SENZA CENSURA N.19
marzo 2006
E’ solo l’inizio… sarà dura!
Bilancio e prospettive della campagna contro la Tav in Val Susa. Intervista a due resistenti di Venaus
E’ impossibile in poche righe raccontare
quello che è stato, e quel che è la lotta contro la TAV, anche un semplice
riassunto cronologico degli eventi occuperebbe pagine e pagine essendo
successo veramente di tutto. Senz’altro due momenti più di altri sono stati
determinanti nella dinamica della lotta: il primo è senza dubbio la “battaglia
del Seghino” ( con questo nome è passato alla storia quel “confronto” tra
polizia e manifestanti nei boschi sopra Mompantero-frazione di Susa- il 31
ottobre 2005). E’ da qui che l’opposizione al TAV ottiene una risonanza
nazionale, conquistando a spintoni le prime pagine di quotidiani e
telegiornali, finora fautori di una vera e propria censura. Ma soprattutto è
in questo momento che avviene la prima effettiva verifica di quanta e quale
forza è in grado di mettere in campo il fronte anti-TAV. schematizzando molto,
si può dire che se finora il ruolo trainante (e più che altro ammosciante) era
stato dell’area istituzionale (comunità montana e sindaci) con la “gente” al
seguito, dal Seghino in poi sarà al contrario la popolazione a determinare le
scadenze e le modalità della lotta, spesso scavalcando i propri rappresentanti
e costringendoli ad inseguire per non “bruciarsi”…Così succederà ad esempio,
per i cortei di Torino e Chambery, entrambi partecipatissimi nonostante il
boicottaggio istituzionale.
Altro momento fondamentale, unico per certi versi, è stata la “libera
repubblica di Venaus” (come qualcuno ha chiamato il presidio permanente della
prima settimana di dicembre, nel tempo compreso tra i due blitz polizieschi e
nello spazio delimitato da 4 barricate).Proprio in questi luoghi di socialità
strappati al nemico, avviene una crescita qualitativa fondamentale: la lotta,
dal terreno astratto della politica irrompe nel terreno concreto della vita
quotidiana, la gente si parla, si confronta, si organizza collettivamente, si
sperimentano legami di condivisione che interrompono la normalità mercificata…
Quella che segue è un intervista a Luca e Daniele, del movimento NO TAV
Valsusino.
Quali sono stati i fattori che hanno contribuito alla formazione del
movimento contro la TAV in Val Susa, dalle origini all’attuale composizione?
(Luca) Il movimento contro la TAV inizia circa 15 anni fa, da parte di un
piccolo gruppo che si può ricondurre al movimento ambientalista classico:
tecnici, ambientalisti legati a Lega Ambiente o ad altri gruppi in difesa
della natura che inizialmente si sono mossi per cercare di contrastare gli
effetti devastanti di un’opera simile sul proprio territorio. La cosa si è poi
allargata negli anni con la nascita di ulteriori comitati che sono cresciuti
scoprendo che dietro la TAV non ci sono solo i danni ambientali dietro casa
nostra o sotto il nostro cortile ma anche una grossa truffa, un’appropriazione
di soldi pubblici che andranno a finire in mano ai privati. Diciamo che una
svolta organizzativa vera e propria c’è stata dal 31 ottobre 2005 in poi. Fino
alla “battaglia del Seghino” i comitati in valle erano una quindicina; Quasi
in tutti i paesi esistevano comunque comitati di base più o meno orientati
politicamente, da quello più politicizzato legato a Rifondazione, a quello più
ambientalista fino a veri e propri comitati di paese che si trovavano ad
affrontare questo problema e ad organizzare iniziative di conseguenza. Negli
ultimi 5 anni la composizione diventa molto più variegata, trasversale, questa
cosa rappresenta la grande ricchezza di questo movimento: la pluralità e
l’ampiezza di questa lotta popolare spiegano la grande difficoltà a
recuperarlo e a reprimerlo.
(Daniele) Dopo la battaglia del Seghino si è vista una crescita del movimento
anche proprio a livello di composizione sociale: mentre era in corso la
battaglia i lavoratori di alcune fabbriche sono entrati in sciopero, gli
studenti e gli insegnanti sono usciti dalle scuole a bloccare le strade: tutti
questi soggetti sono effettivamente entrati nella lotta non più come singoli
appartenenti ai comitati.
