SENZA CENSURA N.20

luglio 2006

 

Per un bilancio politico della “Campagna 270”

Relazione introduttiva dell’Assemblea nazionale contro la repressione tenutasi il 20 maggio 2006 al CPA di Firenze

 

IL QUADRO GENERALE
Per affrontare una riflessione su controrivoluzione, repressione e prospettive di lotta, è necessario secondo noi partire dalla definizione, anche solo schematica, del quadro generale che abbiamo di fronte oggi, sia sul piano internazionale che sul fronte interno.
Dopo la fine del cosiddetto mondo bipolare, la necessità economica di estendere all’intero pianeta il modello economico capitalista si è tradotta nell’affermazione assoluta degli interessi della borghesia imperialista attraverso gli esecutivi politici, coadiuvati dagli apparati militari e giudiziari. Questa moderna espressione del dominio imperialista su scala globale ha definitivamente superato i vincoli delle “democrazie formali”, sovrapponendo di fatto i concetti “novecenteschi” di libertà e giustizia al proprio modello di sviluppo e quindi ai propri interessi. Questo è avvenuto, pur tra diverse contraddizioni, cooptando e usando tutti gli organismi internazionali e portando progressivamente al centro delle proprie strategie, anche attraverso una massiccia campagna ideologica e massmediatica, la cosiddetta “lotta al terrorismo”.
Su questo nodo strategico si è misurata, negli ultimi anni, la “fedeltà” dei diversi stati, dei loro “differenti” esecutivi, e perfino delle “opposizioni” agli esecutivi stessi.
In questo quadro di piena autolegittimazione, gli stati imperialisti (Usa in primis) si sono massicciamente impegnati in diversi fronti di guerra nel tentativo di affermare in modo sempre più arrogante il proprio dominio su popoli e territori.
Questa cultura “di guerra” ha fatto saltare definitivamente ogni vincolo o remora formale, dando piena legittimità e copertura innanzitutto alle gerarchie militari, sempre più emanazione diretta degli esecutivi stessi. Per non parlare degli apparati giudiziari, ormai irriconoscibili come entità autonome, nemmeno sforzandosi di osservarli attraverso l’obsoleto principio borghese della divisione dei poteri, e ormai diventati solo strumenti agili ed elastici nelle mani dei governi. Sul “fronte”, del resto, non esiste guerra giusta o guerra “sporca”: ogni mezzo è ammesso per affermare la demokrazia del capitale… e guai a chi non si allinea!
Così, in questi ultimi anni, non solo abbiamo assistito ad innumerevoli campagne militari in ogni angolo del pianeta, ma assistiamo quotidianamente ad operazioni degne dei peggiori regimi sudamericani. Abbiamo visto Guantanamo e Abu Graib, abbiamo visto le bombe all’uranio impoverito e al fosforo, abbiamo visto tanti, troppi “danni collaterali”, abbiamo visto costruire muri, abbiamo visto costruire liste “nere”, abbiamo visto strangolare economicamente interi paesi, abbiamo visto interi territori resi funzionali alle necessità militari, abbiamo visto basi militari usate per sequestri e trasferimenti. Abbiamo visto e continuiamo a vedere tutto questo nell’indifferenza e nel complice silenzio della sinistra, scossa talvolta al massimo da qualche tremito moralistico, ma ben consapevole anch’essa che ormai una lotta contro la guerra non può oggettivamente che diventare lotta contro il capitale e il suo dominio, in quanto non esiste più alcuno spazio di mediazione e di “gestione” riformista del comando.

