SENZA CENSURA N.21
novembre 2006
Editoriale
Stati
d’Europa e Stato europeo
“Nella critica della filosofia hegeliana del diritto di Marx la Stato
viene radicalmente destituito dalla sua posizione di primo presupposto per ogni
comprensione dei fenomeni storici e del loro sviluppo, ed appunto in ciò
consiste il più importante progresso rivoluzionario della nuova concezione
materialistico-dialettica sulla filosofia borghese”.
(K. Korsh, Il materialismo storico. AntiKautsky,
1929)
La recente guerra in Libano e il conseguente intervento militare delle potenze
europee sulla base della risoluzione ONU n. 1701 hanno riacceso il dibattito e
l’iniziativa nel nostro paese.
La risoluzione prevede formalmente un rafforzamento della “missione UNIFIL”
(presente in Libano dal 1978) riqualificandola come missione di peace-keeping “a
mandato robusto”: nella sostanza, anche per quanto attiene il contingente
italiano e malgrado il d.l. n. 253 del 28 agosto 2006 abbia previsto
l’applicazione del codice penale militare di pace ai militari impegnati nella
missione, da un lato, le forze armate straniere impiegate dovranno “assistere le
forze armate libanesi nella adozione delle misure necessarie” nelle attività di
controllo e disarmo nella fascia compresa tra il confine israeliano e il fiume
Litani (paragrafo 11, lett. e) della risoluzione 1701), dall’altro lato, queste
stesse truppe di occupazione sono “autorizzate” ad adottare “qualunque azione
necessaria ... per assicurare che l’area in cui é dispiegata la Forza non sia
utilizzata per atti ostili di qualsiasi natura, per reagire contro tentativi
violenti di impedirle di conseguire il mandato, per proteggere beni,
istallazioni e personale dell’ONU nonché gli operatori umanitari e per
proteggere i civili che si trovino in una situazione di imminente minaccia di
violenza fisica” (art. 12, ris. 1701).
Una riaffermazione di principio del cosiddetto diritto di “autodifesa
preventiva” delle truppe imperialiste impegnate a “ristabilire la pace” che, per
altro, non tiene nel dovuto conto l’attuale situazione sul campo.
E’ noto, infatti, come tale ri/soluzione sia stata una conseguenza del plateale
fallimento delle operazioni belliche di Tsahal (l’esercito israeliano) nei
confronti della resistenza libanese e come, a “togliere le castagne dal fuoco”
al gendarme dell’imperialismo USA in medio oriente, siano accorsi in gran fretta
i suoi degni compari della sponda europea dell’atlantico.
Questa situazione di fatto rischia però di alimentare, nel dibattito della
sinistra nostrana (“antagonista” e non), due ricorrenti, erronee (ma ancora
dominanti) “superstizioni” circa l’evolversi e gli effetti di quello che abbiamo
da tempo definito come il principale aspetto della nostra epoca storica: il
processo di riallineamento globale delle gerarchie del sistema degli stati
imperialisti e di ridefinizione operativa delle funzioni e delle sfere di
influenza dei poli imperialisti.
Alcuni tendono a rilevare in questi avvenimenti un processo di “scollamento”
degli interessi euro-atlantici che si concretizzerebbe nella contrapposizione
tra il progetto di “Mercato Unico Euro-Mediterraneo” e quello del “Grande Medio
Oriente” e che apporterebbe, nell’immediato, il beneficio di un contenimento
dell’aggressività USA nell’area ad opera del “nascente” polo imperialista
europeo.
Altri continuano a sottolineare la mancanza di “referenti affidabili” nei
movimenti di resistenza alla Guerra Mondiale al Terrorismo scatenata dagli USA
presenti in quell’area e ad anteporre l’attuale prevalente rappresentazione
politica di questi movimenti (l’islamismo) al più generale movimento di
resistenza delle masse arabe per dedurne la necessità di una posizione di
“equidistanza e/o estraneità” nei confronti di entrambi i contendenti del
conflitto.
