SENZA CENSURA N.21
novembre 2006
Repressione, isolamento, 41bis
Per la costruzione di una campagna nazionale di mobilitazione
Di seguito riportiamo alcuni materiali inerenti al
possibile lancio di una campagna contro l’isolamento, la differenziazione,
l’articolo 41 bis. La proposta dei compagni e delle compagne promotori nasce
all’interno di un lavoro più complessivo sulla repressione e sul carcere.
Vi sono stati tre incontri di cui due a carattere nazionale; i resoconti
relativi ai primi due incontri sono disponibili all’indirizzo web
www.autprol.org/olga, mentre il
resoconto dell’ultimo incontro nazionale e sugli sviluppi successivi è ancora in
fase di elaborazione.
Isolamento
e annientamento, le finalità del 41bis
Entrambe queste pratiche il sistema carcerario le realizza nelle sezioni
di isolamento ben presenti in ogni carcere, nelle sezioni speciali (EIVC =
elevato indice di vigilanza cautelativa) e là dove vige il regime del 41bis.
Quest’ultimo si può definire il più grave, perché a differenza di ogni altra
forma corrispondente non è punitivo relativamente a singoli episodi, non si
limita a separare gruppi di prigionieri da altri, ma realizza tutto questo ed
altro ancora in funzione di un regime carcerario compiuto e determinato nel suo
scopo. Nelle sezioni governate attraverso il 41bis non ci sono prigionieri in
punizione, che abbiano condotto rivolte o abbiano avuto scontri con le guardie o
comunque non sono trasferiti lì solo a causa di simili “accuse”. No, in
grandissima parte in quelle sezioni vengono rinchiuse persone appena arrestate e
per restarvi anche decenni, quindi ancora da processare, le quali, tuttavia,
secondo le procure, la polizia e i carabinieri sono membri di “organizzazioni
mafiose”. Il regime del 41bis, in origine, venne elaborato con lo scopo
principale, anche se non esclusivo, di colpire gli arrestati considerati membri
di”organizzazioni di stampo mafioso” (art.416 bis codice penale). Esso fu la
risposta dello stato sul piano carcerario alle bombe di Palermo dell’estate 1992
[1].
Centinaia di giovani in carcere (o rastrellati nei quartieri come Scampia)
furono deportati nelle peggiori carceri, in particolare nelle solite isole
(Asinara e Pianosa), dove contro di loro furono compiute nefandezze
inenarrabili, le peggiori. Oggi nelle sezioni del 41bis, dislocate in diverse
carceri, fra le quali Tolmezzo, Parma, L’Aquila, Terni, Ascoli Piceno, Opera,
sono rinchiuse oltre 600 persone.
L’applicazione del 41bis, in sostanza, prescinde dal comportamento in carcere,
piuttosto attacca da subito il prigioniero come nemico, lo aggredisce con ogni
mezzo per tentare di frantumargli dichiaratamente ogni rapporto con l’esterno,
ogni identità antagonista allo stato, o, nel caso della “mafia”, concorrenziale
alla consorteria borghese dominante in una data fase.
A differenza con le carceri speciali, con le stesse sezioni EIVC di oggi, nella
sua ferocia è netta: nelle prime, seppure in forma ridotta, gli spazi di
socialità e di autodeterminazione, le possibilità di lavoro, le relazioni con
l’esterno attraverso lavoro, colloqui, posta, pacchi, seppure censurati e
controllati, continuano ad esistere. Il 41bis eredita e infine supera l’intera
esperienza differenziatrice e assassina delle carceri speciali e dei “braccetti
della morte” [2]. Il prigioniero può uscire da questo tunnel solo pentendosi e
dissociandosi apertamente, soprattutto dalla prassi collettiva.
Posti i risultati raggiunti attraverso il 41bis nel ridimensionamento della
“mafia” (qui bisogna tener conto dei possibili connubi fra apparati statali e
gerarchie delle organizzazioni della criminalità organizzata), lo stato
nell’ottobre 2005 ha tastato il terreno alla sua maniera: sentendosi
sufficientemente legittimato ha deciso di estendere l’applicazione del 41bis,
per la prima volta, anche a compagne e compagni – a prescindere dalle loro
condizioni fisiche e psichiche, come spiega bene il caso della compagna Diana
Blefari sottoposta ad una vera e propria odissea tra carceri speciali e reparti
clinici (come quello di Sollicciano in cui è detenuta attualmente) a seguito
dell’applicazione del 41bis, regime che ha pesantemente aggravato le sua
condizioni psico-fisico già provate dalla carcerazione ordinaria.
