SENZA CENSURA N.21

novembre 2006

 

La punta dell’iceberg

L’ergastolo automatico per chi non rinnega l’identità politica. Il caso di Iñaki de Juana

 

Pubblichiamo questo materiale che ci fa un quadro approfondito, in parte molto tecnico, dell’attitudine dello stato spagnolo nei confronti dei prigionieri politici, in questo caso in particolare di quelli baschi, partendo dallo sciopero della fame che è stato intrapreso da Iñaki de Juana Chaos contro all’accanimento giudiziario funzionale a negargli la libertà una volta compiuta la condanna.
L’orientamento di impedire a tutti i costi che i prigionieri politici escano dal carcere una volta scontata la pena, se non si piegano a prendere le distanze dalla loro identità rivoluzionaria, è qualcosa che stiamo sperimentando sempre di più, in varie situazioni europee.
In particolare le vicende che seguono sono significative perché mostrano molto chiaramente la sostanza di questo orientamento.
E mostrano come poco conta se la legge consente o meno di eseguire queste condanne di fatto all’ergastolo. La decisione sulla condanna viene presa a livello politico dall’esecutivo, arbitrariamente e in maniera inappellabile, poi se non sarà una legge a consentirne l’applicazione, sarà una campagna stampa, oppure un giudice di pochi scrupoli (caso non difficile) con sempre nuove incriminazioni, se non sarà una sentenza sarà carcerazione preventiva, se non troveranno sotterfugi violeranno le loro stesse leggi, sempre impunemente, e via dicendo. Conta il risultato: le decisioni politiche dell’esecutivo sui prigionieri politici non devono essere messe in discussione, neanche in tribunale.

 

Il caso di Iñaki de Juana Chaos riguarda vari diritti umani vulnerati. E’ un caso di detenzione arbitraria per l’irregolarità del suo prolungamento in prigione dopo aver compiuto la condanna e avendo diritto all’accesso alla libertà; è una flagrante violazione del diritto alla libertà di espressione in quanto è accusato per la pubblicazione di due articoli di opinione senza nessun elemento delittivo nel loro contenuto; è un esempio del funzionamento della giustizia completamente dipendente dall'interesse politico e dall’eccezionalità dell’attività giurisdizionale; il trattamento a cui si sta sottomettendo Iñaki, in sciopero della fame per decisione propria, riguardo l’alimentazione forzata a cui è sottomesso, è un evidente trattamento crudele e inumano. Probabilmente, attualmente, il più violento, però non è l’unico caso. La situazione di Iñaki è la punta dell’iceberg.
Il caso di Iñaki de Juana, scaturito dallo sciopero della fame indefinito che sta realizzando, non è che la punta dell’iceberg della politica dei governi spagnolo e francese contro il Collettivo di Prigionieri e Prigioniere politiche basche.
In applicazione della politica di dispersione si è prodotta la vulnerazione sistematica dei diritti basici che essi posseggono come persone private della libertà –diritto a stare in carceri vicine ai loro luoghi di origine, diritto all’assistenza medica e alla salute, diritto all’integrità fisica, alla difesa giuridica, allo studio e a potersi esprimere nella propria lingua…- politica che colpisce anche il diritto dei loro familiari e amici. Senza dubbio, negli ultimi tempi sono state fatte una serie di riforme legislative e si è variata la pratica giurisdizionale in modo tale da dare una stretta in più alla vite della repressione contro questo collettivo, restringendo ancora di più i loro diritti. Adesso si è voluto bloccare il diritto alla libertà di quei prigionieri e prigioniere che in breve avrebbero compiuto la propria condanna e che, legge alla mano, sarebbero dovuti essere messi in libertà.

Antecedenti: la “dottrina Parot” e il cambio di giurisprudenza
Il codice penale del 1973 nel suo articolo 70.2 prevedeva il compimento massimo di 30 anni di condanna, condanna che poteva vedersi soggetta a ottenere benefici penitenziari, per lavoro, studio, altre attività. Alle persone che erano condannate a pene superiori a questo lasso di 30 anni, si applicavano gli sconti su questo lasso di compimento massimo di 30 anni, scontando a partire da quelli.
Nel 1995 si modifica il codice penale, determinando la sparizione dei benefici penitenziari, in base all’attitudine repressiva dei partiti politici maggioritari nello stato spagnolo che propugnano il compimento integro delle pene per le prigioniere e prigionieri politici baschi.
Ciò nonostante, i prigionieri condannati in base al codice anteriore si vedevano salvaguardati per gli sconti, fino a che il tribunale supremo ha interpretato recentemente per mezzo della sentenza 197/2006 che gli sconti dovranno applicarsi alla totalità della condanna - in alcuni casi centinaia di anni - e non al limite massimo della condanna di 30 anni, per cui in pratica risultano inoperanti. Vari prigionieri dovranno compiere 10 o 12 anni di più fino a completare il limite dei 30 anni adesso imposto. Questa nuova interpretazione che adesso opera con carattere sistematico e retroattivo porta popolarmente il nome di “dottrina Parot” in riferimento a Unai Parot, il primo prigioniero a cui è stata applicata.

