SENZA CENSURA N.20
luglio 2006
Usa e Iran, disposti a negoziare sull’Iraq
L’operazione “Swarmer” a Samarra, cortina di fumo
del fracasso militare statunitense in Iraq
Continuiamo a dedicare su questo numero di SC uno
spazio importante della rivista all’occupazione e alla resistenza in Iraq e a
ciò che ad esse è connesso.
Abbiamo ritenuto importante riportare le prime ammissioni pubbliche da parte
israeliana del suo diretto coinvolgimento nell’occupazione dell’Iraq e
dell’Afghanistan.
Il ruolo che l’entità sionista ha, non solo a livello regionale, di aiuto alle
aggressioni imperialistiche, conferma che la proiezione degli interessi
strategici di “Israele” va ben al di là dei territori che attualmente occupa in
Palestina e di quelli contestati da Siria e Libano.
Non è solo il cane da guardia dell’imperialismo a livello regionale, come
l’essere in prima fila nel fomentare la necessità dell’opzione militare contro
l’Iran dimostra, ma è attore della contro-rivoluzione a livello globale.
Ci siamo soffermati sullo “scontro di civiltà”, come nefasto paradigma per la
conduzione della guerra, per ciò che concerne la distruzione del sistema
dell’istruzione ad ogni livello e gli omicidi sistematici di docenti
universitari in Iraq, che sono una conseguenza importante dell’occupazione e un
terreno di mobilitazione possibile e necessario contro la guerra.
Il genocidio dell’intelligentia autoctona non collaborazionista è sempre stato
una pratica dell’imperialismo, iniziativa che trova nuovo slancio
nell’applicazione letterale della strategia della guerra globale intesa come
“scontro di civiltà”, in cui la costellazione di valori dell’aggressore deve
sostituire in toto quella dell’aggredito: la desertificazione culturale è del
tutto complementare alla distruzione bellica a mezzo di bombardamenti aerei e
incursioni terrestri, l’azzeramento del patrimonio culturale precedente, e dei
suoi vettori, è propedeutico alla “rinascita culturale” di matrice
filo-imperialista.
Di una cultura altra non deve restare traccia se non nei musei delle potenze
occidentali e nelle collezioni private di qualche borghese, entrambi prodotti
del saccheggio degli invasori, o nelle analisi interessate degli scienziati con
l’elmetto delle varie think tank che sfornano saggi funzionali all’aggressione e
all’assoggettamento dei popoli del tricontinente.
È per questo che abbiamo nuovamente ritenuto importante socializzare l’attività
politica intrapresa anche in questo campo dalla “CAMPAÑA ESTATAL CONTRA L’OCUPATION
Y LA SOBERANIA DE IRAQ” (www.iraqsolidaridad.org).
Abbiamo inoltre tradotto un interessante contributo di Carlos Varea*, sempre dal
medesimo sito, che cerca di fare luce tra l’altro sugli interessi iraniani in
Iraq e l’occupazione di posizioni strategiche dell’Iran nell’attuale
“ricostruzione” degli apparati statali iracheni, nel tentativo di trovare con il
governo degli Stati Uniti un accordo che ne rafforzi il proprio potere
contrattuale per ciò che concerne le controversie scaturite strumentalmente
riguardo allo sviluppo del suo programma nucleare.
USA E IRAN, DISPOSTI A NEGOZIARE SULL’IRAQ
L’operazione “Swarmer” a Samarra, cortina di fumo del fracasso militare
statunitense in Iraq
di Carlos Varea*
*Carlos Varea è membro del ”Comité de Solidaridad con la Causa Árabe”, già
coordinatore della “Campaña Estatal por el Levantamiento de las Sanciones a
Iraq”, ora è esponente della campagna “contra l’ocupation y Por la Soberania de
Iraq”
L’operazione militare “Swarmer”, iniziata lo scorso 16 marzo, che secondo quanto
annunciato durerà diversi giorni, può essere considerata come la maggiore
cortina di fumo propagandistica degli Stati Uniti negli ultimi mesi, oltretutto
in corrispondenza del terzo anniversario dell’invasione dell’Iraq. Il massimo
comando militare statunitense a Baghdad l’ha definita come la più grande
operazione aerea dall’invasione del paese, nella quale si è ricorso a una
cinquantina di aerei ed elicotteri da combattimento, 200 veicoli e 1.500
soldati. Il Pentagono ha detto che l’operazione è diretta tanto contro
combattenti stranieri legati ad Al Qaeda (si è anche parlato di un nuovo
tentativo di catturare il fuggiasco Musa Al-Zarqawi), quanto contro la
resistenza locale irachena.
