SENZA CENSURA N.22
marzo 2007
Libano: guerra “a bassa intensità”
Il popolo libanese è ancora al centro dell’aggressione imperialista
La situazione in Libano è tutt’altro che stabile e
sempre più polarizzata.
Nei mesi scorsi si sono succeduti scontri violenti tra governo e opposizione,
attentati mortali e continue violazioni israeliane.
Da un lato vi è un governo che ha visto le dimissioni di una parte importante
dei suoi ministri e che gode dell’appoggio di tutti i paesi imperialisti,
compreso il governo italiano. Questo sostegno internazionale è fondamentale per
foraggiare le proprie clientele di notabili, strenui difensori dello status quo
e per armare la propria milizia.
Dall’altro vi è una coalizione di forze eterogenee (Hezbollah, Amal, Corrente
Patriottica Libera del generale M. Aoun), oltre al Partito Comunista Libanese,
espressione della maggioranza della popolazione mobilitata che ne chiede le
dimissioni.
In Libano, dopo i tentativi di destabilizzazione portati avanti per tre anni da
Francia e USA sotto l’egida ONU, la disfatta militare israeliana ad opera della
Resistenza e il completamento delle dispiegamento delle forze dell’ONU (tutti
temi a cui abbiamo dato ampio spazio sul numero precedente), continua a giocarsi
una partita che influirà anche sugli equilibri regionali e non solo.
Partita, che la presenza delle truppe UNIFIL nel sud del Paese e lungo le coste,
e “gli aiuti” finanziari di alcuni paesi imperialistici e di alcune potenze
dell’area medio-orientale, vogliono nettamente influenzare.
Le battaglie che combatte l’imperialismo sul suolo libanese sono molteplici e la
strategia dell’«instabilità costruttiva» perseguita da tempo attraverso la forte
ingerenza negli affari interni della politica del Paese dei Cedri continua
tuttora.
La possibilità di scatenare una guerra civile etero-diretta, incentivando la
violenza settaria tra le varie comunità o all’interno della stessa comunità,
rimane una delle possibili opzioni giocabili dall’imperialismo, anche se fino ad
ora il radicamento e la maturità delle forze d’opposizione popolare -
cementificati dalla vittoria conseguita sul campo durante l’aggressione sionista
dell’estate scorsa – sembrano avere una certa capacità di tenuta.
Le riforme strutturali auspicate dal Fondo Monetario Internazionale e dalla
Banca Mondiale, la marginalizzazione politica delle forze della Resistenza
Libanese, l’acuirsi dei conflitti inter-comunitari, e il persistere
dell’occupazione militare del sud del Paese sono tutti strumenti che conseguono
il medesimo fine: indebolire la resistenza popolare e preparare il terreno per
una nuova offensiva americano-israeliana nella regione.
Il movimento contro la guerra è chiamato ad esprimersi senza ambiguità anche
rispetto allo scenario libanese, che vede la cosiddetta «sinistra radicale»
essere silente e immobile rispetto alla chiara volontà popolare di una
inversione di rotta del corso politico libanese, frenata anche dall’imperialismo
“nostrano”. La radicale messa in discussione della politica estera del nostro
attuale esecutivo è un sostegno pratico a chi in Libano lotta per sbarazzarsi
delle ipoteche imperialiste sul proprio futuro.
Ci è sembrato quindi utile pubblicare alcuni materiali sulla situazione
libanese, di cui uno, redatto da una compagna dell’Ufficio Politico del Partito
Comunista Libanese il dicembre scorso, fa il punto della situazione e denuncia
la volontà degli USA di installare una base militare americana in Libano e
avanza delle proposte, mentre gli altri due sono dedicati alla conferenza
´Parigi IIIª, tenutasi nella capitale francese alla fine di questo gennaio.
Si tratta degli stralci della conferenza stampa tenuta dal Partito Comunista
Libanese che fa un quadro della situazione economica attuale, denuncia i
contenuti delle riforme economiche che sono la moneta di scambio per la
riscossione delle sovvenzioni internazionali e elabora delle proposte
alternative, mentre l’altro contributo è un documento che convoca una iniziativa
politica di opposizione a questa conferenza, redatto e distribuito dal
«Collettivo per la Liberazione di Georges Ibrahim Abdallah».