IL FRONTE INTERNO
Questo massiccio impegno sul fronte internazionale è stato accompagnato da una potente campagna restauratrice interna, tesa a ridurre al minimo ogni spazio di opposizione e spostando sempre più a sé la soglia delle compatibilità possibili.
In questo contesto, la costituzione e il consolidamento di un vero e proprio polo imperialista europeo è stato un passaggio fondamentale, una cinghia di trasmissione ideale per la difesa ed il sostegno, sia dal punto di vista economico che da quello politico-istituzionale e giudiziario, degli interessi delle lobby imperialiste multinazionali.
Quello che uno sforzo propagandistico “bipartisan” riesce sempre meno a coprire è una realtà fatta di liste nere europee, di repressione politica e legislazioni speciali, di liberalizzazione e precarizzazione del mercato del lavoro, di strangolamento economico e di sfruttamento, di militarizzazione dei territori. Altro che Europa dei Popoli… questa è sempre più l’Europa dei padroni!
E l’Italia non è da meno! I vari governi succedutisi in questi anni, solerti nell’allinearsi velocemente alle direttive Usa, hanno interpretato a loro volta perfettamente questa linea di condotta generale sia sul piano internazionale, con l’impegno diretto in diversi fronti di guerra, che sul piano interno, sviluppando politiche antipopolari e trasformando progressivamente il quadro politico-istituzionale.
Non essendo questa la sede per un’analisi generale approfondita, che ci porterebbero sicuramente fuori tema, vorremmo invece soffermarci in particolare su quest’ultimo aspetto, cioè sul consolidamento del cosiddetto sistema “bipolare”.
Lungi dall’essere solo una trasformazione formale, il sistema bipolare testimonia (pur con le anomalie italiane) l’esasperata tendenza all’esecutivizzazione nella gestione delle politiche economiche ed internazionali, e a nostro avviso rappresenta un passaggio di importanza strategica in quanto costituisce concretamente la struttura portante della progressiva “blindatura” dei rapporti sociali, in atto nel nostro paese.

LA SINISTRA E IL MOVIMENTO
Questo passaggio sancisce, sia dal punto di vista politico che dal punto di vista sindacale, la definitiva cooptazione del quadro politico di “opposizione” nelle alleanze governative.
Non è certo il destino di un ceto politico riformista, rivelatosi fino in fondo ambiguo ed opportunista, che ci preoccupa; ci spaventa piuttosto constatare che questa scelta politica si traduce di fatto in una vera e propria scelta di campo, che definisce immediatamente il limite di ciò che è compatibile e di quello che non lo è, rischiando per di più di trascinarsi dietro spezzoni consistenti di classe.
In questo contesto non è più possibile interpretare queste scelte solamente come una “furberia”, magari discutibile tatticamente, a cui però condizionare il proprio agire nella speranza di trovare un “tetto” per ripararsi dalle intemperie.
Non c’è più lo spazio, e gli avvenimenti di questi ultimi mesi lo dimostrano ampiamente, per discutere di buona o cattiva fede, di tattica o di strategia: in questo quadro l’allineamento agli interessi del capitale e del profitto non può essere messo minimamente in discussione. L’unico spazio consentito oggi ad ogni velleità riformista è quello del più completo vassallaggio, della demagogia e, fondamentale, del pompieraggio.
E questo alla faccia delle “garanzie” di indipendenza politica seminate a piene mani dai vari dirigenti della “sinistra” istituzionale o istituzionalizzata.
Perché sorprendersi, allora, del fatto che la questione della “legalità” sia al centro del dibattito di buona parte della sinistra istituzionale. Perché sorprendersi del fatto che questi signori si sono assunti l’enorme e diretta responsabilità di avvallare e sottoscrivere le peggiori scelte politiche, economiche e giudiziarie degli ultimi decenni, dalla Legge 30 alla Bossi-Fini, dai Cpt alla legge Pisanu, e, non ultima, l’istituzionalizzazione della tortura con l’applicazione in carcere del famigerato 41bis.
Attraverso questa chiave di lettura, ben oltre quindi dal consueto “tatticismo” elettorale, si spiegano a nostro avviso anche i tanti recenti episodi di “intolleranza”, accompagnati dalle solite campagne stampa e da pesanti azioni repressive, nei confronti di pratiche consolidate nell’esperienza dei movimenti antagonisti e che hanno visto in prima fila proprio gli esponenti delle opposizioni più “prossime, perfettamente allineati alle altre diverse forze politiche, alla magistratura e ai media.
Per questo diventa “ingiustificabile” urlare slogan a sostegno della resistenza irachena, o bruciare bandiere storicamente simbolo di oppressione e violenza, o diventa “eversivo” autoridursi i servizi e occupare le case, o si viene lasciati soli e costa mesi di carcere il farsi carico in prima persona di chiudere spazio ai fascisti che rialzano la testa.
La cosa più grave è che questa realtà proietta la sua ombra anche all’interno del movimento stesso, dove sempre più spesso il confronto tende a spostarsi sul piano dell’”opportunità”, arretrando e tralasciando definitivamente il merito delle questioni, e legittimando così un meccanismo di autocensura e di sospetto che, non ci stancheremo mai di ripeterlo, è la prima causa del buon esito di ogni azione repressiva (la realtà milanese dopo gli arresti dell’11 marzo ne è un esempio lampante).
Un arretramento sicuramente non imputabile solo agli squallidi giochetti di qualche “capetto” in odore di poltrona, ma più verosimilmente specchio impietoso della fase attuale, sommariamente descritta più sopra. Una fase in cui, a fronte di un indiscutibile restringimento non solo delle cosiddette “libertà civili” ma più in generale delle condizioni di vita e di riproduzione di milioni di persone, è impossibile non registrare anche un “imbarbarimento” politico e culturale generalizzato che ha come prima nefasta conseguenza lo sviluppo dell’individualismo e la riduzione di ogni spirito di solidarietà sociale.
Avere chiaro il quadro non risolve certamente il problema. Ci pare però un punto di partenza imprescindibile per tentare di affiancare ad una doverosa “resistenza” espressa sul piano ideologico, anche una pratica politica che non ci porti verso l’annichilimento, né dal punto di vista politico né da quello più propriamente repressivo, ma che viceversa ci veda impegnati a sperimentare metodi e forme di lotta unitarie che riescano a rimettere al centro del nostro agire politico oggi il tema della solidarietà di classe.