Sono in tal modo stati trasferiti nelle sezioni di massimo isolamento compagne e
compagni delle Br arrestate/i negli ultimi due o tre anni.
Questo salto di qualità repressivo è stato possibile grazie anche alla
maggioranza politica borghese trasversale, formatasi nella realtà della guerra
imperialista e della crisi generale in cui è avviluppata la società. Negli
ultimi 15 anni si è consolidata una maggioranza entro la borghesia favorevole
all’annientamento e all’isolamento di chi la combatte, la critica e la ostacola,
sia esso il resistente arabo, l’emigrato combattivo, le compagne e i compagni
che in mille modi cercano di costruire percorsi di lotta, pratiche di resistenza
collettive sui diversi terreni sociali, a cominciare dal lavoro, o anche dal
carcere come noi.
Tale maggioranza nel decennio successivo, passo dopo passo, ha ampliato e
puntualizzato il 41bis nei suoi scopi come nelle sue funzioni, fino a renderlo
fatto legale compiuto e stabile [3].
Il trasferimento nelle sezioni del 41bis delle compagne e dei compagni è stato
reso possibile anche dalla condizione di ridotta capacità di iniziativa generale
del movimento rivoluzionario, anche su questo piano.
Quando nell’ottobre 2005 sette compagni/e delle Br-Pcc furono trasferiti dalle
sezioni EIVC o anche semplicemente normali alle sezioni del 41bis, Castelli in
persona ne dette notizia in tv. Il ministro in quell’occasione ci tenne a
dichiarare che il trasferimento non era “vendicativo”, ma dettato dal “pericolo
di fuga”. Secondo noi la decisione dello stato va invece considerata quale atto
di guerra - e contro tutta la classe proletaria; un atto in cui trova posto
anche la vendetta. Non sembri esasperata questa considerazione. Se lo stato
riuscisse a estorcere alle compagne e ai compagni ora rinchiuse\i la
dissociazione o persino l’abiura questo sarebbe un colpo non indifferente alla
credibilità e continuità del processo rivoluzionario in Italia e non solo.
Di conseguenza la solidarietà verso di loro, per noi, è semplicemente sicura e
ferma pur dovendosi manifestare in forme a volte particolari, come lo è, nei
confronti di tutti i prigionieri ribelli e antagonisti a questa società.
Visto l’accanimento dello stato nel criminalizzare le relazioni fra compagni/e
attraverso l’ampio impiego di articoli penali quali il 270bis (contro
l’associazione), il 110 (concorso morale e psichico), come nell’aggravare le
condanne inerenti pratiche di sabotaggio, trasformate in “devastazione”,
“tentata strage” ecc., è allora lecito pensare che lo scopo di questo
accanimento sia di elevare l’aggregazione, magari episodica, a organizzazione
per legittimare il successivo attacco sul piano giuridico penale e carcerario.
Gli esempi si sprecano; ultimi in ordine di tempo, ma non certo di importanza,
gli arresti dei compagni di Pisa, immediatamente dispersi sulla penisola e,
alcuni, rinchiusi in sezioni E.I.V.C, solo qualche settimana prima della
sentenza di primo grado (la prima di questo tipo per 270bis) che ha visto
condannare a pene fino ai 6 anni proprio alcuni/e di questi/e compagni/e ora
nuovamente inquisiti. Non c’è da allarmarsi, ma, a nostro parere, solo da aprire
tutti gli occhi, registrare quanto sta accadendo per poterlo respingere con
maggiore unità e prontezza, di quelle oggi esistenti. Il piano dello stato sul
piano giuridico-penale lo si può cogliere nei recenti processi di Cosenza (sud
ribelle), Genova, Lecce, Versilia, Bergamo, Torino e a Milano, per i fatti
dell’11 marzo, ed anche nell’addestramento oggettivo delle guardie, sulle cui
gambe cammina ogni piano relativo alle carceri.
Ad esempio, per realizzare ogni nuova forma carceraria, compresa l’applicazione
del 41bis, le guardie devono essere addestrate, anche quelle inviate “in
missione” per poche settimane; in tal modo il ministero acquisisce nelle proprie
mani uno strumento formidabile per la propagazione e l’affermazione
dell’isolamento e dell’annientamento sull’intero sistema carcerario. Le guardie,
corpo di polizia oggi sufficientemente integrato a carabinieri, polizia e
procure anche attraverso la partecipazione alle guerre imperialiste, condividono
tutto ciò, perché vi vedono accresciute loro funzioni specifiche.