Le operazioni di comando aerotrasportato stanno avendo come scenario certamente
un’area agricola di villaggi dispersi a nord-ovest di Samarra, nella provincia
di Saladino, situata al nord della capitale. Tale localizzazione ha permesso di
presentare l’operazione Swarmer come risposta al recente attacco contro la
Cupola Dorata della moschea di Samarra. Senza dubbio, questa provincia, insieme
a quella di Diyala era già stata segnalata dal Pentagono negli ultimi mesi come
luogo nel quale si erano dispiegati effettivi e mezzi di coordinamento della
resistenza dopo le operazioni militari dell’autunno scorso attuate dagli
occupanti nella provincia occidentale di Anbar e lungo l’Eufrate, sulle cui
sponde si allineano le principali città di questa provincia: Ramadi, sua
capitale; Falluja, Al-Qaim e Hadiza, tra altre minori. Come smentita di questa
considerazione, in piena operazione Swarmer, forti scontri si verificavano a
Ramadi la domenica 19 tra resistenti ed occupanti.
Propaganda
Invece, il bilancio 48 ore dopo l’inizio dell’operazione di Samarra è di
appena una cinquantina di detenuti e la scoperta di alcuni depositi di armi
minori, se non che si sono registrati combattimenti durante il dispiegamento dei
paracadutisti della 101° Divisione Aerotrasportata statunitense e dei soldati
della Quarta Divisione della Guardia Nazionale Irachena. Considerato che il
Pentagono ha affermato che non si stanno realizzando attacchi aerei, la rete
delle ONG in Difesa dei Diritti Umani dell’Iraq hanno annunciato in una nota
diffusa questa domenica, il 19 marzo, la morte di civili in diversi villaggi
sotto i colpi degli elicotteri USA. Il modello della nuova operazione è, per lo
più, già noto: incursioni punitive attraverso l’uso di attacchi aerei, seguite
da rastrellamenti terrestri, per abbandonare immediatamente di nuovo il
territorio, che viene recuperato dalla resistenza.
Il carattere propagandistico dell’operazione Swarmer è chiaro. In primo luogo,
l’operazione ha coinciso con la concessione di un nuovo credito del congresso
degli Stati Uniti per prolungare la guerra in Iraq, oltre che in Afghanistan,
approvata lo stesso 16 marzo: più di 77.000 milioni di dollari, quasi 57.000
milioni di euro.
In secondo luogo, l’enfasi posta dai portavoce del Pentagono alla partecipazione
di 800 effettivi della Guardia Nazionale pretende di far dimenticare ciò che lo
stesso Pentagono ha riconosciuto molto di recente: che non uno solo dei 100
battaglioni iracheni formati ed addestrati dagli Stati Uniti e dai suoi alleati
e già implicati in “operazioni contro-insorgenti” può combattere da solo senza
l’ausilio delle forze di occupazione. Cioè, gli Stati Uniti e gli altri paesi
ancora implicati nell’occupazione possono avere poche speranze di ridurre o
togliere i propri contingenti militari dall’Iraq cedendo il controllo del
territorio al nuovo esercito iracheno.
Più profonda è l’annotazione fornita da comandi militari relativa al fatto che
le operazioni di rastrellamento sul terreno dei soldati statunitensi e della
Guardia Nazionale irachena si stanno basando su “[…] informazioni di
intelligence fornite dai Ministeri della Difesa e degli Interni”.
Si tratta evidentemente di un’intenzione dell’amministrazione Bush di lavare il
viso ai nuovi apparati di sicurezza iracheni, accusati di stare dietro agli
Squadroni della Morte, in un momento in cui gli Stati Uniti e l’Iran hanno
mostrato la propria disponibilità a negoziare sulla questione dell’Iraq.
Dialogo sull’Iraq
I nuovi corpi di sicurezza sono stati accusati di alimentare gli
Squadroni della morte che stanno perpetrando massacri ed omicidi selettivi tra
la comunità sunnita e coloro che sono contrari all’occupazione, come ha
denunciato apertamente il responsabile per i Diritti Umani delle Nazioni Unite,
John Pale, dopo aver visitato l’Iraq, in modo particolare Baghdad e dintorni.
Denuncia secondo la quale dietro gli Squadroni della morte e la loro chiara
strategia di provocare una guerra civile che divida il paese (gemella di quella
della rete Al Qaeda, oltre a quella di Israele), c’è principalmente il Ministero
degli Interni e che ciò riguarda direttamente l’Iran, tenuto conto che i nuovi
corpi speciali della polizia irachena (tra gli altri, il cosiddetto Battaglione
Lupo) sono formati interamente da miliziani della vecchia Organizzazione Badr,
braccio militare del Consiglio Supremo della Rivoluzione Islamica in Iraq (CSRII),
direttamente legata all’Iran attraverso la sua inclusione nella Guardia
Rivoluzionaria.
Secondo l’informativa di un portavoce della Casa Bianca, giovedì 16 marzo
(ancora, lo stesso giorno dell’inizio dell’operazione Swarmer) l’amministrazione
Bush ha autorizzato l’ambasciatore statunitense in Iraq, Zalmay Jalilzad, ad
aprire un dialogo diretto con l’Iran “[…] su questioni relative all’Iraq”.
Sarebbe quindi il primo contatto ufficiale tra i due paesi dalla crisi per gli
ostaggi dell’ambasciata USA a Teheran nel 1979. Sembra che l’idea sia venuta
dall’Iran, però chi l’ha formulata è stato Abdul Aziz al-Hakim, massimo
dirigente del CSRII, “[…] nell’interesse del popolo iracheno”, secondo quanto
detto dallo stesso.