(Luca) Rispetto alla composizione attuale dei comitati, la novità, dopo tutto
quello che è successo in Val Susa a dicembre è che sono nati comitati in tutti
i paesi dove non erano presenti e ne stanno nascendo anche al di fuori del
percorso ipotizzato della linea: nella cintura torinese, a Volvera, a
Orbassano, ma anche in alta Val di Susa, nel cuore delle vallate olimpiche,
nei paesi si stanno formando comitati NO-TAV. Una lotta che prima era
d’avanguardia è dilagata coinvolgendo nella pratica migliaia di persone; quasi
tutte le sere ci sono riunioni, assemblee pubbliche, gruppi di lavoro,
presentazioni di video e libri…
Come si è sviluppato il livello di comunicazione tra i comitati?
(Luca) Sia il livello della comunicazione sia quello organizzativo sono
stati affrontati nella spontaneità quasi totale; dico quasi perché la
struttura dei comitati già esistenti da anni garantiva un substrato di
partenza, ma è stata l’autorganizzazione spontanea a risolvere questo tipo di
esigenze.
(Daniele) E’ andato anche in crescendo, man mano che si affrontavano delle
emergenze, come per esempio durante l’estate quando c’è stato un tentativo di
piazzare tre cantieri per i sondaggi sono stati creati dei presidi
inizialmente solo per bloccare l’arrivo delle ditte, delle forze dell’ordine,
poi sono rimasti lì dei mesi, ci sono tutt’ora e sono diventati dei punti
d’incontro, di comunicazione, di collegamento della lotta.
Quali sono stati gli effetti più evidenti della militarizzazione del
territorio sulla vita quotidiana in Val Susa?
(Luca) La militarizzazione durata 50 giorni, dalla battaglia del Seghino
fino alla liberazione di Venaus ha comportato che alcune zone della valle
erano presidiate dalle forze dell’ordine e potevano accedervi solo i residenti
previa esibizione dei documenti e comunque con fastidi vari come frequenti
perquisizioni e vessazioni di vario genere. Questa situazione che credo
nessuno abbia mai vissuto in Italia dopo la guerra, ha segnato profondamente
tante persone, chiaramente in maniera maggiore quelle coinvolte direttamente e
di riflesso sempre meno allontanandosi geograficamente dai luoghi presidiati.
D’altra parte la militarizzazione quotidiana ha avuto meno eco piuttosto che
gli scontri: non c’è stata molta informazione sulla quotidianità sotto
assedio, tanto che è in preparazione un libro bianco. Chiaramente le persone
che l’hanno vissuta sono ancora scioccate e sconvolte e questo ha posto le
basi per un nuovo tipo di socialità che sta passando attraverso i presidi e le
iniziative di lotta. Queste persone hanno imparato a loro spese che non c’è da
fidarsi dello stato, delle sue istituzioni e dei suoi meccanismi burocratici e
ancor più di quelli repressivi: sono davvero pochi in Val Susa a lodare
l’operato delle forze dell’ordine, e questo è uno dei risultati ottenuti da
Pisanu e Lunardi con le loro mosse.
E rispetto al rapporto con le forze dell’ordine locali è cambiato qualcosa?
(Luca) Diciamo che le forze dell’ordine locali hanno avuto un ruolo minore
in questa fase della militarizzazione, non erano esposte in prima persona dal
momento che le operazioni erano gestite direttamente da Torino; addirittura i
vigili del fuoco hanno sempre rifiutato di prestare servizio per operazioni
legate alla TAV come altri apparati della Val Susa (polizia municipale,
guardie forestali ecc.). Si può dire che nei confronti del maresciallo dei
carabinieri di paese prevale una diffidenza di fondo che varia a seconda del
coinvolgimento o dell’attitudine personale.
Che reazione prevedete rispetto ad eventuali atti repressivi per le azioni
commesse durante le giornate contro la TAV?
(Luca) In realtà in Val Susa non ci si sta preparando a rispondere o a
difendersi da un attacco repressivo perché ci sono un sacco di cose da fare
visto che le iniziative di movimento si stanno moltiplicando e questo, in un
momento di stanca dal momento che attualmente non c’è il confronto diretto sul
TAV, permette il sedimentarsi di una serie di esperienze, di dati di fatto: si
può dire che più il movimento passa il tempo “a piede libero” più sarà
difficile ingabbiarlo, incatenarlo, reprimerlo. Ricordiamo che a parte
l’episodio isolato di Torino (l’arresto di Marco) non sono ancora state emesse
denunce, per i fatti in Val Susa dalla battaglia del Seghino in poi. La forza
di questa lotta popolare, che prevede la partecipazione trasversale di tutti
gli strati sociali della popolazione locale ci garantisce rispetto alla
repressione.