DALLA CONFERENZA STAMPA DEL PARTITO COMUNISTA
LIBANESE
A PROPOSITO DELLA «CONFERENZA DI PARIGI-3»
Il Partito Comunista Libanese ha tenuto, mercoledì 10/1/2007, una conferenza
stampa in cui il segretario generale del partito ha posto l’accento sui pericoli
contenuti nel programma economico che il governo di Fouad Siniora (o ciò che ne
rimane) ha preparato per lo svolgimento della «Conferenza di Parigi-3» e che, di
fatto, riprende gli stessi punti e lo stesso contenuto del programma della
conferenza che doveva tenersi a Beirut, nel mese di agosto 2006, e che più di
500.000 persone avevano rifiutato in occasione della manifestazione sindacale e
popolare del 10 maggio scorso.
(…) Il cosiddetto «Progetto di riforma economica», così come la «Conferenza di
Parigi-3» esprimono, di fatto, il grado di esacerbazione raggiunto dalla crisi
che imperversa all’interno del regime politico libanese e che minaccia l’unità
del nostro paese e del nostro popolo. In effetti, questa grave crisi interessa
tutte le istituzioni del potere politico che hanno perso tutta la legittimità di
cui disponevano, dalla più alta magistratura fino al parlamento, passando per il
governo. Infatti il programma preparato per la conferenza di Parigi e l’appoggio
che gli è stato dato da alcuni Stati arabi e non, rappresentano, di fatto, un
appoggio ad una delle due parti del conflitto attuale, in questo caso al governo
di Fuad Siniora, a discapito di tutte la altre.
Qualche nota preliminare:
1. Le due precedenti conferenze, Parigi-1 e Parigi-2 che si sono tenute in
occasione di circostanze regionali e libanesi meno acute di quella che accade
oggi, non avevano fatto granché per la salvaguardia della situazione economica
in Libano. Al contrario: avevano avuto come sole conseguenze quella di far
aumentare il debito pubblico, già importante, e quella di creare nuovi problemi
sociali. Nella situazione attuale, dunque, è prevedibile che i risultati saranno
ancora peggiori rispetto a tutto ciò che il popolo libanese ha già subìto.
2. Il Primo Ministro Fuad Siniora crede di potersi far gioco del mondo intero,
dicendo che il programma economico che ha appena presentato è stato redatto in
Libano, mentre tutti sanno che le cosiddette «proposte» che contiene
costituiscono delle condizioni imposte, già da molto tempo, dal FMI e dalla
Banca Mondiale. D’altronde in questo programma «made in Libano», non abbiamo
trovato né la funzione economica del Libano, né il suo ruolo previsto nella
regione; senza parlare poi dello squilibrio tra i vari settori dell’economia
libanese che questo programma contiene. Ecco perché noi diciamo al Primo
Ministro: basta così! La maggioranza dei Libanesi non vuole che Lei continui ad
utilizzare le divergenze esistenti sul piano politico per far passare le ricette
che altri popoli, in America Latina e in Africa, hanno già sperimentato e di cui
hanno subìto le conseguenze nefaste con l’aumento del tasso di povertà.
3. Il governo libanese attuale ha proseguito l’opera dei suoi predecessori,
svuotando il «Consiglio sociale ed economico» del suo contenuto, dato che si
rifiuta di considerare questo consiglio come il primo attore delle consultazioni
che dovrebbero essere obbligatorie prima di ogni progetto di riforme,
soprattutto quando queste interessano da vicino la vita dei cittadini e la
stabilità economica e sociale del paese.
4. Lo scopo dell’aiuto tanto atteso dai partecipanti a «Parigi-3» non è tanto
quello di creare un clima che permetta lo sviluppo o la riduzione del debito ma,
piuttosto, quello di riconsolidare l’economia come economia di servizi e di
mediazione. Una tale economia costituisce, come sappiamo, un ostacolo allo
sviluppo dei settori produttivi. In effetti il Libano importa ogni anno materie
e servizi dall’Occidente per 7 miliardi di dollari; quindi l’aiuto di cui la
nostra economia beneficia oggi non ha altro scopo che quello di garantire la
continuazione di questo tipo di attività a favore delle economie occidentali.
5. Il progetto per la «Conferenza di Parigi-3» ha insistito sul ruolo delle
aggressioni israeliane, comprese quelle del luglio 2006, nella distruzione delle
infrastrutture, e quindi dell’economia del Libano. E visto che gli Stati Uniti,
istigatori delle ultime aggressioni contro il nostro paese, sono i più
entusiasti sostenitori della Conferenza di Parigi, ci è dato chiederci perché il
governo di Fuad Sinora non rivendica dai suoi amici e sostenitori delle
compensazioni che essi devono, insieme agli Israeliani, al nostro paese?
