SENZA CENSURA N.20
luglio 2006
Contro il TAV: no alla negoziazione
Spunti di riflessione su alcuni aspetti dello sviluppo del capitalismo e su una lotta necessaria nei Paesi Baschi e nel mondo
Pubblichiamo la traduzione di
questa analisi su alcuni aspetti dello sviluppo capitalistico che ha il pregio
di coglierne le tendenze a livello internazionale e allo stesso tempo le
ricadute a livello locale nei Paesi Baschi, trattandone i vari aspetti
(urbanizzazione, sviluppo delle infrastrutture, controllo e sfruttamento delle
risorse energetiche, modalità di produzione e consumo) come parte di un tutto
necessario per la riproduzione di un determinato modello di sviluppo e dei
rapporti che sottintende.
La necessità di profitto della borghesia si trasforma sul piano politico, per
ciò che riguarda i piani di sviluppo strategico per la sua dominazione, in netto
rifiuto a trattarne la loro realizzazione con chi che sia.
Spostare il dibattito su una limitazione dell’impatto di queste “opere” e
stabilire una soglia di fattibilità accettabile dei mortiferi progetti del
capitale è del tutto fuorviante significa tout court assuefarsi alla catastrofe,
credendo che ci possa essere una mediazione possibile tra la voracità di questo
sistema sociale che fagocita tutto ciò che è funzionale alla sua sopravvivenza e
coloro che ne vengono fagocitati.
Come afferma il documento: «I tentativi di mettere toppe non conducono a nessun
posto e neanche il sistema sta per ammettere toppe nel suo montaggio. Da questo
si deduce che le pretese negoziatorie sul tema sono esposte al niente, per
quanta partecipazione popolare si possa avere. Non possiamo né dobbiamo metterci
a gestire ed incanalare le offese che crea il sistema senza eliminare le sue
cause. Né credere che possiamo cambiare il sistema a base di negoziazioni
successive. Quello di cui si tratta è di paralizzare mediante la lotta, la più
ampia ed autoorganizzata possibile non c’è un’altra maniera, il massimo di
selvaggi progetti in prospettiva, tra altri il TAV. E contemporaneamente
continuare a creare le basi reali per ridurre quell’enorme mobilità di merci e
persone, discutendo il sistema tecnologico, produttivista e consumistico,
l’espansione dei mercati, la metropolizzazione, lo sfruttamento del Sud […]».
Il Treno ad alta velocità è un pezzo del puzzle neoliberista capitalista ed
inseparabile da esso. Nel processo della globalizzazione esiste un legame
profondo tra il modello produttivo, tecnologico e di consumo, le strutture
territoriali, i processi di urbanizzazione, la sottomissione dei paesi del Sud
ed il modello di mobilità e di trasporto.
Il modello neoliberista è un tutto, nel quale le parti sono inseparabili.
Vediamo questa questione più nel dettaglio, specialmente per quel che riguarda
il trasporto.
Prima di tutto bisogna dire che il potere delle amministrazioni autonomistiche
di Euskal Herria, come quello degli Stati spagnolo e francese, che molti settori
dell’opposizione e che tutta la destra europea, tanto quella tradizionale come
la socialdemocrazia, condividono profondamente l’ideologia e il progetto
neoliberista, e che puntano fermamente sull’integrazione nel grande mercato
europeo capitalista in espansione e nel mercato sempre di più globalizzato del
pianeta. Il protocollo sul TAV firmato recentemente tra Fomento ed il Governo
basco, come i desideri di connessione con la “Y basca” del Governo navarrese di
UPN, sono un esempio.
Una delle caratteristiche più indicative della globalizzazione è precisamente
l’enorme espansione dei mercati, in concordanza con una produzione e consumo
massificati e senza limiti, cosa che genera un tremendo incremento della
mobilità motorizzata per il trasporto di merci e di persone. In Euskal Herria
come nel resto, si tenta di comprare di importar tutto il possibile, tanto
dall’UE come da altri mercati del Nord o del Sud, per alimentare un favoloso
commercio di intermediazione (supermercati, concessionarie, industria,
superporti, distribuzione commerciale...) e per somministrare alla spirale
crescente del consumo, senza che importi per niente la distruzione con ciò del
tessuto economico più tradizionale e più legato alla storia, tradizioni, risorse
e modi di vita del paese (agricoltura, allevamento, pesca, commercio, piccola
produzione...).
