SENZA CENSURA N.20
luglio 2006
Primo Maggio in Argentina
Per cominciare a mettere qualche dito negli occhi della nostra sinistra imperialista
In questo numero il contributo dei lavoratori
della regione di Rosario e San Lorenzo, in occasione del primo di Maggio, ci
presenta uno spaccato delle lotte in corso in questo momento in Argentina. In
questa zona dell’Argentina si sono svolte diverse e combattive mobilitazioni e
si concentrano settori produttivi che fanno capo a imprese delocalizzate europee
e italiane. In questo documento sono contenute le rivendicazioni e una lettura
dei processi di ristrutturazione nazionale presenti in molte altre lotte in Sud
America. Le considerazioni che vengono fatte sulla situazione dei lavoratori in
Argentina ci permettono ad esempio di avere un idea di come vengono affrontate
le questioni di lavoro e salario da parte del governo argentino e forniscono
molti altri elementi utili a continuare il discorso iniziato con la sezione AL
della rivista, basato su un analisi delle trasformazioni e delle soggettività in
America del Sud.
Cresce in Italia l’interesse per i processi in atto in America del Sud e il
desiderio degli imperialisti di sinistra ora al governo nel nostro paese (ma
questo accade anche di fatto nel movimento) è quello di distogliere l’attenzione
dalla guerra in Iraq e da come evolverà la presenza italiana in Medio Oriente
dal punto di vista militare, politico, economico nella regione per cercare di
rivolgere la nostra attenzione altrove.
Una prima considerazione che emerge dal documento è che gli omologhi dei nostri
governanti in Argentina attaccano le lotte operaie con polizia e inchieste
giudiziarie e rappresentano essenzialmente lo strumento contenimento della
conflittualità proletaria nella regione dopo il crack del 2001. Inoltre se Menem
aveva garantito formalmente e sostanzialmente l’impunità per i responsabili del
golpe di trent’anni fa (legge del punto finale), oggi il governo Kirchner usa la
carta formale del cambio di atteggiamento sulla questione ma sostanzialmente non
affonda il colpo nei confronti dei carnefici. Il paramilitarismo, il sicariato,
la guerra sporca ai lavoratori e alle organizzazioni popolari continuano tutt’ora
in Argentina e nel subcontinente. E’ infinita la lista di episodi di questi anni
in cui sono avvenuti sequestri lampo con pestaggi e torture nei confronti ad
esempio dei lavoratori della Zanon (la storica fabbrica senza padroni) e delle
Madri di Plaza de Mayo.
Per quanto riguarda la seconda questione da mettere in rilievo, e che è presente
nel documento, dobbiamo fare una breve digressione e riprendere alcuni elementi
evidenziati nei numeri precedenti della rivista perché, visto il rapido
evolversi delle trasformazioni in America del Sud, abbiamo bisogno di aggiornare
la situazione per inquadrare meglio il discorso sulle soggettività.
Si è parlato nei numeri scorsi di ALCA, Mercosur, di Comunità Andina delle
Nazioni cercando di impostare il ragionamento basandosi sulle valutazioni circa
il capitale finanziario a disposizione di queste tre sigle (che sono in realtà
il capitale finanziario di nazioni o di gruppi di esse).
Avevamo qualificato l’iniziativa dell’ALCA come ricolonizzazione/annessione
imperialista del capitale della borghesia imperialista USA, il Mercosur come
paracadute subregionale con capitale Brasile/Argentina e la zona dell’estrema
periferia i paesi di Perù, Ecuador e Bolivia che, per il loro ridottissimo
capitale finanziario, sono l’anello debole della regione.
L’ALCA prevedeva che gli USA avrebbero messo in fila i paesi dell’America del
Sud e, uno ad uno ma in una sessione, avrebbero dovuto aprire le frontiere con
gli USA per valorizzare i rispettivi capitali. Il giochetto gringo è il solito
discorso ipocrita di dare libertà all’economia aprendo al mercato per favorire
chi ha più da investire ovvero la borghesia imperialista nordamericana. Brasile
e Argentina hanno fatto la loro mossa ponendo sul piatto della bilancia che il
confronto dei capitali finanziari sarebbe dovuto avvenire tra USA e un gruppo di
paesi e non con la modalità inizialmente prevista.
L’ALCA di fatto quindi non è passato nella sua formulazione iniziale ma il
Mercosur fino ad ora non si può dire che sia riuscito a decollare. In generale
una delle ragioni è da ritrovarsi nel fatto che il Mercosur non è riuscito a
giocare fino in fondo i propri capitali sui diversi tavoli Asiatici e Europei e
le continue rivolte e mobilitazioni popolari in Bolivia, Ecuador, Perù non hanno
aiutato a sfruttare la povertà locale necessaria per valorizzare il proprio
capitale finanziario (basta vedere quanto si sono arrabbiati Brasile e Argentina
per la recente nazionalizzazione degli idrocarburi in Bolivia).
