SENZA CENSURA N.21
novembre 2006
Ibrahim libero!
Raccolta di materiali prodotti in occasione della giornata internazionale per la liberazione di Georges Ibrahim Abdallah (21 ottobre)
La vita di Georges Ibrahim Abdallah è chiara:
interamente dedicata all’unità del proletariato arabo, nella direzione di un
mondo fondato sul reciproco sostegno fra i popoli, dunque un mondo senza
capitalismo. Il compagno Georges infatti è nato in Libano 55 anni fa, però le
scelte di classe compiute nel corso della sua vita, dall’adesione prima al
Partito Nazionale Socialista Siriano, al Fronte Popolare di Liberazione della
Palestina poi, ferito nel 1978 nel Libano del sud nelle battaglie contro
l’invasione israeliana, e, infine, alla fondazione delle Formazione Armate
Rivoluzionarie Libanesi (FARL) nei primi anni ‘80, lo definiscono come militante
del movimento comunista arabo.
Ed ha questo contenuto il saluto che il compagno Georges ci invia dal carcere in
occasione delle manifestazioni, che il 21 ottobre sono state organizzate in
diverse città europee per ottenere la sua liberazione. Il suo scritto è un inno
conseguente alla solidarietà combattiva internazionalista. Scrive il compagno a
proposito della recentissima missione-Onu in Libano alla cui testa si è posto lo
stato italiano: Quelli che fanno appello alla sovranità del Libano o alle
neo-sovranità, sono quelli che si appellano al progetto sionista nella regione
araba. Queste forze attualmente partecipano a separare il Libano dal suo
ambiente arabo resistente e alla trasformazione del suo ruolo in un campo
avanzato nel progetto del grande medio oriente.
Queste forze sono uno strumento fra gli arnesi del rinnegamento che spingono con
diverse forze a mondializzare la situazione in conformità della visione
americano-sionista.
Le FARL, nate e attive nel contesto delle invasioni e delle stragi sioniste
compiute nei campi profughi di Sabra e Chatila nell’estate 1982 – i morti
palestinesi e libanesi furono oltre 25 000 -, portarono alle conseguenze
concrete il principio dell’unità internazionale colpendo l’ “entità sionista”
(Israele). Le azioni delle FARL compiute a Parigi (gennaio e aprile 1982) contro
personale imperialista-sionista contribuirono in modo inequivocabile - come già
Settembre Nero esattamente 10 anni prima in occasione delle Olimpiadi a Monaco
di Baviera - a smascherare, praticando la rottura dell’accerchiamento, i piani
dell’imperialismo in Medio Oriente.
Le FARL adottarono coscientemente il principio della campagna, dei paesi
occupati, dei popoli sfruttati e saccheggiati che accerchiano la metropoli; esse
portarono all’interno di questa la lotta di resistenza dei popoli palestinese e
libanese. Quelle azioni contribuirono a chiarire anche al movimento
rivoluzionario europeo di allora la necessità di rimettere al centro del proprio
agire la pratica internazionalista. Questo dibattito si sviluppò anche nelle
carceri europee, tornò ad estendersi all’esterno, in quanto nel frattempo
(1983-1984) diversi militanti libanesi erano stati arrestati in Europa. Il
compagno Georges in Francia, altre compagne e compagni in Italia, dove passarono
parecchi anni nelle carceri speciali.
Di fronte alle più recenti guerre imperialiste ognuno può cogliere l’importanza
del passaggio ad una pratica internazionalista effettiva. Tante e tanti
militanti avvertono l’esigenza di ricercare nel passato soluzioni per l’oggi. E
qui trovano nell’esperienza di compagni come Georges un riferimento ineludibile
di cui c’è chiara traccia nel saluto menzionato inviatoci. Scrive il compagno:
La solidarietà, tutta la solidarietà alla resistenza Irakena e denuncio tutte
le manovre imperialiste criminali che spingono in direzione dei conflitti
confessionali compiendo i massacri nei luoghi di culto e nei quartieri popolari.
Di una esperienza determinata, non paralizzata in glorificazioni, o, peggio, in
liquidazioni, c’è tanto bisogno. Anche per questo dobbiamo lottare affinché il
compagno Georges venga liberato.
Senza internazionalismo pratico, nella stessa metropoli, il proletariato, la
classe lavoratrice in generale restano nel vortice dell’impoverimento materiale
e politico – per non parlare di quello teorico – poiché al loro interno agiscono
ormai senza freni discriminazioni e divisioni. Le condizioni di vita, di lavoro
più gravi, rispetto alla popolazione locale, che già di per sé l’immigrazione
incontra, sono acutizzate dalle guerre. Queste provocano, con la morte e la
depredazione, l’emigrazione dal paese aggredito e dai paesi vicini coi quali
c’erano rapporti anche economici. Le guerre imperialiste vanno oltre: nella loro
essenza omicida e saccheggiatrice, a seconda della resistenza che incontrano,
devono definire nella propaganda e nel fatto le persone immigrate “stranieri”,
“extracomunitari” infine nemici. Così anche in Italia.
