SENZA CENSURA N.22
marzo 2007
La repressione dei militanti turchi
Unione Europea: l’accusa di terrorismo alla base del processo politico
In continuità con il lavoro di approfondimento
portato avanti in questi anni dalla rivista in tema di controrivoluzione
preventiva e, in particolare, di restringimento degli spazi di agibilità
politica mediante l’inasprimento legislativo, giudiziario e detentivo,
pubblichiamo un’intervista a Flavio Rossi Albertini, avvocato di Avni Er, uno
dei due compagni arrestati in Italia nel corso della cosiddetta “operazione 1°
aprile”; la dichiarazione spontanea resa dallo stesso Avni all’ultima udienza
davanti alla Corte di Assise di Perugia; alcuni stralci di una lettera di Bahar
Kimyongür, attivista belga solidale con le lotte dei prigionieri turchi, dal
carcere di Gand.
Intervista
a Flavio Rossi Albertini, avvocato difensore al processo “I° Aprile”
Come si è modificata la legislazione
nazionale in materia di terrorismo a partire dall’11 settembre 2001 e quale
incidenza ha avuto nell’inchiesta sul DHKP-C?
La vicenda giudiziaria di cui sono protagonisti Avni e
Zeynep, ritenuti due militanti dell’organizzazione marxista turca DHKP-C, trae
origine dalla modifica introdotta dal legislatore italiano dell’art. 270 bis del
codice penale.
Come certamente tutti e tutte ricorderanno a seguito dell’attentato perpetrato
contro le torri gemelle, la legislazione di molti paesi occidentali in materia
di “terrorismo”, Italia in primis, subirono una ulteriore
involuzione/evoluzione.
Infatti con il d.lg. del 18/10/01 n. 374 convertito nella legge n. 438 del 2001
nei primi mesi del governo Berlusconi, il parlamento decise di adottare una
modifica dell’art. 270 bis c.p. così da dotare l’ordinamento giuridico di una
fattispecie penale idonea a reprimere l’attività di gruppi terroristici
internazionali radicatisi nel nostro territorio.
Nel corso del 2002 anche in sede europea, sempre in tema di terrorismo, vennero
assunte altre decisioni che rappresentano il substrato giuridico sul quale si
innesta la cd. “operazione 1° aprile”.
In data 2/5/2002 il Consiglio d’Europa approvava la cd. Black List dell’Unione
Europea, con la quale veniva qualificata come terroristica l’attività compiuta
da numerose organizzazioni internazionali, tra le quali possiamo ricordare il
PKK, Sendero Luminoso, l’ala militare di Hamas (Hamas Izz al –Din al-Qassem), la
Jihad islamica palestinese, ed appunto il DHKP-C.
Inoltre sempre nel 2002, il 13 giugno, il Consiglio dell’Unione Europea
approvava la “decisione quadro sulla lotta contro il terrorismo” con la quale
l’Europa decideva di attestarsi sulla definizione di terrorismo approvata dal
governo inglese nel cd. “Terrorism Act”.
La legislazione inglese ha quale tratto peculiare quello di ricomprende nella
categoria di terrorismo ogni azione violenta, se compiuta con finalità politica,
annullando così la tradizionale distinzione tra terrorismo ed eversione.
La legislazione italiana fino al 2005, seppur solo formalmente, ancora
distingueva tra associazioni eversive e terroristiche internazionali, prevedendo
la giurisdizione del giudice italiano soltanto per l’associazione terroristica
internazionale.
Un’associazione eversiva internazionale, secondo la formulazione dell’art. 270
bis, non potrebbe essere sottoposta a processo in Italia.
Ma tale distinzione – tra terrorismo ed eversione – con l’introduzione del cd.
Pacchetto Pisanu viene, di fatto, definitivamente annullata (d.lg. 144/2005). Il
legislatore italiano infatti, successivamente agli attentati di luglio 2005 a
Londra, decide di introdurre ulteriori ipotesi di reato in materia di terrorismo
internazionale ed a tal fine recepisce la definizione liberticida di terrorismo
(cfr. art. 270 sexies1 c.p.) utilizzato dal Terrorism Act inglese.
In questo modo si svuota definitivamente di significato, anche nella
legislazione italiana, la categoria dell’eversione, ormai totalmente sussunta
nel più generale concetto di terrorismo internazionale.