In più gli USA hanno deciso di continuare la loro politica estera con i Trattati
di Libero Commercio concentrandosi sui paesi più ricattabili e asserviti. Hanno
strappato l’accordo per il TLC (Trattato di Libero Commercio) con il Perù e con
una Colombia sempre fedele ai loro disegni politici e militari nel
subcontinente. L’intento nordamericano è quello di sabotare qualsiasi iniziativa
di integrazione capitalistica per massimizzare la valorizzazione dei propri
capitali e per il rapido aggravarsi della crisi, il fatto che l’aggressione
imperialista in Iraq e in Afghanistan non siano un successo, che l’Europa e la
Cina ci mettano del loro, tutto questo, uniti alle grandi mobilitazioni in
America del Sud sono sicuramente elementi che non aiutano gli Stati Uniti. La
loro mossa sui TLC è stata quella di andare all’attacco nella zona che nella
rivista abbiamo qualificato come ‘periferia delle periferie’ nel contesto AL.
Il Perù ha firmato l’accordo mentre l’Ecuador, avendo chiuso i rapporti con la
Occidental Petroleum per incompatibilità con la legge nazionale sugli
idrocarburi, ha sabotato il TLC dato che una delle principali fonti di
valorizzazione del capitale finanziario USA in Ecuador sembrava essere quella
del petrolio. La Colombia ha accettato e ed è il paese che più articola
localmente il sabotaggio all’integrazione giocando a carte scoperte pro TLC in
sudamerica nell’ambito della CAN di cui è membro insieme ai paesi andini. Questo
giochetto crea una situazione in cui dal punto di vista formale per il Perù
esiste la CAN ma in sostanza vale il TLC.
Facendo una panoramica dei paesi dell’America del Sud vediamo quindi che ci sono
governi che sembrano completamente asserviti agli USA come il Perù (a meno di
novità elettorali) ma soprattutto la Colombia (dove si è riconfermato
recentemente il paramilitare Uribe) e paesi meno disponibili come l’Ecuador,
Cile, Uruguay, Argentina e Brasile. I governi di questi ultimi due paesi
sembrano a tutti gli effetti voler difendere i loro interessi subcontinentali
chiarendo maggiormente il fatto e il passaggio storico che non sono più
disponibili più a ricoprire il ruolo di oligarchia che amministra localmente un
potere detenuto all’estero. Da tempo sembra che sono maturate le condizioni per
‘fare da soli’ pur di non essere annientati dal capitale finanziario USA o pur
di non essere messi alla gogna dalle masse popolari come è già ripetutamente
successo; meglio fare qualche operazione di immagine dal punto di vista sociale
e magari usare le mobilitazioni popolari che si susseguono a ogni summit con USA
e UE.
Per il governo del Venezuela il discorso è diverso rispetto a Brasile e
Argentina. E’ vero che il cambio nel ’98 con il governo Chavez è di tipo
democratico elettorale e non una rivoluzione vera e propria, ma il processo in
atto, a partire dalla nuova costituzione del ‘99, seppur con le mille
contraddizioni che presenta, è qualche cosa che, basandosi anche su condizioni
nazionali molto particolari (è il paese al mondo che concentra la maggior parte
di idrocarburi – petrolio, gas, carbone), rivela aspetti di grosso interesse. Il
petrolio venezuelano, dopo il fallito golpe ispirato dagli USA nel 2002 e dopo
il sabotaggio padronale del petrolio, consente ora al governo di incassare somme
inimmaginabili che sono destinate ai programmi sociali: diritto alla salute,
lotta all’analfabetismo a livello nazionale (con l’estensione di questo
programma quest’anno a livello subcontinentale), diritto alla casa e al lavoro e
molto altro ancora. Alcuni dei programmi sociali del Venezuela sono gestiti con
l’aiuto di Cuba e non hanno nulla a che vedere con le operazioni di immagine del
riformismo nostrano. Il governo Chavez non solo favorisce l’autorganizzazione
popolare e la creazione di cooperative di lavoratori in Venezuela ma sta
finanziando organizzazioni sindacali e popolari in tutta l’America Latina
nell’ambito di una nuova forma di integrazione legata ai Trattati di Commercio
dei Popoli e all’ ALternativa Bolivariana para la America (Alba). Infatti visto
l’attacco con i TLC da parte della borghesia imperialista USA, il Venezuela
sembra essere definitivamente uscito dal CAN e tra breve non sarà più un paese
semplicemente associato al Mercosur ma vi sta entrando a tutti gli effetti: il
capitale finanziario del Venezuela può risolvere l’empasse che sta vivendo lo
stesso Mercosur e guidare qualche svolta interessante per quanto riguarda i
rapporti Sud America - USA.
La nostra “sinistra” in Italia applaude e si interessa, anche nelle propaggini
del movimento, a questo cambio in sudamerica con Kirchner e Lula. Di Chavez si
apprezzano i programmi sociali ma si elencano le riserve; un populista, un
militare (come fu Simon Bolivar, che combattè contro la conora spagnola): sarà
per la politica estera del Venezuela?
