SENZA CENSURA N.22
marzo 2007
Strategie Usa nel Corno d’Africa
“Questa non è una guerra tra Etiopia e Somalia ma degli Usa contro il Corno d’Africa”
Pubblichiamo un’interessante analisi fatta da
Mohammed Hassan tratta da www.resistenze.org
particolarmente utile per la ricostruzione dei principali avvenimenti del
passato di Etiopia, Eritrea e Somalia e per gli stimolanti ragionamenti sul
presente, in particolare per quanto riguarda il ruolo degli Stati Uniti nella
regione, che con la consueta formula del “divide et impera” creano
destabilizzazione, addestrano propri cani da guardia tentando di imporre
nell’area i propri interessi, legati alle riserve di petrolio e di gas ma
soprattutto alla posizione geo-strategica della Somalia, affacciata sul Medio
Oriente e sull’oceano indiano. Il pretesto dell’attacco a “possibili alleati del
terrorismo islamico” rivela anche in quest’area i reali obiettivi di
insediamento in una regione che potrebbe invece assumere “un ruolo chiave nelle
crescenti relazioni commerciali tra Africa ed economie emergenti dell’Asia”.
Mohammed Hassan è un politologo specializzato sulla questione mediorientale. Ha
partecipato in prima persona al movimento contro l’imperatore Haile Selasie.
Con David Pestieau nel 2003 ha scritto “Iraq. La resistenza faccia a faccia col
nemico occupante” pubblicato da Zambon editore.
[www.resistenze.org - popoli resistenti - somalia - 17-01-07]
Questa non
è una guerra tra Etiopia e Somalia ma degli Usa contro il Corno d’Africa
La politica degli Stati Uniti nella regione conduce ad un’instabilità a lungo
termine dell’area intera ed al genocidio. Si può esser certi che i popoli della
regione si uniranno in un ampio fronte antimperialista e finalmente daranno vita
a relazioni fraterne tra tutte le nazionalità presenti.
Per comprendere cosa sta accadendo nel Corno d’Africa occorre innanzitutto
spiegare la natura del TPLF, il regime di Zenawi Meles in Etiopia che il mese
scorso ha inviato le sue truppe in Somalia.
Il Fronte di Liberazione popolare del Tigray (TPLF) è stato creato nel 1975.
Nel suo primo manifesto si enunciava l’obiettivo di creare la Repubblica
Indipendente del Tigray. Si tratta di un approccio prettamente nazionalista e
razziale che fa della lingua il primo fattore di unione o divisione delle
persone. Vi era opposizione a tale ristretta visione sia in seno allo stesso
TPLF che all’interno di altre organizzazioni e fronti che hanno lottato contro
il regime di Mengistu, la dittatura dell’epoca.
Il principio che si affermò fu che il Tigray dovesse considerarsi parte
dell’Etiopia e non esigerne quindi l’indipendenza. La lotta di liberazione
dell’Etiopia si pose come obiettivo primario la creazione di uno stato sovrano
basato sull’uguaglianza delle etnie che intrattenesse relazioni fraterne con
tutti i paesi vicini. Dopo 50 anni di guerra questa regione molto ricca ma
abitata da persone molto povere desiderava un nuovo inizio e l’avvio di
un’economia di sviluppo.
Zenawi Meles è un grande demagogo ed un bugiardo, ora si serve del
marxismo-leninismo ma domani userà il buddismo, almeno fin quando non gli
tornerà utile ergersi a fautore dell’induismo contro il buddismo.
Nascondendo i suoi progetti nazionalisti per il Tigray ha creato la Lega
marxista-leninista per ottenere il controllo sul TPLF eliminando così al suo
interno ogni opposizione contro la sua ristretta ideologia razziale.
Negli anni Ottanta, quando la lotta contro la dittatura di Mengistu divenne più
forte, creò anche l’EPRDF, un più ampio fronte che rappresenta organizzazioni
delle diverse nazionalità che vivono in Etiopia, sotto il comando del TPLF.
Meles ha finto di volere l’unità delle etnie etiopiche, il suo vero obiettivo è
sempre stato la creazione di un grande Tigray che controlli le altre nazionalità
e regioni in Etiopia.
Quando cadde il regime di Mengistu, fu formato un governo di transizione.
