SENZA CENSURA N.20

luglio 2006

 

Lettera dal carcere di Nadia Lioce

 

Vi scrivo per segnalare ai compagni e ai proletari che hanno a cuore i rivoluzionari prigionieri, le volgari strumentalizzazioni a cui di recente è stata oggetto la compagna Diana Blefari, e per respingerle energicamente. Esse, una volta di più, sottolineano l’importanza dell’intervento solidale di classe anche in riferimento a situazioni e problematiche obiettivamente delicate e complesse, affinché non diventino materia di odiose speculazioni da parte della borghesia.
Un intervento a cui vi chiedo di contribuire con la pubblicazione di queste righe.
Nel corso di questo mese, sull’onda di una denuncia pubblica di un esponente del Prc locale in merito alla situazione della sezione 41bis femminile del carcere dell’Aquila, e in specifico delle condizioni della militante rivoluzionaria Diana Blefari, gli organi televisivi e di stampa prevalentemente abruzzesi, hanno dato vita a una breve ma intensa campagna i cui contenuti degradanti, celati sotto il velo di motivazioni umanitarie, hanno di fatto costituito un affronto per l’identità rivoluzionaria dei militanti prigionieri e tanto più grave in quanto si è realizzata una speculazione su una situazione delicata.
Tale campagna, potendo giovarsi della condizione di segregazione e di relativo silenzio delle prigioniere in 41bis, ha preteso di trattarne alcune alla stregua di oggetti inerti, dei quali poterne divulgare un’immagine che, partendo dal disconoscimento di qualsiasi loro soggettività e proseguendo avventurandosi in abusate quanto morbose diagnosi sul loro stato d’equilibrio psichico, in sostanza disinnescasse la valenza politica della figura del rivoluzionario prigioniero, rendendole passibili di pubblica commiserazione, e costruisse una condizione politica per l’ammissibilità di un “gesto umanitario” da parte di chi può decidere del regime di prigionia.
In pratica questa operazione mediatica oltre a perseguire i consueti scopi denigratori, è servita a mistificare le responsabilità istituzionali dell’aberrante condizione del carcere duro, e della segregazione che impone, per chi, come la compagna Diana Blefari, già antecedentemente alla sua applicazione, non usciva più di cella e rifiutava di incontrare chiunque.
Un comportamento di per sé indice della necessità di intervenire rapidamente per evitare compromissioni dell’equilibrio psichico e, per chi ne ha il potere, quantomeno revocando la misura per porre termine ai suoi effetti strutturalmente patogeni. Uno stato delle cose scandaloso che si protrae da molti mesi, del quale, in particolare con questa manovra politico-mediatica, lo schieramento borghese che a vario titolo si ritrova a misurarsi con la gestione delle scelte pregresse dell’esecutivo a riguardo, ne fronteggia le implicazioni contraddittorie affinché non arrechino pregiudizio agli indichiarabili ma permanenti obiettivi di annientamento dell’identità politica dei prigionieri proprio ora che l’adozione del 41bis li formalizza sul piano giuridico.
Contro queste manovre mi preme ribadire che il solo sostegno apprezzabile per i prigionieri anche in questa circostanza delicata, resta sempre e soltanto quello della solidarietà di classe, l’unica in grado di esprimere e restituire quel senso di profonda dignità umana di cui è capace solo chi deve combattere ogni giorno per farla valere e che, riconoscendo nelle figure dei prigionieri rivoluzionari la rappresentazione delle proprie istanze di liberazione dallo sfruttamento e dal dominio della borghesia, resta sempre saldo nel rispetto e nella vicinanza a chi, sottoposto alla prigionia e all’isolamento dai propri compagni di lotta e di vita, può anche smarrirsi e aver bisogno di ritrovarsi, al riparo da possibili coartazioni e da sconsiderate ingerenze. A questa solidarietà andrà sempre la più sentita gratitudine di tutti i prigionieri rivoluzionari.

L’Aquila, 18/03/06
Nadia Lioce



http://www.senzacensura.org/