6. Gli Stati che sono chiamati a partecipare alla conferenza sono tutti dei
debitori, che reclamano il pagamento ormai vicino della maggior parte dei 16
miliardi di dollari che devono essere restituiti nel 2008. Ciò spiega in gran
parte le misure che sono proposte nella carta di «Parigi-3», tra queste le
privatizzazioni che permetteranno, a questi paesi, di acquistare per pochissimi
soldi dei settori molto remunerativi che appartengono oggi ai servizi pubblici,
tra questi fondamentalmente la telefonia cellulare.
7. Malgrado le affermazioni di Fuad Siniora sull’assenza delle condizioni
politiche per la realizzazione di questo progetto economico da parte dei Paesi
donatori, molti punti restano poco chiari, soprattutto se prendiamo in
considerazione quel che viene detto, nell’introduzione del programma delle
«riforme», a proposito del progetto di «creare uno Stato forte e moderato» in
Libano. Ciò va pienamente nello stesso senso di una certa linea politica, che
Georges Bush tenta di applicare nella regione; e ciò che rende queste misure
ancora più pericolose, è la volontà di liquidare una parte dei dipendenti del
settore pubblico a favore dell’aumento del numero delle forze armate, senza
avere però una politica difensiva definita; ciò implica che si vogliono
rinforzare i servizi informativi nell’ottica del controllo dei soli libanesi; e
le prime avvisaglie di questo tipo di politica si delineano già da ora con la
repressione ed il cattivo funzionamento della giustizia.
Il PCL aveva, già agli inizi degli anni ’90 e fino alla promulgazione del
programma della conferenza di «Beirut-1», poi non tenutasi, posto l’attenzione
sui pericoli della linea economica e sociale intrapresa dai governi successivi.
Esso prevedeva chiaramente che saremmo arrivati a ciò che ci preoccupa oggi,
cioè: la crisi nel settore dell’economia, l’aumento del debito pubblico, i gravi
problemi sociali, l’emigrazione dei cervelli, mentre i responsabili di questi
piani ci promettevano mari e monti per il Libano.
E se, oggi, torna alla carica è perché vede che i responsabili sono sempre più
incapaci di far fronte alla crisi socio-economica e che proseguono, malgrado
tutto, la loro campagna di travisamento delle cause reali che hanno portato alla
situazione attuale. Se è pur vero che l’ultima aggressione israeliana contro il
Libano è, in parte, responsabile dei problemi che vive oggi il Libano, pur
tuttavia le cause della sofferenza dei Libanesi sono per lo più antecedenti a
questa aggressione.
L’enorme indebitamento, il fallimento delle imprese, l’aumento dei tassi di
emigrazione e la diminuzione del livello di vita sono alcuni degli indici che
hanno segnato la vita libanese a partire almeno dalla fine degli anni novanta. E
ciò significa che le cause della crisi stanno nelle politiche economiche,
monetarie e finanziarie adottate. Senza dimenticare un’altra causa, strutturale,
che deriva dalla natura stessa dell’economia libanese, in cui predominano i
settori dei servizi a discapito dei settori produttivi.…
Inoltre aggiungiamoci una politica monetaria che si è tradotta in un sodalizio
tra i poteri politici e le grandi banche; cosa che ha portato a raggiungere dei
grandissimi profitti in tempi da record, al punto tale che i capitali di queste
banche sono aumentati di 20 volte in 15 anni, contro un aumento del PIL che non
ha superato il raddoppio. Infine, la politica di stabilizzazione della moneta
nazionale ha provocato un grande squilibrio a causa dei tassi d’interesse
esorbitanti sui buoni del tesoro, e delle differenze imposte tra i tassi
d’interesse sulla lira libanese e il dollaro… Cosa che ha spinto il risparmio
sempre più verso settori non produttivi, lasciando l’industria e l’agricoltura
senza mezzi di fronte alla concorrenza estera.
Non bisogna poi dimenticare il ruolo negativo di tasse e imposte indirette sui
consumi, né quello dello spreco e della corruzione.
Eppure nessuno di questi fattori viene citato nel foglio di riforma presentato
dal governo. Questa mancanza è dovuta ad una posizione politica e di classe ben
chiara. Quel che il Governo vuol farci credere è che l’origine di tutti i nostri
problemi è esterna e non ha alcun legame con le politiche adottate. E questo è
sufficiente per mettere in discussione le intenzioni di questo governo e le sue
capacità di portare fuori il paese dall’impasse nella quale si trova.