L’EPLF, il Fronte di Liberazione popolare della vicina Eritrea, che era stata
occupata dall’Etiopia, convinse tutte le organizzazioni partecipanti al governo
che era opportuno che tutto il paese fosse sotto il controllo militare
dell’esercito del TPLF. Quando nel 1992, Zenawi si rese conto che il Fronte di
Liberazione Omore (OLF) vinceva le elezioni locali, iniziò ad eliminarne i
membri dal governo e l’OLF alla fine lasciò il governo. Anziché perseguire
l’integrazione tra le varie etnie, Zenawi seguì la politica del “dividi et
impera” contro tutte le altre nazionalità in Etiopia.
Oggi il “Grande Tigray”, l’incredibile e reazionario sogno di Zenawi, si è fatto
realtà. L’etnia Tigray rappresenta appena il 6% della popolazione etiopica (76
milioni di persone) ed il Tigray è una regione povera, situata a 800 km dalla
capitale Addis Abeba. Tuttavia sono di nazionalità Tigray il 99% delle persone
che controllano i servizi pubblici e il 98% dell’attività economica.
Qualsiasi opposizione e protesta è brutalmente repressa e l’autorità del TPLF/EPRDF
è mantenuta attraverso politiche strettamente nazionaliste e razziste che
dividono le diverse etnie etiopiche.
In realtà questa è una situazione molto pericolosa innanzitutto per lo stesso
popolo Tigray. Conosco molte persone del Tigray che hanno vissuto l’intera vita
ad Addis Abeba e che ora abbandonano il paese, perché si sentono odiate ogni
giorno di più dai vicini di casa che sono, per la stragrande maggioranza,
non-Tigray.
Nel contempo il regime è molto debole e dipende completamente dall’appoggio
degli Stati Uniti.
Le elezioni del maggio 2005, sono state una grande sconfitta per l’EPRDF. I
risultati ufficiali, pubblicati il mese successivo le elezioni, mettevano l’EPRDF
in posizione di minoranza col 45%. Gli osservatori UE confermarono la sconfitta
dell’EPRDF. Tuttavia il comitato ufficiale delle elezioni procedeva ad
un’”indagine” che assegnava alla fine la vittoria all’EPRDF, con il 60%. I
leader dei principali partiti di opposizione sono stati messi in prigione e
molte persone sono state uccise.
Nell’ultimo anno, l’opposizione in Etiopia si è fatta più radicale.
Nell’agosto 2006, un gruppo di ufficiali di alto grado guidati dal Generale
Kamal Galchuu si sono uniti al Fronte di Liberazione Oromo. Nell’area Oromo si è
innescata una vera intifadah e qualche mese fa, l’OLF ha lanciato un appello a
tutti i gruppi di opposizione per unirsi in un’Alleanza per la Democrazia e la
Liberà (ADF).
Gli Stati Uniti sono soddisfatti della situazione profilatasi, con un burattino
che dipende completamente dall’appoggio finanziario, politico e militare
statunitense. Lo stato etiopico diventa sempre più un stato isolato, dominato
dalla CIA.
Il
conflitto con l’Eritrea
La capacità militare dell’EPRDF negli anni Ottanta era relativamente debole
e fu la stretta collaborazione con il Fronte di Liberazione popolare
dell’Eritrea (EPLF), militarmente potente, che permise la vittoria sul dittatore
Mengisthu nel 1991. Sono state le truppe dell’EPLF che hanno liberato la
capitale etiopica Addis Abeba. Ma l’EPLF era un movimento di liberazione di un
paese vicino, l’Eritrea appunto, occupata dall’Etiopia dal 1952 ed ad essa
annessa dal 1962. L’obiettivo dell’EPRF era liberare l’Eritrea dall’occupazione
etiopica e lo scopo dell’alleanza con l’EPRDF/TPLF era di farne cadere il
governo. Una volta raggiunto l’obiettivo, l’EPLF ha preso in mano
l’amministrazione dell’Eritrea ed ha organizzato un referendum nel 1993 il cui
responso diceva che oltre l’98% degli eritrei volevano l’indipendenza. Intanto
in Etiopia veniva formato da EPRDF/TPLF un governo di transizione.
