SENZA CENSURA N.20
luglio 2006
Rivogliamo i licenziati!
Sosteniamo i ferrovieri in lotta per la sicurezza
Riportiamo gli interventi fatti a Viareggio il
25/05/06 all’iniziativa pubblica promossa da alcune realtà lavorative della zona
(ferrovie, sanità, cantieristica) tenuti rispettivamente da Dante, macchinista
FS di Roma licenziato per essersi opposto come molti altri suoi colleghi all’uso
del V.A.C.M.A.*, dispositivo che compromette la sicurezza di lavoratori ed
utenti, e da Roberto, anch’egli macchinista e Rappresentante dei Lavoratori per
la Sicurezza (R.L.S.).
Il licenziamento di Dante da parte di Trenitalia, come quello che
precedentemente fu attuato a fine 2003 contro altri quattro ferrovieri “rei” di
aver denunciato nella trasmissione RAI “Report” la mancanza di sicurezza, ha una
chiara connotazione politica tesa a mettere a tacere chi da anni si batte contro
la pesante ristrutturazione in senso di privatizzazione ed esternalizzazione del
sistema ferroviario italiano e le gravi conseguenze che ne derivano in termini
di incidenti e veri e propri disastri come quello di Crevalcore del 7 gennaio
2005, in cui morirono quattro macchinisti e tredici viaggiatori.
Negli ultimi 10 anni hanno perso la vita 52 ferrovieri, dei quali ben 10 solo
dal 2000 ad oggi, ossia in corrispondenza dell’inizio del processo di
privatizzazione delle FS (per ulteriori dati ed informazioni si veda l’articolo
“Basta morti sul lavoro” apparso su Senza Censura n. 16).
Quanto sta accadendo suscita necessariamente l’indignazione di tutti i
lavoratori e le lavoratrici, che in tutti i settori vedono consolidarsi la
precarietà come condizione strutturale e ai quali attraverso denunce,
provvedimenti disciplinari e licenziamenti vengono sempre più ridotti gli spazi
di agibilità sindacale.
Indignarsi significa fare propria la lotta dei ferrovieri, assumerne l’esempio e
darvi sostegno e solidarietà in modo concreto, rompendo l’isolamento e il
silenzio.
In riquadro il blocchetto per la raccolta fondi da poter riprodurre e diffondere
il più possibile.
Fondo di solidarietà per i ferrovieri licenziati:
c/c Postale n. 71092852 intestato a Crociati Marco
Dante:
Per iniziare spiego quanto è successo quel giorno (il 10 marzo ‘06, n.d.r.)
quando è cominciata questa faccenda del licenziamento; io faccio il macchinista
a Roma S. Lorenzo e lavoro sui treni Eurostar.
Quella mattina sveglia alle quattro (io abito in provincia di Roma), vado a Roma
per prendere il treno che va a Bologna, un Eurostar. Al ritorno un’ora di pausa,
poi c’è un pendolino che riporta a Roma e per telefono mi fanno sapere che ha il
pedale; come abbiamo fatto tantissime altre volte, compilo il prestampato in cui
chiedo di togliere il pedale.
Loro mi danno l’ordine di usarlo comunque, io mi rifiuto e c’è uno scambio di
comunicazioni al termine delle quali mi dicono “vai a casa, dal momento che non
vuoi usarlo non ci servi più”. I miei rifiuti erano motivati e strutturati in
quanto già consolidati nel tempo, infatti in Italia migliaia di macchinisti per
migliaia di volte avevano fatto la stessa identica cosa.
Quasi tutti i contratti di lavoro infatti prevedono che se il lavoratore si
rifiuta di fare una cosa che ritiene essere in contrasto con le norme
contrattuali o le norme lavorative può fare rimostranza al datore di lavoro, il
quale a sua volta se vuole che la cosa sia fatta comunque deve ripetere
l’ordine, che si chiama appunto “ordine reiterato”, sempre che l’azione
richiesta non abbia conseguenze penali; fuori dai casi previsti penalmente il
lavoratore è tenuto ad obbedire, quindi vediamo che il datore di lavoro ha un
grosso potere contrattuale rispetto al lavoratore.