Entrambe le posizioni, al di là delle rispettive petizioni di principio,
riescono in quella forma di pacifismo “umanitario e peloso” che anima in maniera
preponderante i cosiddetti movimenti contro la guerra del continente europeo dai
tempi delle guerre nei Balcani.
Ed entrambe queste posizioni svolgono il prezioso ruolo di “utile idiota”, da un
lato, nell’obnubilare i reali interessi e possibili piani di intervento comune
tra il proletariato della metropoli imperialista europea e quello dei paesi
oggetto della guerra mondiale al terrorismo e, dall’altro lato, nello sviare il
dibattito che si sviluppa in quei movimenti da quello che, appunto, costituisce
- qui e in questo momento storico - il principale aspetto del conflitto di
classe nel continente europeo: la necessità del protagonismo bellico e di una
efficace ed effettiva capacità di proiezione politico-militare nel vicino estero
da parte della Borghesia Imperialista europea nel quadro di una cooperazione
rafforzata tra le due sponde dell’atlantico.
Già ai tempi dell’attacco alla Yugoslavia, l’allora Premier italiano D'Alema si
pavoneggiava pubblicamente di aver favorito - nel fuoco di una campagna che vide
l’impiego coordinato di forze aeree di 14 paesi operanti da ben 47 basi diverse
- l’affermazione di una direzione politico-militare unitaria delle operazioni
belliche attraverso il Quint (un sistema di consultazione permanente fra i
cinque maggiori paesi della Nato) sottolineando la necessità strategica di una
ridefinizione operativa delle strutture di comando dei poli imperialisti e delle
loro funzioni e sfere d’influenza.
Nell’aprile del 1999, la riunione a Washington del North Atlantic Council in
occasione del 50° dell’Alleanza ribadiva, nel documento finale, l’interesse
funzionale ad una organizzazione comune vista la “molteplicità di rischi,
militari e non”, di “instabilità entro e intorno all’area euroatlantica” (The
Alliance’s Strategic Concept, 23-24/04/1999) e la necessità di una “burden
sharing” (condivisione di oneri) da parte europea nell’edificazione del secondo
pilastro dell’Alleanza: l’identità di sicurezza e difesa europea (ESDI).
Subito dopo, il Consiglio Europeo di Colonia (giugno 1999) stabiliva un
calendario di massima che prevedeva per il 2003 la piena operatività di un
esercito e di uno stato maggiore europei, e il successivo vertice dei capi si
stato e di governo UE di Helsinki formalizzava la futura costituzione del primo
corpo di armata europeo con autonome capacità di trasporto e di intervento,
anche di media durata, quale pilastro fondante una Entità di Difesa Europea con
un Comando europeo separato anche se coordinato con quello della NATO.
Questa determinazione, al di là delle apparenti scaramucce offerte dallo
spettacolo politico dei diversi paesi d’Europa, veniva ribadita dallo stesso
Berlusconi a chiusura del vertice dei capi di stato e di governo dell’UE tenuta
a Bruxelles il 16 ottobre 2003 nonché dall’allora Ministro della Difesa italiano
e dall’Alto rappresentante UE per la politica estera e di sicurezza comune,
Javer Solana, al termine della prima riunione informale dei Ministri della
Difesa UE tenuta a Roma il 3 ottobre 2003 nell’ambito delle “celebrazioni” per
l’approvazione del testo definitivo di Costituzione europea.
Subito dopo, lo stesso Europarlamento, con deliberazione del 24 ottobre 2003,
raccomandava al governo dell’Unione l’effettiva entrata in servizio entro il
2004 della “Forza di reazione rapida UE” (con dotazione di 5.000 uomini e “per
operazioni di soccorso umanitarie”) e l’effettiva entrata in servizio entro il
2009 di un esercito europeo in grado di condurre “una operazione di livello e
intensità analoghi a quelle attuate nel quadro del conflitto del Kosovo in
cooperazione con la NATO o in maniera autonoma” in ambito europeo o al di fuori
dell’UE.