CONCLUSIONI
Dopo un anno e mezzo di lavoro, il Comitato Promotore della Campagna 270 ha deciso di organizzare questo incontro assembleare pubblico per tentare di tracciare un bilancio di quanto fatto finora e per discutere su come proseguire l’attività sul terreno della repressione.
Vogliamo partire dal bilancio del nostro lavoro perché preferiamo mantenere, anche in questa occasione, lo spirito che ha caratterizzato i nostri sforzi in questi mesi, confrontarci cioè su un piano concreto, sui fatti e non solo sulle chiacchiere.
Pensiamo di avere qualcosa da dire perché siamo convinti, pur con tutti i nostri limiti, di aver lavorato seriamente ed onestamente, raggiungendo alcuni obiettivi e sperimentando un metodo per alcuni aspetti interessante.
A partire da questa convinzione, il nostro bilancio vuole essere un’occasione di confronto con tutte i/le compagni/e e con tutte le realtà impegnate all’interno del movimento di classe, per riflettere più in generale su quale sia oggi il senso e la prospettiva del lavoro politico contro la repressione.
Mesi fa abbiamo scelto di lavorare su questo terreno non a caso, e abbiamo individuato in specifico la questione dei reati associativi, alla luce del valore strategico ad essi assegnato in chiave repressiva e controrivoluzionaria.
Abbiamo cercato di fornire strumenti concreti di informazione e di comprensione che consentissero, per quanto possibile, una limitazione del “danno” che l’uso massiccio dei reati associativi causa non solo materialmente nei confronti di chi ne è oggetto, ma più in generale colpendo il tessuto di relazioni umane e politiche che ogni militante costruisce attorno a sé con il proprio intervento.
Il nostro obiettivo non era e tuttora non è quello di creare un team di “esperti”: siamo assolutamente convinti che il tema “repressione” non possa essere affrontato scisso dal contesto sociale e politico nel quale ci troviamo, assieme a tanti altri, ad agire quotidianamente. Constatiamo però che la repressione è presente in maniera sempre più capillare in questa quotidianità e spesso, che ci piaccia o meno, è il principale muro che si frappone fra noi e le nostre aspirazioni, fra noi e la gente con cui vogliamo lavorare, spesso (troppo spesso!) anche fra noi stessi…
Ed è un muro, uno dei tanti, che si sta alzando sempre di più, che sta creando sempre più divisioni, che sta creando sempre più ghetti, sempre più isolamento, sempre più sconfitte.
Per questo fin dall’inizio avevamo anche un altro obiettivo, per noi altrettanto importante, e che ha accompagnato ogni nostra riflessione: confrontarci sul metodo per dimostrare che, anche su un terreno così ostico e difficoltoso, è possibile unire le forze, le esperienze, le intelligenze riuscendo a fare assieme un lavoro che separatamente nessuno di noi sarebbe riuscito a concretizzare.
In uno slogan, provare ad unire ciò che la repressione divide!

Questo è il motivo per il quale oggi siamo qui: confrontarsi e discutere di politica partendo da un’esperienza concreta, anche col coraggio di mettere in campo i propri limiti, perché questa ci sembra di per sé e indipendentemente dagli esiti che avrà questo specifico incontro, una scelta corretta, utile e proficua per il lavoro futuro nostro e, speriamo, di molti altri.
La solidarietà è un’arma!

Comitato Promotore della Campagna Nazionale contro l’art. 270 e contro tutti i reati associativi

Firenze, 20 maggio 2006



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