L’EPLF ha tenuto fede agli ideali di movimento di liberazione che perseguiva lo
sviluppo del paese nell’interesse del popolo. Di qui una politica basata
sull’autonomia, la mobilitazione della popolazione, l’insediamento di
organizzazioni nazionali, il rifiuto di interferenze esterne attraverso ONG ed
il controllo del commercio estero. L’EPLF ha anche seguito una politica basata
sull’integrazione nazionale e la coabitazione delle 9 etnie eritree e le due
religioni (cristiana e musulmana).
Tutto l’opposto della politica di Zenawi in Etiopia basata su privatizzazioni,
ingerenza straniera e la referenza ad istituzioni Internazionali quali il Fondo
Monetario Internazionale e la Banca Mondiale.
In considerazione di tali differenze, l’Eritrea decise nel 1997 di sostituire la
moneta etiopica con una propria valuta, il Nakfa.
Gli atti provocatori e gli omicidi ai danni degli ufficiali e soldati eritrei di
stanza sui confini che si susseguirono da quel momento, portarono ad una guerra
che durò da 1998 a 2000.
Una catastrofe: sul lato etiopico persero la vita 135.000 soldati. Gli etiopi
persero la guerra e furono costretti ad accettare l’accordo di Algeri nel 2000.
L’accordo prevedeva tre fasi:
1. Una commissione della Corte Internazionale dell’Aia avrebbe deciso in merito
alla disputa territoriale e l’ubicazione esatta dei confini.
2. Un’altra commissione della Corte Internazionale avrebbe valutato le richieste
di entrambe le parti in merito alla confisca ed ai danni subiti dalle proprietà
dei cittadini.
3. In ultimo, una commissione dell’Unione africana avrebbe stabilito a quale
paese imputare la responsabilità dell’inizio del conflitto per riparare gli
immensi danni causati dalla guerra.
Le prime due commissioni hanno già concluso in favore dell’Eritrea ed è quasi
certo che la terza commissione condannerà l’Etiopia, perché l’accusa del governo
etiope contro l’Eritrea di aver scatenato un attacco aereo contro la città di
Adi-Grat ed aver occupato il villaggio di Badima, è falsa. Quando la commissione
esaminerà questa storia, la verità sarà lampante, tanto più che la prima
commissione ha già deciso che Badima era su territorio eritreo.
E’ una spada di Damocle che pende sul governo di Zenawi Meles. Finora l’Unione
africana, su pressione degli Stati Uniti, ha tardato la costituzione della terza
commissione. Ma prima o poi, questa terza commissione sarà formata.
Una guerra
molto rischiosa contro la Somalia
La posizione estremamente fragile del regime Meles, può spiegare l’attacco
offensivo alla Somalia dello scorso dicembre. Attaccando la Somalia col pretesto
di combattere “membri ed alleati di Al Qaeda”, Zenawi intende porsi come l’uomo
forte di Bush nel Corno d’Africa, alleato nella guerra globale degli USA contro
il terrore islamico. Questa è però un’operazione molto rischiosa.
Innanzitutto, tra Etiopia e Somalia esiste animosità di vecchia data, costellata
da guerre. Per i Somali, l’invasione etiopica è un’aggressione del nemico per
eccellenza. Potrebbe esser paragonata ad un intervento militare della Germania
contro il Belgio o la Francia. Il popolo somalo è uno solo, con una lingua ed
una religione. L’unico fattore di divisione sono i clan. Dovendosi confrontare
con una forza di occupazione straniera, si uniranno e risponderanno duramente.
Gli americani stessi l’hanno sperimentato nel 1993. All’epoca avevano spedito
30.000 marines in Somalia per un’operazione militare chiamata “Restore Hope”, ma
sono stati presto costretti a ritirarli a causa delle perdite: i cadaveri dei
soldati americani erano trascinati sulle strade esposti agli obiettivi delle
macchine fotografiche.
Secondo: il popolo somalo è sfinito dal caos e dalla distruzione imposta
per 16 anni dal regime dei Signori della guerra. Sono gli stessi protetti e
portati al potere a Mogadiscio dall’esercito etiopico. I Signori della guerra
erano già odiati dai Somali per la loro corruzione. Ora loro saranno disprezzati
come traditori e per lo spalleggiamento al nemico numero uno del popolo somalo,
l’Etiopia.