Sono purtroppo numerose le cronache di uccisioni dirette e indirette di persone
originarie di altri paesi compiute dalle polizie statali e private in Italia.
Ultima, la vicenda successiva ad un rastrellamento predisposto dai carabinieri,
che spingendo nelle acque del fiume Stura alle porte di Torino ovest un gruppo
di ragazzi africani ha causato la morte per annegamento di due di loro.
Sull’emigrazione è esercitata una pressione micidiale il cui obiettivo è lo
scatenamento della lotta fra poveri, fra proletari e proletarie di origine
italiana e proletari e proletarie originari d’altri paesi, per tentare di
mettere a tacere per qualche decennio la lotta rivoluzionaria proletaria in
Italia.
Alcuni esempi.
I Phone Center, luogo principe, insieme alle piazze e ai parchi, della
comunicazione e della socializzazione per chi proviene da altri paesi, vengono
sempre più limitati nei loro orari di esercizio, nella costrizione a consegnare
i nomi dell’utenza; la miglior e maggiore offerta di lavoro conosciuta
dall’immigrazione proviene dalle agenzie interinali o dal lavoro nero. Coi
salari ricevuti in simili rapporti di lavoro, la possibilità di un’abitazione
decente è ridicola, nulla, diventano in tal modo sempre più numerosi i casi di
famiglie immigrate sfrattate, o che abitano separate, o che non abitano per
niente. La necessità di scuole elementari bilingui, e qui si entra nel campo
minato del “culturale”, per altro risolta in un qualche modo da anni a Mazara
del Vallo e altrove senza alcun clamore politico, a Milano, come spiegano i casi
della scuola di via Quaranta nel 2005 e di via Ventura nei giorni recenti, non
trova soluzione.
Tutto ciò rappresenta soltanto un quadro generale il quale si completa nel
sistema carcerario, a cominciare dai lager, i CPT, in cui le persone immigrate
sono rinchiuse quando “non in regola” con le carte. In questi lager sono stati
portati centinaia, solo a Milano, di persone scarcerate dal recente indulto,
poiché, appunto, “non in regola” e da lì espulse oppure riportate in carcere
perché nel frattempo qualche mese era andato definitivo o non rientrava
nell’indulto. In tal modo per una consistente parte dei prigionieri immigrati
l’indulto si è trasformato in una feroce beffa.
Questa costante ricerca dello stato, dei padroni, di trasformare in giocattolo
l’immigrazione ha lo scopo di ridurre in quella condizione politica l’intera
classe lavoratrice, come nella realtà dei salari e della inconsistenza dei
contratti di lavoro sta avvenendo.
Non c’è altra soluzione. Anche in Italia. Il destino politico-sociale della
classe lavoratrice sta nella consistenza della sua unità di lotta. Fino a quando
le lavoratrici, i lavoratori di origine italiana non si muovono efficacemente
contro la guerra imperialista in Irak, contro l’occupazione dei Balcani e
dell’Afghanistan, non è possibile nessuna solidarietà, nessuna unità della
classe lavoratrice in Italia. Qui continueranno così a passare gli attacchi
all’organizzazione del lavoro dentro i luoghi produttivi, la consegna del
mercato del lavoro nelle mani delle imprese, del mercato immobiliare agli
artigli della speculazione e dei piani scolastici e di studio ai voleri della
Chiesa di Roma. Con buona pace, persino formale, del rispetto e
dell’eguaglianza.
Le banlieux in rivolta in Francia nell’autunno 2005 hanno messo in evidenza che
senza un legame con la lotta di classe generale, un enorme potenziale
rivoluzionario rimane soffocato nella criminalizzazione e nella ghettizzazione.
Dobbiamo fare in modo di trarlo da quel culo di sacco. L’internazionalismo,
l’unità combattiva internazionale insiti nella vita di compagni come Georges ci
sono senz’altro d’aiuto anche nella lotta fra le classi qui oggi in Italia. Sono
vite che ci appartengono, per questo vogliamo che Georges Ibrahim Abdallah venga
liberato assieme a tutte le compagne e a tutti i compagni rinchiusi nelle
carceri di tutto il mondo.
Per l’unità della classe lavoratrice nella lotta antimperialista.
Solidarietà e sostegno alla resistenza popolare in Iraq, Libano, Nepal,
Afghanistan…
Libertà per Georges Ibrahim Abdallah.
Libertà per tutti i compagni e per tutte le compagne.
Milano, Ottobre 2006
Coordinamento di lotta per la Palestina
[coordpalestina@yahoo.it]
Compagni e Compagne per la Costruzione del Soccorso Rosso in Italia
[cccpsri@libero.it]
E’ Ora di Liberarsi da tutte le Galere
[olga2005@autistici.org]
21 Ottobre 2006 - Contro la guerra
imperialista |