Quindi tornando a quanto accaduto l’ordine è stato ripetuto ed io ho chiesto che
venisse messo per iscritto in modo da avere l’elemento formale per rimanere ( e
in casi come questo io ho poi potuto presentare degli esposti alle Procure della
Repubblica).
Era chiaro e trasparente quello che sarebbe successo perché così mi ero
comportato tante altre volte; non si è mai visto un dirigente delle ferrovie che
firmasse questo ordine ripetuto. La comunicazione non mi è arrivata per mano di
dirigenti che stavano lì sul binario 4 della stazione di Bologna, ma è arrivata
più di un’ora dopo. Per un macchinista far ritardare un treno crea una
situazione di sofferenza per tutti. Nel frattempo si è presentata anche la
Polfer tentando di convincermi dicendo “adesso arriva il Magistrato”, al che io
ho risposto di darmi il telefono che lo avrei chiamato io, non lasciandomi
intimidire neppure dalla polizia che ha fatto di tutto per farmi desistere; e lì
si è anche dimostrato tra le altre cose che la Polfer di Bologna a differenza
delle altre stazioni svolge un ruolo di “polizia aziendale”.
Poi sul treno era già presente il macchinista che avrebbe dovuto sostituirmi
alla guida dell’Eurostar perché già sapevano che avrei fatto quello che ho
fatto; questo è uno dei motivi per cui anche il Magistrato di Bologna che ha
archiviato l’altro ieri [23 maggio 2006, n.d.r.] il procedimento penale a mio
carico per interruzione di pubblico servizio [art.340 C.p., n.d.r.] insinua che
l’azienda lo abbia fatto proprio apposta di far ritardare il treno per creare il
“caso”, per mettere un elemento in più per potermi licenziare perché me la
avevano promessa, perché in questa vertenza ci sono state molte situazioni di
scontro con l’azienda.
Dopo qualche giorno mi è arrivata la lettera di licenziamento. Il giorno stesso
in tutto l’ambiente ferroviario si è capito che questo era un atto contro di me
ed è quindi arrivata la solidarietà e la mobilitazione da parte dei sindacati di
categoria che hanno fatto un comunicato con cui si voleva dire che l’azienda
aveva fatto una cosa ignobile che mi doveva subito riassumere altrimenti
avrebbero fatto uno sciopero.
Poi questa posizione così forte dei sindacati confederali è andata scemando fino
a diluirsi quasi del tutto mentre i compagni di lavoro non solo di Roma ma di
tutta Italia hanno aperto una vertenza nazionale vera e propria. Ciò grazie
anche al sostegno dei macchinisti di “Ancora in marcia!”, che è una rivista
storica dei macchinisti che esce dal 1908, culla del sindacalismo ferroviario,
chiusa dal fascismo ma sopravvissuta alle due guerre mondiali per essere poi
chiusa di nuovo dalla Cgil nei primi anni ’80 perché troppo autonoma rispetto
alla linea dei sindacati e che nel 1982 è risorta grazie ad un gruppo di
macchinisti di tutta Italia che hanno voluto ricostruire questo organismo
collettivo che di fatto è il crogiuolo di idee, commenti, azioni, lotte…
Quindi devo ai compagni di lavoro e al collettivo di “Ancora in marcia!” la
grande mobilitazione contro il mio licenziamento; la lettera infatti è arrivata
il giorno 10, martedì 14 abbiamo fatto un’assemblea nazionale a cui hanno
partecipato più di 300 persone; anche dal mondo politico sono arrivate
attestazioni di solidarietà, lo stesso giorno Bertinotti in un’intervista e poi
a seguire tanti altri.
Questa solidarietà politica ha messo in moto un meccanismo di allargamento della
vertenza, hanno cominciato a piovere ordini del giorno di enti locali a
cominciare dalla Provincia di Firenze, poi a Bologna, in Abruzzo e tutti quegli
enti che in qualche modo avevano avuto sentore della ripresa ferroviaria, della
questione dell’equipaggio e del pedale ad uomo morto. Parallelamente ho
cominciato l’iter giudiziario per fare ricorso.