Questo rapido processo di costituzione del potenziale politico-militare di
proiezione nel vicino estero da parte dell’UE subiva un parziale e temporaneo
rallentamento a causa della “imprevista” disapprovazione popolare del progetto
di Costituzione europea (principalmente in Francia) e di successivi episodi di
rivolta di settori del proletariato giovanile europeo (principalmente i casseur
- “francesi” e “immigrati” - delle banlieues parigine).
Tuttavia, come abbiamo già sottolineato e contrariamente all’opinione di tanto
nostrano movimento pacifista, é stata proprio l’apparente “rottura diplomatica”
tra le due sponde dell’atlantico al momento della seconda aggressione
imperialista all’Iraq a “rimettere in gioco” (svelandone l’intimo legame
reciproco) tanto l’impantanato processo di costituzione politica dell’UE quanto
quello di costituzione dell’ESDI: “I tempi della stesura della “Carta europea”
ricalcano i tempi della costituzione dell’ESDI (l’Entità di Sicurezza e Difesa
Europea). A quasi cinquant’anni dalla “forzatura di Suez” la “forzatura del
Golfo” può aiutarla a rientrare da “co-star” nel tragico spettacolo
mediorientale” (Potenza europea ed Europa Potenza, in Senza Censura n. 11,
giugno 2003).
Con la missione in Libano, l’ormai “storico” richiamo della diplomazia europea
al primato decisionale del Consiglio di sicurezza dell’ONU per gli interventi
NATO in ambito “globale” si é convertito nella prima realizzazione concreta
dell’aspirazione del “benigno” imperialismo europeo a costituirsi come potenza
regionale con autonomia decisionale ed autonoma capacità di proiezione
politico-militare nel proprio “giardino di casa”.
Attualmente, e come noto, la situazione sul campo é la seguente: l’Italia é
presente con circa 3.000 unità (principalmente di terra), la Francia con circa
3.700 (2.000 di terra e il resto su navi), la Germania con 2.400 unità (in gran
prevalenza marinai); il comando generale della missione é previsto (un po’ come
la presidenza UE) per il primo semestre in capo all’Italia, per un secondo
semestre in capo alla Francia (il comando della marina, all’inizio in capo
all’Italia, é attualmente, dopo il dispiegamento delle sue unità di marina,
affidato alla Germania): grosso modo quanto era stato “raccomandato”
dall’Europarlamento come obiettivo da raggiungere entro il 2009!
Ed infatti (ripercorrendo brevemente le tappe “diplomatiche” di questa vicenda),
già il 1° agosto 2006 il Vertice straordinario dei Ministri degli esteri dell’UE
richiedeva espressamente, nel documento finale, l’immediata cessazione delle
ostilità e il rapido dispiegamento di una forza internazionale. Malgrado i
ritardi ed ostacoli diplomatici frapposti nel malcelato (ed inutile) intento di
permettere a Tsahal (l’esercito israeliano) di “ripulire l’area” dalla
resistenza libanese, il successivo 11 agosto il Consiglio di Sicurezza ONU
votava la risoluzione n. 1701 all’unanimità e il 18 agosto venivano definiti
tempi e regole “d’ingaggio”. Ma é il Vertice dei ministri degli Esteri dell’UE
del 25 agosto a precisare le modalità operative della missione (entità dei
contingenti, dislocamento, strutture di comando ...) e le “opportunità” di
gestione politica dell’operazione (richiesta di partecipazione a Turchia, Russia
e Cina).
Il fatto é che il protagonismo militarista dell’UE non si esaurisce (e non trova
fondamento) nella apparente (e propagandata) necessità di sicurezza e controllo
politico-militare della propria periferia, ma nelle attuali condizioni dello
sviluppo ineguale del modo di produzione capitalista nel pianeta che impongono
alla Borghesia imperialista europea (e per arginare il suo relativo declino)
forme di controllo strutturale del proprio vicino estero come strumento di
allargamento della propria “base d’urto” economica nel confronto economico
mondiale con le nuove potenze economiche e demografiche emergenti con “stazza”
continentale.