Terzo: la larga maggioranza dei Somali guarda alle Corti islamiche come
ad un fattore di stabilizzazione. Non si tratta di un appoggio al terrorismo
internazionale. La maggior parte degli jihadisti non parla somalo ed in pochi
conoscono l’arabo, sono inoltre lontani per usi e costumi. Quando la popolazione
ha aiutato le Corti islamiche a sconfiggere i Signori della guerra in poche
settimane, e a liberare praticamente il paese intero nel giro di sei mesi, lo ha
fatto perché non ne poteva più dell’anarchia e del saccheggio che i Signori
della guerra imponevano. Dal 1991, 3 milioni di Somali hanno lasciano la
Somalia: avanguardia laica che tenta di aiutare il proprio paese nonostante la
corruzione dei Signori della guerra. Sono molto ingegnosi nel farlo. Per
esempio, nonostante tutto il caos, la Somalia è l’unica nazione africana che
dispone di buoni impianti di comunicazione telefonica in ogni villaggio; esiste
un buon sistema bancario (1 miliardo $ all’anno); dispone di cinque compagnie
aeree private e così via. Un gran numero di emigrati è disposto a ritornare in
Somalia per ricostruire il paese, una volta che siano assicurate pace e
sicurezza. Quando gli uomini d’affari somali hanno invitato i membri
dell’ambasciata americana in Nairobi a verificare di persona l’assenza di uomini
di Al Qaeda nelle Corti islamiche, gli americani si sono rifiutati. Non verrà
dimenticato, né mai perdonato agli Stati Uniti ed al loro fantoccio etiope
d’aver rigettato la Somalia di nuovo nel terrore e nel caos dei Signori della
guerra. E’ trasparente che il discorso sulla presenza di Al Qaeda in Somalia non
è nulla più che un pretesto: una menzogna per giustificare la guerra. Proprio
come la menzogna sulle armi di distruzione di massa di Saddam che ha
giustificato l’aggressione contro l’Irak.
Quarto: tutti i Somali sono consapevoli del fatto che in sedici anni di
dominio dei Signori della guerra, non è giunto alcun segnale da parte della
“Comunità Internazionale” per intervenire in Somalia. Sono altrettanto
consapevoli che, appena le corti islamiche hanno riportarono ordine e stabilità,
il consiglio di Sicurezza dell’ONU, sotto l’istigazione degli Stati Uniti, ha
votato, il novembre scorso, la risoluzione 1752 che, spalancando la porta
all’intervento etiopico, ha riportato il terrore e l’anarchia appena sconfitto.
Quindi l’unico modo in cui il Somalo medio può vedere questa invasione è quella
di un’aggressione contro la Somalia.
Quinto: I soldati invasori di Zenawi in Somalia appartengono per lo più
alla tribù cristiana del Tigray. Questi soldati non parlano il somalo; quando
penetreranno all’interno della Somalia, saranno esposti ad attacchi locali.
Ma Zenawi ha bisogno che questi uomini rientrino in Etiopia al più presto perché
ha bisogno di contrastare la crescente rivolta nel paese. È vero: gli americani
stanno negoziando con Uganda e Nigeria per inviare 8000 truppe per rimpiazzare
l’esercito etiopico. Ma chi pagherà questa operazione? Potranno questi poveri
governi assumere il rischio di essere risucchiati nella palude di una guerra di
guerriglia? Certamente i vari paesi vicini come il Kenia e l’Uganda, corrono
seri rischi poiché sono molti i rifugiati somali che ricoverano in Kenia e che
non dimenticheranno né perdoneranno un appoggio keniano all’Etiopia. L’economia
dell’Uganda dipende grandemente dal porto keniota di Mombassa, ma nei pressi del
porto c’è Lamui un centro urbano dove la maggioranza della popolazione è
somala... Così può ben essere che le truppe di Zenawi siano costrette a
trattenersi troppo a lungo in Somalia e che alla fine rimarranno impantanate in
una palude fatale per il regime TPLF.
Quale è il
ruolo degli americani
in questa guerra?
Il regime di Zenawi è una forza canaglia usata dall’imperialismo americano nella
regione. Fin da quando Antony Lake, consulente della sicurezza nazionale di
Clinton, indicò l’Etiopia come uno dei quattro paesi chiave per la difesa degli
interessi americani in Africa (gli altri erano Nigeria, Sud Africa ed Egitto),
il governo Zenawi ha avuto tutto l’appoggio del quale ha avuto bisogno.