E’ opportuno ricordare che appena una settimana prima, il 13 marzo, lo stesso
Bush è stato responsabile della violenza fatta in Iraq contro l’Iran. Ma
l’iniziativa non è nuova: “Il 4 gennaio scorso il giornale al-Hayat di Londra,
citava fonti iraniane ed irachene che assicuravano che [l’ambasciatore USA a
Baghdad] Jalilzad aveva inviato una lettera all’Iran, attraverso una delegazione
del Ministero della Difesa iracheno, nella quale proponeva che i due paesi
coordinassero la loro politica sull’Iraq. Questo significa che l’attuale
politica diplomatica statunitense si basa sul fatto che la Casa Bianca considera
di poter ancora indurre gli Iraniani ad eseguire i suoi ordini in Iraq. Il
governo iraniano, certamente, crede senza dubbio, a causa della grave situazione
in Iraq, di disporre dei migliori presupposti nella sua negoziazione con gli USA
nonostante le continue minacce militari statunitensi”.
Secondo lo storico Gareth Porter, la spiegazione di tale reciproca accettazione
si baserebbe su un complesso gioco di interessi che riguardano entrambe le
parti, USA e Iran. Un analista iraniano sulla tv al-Jazeera in questi giorni
indicava come attualmente l’Iran si trovi in una condizione di forza [rispetto
all’amministrazione Bush] in quanto gli Stati Uniti non ottengono consenso nel
Consiglio di Sicurezza rispetto al dossier sul nucleare in Iran, cosa che
potrebbe dar luogo ad una doppia negoziazione: sull’Iraq e sulla questione del
nucleare”. Non è un caso che il primo interlocutore iraniano che ha espresso
pubblicamente l’appoggio di Teheran all’idea di negoziazioni
iraniano-statunitensi sull’Iraq sia stato Ali Larijini, il negoziatore iraniano
sul tema del nucleare, il quale ha detto che il suo governo ha riproposto alcune
condizioni per aprire una contrattazione con gli USA rispetto al futuro
dell’Iraq.
Situazione critica
L’Associazione degli Ulema Mussulmani, la massima istituzione religiosa
sunnita in Iraq, ha denunciato questo annuncio di apertura per una negoziazione
diretta USA-Iran sull’Iraq, che per il momento va a determinare il rafforzamento
della confessione politica sciita in Iraq, forse un “male minore” per
l’amministrazione Bush, visto il fallimento della sua dominazione egemonica
dell’Iraq.
Certamente all’amministrazione Bush restano poche possibilità in Iraq. Il
sollievo che potrebbe comportare il consolidamento del processo di
istituzionalizzazione interno messo in moto da Bremer nell’autunno 2003 sta
mancando. Ad oggi, a tre mesi dalle elezioni dello scorso dicembre in Iraq,
ancora non si è potuto formare un governo per il rifiuto del blocco
confessionale sciita dell’Alleanza Unita Irachena di riconsiderare la sua
designazione di al-Yaafari come primo ministro (dopo aver occupato questo stesso
incarico nel precedente governo di transizione). Così come esigono le formazioni
curde e sunnite, pare – almeno finora – con pieno appoggio degli USA. Il
parlamento iracheno si è potuto finalmente riunire per la prima volta, in una
patetica sessione inaugurale, per dimostrare che i suoi membri sono ugualmente
incapaci di mettersi d’accordo sull’incarico del presidente della Camera.
L’opzione di riconoscere l’Iran come interlocutore in relazione alla crisi
dell’occupazione dell’Iraq può essere estremamente complicata per
l’amministrazione Bush, però è il risultato finale di una logica precedente
all’inizio dell’invasione, quando gli USA decisero di invadere il paese dal sud
e concedere uno status di alleati privilegiati alle organizzazioni e milizie di
confessione sciita a favore dell’Iran. Al culmine dell’invasione, gli USA hanno
concesso alle formazioni di confessione politica sciita un ruolo chiave nella
gestione dell’occupazione, che inevitabilmente aprirebbe – come infatti è stato
– il paese alla diretta influenza iraniana. Per poter presentare in casa
risultati tangibili, il presidente Bush si è impegnato a mantenere il calendario
del processo politico durante il 2005 anche contro l’opinione dei suoi
tradizionali alleati oppositori del regime di Saddam Hussein, come Allawi,
Chalabi o Talabani. Il risultato inevitabile è stato convertire le formazioni
pro-Iran della lista dell’Alleanza Unita Irachena nelle forze egemoniche delle
nuove istituzioni e dei loro nuovi corpi di sicurezza.
Ora non si può quindi recuperare la considerazione secondo cui dietro
l’esplosione della Cupola Dorata della moschea di Samarra e la escalation di
violenza settaria che l’ha seguita potrebbe esserci chi desiderava mettere gli
USA in una posizione di estrema precarietà in Iraq.
21 marzo 2006
[Tratto da: www.iraqsolidaridad.org]
Nato, di cosa hanno parlato i
ministri della Difesa a Taormina |