Per concludere la risposta è necessario osservare che l’operazione cd. “1°
aprile” fonda le sue basi giuridiche sulla legislazione italiana ed
internazionale formatasi successivamente all’11 settembre 2001. Precedentemente
a quella data il nostro paese non aveva alcuna norma che punisse una
organizzazione che intendesse compiere attività terroristiche contro uno stato
estero.
Dal 2001 l’Italia ha modificato l’art. 270 bis c.p. prevedendo la possibilità di
punire solo le associazioni terroristiche internazionali.
Quindi è stato possibile giudicare in Italia il DHKP-C soltanto perché
l’organizzazione è stata qualificata come terroristica.
Come avete provato a contrastare
l’impostazione accusatoria secondo la quale il DHKP-C era una associazione
terroristica?
Ciò che le difese hanno tentato di dimostrare è che
l’attività portata avanti dalla sinistra rivoluzionaria turca era assimilabile
ad una lotta di liberazione combattuta contro il regime fascista turco, che si
esprime nelle stesse forme in cui si realizzò la resistenza italiana.
Una lotta complessiva, quella del DHKP-C, interpretata non solo con l’uso delle
armi ma sostenuta e portata avanti da una fitta rete di resistenza sociale
composta di associazioni, sindacati, radio, giornali, etc. Inoltre le azioni
militari del DHKP-C non sono mai state rivolte contro obiettivi civili ma sempre
contro rappresentanti delle istituzioni o dell’esercito.
Pertanto secondo le difese mancavano gli elementi costitutivi per la
qualificazione di terrorismo in quanto gli obiettivi non erano civili e lo scopo
non era quello di terrorizzare la popolazione.
Inoltre si è tentato di dimostrare il carattere autoritario dello stato turco il
quale fonda le sue regole su una costituzione approvata dai militari del golpe
del 1980; che utilizza le torture, gli omicidi, le sparizioni per colpire gli
oppositori politici; che arresta i giornalisti scomodi, che chiude i giornali
dissidenti, etc.
Ma alla Corte di Perugia erano circostanze che non interessavano. Si voleva
processare il DHKP-C prescindendo dal contesto turco in cui opera.
Eravamo consapevoli come difensori dei limiti di questa impostazione difensiva
in una fase in cui la Turchia, sullo scacchiere internazionale, è un paese
sempre più apprezzato come valido partner commerciale, è un fedele alleato
militare, nonché rappresenta lo sbocco naturale delle risorse energetiche
provenienti dalle repubbliche ex sovietiche.
Il processo al DHKP-C celebrato in Italia è evidentemente il frutto di una
scelta politica secondo la quale i buoni rapporti dell’Italia con la Turchia
passano anche per la collaborazione giudiziaria contro la guerriglia marxista.
Pertanto non si doveva indagare troppo sulla realtà politico sociale turca ed al
contempo i guerriglieri combattenti, insorti contro il paese amico, non dovevano
subire alcuna legittimazione ma essere trattati alla stregua di folli
terroristi.
Qual è quindi il tratto distintivo che caratterizza un’azione terroristica e
cosa la differenzia da una “azione eversiva”?
Per comprendere come sia povero l’attuale dibattito sul terrorismo – e come
sia tutto squisitamente politico l’uso e la finalità che si persegue affibbiando
questo termine, anche a chi terrorista non è – è sufficiente osservare la storia
di ogni paese, dei suoi padri fondatori, delle gesta che hanno compiuto.
Risulta con evidenza che nell’attuale dibattito politico molti soggetti venerati
dalle istituzioni come “padri della patria” verrebbero qualificati come
terroristi.
Quante Piazze sono dedicate in Italia a Guglielmo Oberdan, la cui fama è legata
ad un duplice tentativo di assassinare l’Imperatore di Austria-Ungheria mediante
il lancio di bombe in pubbliche manifestazioni. Oberdan era un giovane
irredentista triestino convinto della necessità che Trieste fosse italiana. La
memoria di Oberdan era talmente vivida agli inizi del novecento che “Morte a
Franz, viva Oberdan” era la canzone intonata dai soldati italiani quando vennero
mandati a combattere nel mattatoio della prima guerra mondiale.