Vanno sottolineate infatti due questioni principali che differenziano l’azione
dei governi di Argentina e Brasile dal Venezuela e da moltissime organizzazioni
popolari/sindacali in tutta l’America Latina, e che sono i due aspetti per cui
abbiamo fatto questa ampia premessa: il grande dibattito che si sviluppa insieme
alle lotte sulla necessità di abbattere il capitalismo e la solidarietà alla
resistenza irachena.
Per quanto riguarda il primo punto qui sopra, a partire dal 2005 al Forum di
Porto Alegre dopo il palese fallimento dell’Alca, Chavez ha detto di voler
costruire il socialismo in Venezuela con una dichiarazione appassionata che
implicitamente critica il mondo no global da sinistra. Ammette che tutt’oggi in
Venezuela c’è il capitalismo e che il socialismo non è semplicemente un aumento
della spesa e dei programmi sociali di un governo: l’articolo della costituzione
bolivariana che sancisce il diritto alla proprietà privata, ha detto
recentemente, “non è intoccabile”; ma un passaggio storico del genere non sembra
poter avvenire solamente in un paese e per abrogazione di un articolo
costituzionale.
Per quanto riguarda le organizzazioni popolari, a parte la prospettiva chiara
della guerriglia in Colombia che lavora per l’ abbattimento dello stato
borghese, la posizione contenuta nell’articolo che presentiamo sembra piuttosto
esplicativa ed è presente nelle moltissime lotte popolari nel continente: niente
privatizzazioni e basta con il capitalismo.
Parlando invece di guerra, le organizzazioni popolari, oltre a sbugiardare i
“salvatori” socialdemocratici come repressori delle lotte, ne rivelano anche le
tendenze più specificatamente imperialiste: lo spazio dato dal governo del
Paraguay ai militari nordamericani (base di Mariscal Estigarribia, vicina alla
regione boliviana di Santa Cruz) con un impegno di due anni di esercitazioni
congiunte, o la presenza di Cile, Argentina e Brasile ad Haiti fino al 2004, e
il contributo poi, nell’ambito della missione di ‘pacificazione’ Minustah delle
Nazioni Unite, sempre ad Haiti con un contingente multinazionale (di cui il
Venezuela ha richiesto il ritiro) in cui il Brasile il 6 Giugno 2005 si è
distinto per aver ammazzato 23 persone in un quartiere popolare.
Per quanto riguarda la questione guerra in Iraq, se in Italia portare
solidarietà alla resistenza irachena o meno sancisce uno spartiacque tra
opportunisti, imperialisti di sinistra e antimperialisti vediamo come questa
linea di demarcazione sia presente anche in America del Sud e guarda caso vede
sempre i governi repressori delle lotte operaie schierati al fianco della ‘lotta
al terrorismo’ della borghesia imperialista USA. Naturalmente invece nei
comunicati della guerriglia in Colombia c’e’ una piena solidarietà alla
resistenza irachena. Anche il governo del presidente Chavez è apertamente
schierato a fianco della guerriglia in Iraq anche perché si moltiplicano le voci
di forme di intervento gringo in Venezuela, vista anche la falsa smobilitazione
dei paramilitari in Colombia da parte di Uribe che ne aumenta la penetrazione in
Venezuela (si parla di diverse decine di migliaia!). Chavez, inoltre nel Maggio
dello scorso anno, in occasione dell’incontro tra i paesi dell’America del Sud
con quelli della Lega Araba, ha insistito fino a quasi creare l’incidente
diplomatico nel dire che il Venezuela solidarizza con il popolo iracheno
legittimamente insorto contro l’esercito imperialista USA in Iraq: a tirarlo per
la giacca e a cercare di ‘farlo stare buono’ sono stati i governi di Argentina e
Brasile.
Le organizzazioni popolari in moltissime parti dell’America del Sud non usano
fare i timidi reclami o esercitarsi in impossibili equilibrismi e
nell’equidistanza che come forma di qualunquismo politico aiuta la
giustificazione di una aggressione imperialista: esse sono apertamente e
dichiaratamente schierate con la resistenza irachena.
In questo comunicato come in molti altri gli operai di Rosario e San Lorenzo
vanno anche oltre: riconoscono la resistenza irachena come parte della loro
battaglia, della lotta dei lavoratori e dei popoli contro l’imperialismo.
Appello
unitario per il 1° Maggio davanti ai cancelli dell' I.C.I.
Si avvicina un nuovo 1° Maggio, un giorno speciale nella storia dei
lavoratori e della loro lotta.