Riforma del compimento di pene: limite di compimento
Nel luglio 2003 e rispondendo nuovamente, così come risulta espressamente nell’esposizione dei motivi della Legge Organica 7/2003, alla “domanda sociale contro il terrorismo”, si amplia il limite di compimento fino ai 40 anni di condanna, adesso esplicitamente previsti per quelle persone che abbiano più di due delitti di terrorismo di cui qualcuno superiore ai 20 anni.
Con questa nuova legge, i requisiti per la libertà condizionale si specializzano, nei casi di terrorismo, sollecitando espressamente il ripudiare le proprie azioni e altri requisiti, che non si richieda per esempio in altri casi di particolare gravità o rilevanza –articoli 90, 91 e 93 del Codice Penale-.

Diniego del diritto alla libertà
Così, questa nuova interpretazione del Tribunale Supremo colpisce vari prigionieri e prigioniere che presto avrebbero avuto accesso alla libertà:
- Jon Agirre Agiriano, Aramaio (Araba) 25 anni in prigione, doveva essere posto in libertà il 28 ottobre però la condanna gli è stata aumentata fino al 3 maggio 2011.
- Kandido Zubikarai Badiola, Ondarroa (Bizkaia) 17 anni in prigione, doveva essere posto in libertà il 27 ottobre, però si è ritardato di 5 anni il suo rilascio in libertà.
- Koldo Hermosa Urra, Santurtzi (Bizakaia) doveva essere posto in libertà l’8 settembre, però la sua pena si è ampliata fino all’8 settembre 2017 fino a compiere i 30 anni di prigione.
- Peio Etxeberria Lete, Soraluze (Gipuzkoa) il 10 settembre doveva essere posto in libertà però si aumenta la sua condanna fino al compimento massimo l’8 aprile 2019.
- Iñaki Gaztañaga Bidaurreta, Arrasate (Gipuzkoa) dopo 18 anni in prigione, doveva essere posto in libertà in marzo di quest’anno, e la sua pena è stata prolungata di 12 anni.
- Txomin Troitiño Arranz, Donostia (Gipuzkoa) doveva essere posto in libertà il 18 maggio di quest’anno dopo 19 anni di permanenza in prigione, e gli si è imposto ancora 12 anni, fino al 2017.
- Joseba Artola Ibarretxe, Bilbo (Bizkaia) dopo 20 anni in prigione, gli hanno aggiudicato altri 10 anni, fino al 10 giugno 2016.
- Josu Bollada Alvarez, Ortuella (Bizkaia) doveva stare in libertà il 20 maggio, ma la condanna è stata aumentata fino al 19 settembre 2018.
- Antxon Lopez Ruiz, Elorrio (Bizkaia) 12 anni in più fino a gennaio 2017, dopo aver compiuto 19 anni in prigione.
- Txerra Martinez Garcia, Basauri (Bizkaia) avrebbe dovuto accedere alla libertà in agosto, dopo 15 anni di prigione.
- Unai Parot Baiona, (Lapurdi) ancora non ha estinto la sua pena.

Pertanto questa dinamica che colpisce vari prigionieri e che inoltre genererà in futuro una situazione ogni volta più grave, si può considerare una vera vendetta illegale e illegittima contro persone che dovevano accedere alla libertà, semplicemente e schiettamente per una questione di interesse politico. La dimensione di questo trattamento penitenziario nel divenire stesso del processo politico è imprevedibile, però in nessun caso crediamo che mantenere i prigionieri come ostaggi politici possa favorirlo in alcun modo.