L’esercito etiopico è attualmente una forza mercenaria locale al servizio degli
americani che può essere usata contro qualsiasi paese dell’area. Su uno dei siti
web dell’esercito americano, Stelle e Strisce (http://www.estripes.com /), si
può leggere la testimonianza del 30 dicembre di uno dei sessanta istruttori
americani che stanno addestrando soldati etiopici. Il Sergente di 1a Classe Bill
Flippo, istruttore di Campo Hurso vicino alla città di Dire Dawa, in Etiopia,
dice: “sento che quello che sto facendo sarà realmente utile nella guerra contro
il terrore”, ed ancora: “Le conoscenze che stiamo trasferendo a questi soldati
saranno da loro usate se vanno a lottare in Somalia, Eritrea, ovunque.”
Molti osservatori sanno che l’invasione della Somalia da parte dell’Etiopia non
solo è stata incoraggiata e protetta dagli Stati Uniti, ma anche pagata con
soldi USA. Dopo i primi successi, l’esercito americano si è unito a quello
etiopico nella caccia ai leader delle corti islamiche.
Quali sono
gli interessi americani nella regione?
Ci sono petrolio e riserve di gas. Fin dal 1986, quattro grandi
multinazionali del petrolio hanno ottenuto in un primo momento l’autorizzazione
del presidente Siad Barre della Somalia per la ricerca del greggio. Ed hanno
trovato importanti riserve.
Ma soprattutto la Somalia ha una posizione veramente strategica: la più lunga
linea costiera dell’Africa, 3300km che guardano a quella che al momento è la più
importante regione del mondo: il Medio Oriente. Le coste si affacciano anche
all’Oceano indiano. Prima dell’arrivo dei Portoghesi nel XIV secolo, il traffico
tra India e Africa che passava da quei porti era considerevole. Il 10% delle
parole della lingua somala sono di origine indiana.
L’Emiro dello Stato indiano di Kudjrad aveva guardie del corpo del Corno
d’Africa. Nei porti somali vi erano locali che parlavano cinese chiamati
“Abanas” che facevano da interpreti tra i cinesi e uomini d’affari africani.
In questo secolo tornano alla ribalta Cina e India. Chalmers Johnson, presidente
dell’Istituto di Ricerca delle politiche giapponesi, cita Javed Burki, un ex
vicepresidente del Dipartimento della Banca mondiale cinese che predice che dal
2025 la Cina probabilmente avrà un PIL di $25 bilioni in termini di potere
d’acquisto e sarà allora la più grande economia mondiale seguita dagli Stati
Uniti con $20 bilioni.
(http://www.tomdispatch.com/index.mhtml?pid=2259)
Già quest’anno siamo stati testimoni degli importanti sforzi compiuti dalla Cina
per aumentare il suo business con l’Africa. La Cina necessita urgentemente di
petrolio e altre materie prime per il suo rapido sviluppo economico, e l’Africa
può ben rispondere a tale bisogno. Il Corno d’Africa diventa quindi il luogo
strategico dei prossimi venti anni.
Poiché l’amministrazione Bush non può controllare il mondo intero, si preferisce
una politica di deliberata destabilizzazione dell’intera regione per molti anni
a venire, piuttosto che permettere che il Corno d’Africa diventi un paese ricco
con un ruolo chiave nelle crescenti relazioni commerciali tra Africa ed economie
emergenti dell’Asia.
Diversi Somali vivono in paesi vicini come l’Etiopia, il Kenia, il Gibuti.
Il nazionalismo somalo si è infiammato e la guerra si estenderà a queste
nazioni, finora conosciute solo come luoghi di destinazione turistica per i
safari dell’Occidente.
Le popolazione della regione stanno maturando: vedono ciò che sta accadendo e la
loro prima reazione è d’orrore. Se l’agenda di Bush prosegue nella
destabilizzazione e nel genocidio, i sentimenti antimperialisti aumenteranno ed
i popoli si uniranno per difendere le loro case ed i loro paesi.
Mohamed Hassan
Gennaio 2007
[Traduzione per www.resistenze.org a
cura del CCDP]