Da quel lontano 1890 il 1° Maggio è il giorno internazionale dei lavoratori. Non
è un giorno festivo e non è un giorno di gioia. Però certamente è un giorno di
iniziative, di memoria e di lotta. E’ un giorno nel quale i lavoratori di tutti
gli angoli del mondo, in linea con ogni storia, tradizione e congiuntura si
incontrano per esprimere le loro rivendicazioni specifiche e la necessità
strategica di chiudere con un sistema che ci propone solamente ingiustizie,
miseria e sfruttamento. La lotta di classe mondiale è costellata di momenti di
gloriosi trionfi ma anche di dolorose sconfitte.
Da più di tre anni il popolo iracheno è parte di questa lotta con la sua eroica
resistenza alla occupazione delle truppe imperialiste comandate dal genocida
George W. Bush.
Seguiamo con entusiasmo quello che succede in un altro continente, in Europa,
dove trionfano i giovani francesi. Centinaia di migliaia di lavoratori e di
studenti sono scesi in piazza per dire NO al progetto dei padroni e del governo
di cancellare il diritto al lavoro sicuro. Quello che succede è che anche nei
paesi del centro i lavoratori devono resistere per difendere i loro diritti più
elementari.
E se un secolo fa la lotta dei lavoratori di tutto il mondo riusciva a imporre
una giornata di 8 ore, oggi dobbiamo dire che nel nostro paese e in molti altri
posti nel mondo la voracità dei padroni e dei loro governi ci hanno fatto
retrocedere di più di 100 anni e ci obbliga a giorni di lavoro di 12, 14 e a
volte fino a 16 ore.
Nella moderna e opulenta città di Buenos Aires, in uno scandalo che ci riempie
di indignazione, la schiavitù esce dai libri di storia per occupare le prime
pagine dei giornali in cui si racconta della condizione di vita e di lavoro dei
fratelli boliviani che lavoravano come bestie nei laboratori del settore
tessile. Ma se siamo arrivati a questo punto, questo è il risultato di un lungo
e ampio processo.
Un processo che ha avuto come momento centrale quanto è accaduto poco più di
trent’anni fa. Il 24 di Marzo del 1976, ancora una volta, le forze armate
nazionali sono messe al servizio dei grandi padroni nazionali e stranieri e
fecero il colpo di stato che segnò l’inizio della tappa più oscura della nostra
storia. Si trattava di imporre una nuova forma di funzionamento del capitalismo.
Perché le grandi imprese (Acindar, Swift, Ford, Paladini, Molinos, etc...)
aumentassero i loro profitti hanno dovuto strappare ai lavoratori e al popolo
conquiste storiche.
In questo piano sinistro dovevano chiudere, con il fuoco e con il sangue, con
tutte le forme di resistenza dei lavoratori.
Se qualcuno ha dubbi circa contro chi sono stati diretti il colpo di stato e la
feroce repressione, basta che si ripassi la lista degli scomparsi, degli
incarcerati, dei torturati o degli esiliati. Provenivano dalle fabbriche, dagli
uffici, dalle scuole, dagli ospedali, dalle università. In particolare nella
nostra regione (n.d.t. Rosario e San Lorenzo) possiamo stendere una lunga lista
di martiri composta di operai dell’industria, di impiegati e di insegnanti.
In questi 30 anni i grandi gruppi economici imposero il loro dominio e,
specialmente durante la dittatura militare e la nuova ‘decade infame’ degli anni
‘90, hanno distrutto i nostri diritti. Si sono valsi della importante complicità
di settori della chiesa e della cupola sindacale. Ma niente di tutto questo è
stato accettato supinamente dalla nostra classe. In questi anni, in varie forme,
la lotta di resistenza dei lavoratori è stata una costante. Non smetteremo di
lottare né nei momenti più oscuri della dittatura né nelle epoche di ‘gloria’
del menemismo infame.
Dal sollevamento del 19 e 20 di Dicembre del 2001 i lavoratori sono protagonisti
di lotte che permettono di recuperare il salario e i diritti che ci hanno
negato. Dopo la profonda crisi economica del 2001 le cifre mostrano una
significativa crescita della produzione e dell’imponibile fiscale. Ma i
lavoratori continuano a vivere nella povertà e nello sfruttamento selvaggio.
Quello che continua a crescere è la disuguaglianza nella distribuzione della
ricchezza. E’ per questo che in tutto questo periodo abbiamo visto un numero
crescente di lotte dei lavoratori salariati. Lavoratori dell’industria e dei
trasporti, impiegati statali e bancari, docenti universitari e infermieri
dispiegano lotte con scioperi, blocchi stradali e mobilitazioni in lungo e in
largo nel paese.
Purtroppo dobbiamo dire che il governo nazionale, i governi provinciali e
municipali non hanno fatto nulla per modificare questa realtà che stiamo
denunciando e che sopportiamo quotidianamente. Non si è andati oltre alcuni
gesti, alcune denunce e investigazioni sui crimini della dittatura e poco si è
fatto per migliorare la situazione degli sfruttati.