I pericoli del programma delle cosiddette riforme
stanno nei seguenti punti:
1. La carta di «Parigi-3» disdegna completamente la contraddizione tra le
capacità di aumentare le imposte (indirette), anche a partire dal 2008, e
l’aumento dei prezzi dei servizi generici, come carburante ed elettricità, e le
possibilità quasi inesistenti di procedere ad una diminuzione reale della spesa
pubblica; la diminuzione che i precedenti governi avevano spronato senza
successo negli ultimi dieci anni, mentre le tasse aumentavano, rispetto al PIL,
di più del 50%.
2. Il programma delle cosiddette riforme insiste sul carattere indiretto delle
tasse che vengono proposte; eppure, non si assume la responsabilità di fermarsi
né dinnanzi allo squilibrio visibile nella ripartizione del PIL, né davanti
all’aumento della povertà. Non tenta neppure di risolvere il problema dei salari
congelati dal 1997, soprattutto del salario minimo, mentre l’inflazione è
aumentata di oltre il 35%.
3. Le soluzioni ai problemi sociali sono, tutte, presentate in un elenco di
promesse e slogan di carattere generale. Parlano di un miglioramento generico, e
indefinito, nei bilanci dell’istruzione e della sanità. Inoltre alcune soluzioni
ai problemi rivelano un carattere caritatevole verso gli strati più deboli di
popolazione. Questa tendenza si trasformerà certamente in forme di aiuto
finanziario minimo alle persone e alle famiglie il cui profilo è indefinito;
cosa che lascia presagire che questi aiuti dovranno passare incontestabilmente
per le mani degli emiri delle varie confessioni religiose e dei rappresentanti
della classe politica che si faranno carico di darli ai loro amici e a coloro
che approfitteranno dei rapporti di clientelismo intessuti da un regime politico
di tipo confessionale.
4. La carta della conferenza di Parigi si è accontentata di fare solo delle
generiche allusioni ai problemi reali che vivono i settori economici produttivi
ed alle soluzioni necessarie per il loro sviluppo, nonostante la crisi economica
libanese sia legata proprio a questi settori che subiscono una regressione delle
loro capacità concorrenziali, un aumento del debito, l’assenza di programmi
adeguati di finanziamento e di reti di servizi di costo medio. Invece questa
carta si sofferma lungamente sulle direttive che riguardano le privatizzazioni
di alcune aziende pubbliche, soprattutto le telecomunicazioni, senza precisare
affatto i vantaggi economici, finanziari e sociali che una tale operazione
porterà, considerando soprattutto che la privatizzazione della telefonia
cellulare renderà, al massimo, 2,7 miliardi di dollari, mentre la sua
redditività è attualmente di circa un miliardo.
5. La carta ha ignorato completamente i problemi delle diverse regioni libanesi.
Non fa alcun riferimento a misure riguardanti il decentramento economico e
amministrativo che è invece una componente essenziale per lo sviluppo economico
e sociale del paese.
Le alternative:
1. Sviluppare i settori produttivi dell’industria, dell’agricoltura e del
turismo, dandogli l’aiuto e la protezione necessari che gli permettano di
acquisire una capacità concorrenziale reale.
2. Rimettere in discussione il sistema monetario, nel senso di metterlo al
servizio dell’economia nazionale e non dei settori non produttivi.
3. Creare delle casse per lo sviluppo delle regioni e per dare la spinta
necessaria ai progetti produttivi.
4. Adottare un regime fiscale giusto, basato sulla tassazione progressiva e con
l’uso limitato dell’IVA.
5. Conoscere il dossier dei beni marittimi dello Stato.
Certo questo progetto mina gli interessi delle classi sociali povere e medie, i
funzionari, gli operai e coloro che praticano i mestieri liberali.
È un progetto che difende soltanto gli interessi delle classi
politico-confessionali al potere e delle banche che hanno guadagnato decine di
miliardi di dollari con le speculazioni sui tassi d’interesse e simili.
È un progetto che vuole liquidare le conquiste sociali degli strati più poveri
che saranno così alla mercé degli emiri della politica, ma che vuole liquidare
anche il servizio pubblico.
È un progetto che aumenterà le imposte indirette e l’ IVA (15% nel 2008), ma
anche i prezzi dei carburanti.
Questo progetto, che mira a vendere i beni pubblici ed i servizi di base,
dimentica di parlare dei diritti dello Stato nel centro di Beirut, che è stato
confiscato completamente dal gruppo «SOLIDERE».