Del resto, quanto più si estendono, isolamento e umiliazione dei prigionieri,
quanto più viene ridotta la loro autodeterminazione, tanto più aumentano
arbitrio, arroganza e potere della guardie. In una sezione del 41bis queste
devono levare il sedere dalla sedia molte meno volte che in una sezione normale,
pur prendendo una paga maggiore; anche per questo lo preferiscono.
Fra l’armamentario del 41bis un posto di rilievo spetta senz’altro al processo
in “videoconferenza”. Il prigioniero sotto processo rinchiuso nelle sezioni del
41bis non può entrare in tribunale e segue il processo da una saletta attrezzata
per il collegamento con il tribunale o la corte che sia, ricavata nel carcere in
cui si trova; al suo fianco ci potrebbe essere l’avvocato e davanti l’ufficiale
giudiziario e ovviamente le guardie. Anche in caso di più “imputati” ognuno
rimane nel carcere nel quale si trova, nessuno può incontrare nessun
“coimputato”, quindi, fra le altre, non è possibile nessuna difesa collettiva,
la quale, per esempio, è stata invece possibile nei processi alle organizzazioni
comuniste combattenti negli anni 70 e 80 in Italia e persino nel processo alla
Raf svoltosi nel carcere di Stammheim-Stoccarda, simbolo della controrivoluzione
imperialista in Europa per molti decenni. Ora il 41bis ne ha preso il posto.
Nel processo in videoconferenza non è possibile nessuna critica da parte di chi
è accusato dallo stato, nessun attacco per difendersi, per ribaltare l’agire del
tribunale, della corte e della procura che sia, poiché tutti loro possono
spegnere quando e come vogliono, dichiarando il rituale “non è attinente”, il
video sul quale compare il compagno o la compagna che intendano processare gli
accusatori o comunque rivendicare la loro appartenenza alla classe ecc.
Chi sotto accusa, “imputato”, in questo particolare modo di fare il processo non
può avere alcuna influenza sul processo, non può ribattere, farsi valere. Con
una pressione del dito ogni possibilità di attacco o di difesa, sia pure
virtuali, sono cancellati in quanto in origine è cancellato l’”imputato”. Non
c’è processo, così come non c’è partita se una squadra non viene portata in
campo, da cui ne consegue che l’esito della partita è deciso con la soppressione
dell’avversario, in questo caso dell’”imputato” fissato come nemico. Qui
l’intero processo di rottura o processo-guerriglia, condensato del movimento
rivoluzionario degli anni fra il 1968 e il 1982, viene reso impossibile; ora la
rottura – nelle sue forme concrete, anche in questo campo come in altri - rimane
in gran parte da inventare [4].
La liberazione da questa cappa che grava sullo sviluppo del movimento
rivoluzionario, sulla condizione dei compagni e delle compagne in carcere, su
tutti i prigionieri come su tutti gli sfruttati, date le condizioni di lavoro e
di vita sempre più affidate al caso e all’arbitrio del padrone e delle sue
agenzie, noi ce lo poniamo come scopo. Siamo coscienti che la lotta che
proponiamo di portare avanti contro l’isolamento e l’annientamento nelle carceri
è un qualcosa disseminato di difficoltà, ma se teniamo fermo il presupposto di
tener preservata l’identità rivoluzionaria delle prigioniere e dei prigionieri,
che la loro pratica appartiene alla classe, assieme a tante altre pratiche,
questo spazza via le incrostazioni che dividono noi che siamo fuori,
contribuisce ad unirci. Per capirci consideriamo che la manifestazione a Parma
del 25 marzo scorso, come le tante iniziative attuate sotto le carceri per
rompere l’isolamento, siano un passo concreto e importante che facciamo nostro e
che ci proponiamo di seguire e sviluppare oggi e in futuro. Siamo coscienti che
c’è tanto da lavorare per costruire la relazione fra esterno e interno, a
partire da chi già lotta, da chi vuole manifestare la propria solidarietà in
modo concretamente combattivo, diretto, che le difficoltà sono numerose, ma a
pensarci bene, possono non esistere difficoltà nella realizzazione di una lotta
unitaria e combattiva contro la “punta diamante” della repressione e della
controrivoluzione dello stato?