Oppure Giuseppe Mazzini il quale teorizzava la guerra per bande come il primo
stadio della guerra nazionale. Mazzini parla di “apostolato dell’insurrezione”.
Come dovrebbe essere definito Giuseppe Mazzini un terrorista o un patriota?
Per non parlare della resistenza, delle azioni dei GAP, delle bombe contro i
nazisti, le vendette contro i repubblichini.
La realtà è che la dizione di terrorismo, cosi come attualmente intesa, ha la
funzione di demonizzare il nemico, renderlo indifendibile, privarlo del sostegno
e della simpatia che può suscitare in ampi strati della popolazione.
Per comprendere meglio la questione è sufficiente dire che ancora nel 1999 in
sede ONU, nel testo del progetto di “Convenzione globale sul terrorismo” cd.
Global Terrorism Act, il terrorismo è ancora definito come l’azione violenta
compiuta contro civili innocenti allo scopo di incutere timore alla popolazione,
la violenza indiscriminata, come una bomba in un mercato, in una piazza, in un
cinema etc.
Ma tale definizione è oggi interpretata estensivamente ed il tentativo, neppure
troppo velato, è quello di estenderla in modo da ricomprendervi ogni
comportamento violento, in particolare se utilizzato come strumento di lotta
politica.
Quali sono i prodromi dell’inchiesta?
L’Italia, durante il governo Berlusconi, in omaggio al
nuovo ruolo rivestito sul piano internazionale, di alleato fedele dell’asse USA
- GB - Israele e Turchia, ha ritenuto di aderire alla richiesta turca di
collaborazione giudiziaria.
Le informazioni provenienti dall’antiterrorismo turco rappresentavano che dal
territorio nazionale, in particolare dalla città di Perugia, risultavano essere
partite le telefonate di rivendicazione di alcuni attentati compiuti in Turchia.
L’Arma dei Carabinieri, 4° forza armata grazie al governo D’Alema, aderiva alla
richiesta inoltrata e con l’ausilio di un Ufficiale di collegamento Turco
riteneva di individuare nei due imputati la cellula del DHKP-C operante in
Italia.
Venivano pertanto intercettati i loro telefoni, la loro abitazione, i loro
computer, ed inoltre essi venivano pedinati, osservati, controllati con un
dispendio di mezzi, uomini ed energie assolutamente sproporzionato.
Il 1° aprile del 2004 i due imputati turchi, assieme ad altri tre italiani,
venivano tratti in arresto in esecuzione di un’ordinanza di custodia cautelare
in quanto ritenuti appartenenti al DHKP-C.
Parliamo di violazioni del diritto di
difesa...
Quando gli imputati furono tratti in arresto non gli
venne tradotta, nella loro lingua madre, l’ordinanza di custodia cautelare in
palese violazione del loro diritto di difesa.
Non veniva tradotto neppure l’avviso di conclusione delle indagini preliminari.
Non è stata tradotta la richiesta di rinvio a giudizio e neppure l’avviso di
fissazione dell’udienza preliminare.
Tali violazioni, è necessario precisare, sono sanzionate dalla nullità degli
atti non tradotti, da cui discende la necessità di rinnovarli con l’allegata
traduzione ex art. 143 cpp. come interpretato dalla Sentenza della Corte
Costituzionale n. 10 del 1993.
La natura politica del processo determinava, al contrario, che tutte le
eccezioni di nullità, proposte dalla difesa, venivano sistematicamente respinte
in primis dal Gip, successivamente dal Tribunale della Libertà di Perugia,
quindi dalla Corte di Cassazione.
L’inchiesta, si ripete, tutta squisitamente politica, non poteva e non doveva
essere rallentata da nullità ed eccezioni, il cui accoglimento avrebbe
comportato, in alcuni casi, la scarcerazione degli imputati.
Ulteriore spregio delle garanzie degli imputati si manifestava all’udienza
preliminare, quando le difese apprendevano che, in violazione delle regole di
designazione dei giudici (principio costituzionale del “Giudice naturale
precostituito per legge”), era stato assegnato alla trattazione dell’udienza un
giudice scelto arbitrariamente dal Presidente del Tribunale di Perugia.