Il fatto è che questo modello economico si poggia solamente sui bassi salari e
sulla precarizzazione del lavoro per la grande maggioranza dei lavoratori. Con
la politica di dis-indebitamento e con il pagamento anticipato al FMI di quasi
10.000 milioni di dollari abbiamo una dimostrazione lampante del fatto che si
continua comunque a privilegiare l’indebitamento esterno su quello interno visto
che gli impiegati statali ricevono salari da fame, i pensionati 390 pesos al
mese e i piani assistenziali si mantengono nella cifra indecorosa di 150 pesos
al mese.
In più, mentre i lavoratori non riuscivano a recuperare i livelli salariali del
2001, (dopo la svalutazione micidiale che ha annullato il valore della paga
mensile) un’altra politica che poco ha a che vedere con gli interessi dei
lavoratori, è stata la pretesa del governo di imporre un tetto (a quanto già
sancito dagli accordi) tra il 15 e il 19 % agli aumenti salariali usando il
vecchio inganno che questi sarebbero responsabili dell’inflazione. Questo mette
in evidenza come si riaffermi un modello di distribuzione della rendita tra i
più arretrati della nostra storia, di fronte al più grande surplus fiscale che è
stato accumulato con queste politiche neoliberiste che hanno saccheggiato il
popolo argentino.
Il relativo abbassamento della tassa di disoccupazione non mostra altro che sta
crescendo il lavoro ‘spazzatura’ e la più assoluta precarizzazione del lavoro.
Quando le statistiche ufficiali informano che il 50% dei lavoratori lavorano ‘in
nero’ noi ci chiediamo: non è un chiaro segnale della complicità del Ministero e
della segreteria del Lavoro con i padroni?
Insieme a questo denunciamo la repressione che stiamo subendo.
Sono più di 4000 i compagni processati per partecipare a diverse azioni di
lotta. Le vittime principali di queste azioni repressive sono gli eroici
compagni di Las Heras. Per difendere i loro diritti, per scontrarsi con le
grandi imprese petrolifere questi lavoratori subiscono la brutale occupazione (n.d.t.
della cittadina in cui si trovano gli stabilimenti) da parte della polizia
disposta dal governo, le minacce, i licenziamenti e il carcere.
Abbiamo deciso di realizzare questa giornata ai cancelli degli stabilimenti di
ICI (Imperial Chemical Industries) perché crediamo che qui si sta giocando un
momento chiave. Da un lato un padrone inglese che con metodi brutali dimostra
che non ha problemi a violare tutti gli accordi e non rispetta minimamente i
diritti dei lavoratori pur di garantirsi la massimizzazione dei profitti.
Dall’altra parte i lavoratori, che tutti i giorni producono ricchezza, che
esigono che si rispettino gli accordi firmati, che non accettano di arretrare
sulle condizioni di lavoro in cambio di aumenti e che sono disposti a resistere
fino alla fine per i loro diritti. Questo conflitto è una prova. L’attacco e il
licenziamento a questi lavoratori è un attacco a tutti i lavoratori della
regione. Il trionfo di questi compagni sarà il trionfo di tutti i lavoratori.
La giornata del 1° di Maggio ci permette di riflettere circa la profonda
relazione che passa tra le lotte attuali e le necessità storiche della classe
lavoratrice. Per questo insieme ai lavoratori di ICI diciamo che non possiamo
permettere che si continui a calpestare i nostri diritti e continueremo a
lottare con questi compagni fino alla fine.
Perché lottando per i salari, per le condizioni di lavoro o contro i
licenziamenti sappiamo che stiamo lottando anche per una società senza
sfruttamento e oppressione.
Per questo vogliamo reclamare in maniera chiara le nostre parole d’ordine:
- No ai licenziamenti in ICI. Immediata riassunzione di tutti i lavoratori.
Rispetto per gli accordi vigenti.
- Aumento di salario per tutti i lavoratori senza cedere sulle condizioni di
lavoro. Salario minimo di 2000 pesos
- Aumento delle pensioni. Pensione equivalente al 82% di un salario adeguato
all’inflazione relativa.
- Lavoro per tutti. Riduzione della giornata lavorativa senza riduzione di
salario.
- Sicurezza del posto di lavoro, della formazione e assegni familiari. Aumento
dei piani assistenziali a 400 pesos.
- No al lavoro ‘nero’. No alla precarizzazione. Rispetto dei contratti
collettivi. Tutta la legislazione antioperaia deve andare in deroga.
- Basta con la repressione. Fuori la gendarmeria da Las Heras. Libertà ai
compagni prigionieri.
- Amnistia a tutti i compagni sotto processo.
- No al pagamento del debito estero.
CTA ROSARIO- AMSAFE-Rosario, Sindicato de Prensa Rosario, ATE-Rosario, COAD,
Sindicato de Comercio Rosario, Sindicato Aceiteros Rosario, CCC, Padres del
Dolor, Frente Popular Dario Santillán, Santiago Pampillón Regional, Mesa de
Jubilados y Pensionados.
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Sull’occupazione dell’ICI
I primi momenti dell’occupazione dell’impresa ICI (Imperial Chemical
Industries) con un servizio intervista tratto da
http://prensadefrente.org/ del
giornalista indipendente Gustavo Chenevier.