Qualche giorno dopo il licenziamento vengo a sapere attraverso alcuni contatti
formali che avevo avuto come RLS nel mondo delle ASL in tutta Italia che ero
oggetto di un procedimento per interruzione di pubblico servizio. Ho quindi
nominato qualche avvocato del Foro di Bologna, abbiamo chiesto immediatamente di
essere ascoltati dal Magistrato per fare in modo che il Magistrato che indagava
su di me fosse messo a conoscenza che il giorno prima del mio licenziamento
Trenitalia aveva ricevuto una contravvenzione per aver utilizzato il pedale.
Quindi grazie anche a questa operazione di coordinamento con l’avvocato e alcuni
responsabili delle ASL che si sentivano in qualche modo responsabili per non
aver fatto prima queste sanzioni, siamo riusciti a far archiviare in maniera
motivata questo procedimento a mio carico, cosa che ci aiuta molto nel
continuare questa vertenza.
Questo è importante soprattutto perché il procedimento stesso era stato
utilizzato dall’azienda per motivare il licenziamento, giustificato non solo dal
fatto che mi ero rifiutato di pedalare ma soprattutto perché avevo causato un
ritardo talmente grave che pure la Procura della Repubblica aveva deciso di
perseguirmi per interruzione di pubblico servizio. Quindi cancellato il pilastro
che sorreggeva l’accusa per il licenziamento io ritengo che in prospettiva la
cosa dovrebbe andare molto bene anche per il fatto che io conoscevo
perfettamente come stavano le cose riguardo al pedale e cioè che il mio datore
di lavoro di Roma aveva ricevuto la stessa contravvenzione che poi hanno fatto a
Bologna, per cui la mia unità produttiva avrebbe già dovuto togliere il pedale
sui treni su cui andavo io; non solo, ma io pensavo che rifiutare di usare il
pedale fosse legittimo perché tutti i macchinisti che fino a quel giorno lo
avevano fatto da un anno e mezzo non ricevevano più sanzioni ne’ tanto meno
licenziamenti. E non li ricevevano più da una parte perché c’erano stati degli
accordi sindacali con l’azienda, dall’alta parte perché tutte le sanzioni che
avevano fatto ai compagni di lavoro erano state fatte annullare dai Collegi
Arbitrari presso le Direzioni Provinciali del Lavoro.
Tutte queste motivazioni mi fanno credere che io possa vincere la causa. Questo
mi da la serenità di andare in giro a raccontare le cose, di fare quello che
faccio insieme a un altro elemento importantissimo che è la solidarietà dei miei
compagni di lavoro morale e materiale che mi spinge ad essere qui a portare
avanti la vertenza, a non cedere a delle proposte scandalose ed umilianti fatte
dall’azienda, come quella per esempio di restare a casa licenziato ma pagandomi
lo stesso lo stipendio, o quella che mi avrebbero fatto restituire il lavoro ma
non come macchinista nel mio impianto ma come impiegato non si sa bene dove.
Questo per spiegare che non sono un irresponsabile: sto qui, vado in giro e
continuo a fare la battaglia come facevo prima che mi licenziassero,
partecipando alle assemblee nazionali ed andando dove posso perché i miei
compagni mi sostengono anche materialmente e quindi mi hanno garantito una forma
di sopravvivenza e quindi ho il dovere di mantenere integra la posizione e di
portare la vertenza avanti senza cedere su nulla andando contro principi
fondamentali: se si molla sul fatto che l’azienda possa togliersi di torno con
un licenziamento inventato un lavoratore scomodo e magari riassumerlo ecc. è un
precedente gravissimo che demolisce alle fondamenta la cultura politica di
questo paese e questo è vero anche al di fuori delle ferrovie, dove comunque c’è
una grande azienda. Fuori dalle grandi aziende, fuori dall’amministrazione
pubblica o parapubblica è sicuramente peggio: è peggio nei cantieri edili, è
peggio nelle fabbriche, nelle campagne e nell’agricoltura, nei call center, in
tutti i lavori precari.