agosto 2006
OLGa - è Ora di Liberarsi dalle Galere
olga2005@autistici.org
http://www.autprol.org/olga/
Note
1) L’esperienza ultraventennale maturata dallo Stato in tema di differenziazione
ed individualizzazione del trattamento penitenziario ha consentito negli anni
novanta di sistematizzare la materia relativa ai circuiti carcerari correlandola
organicamente con la legge penitenziaria (la cosiddetta riforma penitenziaria
del 1975 novellata nel 1986 dalla c.d legge Gozzini) e con il decreto legge 8
giugno 1992 n. 306 (cosiddetto decreto Scotti-Martelli) convertito nella legge
n° 356/92 che aggiungeva al già esistente art. 41 bis un ulteriore comma con il
quale viene disposta “la sospensione delle normali regole di trattamento
penitenziario nei confronti dei detenuti per taluno dei delitti di cui al comma
1 dell’art. 4 bis O.P., ovvero in primo luogo per i reati di associazione
mafiosa, di sequestro di persona a scopo di estorsione, di associazione
finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, ma anche per i reati commessi
con finalità di terrorismo, per il reato di omicidio, di rapina ed estorsione
aggravata e per traffico di ingenti quantità di stupefacenti…
A queste prescrizioni disposte direttamente dal Ministro di Grazia e Giustizia
si aggiungono un’altra serie di limitazioni di volta in volta stabilite dal
direttore dell’Istituto o più verosimilmente dal responsabile del G.O.M. (gruppo
operativo mobile), il corpo speciale della polizia penitenziaria che gestisce
queste sezioni. Così in molte di queste sezioni vi è il divieto di portare i
guanti o un cappelletto di lana in testa, in altre è consentito il cappelletto a
patto che non arrivi a coprire le orecchie (si consideri che la maggior parte
delle carceri dove stanno questi detenuti è al Nord: Parma, Novara, Tolmezzo
(UD) ecc.), non possono essere usate più di due coperte, viene limitato il
numero di fotografie dei propri congiunti da poter tenere in cella, il numero
dei libri e delle riviste.
I ritmi e i tempi della giornata sono cadenzati, per questi detenuti, con una
meticolosità ossessiva. Spesso l’orario per la doccia coincide con quello
dell’aria e quindi o si fa una cosa o si fa l’altra. All’aria si va a rotazione,
quattro o cinque alla volta, sempre con le stesse persone, senza alcuna
possibilità di autodeterminare i gruppi.
Nonostante non viga alcun divieto esplicito in ordine alla possibilità di
svolgere attività lavorativa all’interno delle sezioni (spesino, portavitto,
lavorante di sezione) in molte carceri queste mansioni sono sottratte ai
detenuti in 41 bis ed affidate a lavoranti di altre sezioni, che svolgono il
loro compito sotto stretta sorveglianza ed hanno il divieto assoluto di
rivolgere la parola a questi detenuti.
(in Senza Censura n. 9 - 3/2002)
Confermato il carcere duro per Nadia Desdemona
Lioce. La Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso della brigatista che
si era opposta alla pronuncia del tribunale di sorveglianza di Firenze con la
quale era stato rigettato il reclamo presentato dalla detenuta contro il
provvedimento del ministro della Giustizia che aveva disposto il “carcere duro”
previsto dall’articolo 41 Bis.
(ANSA – ROMA, 22 Giugno 2006)
2) Basti pensare che le 645 persone detenute, di cui 79 ancora in attesa del
primo processo devono subire le seguenti restrizioni: 1 solo colloquio al mese
con i famigliari attraverso un vetro divisorio, non possono ricevere più di 2
pacchi al mese, la corrispondenza in arrivo o in partenza viene aperta, in cella
non si possono tenere oggetti, solo pochi libri, niente giornali né fotografie,
non si ha accesso alle palestre o alle scuole interne, si può passeggiare
all’aria 2 ore al giorno in cortili stretti con recinzioni e griglie tutte
intorno…
3) 41bis, era il 2000.
Consiglio dei Ministri: approvati i DDL riguardanti il nuovo regime di 41 bis e
la Convenzione civile sulla corruzione (22 Settembre 2000 - Comunicato stampa -
Ministero della Giustizia).
Il Consiglio dei Ministri ha approvato oggi, in seduta pomeridiana, due Disegni
di legge:
“Norme in materia di applicazione ai detenuti dei regimi di massima sicurezza e
di speciale sicurezza”; “Ratifica ed esecuzione della Convenzione civile sulla
corruzione, fatta a Strasburgo il 4/11/99”, di concerto con il Ministero degli
Esteri.