Alle quattro del pomeriggio di giovedì 11 Maggio del 2006 ci siamo riuniti ai
portoni di ICI che sorge nei vecchi impianti dell’industria Duperial del settore
chimico. La manifestazione era stata convocata per opporsi ai licenziamenti.
Partiti, organizzazioni, studenti e lavoratori del cordone industriale di
Rosario con in più i 120 lavoratori licenziati (il totale dei lavoratori della
fabbrica). La situazione era questa dopo che non si è giunti a nessun accordo,
dopo che lo stato non ha fatto rispettare quello che la medesima impresa aveva
firmato anni prima; la pazienza dei lavoratori non ha retto dopo 35 giorni di
lotte con come unica risposta le tasche vuote.
L’obiettivo del padrone: mettere mano al precedente accordo sul lavoro e sui
pagamenti relativi al lavoro ad alto rischio tra le altre cose. Quello che
riguarda il salario aggiuntivo del 50% per il lavoratori del chimico. C’e’ anche
un obiettivo di massima non confermato che mette tutti contro un muro: pare che
il padrone voglia “sanare” i costi di produzione perché la fabbrica sia venduta.
In mezzo i lavoratori che per cominciare a parlare con il padrone si devono
considerare tutti licenziati.
L’impresa non ha rispettato il suo contratto del lavoro, le leggi del lavoro,
così come ha ignorato la segretaria dell’ufficio del lavoro provinciale e il
governatorato della regione che ha cercato di “fare” qualche cosa.
“Noi ci sentiamo umiliati”, è stata la prima cosa che mi hanno detto i familiari
di questi lavoratori davanti al portone dell’impresa all’inizio
dell’occupazione.
I lavoratori hanno occupato gli stabilimenti.
Di seguito la cronaca dei primi momenti dell’occupazione.
All’entrata, donne, ragazzi e nonni aspettano che si risolva la situazione dei
lavoratori licenziati.
Dentro i lavoratori che fanno vigilanza.
[Trascrizione dall’audio]
Siamo allo stremo che dobbiamo fare?
Ma lo sciopero e la lotta da quanto tempo dura?
35 o 36 giorni, non ti pagano niente, la gente non ce la fa più. Questa
situazione è intollerabile.
Come state vivendo voi tutto questo?
Male. Malissimo, veramente male, ti manca tutto e non è solo quello che ti
manca ma come ti prendono in giro, come ti mentono, come ti gettano nella
spazzatura.
Perché?
Perché giocano con noi. Stanno giocando con la gente. Stanno giocando
dicendoti una cosa e facendone un’altra. Quello che firmano con la mano lo
cancellano con gomito. Così, con naturalezza.
Lo stato, gli organi provinciali e la fabbrica?
Il padrone soprattutto il padrone.
E lo stato?
Lo stato pare che non prende posizione sulla cosa. Siamo soli.
Intervista a un familiare.
In questo momento i familiari dei lavoratori sono dentro la fabbrica
accompagnando i mariti e le mogli che stanno occupando i loro posti di lavoro
per mettere i moto la fabbrica, come si deve fare. E le negoziazioni avvengono
fuori.
Un bel pasticcio vero? Siete stanchi?
Siamo stufi. Da 40 giorni siamo vittima delle vessazioni di questa ditta
multinazionale che non riconosce che l’Argentina è un paese democratico e che
non si cura di tutte le leggi, di tutti i politici, incluso la medesima vice
governatora. Non gli importa di niente, a questa ditta non importa nulla di
niente.
Come avete vissuto il fatto di essere arrivati fino a qua, fino ad entrare
nell’impresa.
Con un emozione molto grande per vedere che mio marito torna a lavorare.
Stiamo tenendo e non ci muoveremo fino a che non si comincia a lavorare e che
ognuno stia nel suo posto di lavoro.
L’intenzione è che parta la fabbrica con i lavoratori dentro….
E’ l’unica possibilità che si attivino gli impianti con i lavoratori dentro.
Purtroppo è stato per come sono andate le cose che si è fatto così. Però va beh,
ogni persona si va a collocare in questo momento cercando di prendere il suo
specifico posto di lavoro. Questo può essere l’unico obiettivo, lavorare.
Lavorare e avere soldi per vivere degnamente come si stava facendo fino al 31 di
Marzo.
Ti sembra che lo stato tratti in ugual maniera i lavoratori dell’impresa e i
padroni dell’impresa?
No. Su questo ti dico no. Il ministero del lavoro a Buenos Aires è stato 9
mesi baypassando il conflitto, dando un po’ più ragione all’impresa e non
riconoscendo gli accordi firmati dalla stessa.
Intervista al lavoratore José Zganjar
rappresentante dei lavoratori nel Sindacato del settore chimico di San
Lorenzo.
Ci racconta il perché di questa lotta di oggi.