Quindi la nostra battaglia non è solo la mia, è per questo che ne parlo
tranquillamente senza il timore o l’imbarazzo di difendere me stesso; questa
battaglia è una battaglia di tutti. Se non riusciamo a far rientrare il
licenziamento con la forza della ragione prima ancora di giungere a una causa in
tribunale o in cassazione magari fra dieci anni, le ferrovie avranno comunque
vinto e tutto il mondo che c’è dietro, perché se questo principio si consolida
nessuno potrà più fare attività sindacale in nessuna azienda.
Roberto: sono un macchinista del
deposito di Roma-smistamento e sono un RLS come Dante. [seguono ringraziamenti].
Noi credevamo che come ferrovieri fossimo una categoria garantita. Oggi abbiamo
ascoltato in un convegno i ragionamenti relativi alla realtà del mondo del
lavoro, abbiamo sentito denunciare mancanze a tutto tondo; noi invece vivevamo
in un contesto stratificato, consolidato, e ci sentivamo in qualche modo
un’avanguardia nel panorama generale del mondo del lavoro perché avevamo
assistito in questi anni allo sgretolamento, alla distruzione, alla deriva di
tutto il mondo di conquiste, di progressi, di capacità di incidere nella vita
vissuta di ogni singolo lavoratore, in qualche modo eravamo in una piccola isola
felice conquistata attraverso le lotte anche di chi ci aveva preceduto, in
quanto nella nostra storia politico-sindacale abbiamo sempre espresso un ruolo
di punta e in qualche modo ci sentivamo ancora dentro questo panorama.
Poi è successo quello che vi ha raccontato Dante. C’è stato un riposizionare un
po’ tutto il nostro ruolo all’interno delle rivendicazioni sindacali. In questo
senso vorrei raccontarvi la storia di mio padre, anch’egli macchinista assunto
nel ’52 (io sono la terza generazione nella mia famiglia a fare il ferroviere) e
ha vissuto 36 anni , 6 mesi e 23 giorni sulla macchina , prima a vapore poi
elettrica; nell’88 è andato in pensione, un anno prima ero entrato io in
ferrovia.
E’ successo il fatto di Dante, sono tornato a casa, gli ho messo davanti la
pagina de “Il Manifesto” dove c’era scritta la notizia del licenziamento di
Dante, e mio padre che è una persona mite incapace di gesti esaltanti, mi ha
detto “domani si va alla stazione e si rivoltano i binari”. Che è un po’ quello
che abbiamo detto tutti noi, che non poteva passare liscia. Due ore dopo il
licenziamento di Dante le chiamate intasavano il suo telefono e di conseguenza
chi non riusciva a parlare con lui dopo chiamava me.
Colleghi, lavoratori di altri settori, di altre mansioni, attivisti, delegati,
rappresentanti di base, qualsiasi organizzazione sindacale mi possa venire in
mente ci hanno raggiunto per dirci che magari avevano litigato fino a un giorno
prima con Dante per diversità di opinioni, di vedute ecc. ma che davano la loro
garanzia che se si fosse fatto uno sciopero loro sarebbero stati i primi a
dichiararsi scioperanti; questo perché tutti hanno sentito la gravità di questo
gesto da parte delle ferrovie. Allora viene da chiedersi che cosa sta succedendo
nelle ferrovie che sono la più grande S.p.A. in Italia, un gruppo forte ed
omogeneo che riesce a fare un’azione di questo tipo ossia licenziare un
macchinista, un lavoratore, ma soprattutto un RLS eletto dai suoi colleghi, dai
suoi compagni, dagli altri macchinisti del suo impianto, licenziato perché
svolge la sua funzione di delegato RLS?
Questo va letto come un atto gravissimo ed è importante che si scelga la via
della mobilitazione perché se passa questa storia in questa roccaforte del mondo
sindacale dei lavoratori più all’avanguardia, più protetti, più sindacalmente
forti ecc, che cosa può accadere in settori più deboli?
Ed oggi come oggi siamo costretti ad arrenderci all’evidenza che il panorama del
mondo del lavoro si indebolisce ogni giorno di più.. E allora ripensando a mio
padre mi viene in mente quante delle sue battaglie e di quanti come lui sono
state vanificate strada facendo in questi ultimi anni.