Il PCL chiede il rinvio della «Conferenza di Parigi-3» e chiede al Governo di
incaricare il Consiglio sociale ed economico di preparare un programma nuovo,
basato su una politica economica che vada nel senso degli interessi del popolo
libanese, del ruolo del Libano e della sua funzione economica reale nella
regione. Una politica che va nel senso della prevenzione dell’emigrazione
giovanile, mediante lo sviluppo dei settori produttivi e la creazione di posti
di lavoro reali.
Il PCL organizzerà dei dibattiti in tutte le regioni e le grandi città del
paese. E terminerà queste attività con una manifestazione che avrà luogo il 24
gennaio, alla vigilia della data prevista per la Conferenza di Parigi, se il
governo non prenderà in considerazione le rivendicazioni delle masse.
NO ALLA CONFERENZA DEGLI
IMPERIALISTI! [...] |
La conferenza di Parigi sul Libano La conferenza
internazionale svolta a Parigi il 25 gennaio scorso si è conclusa con una
«pioggia di dollari per il Libano», come ha titolato Le Figaro. Tra
donazioni e prestiti agevolati la somma finale ha raggiunto 7,6 miliardi di
dollari, di cui più di uno elargito dall’Arabia Saudita, 770 milioni dagli
Usa, 520 milioni dall’Ue e 650 dalla Francia. Anche la Banca mondiale e la
Banca europea d’investimento hanno offerto rispettivamente uno e 1,25
miliardi di dollari. L’Italia ha contribuito con 120 milioni di euro, per
nulla trascurabili se confrontati per esempio con il 20 milioni di dollari
canadesi devoluti dal governo di Ottawa. |
Libano Il generale Claudio Graziano ha assunto oggi il comando di Unifil Il generale Claudio Graziano ha assunto oggi il comando di Unifil (Forza Onu
distaccata dal 1978 nel Libano meridionale) in sostituzione del francese
Alain Pellegrini. Nel corso di una cerimonia svoltasi a Naqura, il generale
Graziano, che dal luglio del 2005 al febbraio del 2006 ha comandato la
brigata multinazionale di Kabul, ha detto di non vedere l’ora di collaborare
con l’esercito e le autorità libanesi “per sostenerli nel loro sforzo di
cementare la stabilità nel Libano meridionale” e per aiutare la popolazione
locale “a rendere l’area più sicura e un luogo migliore in cui vivere per
tutte le comunità”. |
Nato-Israele, accordo in ambito Dialogo Mediterraneo Il 16 ottobre la Nato e Israele sono giunti a un accordo sul Programma di cooperazione individuale nell’ambito del dialogo mediterraneo rafforzato e hanno anche finalizzato le modalità del contributo di Gerusalemme all’operazione marittima Active Endeavour, nata nel 2001 per contrastare la rete di terrorismo internazionale. Lo rende noto un comunicato diffuso a Bruxelles dalla Nato. “La decisione israeliana di contribuire a Active Endeavour e di partecipare al programma di cooperazione individuale con la Nato rappresenta un passo avanti significativo nella cooperazione con l’Alleanza atlantica”, si legge nella nota. Durante il vertice di Istanbul del giugno 2004, i 26 capi di Stato e di governo dei Paesi membri della Nato avevano stabilito di poter offrire ai Paesi partner del Dialogo Mediterraneo la possibilità di fissare un accordo con la Nato nell’ambito dei programmi di cooperazione individuale e del dialogo mediterraneo cui, oltre Israele, partecipano Algeria, Egitto, Giordania, Marocco, Mauritania e Tunisia. (Fonte: Ansa, tratto dal sito: www.paginedidifesa.it, 18 ottobre 2006) |
Libano, una nuova forza di sicurezza paramilitare creata dal governo Siniora
Rivista Italiana di Difesa del febbraio 2007 nella sezione notizie riporta la notizia che il governo Siniora ha costituito e ponteziato con la massima rapidità «una nuova forza di sicurezza paramilitare, la ISF, Internal Security Forces, che dipende dal Ministro degli Interni e che è essenzialmente costituita da personale sunnita. La ISF contava circa 13.000 uomini alla fine del 2005, ma ora i suoi effettivi hanno raggiunto quota 24.000, con poco più di un migliaio di sciiti. Considerando che l’Esercito conta più di 50.000 uomini, ci si può rendere conto di come stiano cambiando gli equilibri interni. Soldi ed equipaggiamenti non sono un problema, visto che il governo Siniora può contare sul sostegno di molti Paesi del Golfo e degli Stati Uniti» |