Anche questo giudice respingeva tutte le eccezioni difensive accogliendo, come
costantemente avvenuto nel corso del processo, tutte le richieste della Procura.
Inoltre nel corso del dibattimento si scopriva che l’ufficiale di collegamento
Turco, che aveva collaborato con il ROS dei Carabinieri alla realizzazione
dell’inchiesta, era il responsabile degli interrogatori degli arrestati e dei
fermati dell’antiterrorismo di Istambul.
Così chiedevamo di sapere se era vero che gli arrestati in Turchia,
dell’inchiesta del 1° aprile, (il troncone turco dell’inchiesta italiana)
avevano tutti denunciato di essere stati torturati.
Se era vero che i militanti del DKHPC individuati erano stati tutti uccisi
dall’antiterrorismo turco, e che nessuno aveva avuto il “beneficio” di esser
catturato vivo.
Sul numero dei prigionieri politici, sui giornali chiusi dalla polizia, sulla
repressione del dissenso, sulle associazioni per i diritti umani, etc.
Molte domande non venivano però ammesse dalla Corte di Assise di Perugia che
preferiva non investigare sulla realtà politica, economica e sociale di quel
paese.
Ulteriore elemento di valutazione della portata politica e simbolica, sul piano
internazionale, di questo processo, è rappresentato dalla circostanza che
accanto al pubblico ministero siedevano, ad ogni udienza, un colonnello e due
sottoufficiali del ROS.
In nessun altro processo politico si è verificata tale incresciosa situazione
(non al processo BR, Archici Insurrezionalisti, Sud Ribelle, etc.).
Ad ulteriore conferma del clima di questo processo è necessario ricordare che
tutti i carabinieri del Ros nonché l’ufficiale turco hanno deposto nascosti
dietro un paravento, celati alla vista di avvocati, imputati e pubblico.
Il loro ingresso in aula avveniva con il volto coperto da un sottocasco e da un
giaccone che ne copriva i vestiti.
Il Ros dei Carabinieri evidentemente ha utilizzato una modalità di gestione del
processo “alla turca” mai usato in nessun altro processo politico.
Per concludere si può ricordare l’ulteriore prevaricazione di cui sono stati
vittime i due imputati ai quali è stata sospesa la decorrenza dei termini
massimi di custodia cautelare ex art. 304 cpp.
Ciò significa che ad oggi dovrebbero essere entrambi fuori dalle patrie galere
in quanto il tempo impiegato per celebrare il processo ha superato il termine di
un anno stabilito come periodo massimo di carcerazione.
L’ordinanza, assunta dalla Corte su richiesta del P.M., è il frutto di un
artificio giuridico assolutamente non sussistente nel caso di specie.
E delle condizioni di detenzione...
Nonostante siano soltanto due gli imputati turchi
presenti in Italia è necessario rilevare che nel momento in cui la Corte di
Assise autorizzò i colloqui tra gli stessi, il ministero della giustizia, per
mano del DAP, immediatamente trasferì Avni presso il Carcere di Nuoro.
Dall’agosto del 2005 Avni è assegnato a Badu e Carros.
Il trasferimento in Sardegna è stato attuato nonostante Avni fosse imputato a
Perugia, nonostante i suoi difensori risiedessero a Roma e Perugia e nonostante
avesse ottenuto l’autorizzazione ad effettuare i colloqui familiari con la
coimputata detenuta a Roma.
Avni Er
Via Badu e Carros 1, 08100 Nuoro
Zeynep Kilic
Via Bartolo Longo 92, 00156 Roma Rebibbia
NOTE:
1) Art. 270-sexies (Condotte con finalità di terrorismo).
1. Sono considerate con finalità di terrorismo le condotte che, per la loro
natura o contesto, possono arrecare grave danno ad un Paese o ad
un’organizzazione internazionale e sono compiute allo scopo di intimidire la
popolazione o costringere i poteri pubblici o un’organizzazione internazionale a
compiere o astenersi dal compiere un qualsiasi atto o destabilizzare o
distruggere le strutture politiche fondamentali, costituzionali, economiche e
sociali di un Paese o di un’organizzazione internazionale, nonché le altre
condotte definite terroristiche o commesse con finalità di terrorismo da
convenzioni o altre norme di diritto internazionale vincolanti per l’Italia».