Si tenta di attrarre il massimo di capitali internazionali a cui è concesso ogni
tipo di agevolazione, comodità ed attrattiva (Guggenheim, Palazzo Euskalduna,
porti sportivi...), benché non importi che distruggano lavoro locale o creino
dipendenza ed instabilità sotto la minaccia della delocalizzazione o si portino
la maggior parte dei loro profitti in giro. Bisogna essere “competitivi” sul
mercato europeo ed internazionale, benché molti spariscano nel tentativo,
vendere ed esportare il più possibile per commercio di alcuni, creare una
Euskadi che sia “potenza economica” con peso specifico nella nuova cornice
europea. È necessario anche che Euskal Herria si converta, come in tempi scorsi,
in un nodo di speciale importanza nel traffico internazionale di merci e
persone, perché da ciò cadono sempre saporiti benefici. Insomma che la politica
di creazione o ampliamento di grandi infrastrutture di trasporto con uscita
internazionale in connessione con vie interne, come il TAV, grandi autostrade,
superporti, piattaforme intermodali, aeroporti, e la politica di fomentare al
massimo il traffico internazionale di merci, è una priorità assoluta del potere,
una parte essenziale della sua strategia ed interesse. E pertanto, non
negoziabile.
Il fenomeno della decentralizzazione di determinate fasi della fabbricazione di
un prodotto in differenti posti più o meno lontani tra sé per dopo trasportarli
all’impianto assemblatore o il centro di distribuzione caratteristici della
globalizzazione incidono un’altra volta sull’espansione incontrollata del
trasporto. Tutto ciò significa che le distanze si allungano in una maniera
impressionante; ora quello che si produceva prima in uno spazio ridotto,
richiede moltissimi chilometri di spostamenti fino ad arrivare al prodotto
finito e fino a che questo si metta nelle mani del consumatore. Quello che
diciamo è applicabile all’industria automobilistica, aeronautica, come a
praticamente tutti i rami dell’industria e, in pieno, ad Euskal Herria.
Cosicché, dentro questo modello, se il trasporto cede, tutta l’attività
produttiva si paralizza ed i prodotti non arrivano al consumatore. Cosa che
nemmeno è negoziabile per il potere.
Altrettanto potremmo dire rispetto al ruolo assegnato al Sud. La funzione che
gli è attribuita è quella di somministrare a buon mercato le risorse energetiche
(gas naturale, petrolio...), minerali e di un altro tipo (legno...) di cui le
imprese e commerci del Nord necessitano, come gli alimenti e la produzione
sussidiaria a prezzo di affarone (vestiti...) con destinazione i grandi
supermercati (Eroski tra altri) e l’insaziabile consumo e modo di vita dei paesi
industriali “sviluppati” tra i quali si trova Euskal Herria. Un’altra volta
vediamo, dunque, quello che rappresenta il trasporto nella nostra società di
consumo.
L’urbanizzazione e metropolizzazione galoppante che viviamo dimostra di nuovo
che la mobilità estrema è consustanziale al sistema neoliberista, tutto il
contrario di prossimità e vicinanza. Sappiamo che, storicamente,
l’urbanizzazione, la creazione di città e grandi agglomerati, è relazionata,
oltre che con la meccanizzazione, con la liquidazione dei modi di vita agricoli,
con la “liberazione” della manodopera necessaria per l’industria a base di
spogliarli delle loro risorse e mezzi di sussistenza. Così è stata la storia
della grande concentrazione demografica prodotta, per esempio, nella Sponda
Sinistra del Nervión nel corso delle diverse fasi di industrializzazione avute.
Le cose continuano oggi ugualmente qui, in Euskal Herria, e molto di più a
livello planetario dove la popolazione tende a concentrarsi massicciamente su
giganteschi agglomerati urbani, dove risiede già più della metà della
popolazione mondiale. In realtà intorno alle urbes esistono grandi interessi. Le
concentrazioni urbane, per la loro demografia abbondante, sono mercati
privilegiati di ogni tipo e che inducono sempre alla mobilità.
Mercati di consumo di alimenti che devono essere portati da fuori, provvisti in
sempre maggior misura dai grandi supermercati che si collocano a loro volta
nelle periferie, inducendo maggiore mobilità motorizzata. Mercati energetici e
di automobili. Oggetti del favoloso commercio delle agenzie immobiliari e della
speculazione di abitazioni e suoli, coi nuovi modelli di urbanizzazione di poca
densità come quelli avvicinati che non assorbono solo grande quantità di
territorio, ma favoriscono ancora di più le strade e l’automobile. Spazi che
allontanano l’ubicazione dal lavoro e dall’abitazione; che concentrano la
burocrazia e i parassitari servizi banca, sicuri..., e l’industria dell’ozio che
obbligano la gente a trasferirsi dei paraggi dell’urbe; e che ugualmente
stimolano un infinito traffico turistico di fine settimana verso seconde
residenze scappando dalle degradanti condizioni di vita della città. Territori
che nel loro processo di ampliamento costante, di specializzazione di attività,
obbligano alla mobilità infinita e costante. Questa è la politica che
corrisponde agli interessi del potere, quello che si plasma nei Piani
Territoriali Parziali: l’eurocittà San Sebastian-Baiona, la Bilbao
Metropolitana, la grande urbe di Iruñea...; un continuo abitato ed urbano,
inabitabile, infestato di automobili, ma generatore di grandi profitti.