Noi abbiamo subito una forte ristrutturazione, attraverso i contratti,
attraverso la perdita progressiva del nostro potere contrattuale e abbiamo visto
ridisegnare un quadro di indicazioni che vanno dall’orario di lavoro ecc che ha
sostanzialmente degenerato, ha perso tutto quel contributo che si era riuscito
ad accumulare durante gli anni.
Questo ovviamente è un qualche cosa che ci lega agli altri lavoratori in quanto
abbiamo visto in questi ultimi anni la preoccupante deriva che ha investito non
solo il mondo politico-sindacale ma anche il rapporto di lavoro con gli altri
compagni, coi delegati di base, col movimento di rappresentatività che nasce
dalla singola e dalla piccola organizzazione. Noi abbiamo quindi costituito una
micro-avanguardia di quello che è la condizione di lavoratori atipici, cioè ci
siamo sempre visti come una figura abbastanza particolare per la nostra vita a
turni, per l’esposizione a certi agenti chimici e inquinanti; abbiamo sempre
svolto battaglie come quella contro l’amianto, contro l’elettrosmog, abbiamo
cercato di sviluppare una capacità e coscienza di alcune possibilità di
intreccio e ci siamo accorti strada facendo che non eravamo da soli, che intorno
a noi c’erano una serie di lavoratori che potevamo coinvolgere e rapportare col
nostro livello di lotta. […]
Quello che ci aveva confortato era il discorso che quando noi provavamo ad
alzare la testa riuscivamo ancora a farlo , riuscivamo ancora ad avere strumenti
e sistemi di coinvolgimento che erano propri di una grande struttura.
Molto spesso ci perdevamo intorno pezzi importanti di altri lavoratori di altri
settori perché per loro non era così facile o per lo meno era più difficile fare
un’attività di denuncia, di condanna di certe condizioni. L’abbiamo sperimentato
più e più volte quando per esempio anni fa organizzammo un convegno sui lavori a
turni e cercammo di contattare quanti più lavoratori nel mondo della sanità, dei
servizi ecc; inizialmente parecchi aderirono ma non vi sto a raccontare quanti
RLS ci dissero “no, guardate, domani non possiamo venire perché se lo viene a
sapere il datore di lavoro mi si creano problemi, non posso più rientrare a fare
il turno di lavoro su cantiere, ho problemi con chi amministra i turni sul mio
luogo di lavoro” ecc. Noi ci sentiamo ancora in qualche modo difesi stando
dentro alla struttura delle ferrovie perché possiamo esercitare questo ruolo di
RLS. Che Dante venga licenziato è come se per noi si fosse perduta una barriera
importantissima, su cui avevamo pensato di poterci sempre appoggiare, su cui
sapevamo di poter costruire la nostra linea di difesa.
Per questo abbiamo sempre inteso questo atto come un attacco non semplicemente a
Dante ma a tutta la categoria, a tutto quello che eravamo riusciti a produrre
con una serie di lotte. Dante ha citato l’esempio della rivista dei macchinisti
che esiste dal 1908, è qualche cosa che viene atteso dal personale macchine, se
si citano degli eventi o delle cose è perché è scritto sull’ “In marcia”, se si
raccontano determinate storie di macchinisti o di lavoratori ecc è perché è
scritto sull’ “In marcia”, se leggono qualcosa che hai scritto sull’ “In marcia”
non sei più uno qualunque, hai come una sorta di patente di riconoscimento per
gli altri colleghi. Quindi diciamo che ci muovevamo in contesti avanzati,
abbastanza consolidati, e veder venire attaccato frontalmente il lavoro di Dante
è stato un fortissimo segnale..
La risposta dei lavoratori è quello che ha contato, a partire dal prendere il
telefono e voler parlare con Dante a parlare con chi lavora a fianco di Dante
per confermare la propria adesione. Tutti abbiamo reagito in qualche modo, mio
padre come ho raccontato prima, gli altri lavoratori hanno voluto in qualche
modo sottolineare la loro solidarietà. L’azienda si è quindi accorta che aveva
il fianco scoperto. Dalla base, indipendentemente dalle sigle sindacali o dal
profilo professionale si è sviluppato un movimento di solidarietà in seguito a
qualcosa che doveva essere in ogni modo fronteggiato.