Molto schematicamente e riferendosi ai dati recentemente forniti da due
fondamentali istituzioni sovranazionali del sistema capitalista mondiale (WTO ed
FMI), potremmo illustrare quelle condizioni nei seguenti termini: nel periodo
2001-2005, secondo il WTO, per quanto attiene la ripartizione delle “quote di
controllo” del mercato mondiale di merci e servizi gli USA sono passati dal 16,1
% all’11,7%, la UE dal 18% al 17% e la Cina dal 5,9% al 9,9%.
Tuttavia, secondo il FMI (World economic outlook del settembre 2006), i Paesi
dell’Est Europa di recente o prossimo ingresso nell’UE hanno registrato una
crescita media del PIL nel 2005 del 7,4% e una previsione di crescita del 5% nel
2006; la Turchia ha registrato una crescita del 4,6% nel 2005 e dovrebbe
attestarsi al 5% nel 2006; l’area del Maghreb dovrebbe attestarsi al 5,8% nel
2006 e quella del Mashreq (escluso l’Irak) dovrebbe attestarsi mediamente al 5%.
Sicché la base demografica e il ritmo di crescita medio dell’UE e del suo
“vicino estero” si attesterebbero a livelli di crescita riequilibrati rispetto a
quelli dei giganti demografici asiatici (Cina e India).
Del resto, come ha recentemente e candidamente dichiarato il Sottosegretario
alla Difesa italiano commentando l’intervento “umanitario” europeo in Libano,
“ci vuole un po’ di pragmatismo; non dico di muoverci come quelle nazioni in cui
le imprese seguono i generali e viceversa, ma le nostre missioni militari
possono migliorare l’interscambio commerciale e portare contratti, allora ci
deve essere un sistema paese pronto a cogliere l’occasione” (G.L. Forcieri,
Sottosegretario alla Difesa, già Vicepresidente dell’Assemblea parlamentare
della NATO dal 2002 al 2006 (DS), Meno marescialli più missioni, in L’espresso
del 28 settembre 2006).
Appare quindi sempre più evidente come costituisca una necessaria premessa alla
ripresa di una autonoma azione politica da parte del proletariato della
metropoli europea e del nostro paese l’affermazione e generalizzazione di una
sua autonoma critica alle attuali condizioni di vita e di dominazione, ed in
questo senso, anche questa volta, cerca di porsi il lavoro di Senza Censura.
Infine, una notazione generale - a margine delle vicende prima riferite - e in
relazione al tipo di guerra oggi agito dalla Borghesia Imperialista dei diversi
poli del sistema degli stati imperialisti.
E’ noto come nella fase di senescenza acuta del modo di produzione feudale (e
come conseguenza “naturale” della sua originaria stratificazione sociale - in
cui l’arte militare era “nobile” per eccellenza e quindi “specializzata” in
piccole minoranze) lo scopo finale della guerra era individuato nell’invasione
(e saccheggio) del territorio nemico ed, eventualmente, nel suo successivo
controllo permanente con “piazzeforti”. Con la rivoluzione francese e la
trasformazione della guerra in fenomeno sociale di massa (e proprio per il peso
della stessa mobilitazione di massa) cambia, per l’epoca borghese, non solo la
natura, ma lo scopo stesso della guerra - ora identificato nel ridurre il nemico
all’impotenza, nel senso che “occorre che il nemico sia posto nella
impossibilità di difendersi; e questo é, per definizione, il vero obiettivo
dell’atto di guerra; esso rappresenta lo scopo” (Karl Von Clausewitz, Della
guerra, pag. 20).
L’attuale spettacolo politico globale, nella guerra per bande e nelle faide fra
vecchie e nuove potenze imperialiste, recita lo spartito della putrescenza del
medio-evo borghese ed anche la guerra, da guerra di movimento di masse, si
trasforma in guerra di posizione di “guerrieri di professione” che terrorizzano
interi paesi e popoli.
Ma, come amava ripetere il generale russo Suvorov, criticando nel 1799 il tipo
di guerra riproposto dai “vecchi regimi”:
“La pallottola è stupida, la baionetta è saggia”.