Iñaki de Juana Chaos in sciopero della fame indefinito per il suo diritto alla libertà
Il prigioniero basco Iñaki de Juana Chaos ha iniziato lo scorso 7 agosto uno sciopero della fame illimitato per esigere il rispetto del suo diritto alla libertà.
Iñaki de Juana avrebbe dovuto aver accesso alla libertà il 25 ottobre 2004, dopo aver compiuto la sua condanna dopo 18 anni in prigione. Nonostante questo, il magistrato della prima sezione del tribunale speciale (Audiencia Nacional), Gómez Bermúdez, ha emesso un atto con data 22 ottobre con cui pretendeva impugnare gli sconti di cui aveva beneficiato Iñaki, per evitare la sua scarcerazione.
Davanti all’impossibilità di mantenere questa giustificazione il giudice stabilì la carcerazione preventiva contro di lui per un presunto delitto di pertinenza a banda armata e minacce terroriste. I fatti per cui si faceva una tale richiesta erano due articoli di opinione che il prigioniero aveva inviato al quotidiano Gara. Risulta impossibile trovare in questi articoli una base razionale sufficiente sulla quale sostenere simili accuse. Precisamente il 14 giugno 2006 si è fatta pubblica la sentenza per cui il giudice della Audiencia Nacional spagnola Santiago Pedraz respingeva l’accusa considerando che negli articoli il prigioniero dichiarava il suo appoggio al Movimento di Liberazione Nazionale Basco -MLNV- che “non è equiparabile a ETA”. Aggiungeva che “tale movimento non è qualificato come organizzazione terrorista” per cui considerava non provata l’esistenza di un delitto di minacce. A questo punto si scatenava una campagna mediatica contro la decisione del giudice. Il titolare del ministero di giustizia, Juan Fernando López Aguilar dichiarava: “costruiremo nuove imputazioni per evitare che siano scarcerati!”. Il pubblico ministero generale dello stato, Cándido Conde-Pumpido, assicurava che “continueremo a opporci alla sua scarcerazione con tutti i mezzi legalmente possibili” dopo aver ricorso contro la decisione. Quest’atmosfera spingeva la terza sezione dell’Audiencia Nacional a rettificare la decisione del giudice Pedraz considerando che De Juana aveva fatto “ostentazione ed esaltazione” della sua appartenenza a ETA negli articoli pubblicati, il cui contenuto, secondo quanto si trova nell’atto “rivela chiaramente una possibile minaccia terrorista” per cui veniva richiesta una nuova condanna a 96 anni di carcere.
Negli ultimi tempi abbiamo assistito a una brutale iniziativa da parte del governo spagnolo e del tribunale eccezionale antiterrorista Audiencia Nacional per evitare l’accesso alla libertà ai prigionieri politici che vi avrebbero accesso in forma immediata, saltando tutti i princìpi di base di legalità. Lo stato spagnolo pensa per ragioni di vendetta politica che Iñaki, così come altri prigionieri politici in situazione simile, non ha estinto la sua pena. Così, l’esecutivo di Zapatero pretende fomentare questa situazione di “ergastolo” di fatto contro il collettivo di prigionieri e prigioniere politiche basche colpendo il diritto universale alla libertà di chi ha compiuto integralmente le sue condanne. Ma in più, in questo delicato momento politico in cui si aprono possibilità per una soluzione del conflitto che ha visto battersi per anni il popolo basco contro lo stato spagnolo, l’esecutivo strumentalizza i prigionieri e le prigioniere, rendendo più difficoltosa una soluzione democratica del conflitto politico.
In queste circostanze Iñaki pensa che non gli resti altra soluzione che iniziare uno sciopero della fame indefinito, anche se con questo perdesse la vita.

Lo sciopero della fame e l’alimentazione forzata
Iñaki de Juana è stato ospedalizzato il 19 settembre per il suo precario stato di salute nel suo 43° giorno di sciopero della fame. La Audiencia Nacional aveva deciso che si procedesse, “senza impiego per quanto possibile di alcuna forza fisica e, in ogni caso, senza ledere la sua dignità come essere umano” nel caso che il digiuno ponesse in pericolo la sua vita o producesse “danni irreparabili” alla sua integrità fisica.
Medici dell’ospedale Punta Europa di Algeciras, in compimento di un’ordinanza dell’Audiencia Nacional spagnola, cominciarono a alimentarlo contro la sua volontà. Secondo quanto indicato da Istituzioni Penitenziarie, il trattamento si è messo in moto davanti a un possibile “rischio di infarto”. Agenti della polizia gli hanno legato le braccia e le gambe a fronte del suo diniego a che i medici gli somministrassero potassio attraverso il siero endovenoso. Lo hanno mantenuto legato 24 ore fino a che lo stesso De Juana ha chiesto che lo slegassero. Nella visita che ha avuto il sabato con i suoi familiari, il prigioniero gli ha relazionato come il mercoledì della settimana passata agenti di polizia gli avessero legato le braccia e le gambe di fronte al suo diniego a che venisse aggiunta una certa quantità di potassio al siero endovenoso. Con le parole dello stesso Iñaki, il suo corpo “non ha mai sofferto una simile violenza”. Quando era da già 24 ore in questo stato, era in una situazione in cui realmente non ne poteva più e ha chiesto che lo slegassero, dicendo che non avrebbe agito contro al lavoro dei medici.
Questo ha aperto un dibattito sulla legittimità dell’intermediazione dello stato in questo tipo di protesta. La dichiarazione di Malta dell’Associazione Medica Mondiale del novembre 1991 prevede letteralmente: “I medici o altro personale medico non possono esercitare pressione indebita, di nessun tipo, sulla persona in sciopero della fame, perché sospenda lo sciopero. Il trattamento o l’attenzione alla persona in sciopero della fame non devono essere condizionati alla sospensione del suo sciopero della fame”. La relatrice dell’ONU in un comunicato emesso il 9/02/2006 qualifica come tortura le tecniche di alimentazione forzata. Riaffermare semplicemente il diritto che compete al prigioniero basco di portare avanti questa lotta senza l’intervento dello stato - ancora meno in forma violenta - essendo la sua volontà quella di continuare con questa. Questo sciopero è, a suo parere, l’ultima risorsa che gli rimane per protestare per l’ingiustizia a cui è sottoposto.

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