Non vi sto a raccontare le leggende metropolitane che sono sorte intorno alla
vicenda di Dante, cose che neanche la più fervida fantasia avrebbe potuto
ideare. Questo per denigrare, per svilire il lavoro di Dante come delegato alla
sicurezza. Una cosa importante da dire su questo licenziamento è il motivo con
cui viene effettuato: l’azienda dice che è decaduto il rapporto di fiducia. Vale
a dire: tu, macchinista, godevi della mia fiducia; io ti ho dato un treno e tu
hai fatto venir meno questa mia fiducia. Allora vorrei farvi pensare che io e
Dante come macchinisti, e quanti di voi che non so che attività svolgete,
facilmente potreste far venir meno il rapporto di fiducia fra voi e il vostro
datore di lavoro.
Mi viene da pensare a chi lavora nel mondo della sanità, a chi lavora nel mondo
dei servizi in genere, ai vigili del fuoco, a chi svolge un’attività per cui
mette a rischio la propria e l’altrui incolumità. Basta pensare che il
licenziamento in tronco che come motivazione porta che è venuto meno il rapporto
di fiducia è una sorta di delega in bianco nei confronti del datore di lavoro.
Io lavoro in un sistema che è appunto quello dei treni nel quale oggi lavoro,
domani lavoro, lavoro cento giorni, mille giorni, e per la teoria dei grandi
numeri il millesimo giorno io commetterò un errore. E molto spesso questi errori
diventano molto gravi: il macchinista che conduceva il treno a Crevalcore ha
commesso un errore fondamentale su cui hanno pagato le conseguenze lui e le
persone che trasportava. Anch’io nella mia vita lavorativa ho commesso degli
errori, forse mi ha aiutato la mia buona stella oppure non se ne è accorto
nessuno (perché può succedere) però come molti di voi viviamo in una condizione
in cui spesso c’è una linea di non ritorno, in cui è facile che venga meno il
rapporto di fiducia tra noi e il datore di lavoro.
Accettare questi licenziamenti e non lottare è come se avessimo firmato la
nostra lettera di licenziamento, qualcosa da cui ci si difende debolmente. E’
necessario per me, che sono un macchinista come Dante, indignarmi, lottare,
cercare una risposta quanto più forte e dura. Purtroppo quello che sono
costretto a raccontare è a mio avviso e anche secondo molti una certa inerzia
del mondo sindacale, una certa tattica di attendismo difficilmente
giustificabile.
Non è che vorrei pensare che necessariamente bisognerebbe ricorrere all’idea di
mio padre, rivoltare i binari, per quanto parole proferite dalla bocca di una
persona estremamente mite; però quello che ci viene spontaneo di dire è che se
da una parte si è scelto una tecnica molto attendista, di gioco di rimessa, in
me è maturata da questa esperienza l’idea che su certe condizioni di intervento,
su certe capacità di risposta è il singolo che deve fare la differenza, è la
somma dei singoli, la singola attività così come quella dei lavoratori, dei
nostri colleghi, degli altri ferrovieri. Ovviamente in tutta questa storia non
posso che avere il piacere di sentire la capacità di altri lavoratori, di cui
ignoro la provenienza, la professione ecc, che regolano questa loro sensazione
insieme alla mia nel momento in cui si trovano qui insieme a me ad ascoltare le
parole di Dante.
Note:
* UOMO MORTO / V.A.C.M.A. (Sveglia
Controllo Automatico Mantenimento Appoggio): è il pedale che il macchinista deve
tenere abbassato e poi rilasciare ogni 55 secondi. E’ stato dichiarato nocivo ed
illegittimo da numerose ASL in quanto deconcentra dalla guida. La prima
versione, risalente agli anni ’30, è denominata “uomo morto”, contro il quale i
macchinisti iniziarono a protestare già nel 1939, anno in cui ne fu formalizzata
l’introduzione. Tale dispositivo è di grande interesse per l’azienda in quanto
“consente” di lasciare un macchinista solo e quindi di risparmiare notevolmente
sul personale (oggi i macchinisti sono meno di 16.000).