Beh, siamo entrati nella fabbrica. Come abbiamo sempre fatto in tanti anni
di lavoro, entrando dal portone grande.
Abbiamo parlato con il responsabile del personale che ha funzioni di
responsabilità per la parte padronale. Gli abbiamo detto che venivamo a occupare
che è quanto ne’ più ne’ meno ci spetta di diritto come lavoratori.
E beh siamo felici….
Non ci rimaneva che fare questo e lo stiamo facendo, è quanto abbiamo appena
detto a tutta questa gente che ha collaborato, a tutti questi lavoratori di
altri settori che si sono avvicinati, a tutta questa bella gente che è venuta
qui con noi passando notti al freddo e alla fame. Per questo ringraziamo. E
chiediamo ancora qualcosa: che ci supportino per il tempo che durerà questa
esperienza. Questo è un passo in più e penso che questo sia l’ultimo passo
perché chi deve prendersi le sue responsabilità che se le prenda e basta.
Chi si deve prendere le sue responsabilità?
Deve intervenire lo stato. La provincia già è intervenuta, ed è stata
umiliata dal comportamento dell’impresa al tavolo delle negoziazioni. Quindi ora
l’unica cosa che ci rimane è trattare a livello nazionale e, diciamo, che
qualcuno li in alto decida della nostra sorte.
Voi lo sapete, ci sono stati tempi duri, momenti fiacchi, ci sono stati momenti
buoni, in ICI ci sono stati anche momenti buoni bisogna riconoscerlo. Ma questo
non riguarda ora, da diversi anni le cose sono cambiate, i modi sono cambiati.
Nel modo di trattare la gente, e diciamo, di umiliarla molte volte, c’era molta
gente che non aveva lo spirito di andare a parlare con il capo del personale
perché aveva paura. Noi quando abbiamo capito questo, io l’ho detto e
sottolineato, ci siamo resi conto che non è che non esistevano i problemi solo
non te li dicevano per la paura. C’era paura o forse i problemi si regolavano in
altro modo.
Cosa pensate che succeda con voi a partire da ora? La polizia è venuta ad
assicurarvi la sicurezza…
Esattamente no, te lo dico e commento questa cosa come faccio con i
compagni. Perché la polizia non ci picchia?
Penso che una manifestazione così tranquilla io non l’ho mai vista. La gente si
è comportata bene, non ci sono state aggressioni. Stiamo reclamando quanto
davanti alla giustizia è già nostro, nel senso che non c’è motivo di picchiarci,
colpirci o respingerci. Siamo tranquilli da questo punto di vista perché è la
verità se non fai niente non ti reprimono.
Come va a concludersi questa vicenda? Che cosa pensate voi?
Guarda io penso che questa è una mobilitazione grande. E’ una carta
difficile da giocare ma la vogliamo giocare. Quando uno gioca è per vincere.
Vogliamo andare avanti perché vogliamo giustizia una volta per tutte.
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Comunicato dalla Zanon
Di seguito un comunicato dei compagni della Zanon (tratto da
www.obrerosdezanon.org) sui fatti di Las Heras che fa il punto della situazione
sulla lotta dei lavoratori del settore petrolifero nelle imprese
sottocontrattiste della REPSOL spagnola nelle estreme regioni del sud
dell’Argentina. Questi lavoratori, dopo giorni di prolungato sciopero, si sono
visti sequestrare e imprigionare il loro compagno Mario Navarro nel municipio
locale ed è avvenuta una sparatoria contro il municipio in cui era recluso.
Nella sparatoria sono stati esplosi decine di colpi ed è morto un poliziotto
conosciuto per ripetuti episodi di tortura. Questo è uno dei casi di repressione
che raccoglie la solidarietà dai quattro angoli dell’Argentina visto che, da
dopo l’inizio del Febbraio del 2006, ci sono stati numerosi arresti di operai e
la militarizzazione del territorio in cui si trovano gli impianti petroliferi.
Gli operai e le operaie della Zanon si sono riuniti in assemblea Martedì 7
Febbraio (n.d.t. 2006) per seguire da vicino la lotta dei lavoratori del settore
petrolifero della località di Las Heras e di Pico Truncado nella regione di
Santa Cruz, vista la situazione tesa che si è creata con la rivolta che si è
prodotta al municipio locale per l’arresto del compagno Mario Navarro e in cui è
morto un poliziotto; abbiamo deciso di venire a Las Heras per portare la nostra
solidarietà e metterci a disposizione dei compagni.
Inoltre un paio di compagni sono andati a Buenos Aires per partecipare alla
mobilitazione alla sede centrale della provincia di Santa Cruz (n.d.t. che si
trova nella capitale Argentina) Mercoledì 8, contro l’invio della gendarmeria da
parte del governo nazionale e contro la situazione che stanno vivendo i compagni
che lavorano nel settore petrolifero.
