di delega).
Pensate che rispetto alle lotte portate avanti da altri lavoratori precari la
vostra esperienza sia riproducibile?
Sì, non crediamo che ci sia una formula magica per far nascere o far
funzionare una lotta. Ci rendiamo conto delle particolarità di Atesia, sia per
le dimensioni, sia per il fatto che è stata un laboratorio di precarietà dove si
sono sperimentate nuove forme contrattuali. Siamo anche ben consci delle
difficoltà dovute all’atomizzazione, al fatto che non si riceveranno aiuti, di
una situazione generale delle lotte che non favorisce il fatto che se ne
sviluppino altre. D’altra parte la situazione è sempre più insostenibile;
l’attacco della classe padronale è sempre più evidente come è evidente che non è
l’azione di delega sindacale o partitica che può far migliorare le condizioni.
“Solo la lotta paga” è ben più di un semplice slogan. Siamo convinti della
validità di una metodologia di lavoro basata sull’informazione e sul tentativo
di coinvolgimento dei lavoratori stessi.
La COS nata nel 1983, come società
per la fornitura di servizi, ha ottenuto nel ’94 la prima commessa relativa
all’attività di call center. Il suo presidente è Marco Tripi, anche vice
presidente esecutivo di AlmavivA, che comprende 17 Società con circa 15.000
dipendenti che operano in 39 Sedi in Italia e 3 all’estero. Tripi è stato
manager europeo di Ibm e ha lavorato presso la Direzione Marketing di BNL
Multiservizi, azienda di servizi informatici e telematici del Gruppo BNL.
Tra i suoi lavoratori è noto anche per avere cooptato gran parte della sua
famiglia al vertice di Cos che possiede anche Atesia. È un fervente
sostenitore della Margherita e un amico di Francesco Rutelli. Nel consiglio
d’amministrazione di Cos c’è anche Sandro Bicocchi, direttore generale della
Compagnia delle Opere, serbatoio di forza lavoro giovanile superprecaria.
Oggi la società Cos è leader nell’offerta di servizi di CRM e si propone
come partner per le attività di Business Process Outsourcing; ha sedi a
Milano, Roma, Empoli, Napoli, Palermo, Catania, Tunisi, Buenos Aires,
Bucarest e ad oggi, come gruppo, comprende le seguenti società: |
Una storia significativa 1989 - si costituisce
Atesia, all’interno del gruppo Seat Pagine Gialle, per le ricerche di
mercato; Atesia verrà poi acquisita con tutta la Seat dalla Telecom e si
trasformerà in call center, con servizi di contact center oltre che di
ricerche di mercato. Per una cronologia più completa delle lotte dei lavoratori dei call center, rimandiamo al sito www.senzacensura.org |