Il primo provvedimento interviene sull’articolo 41 bis, comma 2,
dell’Ordinamento penitenziario (Legge 354/75), introdotto in via temporanea nel
‘92 all’indomani della strage di Capaci. Tale istituto - che consente al
Ministro della Giustizia di sospendere totalmente o parzialmente le normali
regole di trattamento, in caso di gravi motivi di ordine e sicurezza pubblica,
per alcune categorie di detenuti – ha sempre mantenuto il carattere della
temporaneità, venendo ripetutamente prorogato nel corso degli anni.
“L’esperienza maturata in otto anni di applicazione del 41 bis – ha dichiarato
il Ministro della Giustizia, On. Piero Fassino – e le diverse pronunce della
Corte Costituzionale ci impongono di dare stabilità a tale disciplina, che si è
dimostrata uno strumento fondamentale ed insostituibile nella lotta alla
criminalità organizzata. Abbiamo, quindi, predisposto questo provvedimento non
per dare una semplice proroga in vista della scadenza del 31 dicembre prossimo –
ha proseguito il Guardasigilli - ma per mettere a regime la norma conferendole,
contestualmente, un contenuto più articolato rispetto a quella del ‘92…
Il nuovo disegno di legge
Il 25 settembre la Commissione Giustizia del Senato ha approvato all’unanimità
il nuovo disegno di legge che modifica l’art. 41 bis e l’art. 4 bis
dell’Ordinamento Penitenziario.
Innanzitutto viene decisa la stabilizzazione dell’art. 41 bis che finora è
stato, almeno formalmente, una norma a termine anche se nella sostanza,
attraverso varie proroghe, viene applicato a centinaia di detenuti da oltre 10
anni.
Viene aumentato il periodo di applicazione del regime speciale che passa dagli
attuali sei mesi (sempre indefinitamente prorogabili e di fatto prorogati) a un
periodo che va da un minimo di un anno a un massimo di due anni, periodi
ovviamente sempre prorogabili.
Ciò significa che il provvedimento applicativo del 41 bis non può essere
impugnato ogni sei mesi come avviene ora ma ogni anno o due anni.
Va comunque ricordato che sembra vigere un patto di ferro tra Ministero (organo
che applica il provvedimento) e Tribunali di Sorveglianza (organi territoriali
competenti per il reclamo) in quanto negli ultimi dieci anni sono stati davvero
pochi i reclami accolti; i Tribunali di Sorveglianza si limitano per lo più ad
affermare che il provvedimento è legittimo e che la vita nei lager del 41 bis
non rappresenta “un trattamento inumano e degradante”.
4) Alle limitazioni descritte qui nella nota 1, ve ne sono altre che intaccano
gravemente il diritto alla difesa: questi detenuti non possono più partecipare
ai processi nei quali sono imputati. Per loro è stato inventato il processo a
distanza, con la cosiddetta videoconferenza.
Si è detto che questa compressione del diritto di difesa era necessaria per
evitare il “turismo carcerario” ed in particolare gli incontri tra i detenuti
coimputati. Nella realtà avviene che gli imputati di un determinato processo
vengano perlopiù destinati al medesimo istituto e quelli che sono in altre
carceri subiscono trasferte quotidiane (con viaggi massacranti anche per
duecento-trecento chilometri) per assistere al processo in videoconferenza. Con
i difensori possono comunicare attraverso dei telefoni, senza alcuna
riservatezza.
(in Senza Censura n. 9 – 3/2002)
Chi è sottoposto al 41 bis non può presenziare ai procedimenti a suo carico, cui
può intervenire solo in videoconferenza. Introdotta nel 1998 (con Legge 7
gennaio 1998 n. 11) come norma eccezionale e temporanea, la “partecipazione a
distanza” nei processi di criminalità organizzata scadeva il 31 dicembre 2000.
Naturalmente anche questo, come tutti i provvedimenti a termine, è stato
regolarmente prorogato fino al 31 dicembre 2003 e si pensa di prorogarlo fino
alla fine della legislatura in corso o di renderlo definitivo…(Come si vede
questo processo a senso unico è stato instaurato da un governo di
centro-sinistra e prorogato dal successivo governo Berlusconi-Fini-Bossi).
(in Caso Italia: dossier 4, il carcere in Italia – Partito Radicale, 27 marzo
2003)