I poteri autonomistici ed il Governo basco in concreto, nella sua politica di
impulso al movimento di merci e persone, appoggia tutte le forme di trasporto.
Per strada o autostrada automobili e camion, per ferrovia, per treni ad alta
velocità persone, merci e perfino camion carichi, via aerea e marittima compreso
il traffico marittimo di camion. Tutte le forme di trasporto sono in principio
complementari per essi, perché il volume di merci e di persone in movimento
richiede del concorso di tutti i sistemi di trasporto. D’altra parte, il
trasporto per strada è uno dei sistemi privilegiati, nonostante dichiarazioni al
vento in favore del treno, e non per caso. In effetti, il trasporto per strada è
legato a grandi interessi: le costruttrici di autostrade e l’industria del
cemento, l’automobilistica e tutte le sue industrie ed attività annesse e
dipendenti, come il settore dell’energia, specialmente del petrolio che si
alimentano del trasporto. Le fantasiose pretese di fare passare il trasporto
dalla strada al treno, nel sistema attuale, si trovano davanti ad un muro
assolutamente insormontabile, per quanto si argomenti l’enorme occupazione del
territorio e delle terre agricole che danno al potere uguale, i problemi di
traffico o una pretesa mobilità più razionale. Questo tipo di trasporto fa parte
indissolubile del sistema. In più, il trasporto pubblico, che difendono alcuni
con tanto impegno, in realtà svolge un ruolo concreto dentro il sistema attuale:
quello di non sovraccaricare il traffico, e quello di non far collassare ancora
più il trasporto che tanto importante è per essi.
I tentativi di mettere toppe non conducono a nessun posto e neanche il sistema
sta per ammettere toppe nel suo montaggio. Da questo si deduce che le pretese
negoziatorie sul tema sono esposte al niente, per quanta partecipazione popolare
si possa avere. Non possiamo né dobbiamo metterci a gestire ed incanalare le
offese che crea il sistema senza eliminare le sue cause. Né credere che possiamo
cambiare il sistema a base di negoziazioni successive. Quello di cui si tratta è
di paralizzare mediante la lotta, la più ampia ed autoorganizzata possibile non
c’è un’altra maniera, il massimo di selvaggi progetti in prospettiva, tra altri
il TAV. E contemporaneamente continuare a creare le basi reali per ridurre
quell’enorme mobilità di merci e persone, discutendo il sistema tecnologico,
produttivista e consumistico, l’espansione dei mercati, la metropolizzazione, lo
sfruttamento del Sud e favorendo il vicino, la cosa propria, la cosa necessaria,
la cosa piccola, la cosa comunitaria...
Una grande sfida, naturalmente, sulla quale bisognerà lavorare ed approfondire
molto, ma che si afferma come l’unica strada. Come non si riusciranno quelle
basi reali è con dichiarazioni retoriche, o con negoziazioni che dovrebbero
implicare, d’altra parte, rifare tutta l’impalcatura socioeconomica, poiché il
potere non cede su questioni essenziali per negoziazione. Quello che possono
fare, è implicarci in cambio di piccoli miglioramenti nella cosa sostanziale
della sua strategia. Ci sono correnti ecologiste ed eminenti professori di
università che credono alla sostenibilità senza discutere le basi del sistema,
cioè, dentro il sistema, nella linea del cosiddetto ecocapitalismo o capitalismo
verde. A base di più stato, imposte, “controllo” delle multinazionali e pretese
razionalizzazioni del sistema. Sarà che abbiamo concetti differenti di
sostenibilità. Questo, in fondo, è un concetto che si presta, svuotato di
contenuto economico e sociale, a perpetuare il sistema. In realtà, il potere, il
Governo basco in concreto, non si stanca di adornare con questa parola tutti i
suoi progetti. Qualcosa darà adito a ciò. Non c’è altro che vedere, per esempio,
il recente articolo della Consigliera di Trasporti del Governo basco, Nuria
López di Guereñu, un autentico monumento alla bugia.
Iñaki Urrestarazu
membro dell’Assemblea contro il TAV
Euskal Herria
IL 17 MAGGIO VERRO’
PROCESSATO... |