Siamo arrivati a Las Heras Mercoledì 8 alle 21 circa, ci siamo diretti al blocco
stradale alla strada 43 dove si stava svolgendo un’ assemblea in cui si è deciso
di abbandonare la strada nelle ore notturne affinché non monti nessuna
provocazione da parte di alcuni settori del governo. La delegazione ceramista (n.d.t.
la Zanon è una fabbrica del settore produzione ceramiche), con il compagno
Alejandro López come capo delegazione, è stata ricevuta ed è stata aggiornata
sulla situazione. Anche se già conoscevamo la dimensione della lotta, li ci
siamo resi conto della situazione e di come e perché i compagni avevano deciso
di cominciare a usare la forza, di come il governo mette le mani nelle tasche
dei compagni tassando i salari e fa disinformazione dicendo quanto percepisce di
lordo un operaio del settore. Anche se è noto che un operaio del settore
petrolifero riceve tra i 2000 e i 3000 pesos di salario lordo, il governo non
dice che lavorano 16 ore al giorno dal lunedì al venerdì quelli che fanno parte
della unione/corporazione dei lavoratori del settore petrolifero, e da lunedì a
lunedì quelli che sono incorporati nell’UOCRA (n.d.t. Union Obrera de la
Construccion de la Repubblica Argentina), non dice quanto è il costo della vita
nella regione, tace sul fatto che un affitto precario (visto che non ci sono
posti) costa tra gli 800 e i 1500 pesos, che un litro di latte costa intorno a 3
pesos, che devono comprare l’acqua dato il danno conseguente alle installazioni
petrolifere che contaminano le falde e che costa 25 pesos a latta. Ne’ governo
provinciale (n.d.t. regionale) ne’ quello nazionale si sognano di parlare della
mancanza di politiche sociali: solamente a Las Heras nel 2005 si sono suicidate
18 persone in una situazione di pressione psicologica che nella provincia è
terribile.
Ci siamo aggiornati circa la richiesta di reclamo fatta in materia di imposte,
in merito all’inquadramento dei compagni dell’UOCRA nell’unione/corporazione dei
lavoratori del settore petrolifero e in merito al fatto di non fare sconti sui
giorni di sciopero; uno dei punti più significativi riguarda la depenalizzazione
per i reati relativi alle ultime lotte e il fatto che la burocrazia sindacale li
ha lasciati con le spalle al muro di modo che non tornassero a lottare per le
loro rivendicazioni. Questo pensiamo che sia un punto molto importante e che non
viene preso in debita considerazione, prima di tutto perché sappiano
l’importanza delle rivendicazioni ma anche perché si crede nella forma
assembleare e nelle decisioni che li vengono prese che è lo stesso metodo che
abbiamo alla Zanon.
Ci interessa precisare che la prima linea della lotta non è stata pilotata da
“operatori di sinistra” e nemmeno è andata come dice il governo nazionale;
quelli che hanno diretto lo scontro sono stati i delegati di ciascuna fabbrica
(rappresentanti il corpo dei delegati) visto che la burocrazia sindacale li ha
lasciati soli e quindi, visto anche che ne’ le imprese sottocontrattiste
(facenti capo a Repsol YPF – n.d.t. spagnola) ne’ il governo nazionale ha voluto
sedersi al tavolo delle trattative a negoziare, i lavoratori sono stati
obbligati a occupare la strada.
Dopo 18 giorni di sciopero si giunge a una bozza di accordo e i compagni fanno
un passo avanti per quanto riguarda le rivendicazioni raggiungendo
l’incorporazione dei compagni dell’UOCRA al settore petrolifero, al
riconoscimento dei giorni persi e, quello che è più importante, riescono a porre
al centro della discussione del governo nazionale la questione relativa alle
imposte sul salario che non solo riguarda loro ma molti altri settori di
lavoratori. E’ importante il rapporto e gli accordi che facciamo tra lavoratori
ceramisti e i compagni del settore del petrolio; in un assemblea generale
abbiamo chiarito bene l’intesa tra noi e ci siamo messi reciprocamente a
disposizione per ogni evenienza.
E’ anche importante in questa analisi mettere in chiaro che questa non è una
lotta qualunque, prima di tutto perché avviene nella provincia di Kirchner (n.d.t.
regione in cui è nato ed è stato governatore) e successivamente per il fatto che
i compagni hanno usato ampiamente il metodo assembleare per prendere decisioni;
questa è stata un’esperienza genuina perché ha rotto con la burocrazia sindacale
e ha prodotto un corpo di delegati in prima linea e che sono disposti a
continuare la lotta se non vengono rispettati gli accordi.
Il motivo della nostra presenza nella località de Las Heras è dovuto a due punti
fondamentali: prima di tutto è una questione di classe aiutarsi tra lavoratori
andando oltre al settore di impiego e alla corporazione a cui si appartiene; in
secondo luogo perché, essendo anche noi in lotta, sentiamo la necessità di
continuare a coordinarci con i diversi settori per creare un arco di solidarietà
sempre più ampio attorno all’esperienza dei lavoratori della Zanon.