(Daniele) Se si è sviluppata grazie alla militarizzazione, al blitz notturno a
Venaus una diffidenza verso le forze dell’ordine o comunque un’attenzione che
prima non c’era, questo vale anche per i mass media. Se si pensa a quello che
è stato nel 98 l’attacco contro l’allora potenziale movimento in Val Susa con
l’arresto di Sole, Baleno, Silvano e tutto il meccanismo mediatico e
giudiziario costruito su quei fatti, oggi è difficilmente pensabile che una
cosa del genere possa bastare per tagliare le gambe al movimento anche perché
si sono costruiti degli anticorpi: si è visto come nei mesi passati, di fronte
a tentativi di questo tipo ci sia stata una reazione ben diversa da quella che
si era avuta dopo l’operazione “lupi grigi”. E’ difficile prevedere come
possano spezzare, reprimere questo movimento considerando che in Val Susa sono
stati compiuti dei “reati” che in altre situazioni, lo vediamo quotidianamente
in Italia negli ultimi mesi, in altri ambiti hanno provocato arresti per
devastazione o saccheggio quando in realtà il livello era molto più basso.
Tutto il periodo di legami, conoscenza, socialità che si sono sviluppati nei
presidi ha per esempio evitato che i compagni dei centri sociali fossero
bollati come terroristi, provocatori, infiltrati: tutto il linciaggio
mediatico che comunque continuano a fare, proprio per la conoscenza diretta ,
è destinato a crollare.
Che valutazioni sono state fatte dal movimento NO TAV rispetto alla “tregua
olimpica”?
(Luca) L’aspetto etico è rimasto solo sulla carta, a livello d’immagine, e
viste tutte le guerre in corso credo che nessuno, nemmeno i torinesi, senta
questa tregua olimpica. Rispetto alla lotta NO TAV c’è una tregua unilaterale
in corso nel senso che i poteri forti, i promotori dell’opera nel timore che
continuando i lavori avrebbero messo a rischio lo svolgimento delle olimpiadi,
hanno fermato i cantieri e smilitarizzato la valle. E così pure si sono
fermate le trattative governative cominciate dopo la liberazione di Venaus.
(Daniele) Non solo, i comitati hanno anche affermato chiaramente in un
documento che nel periodo delle olimpiadi sarebbero continuate le
mobilitazioni, anche perché si è visto benissimo nei mesi precedenti che cosa
il comune di Torino intendesse come tregua: hanno sgomberato centri sociali,
case occupate, hanno continuato ad arrestare e licenziare lavoratori, a fare
retate nei quartieri…
Sempre in tema di olimpiadi, le recenti contestazioni alla fiaccola in
quasi tutte le tappe, sono state occasione tra tante altre per dimostrare
solidarietà alla Val Susa contro la TAV. Sono i segnali di un’estensione del
movimento NO TAV?
(Luca) Se con la tregua unilaterale la controparte si è fermata, noi
invece no. Non dovendo restare sulle barricate o presidiare costantemente il
territorio (cosa che comunque viene fatta da molte persone che vivono lì),
lavoriamo per creare collegamenti in giro per l’Italia. Nell’ultimo mese non
si contano gli episodi che come singoli o a livello di comitati o dei sindaci
ci hanno visto partecipare ad altre manifestazioni, fare conferenze, prendere
contatti, fare approfondimenti ecc. Questo è già un dato di fatto reale:
l’allargamento del NO TAV fuori dalla Val Susa sta già avvenendo. E’ già
avvenuto nelle giornate di Venaus con la partecipazione di molte persone da
fuori, e adesso si sta consolidando con questi appuntamenti. Il più importante
e significativo può essere quello di Messina, della manifestazione sullo
stretto a cui hanno partecipato oltre 100 Valsusini; ma ci sono state numerose
manifestazioni, come a Firenze contro l’inceneritore, dove i Valsusini erano
presenti con le loro bandiere, hanno fatto interventi, distribuito materiali.
C’è veramente una grossa opportunità in questo momento in Italia; Vista anche
l’impasse dovuta alle elezioni, alle olimpiadi il movimento NO TAV può
prendere il fiato e rilanciare. Se ci fermassimo un attimo sarebbe ben più
facile per il potere elaborare strategie di controllo e di repressione. Il
rilancio tramite iniziative, manifestazioni, assemblee comporta che tutta una
serie di scazzi o confronti ideologici o teorici vengano superati dalla
pratica, per cui si va avanti anche divertendosi, trovando nuovi contatti,
nuove situazioni che ti danno energia e stimoli per continuare.
(Daniele) Voglio aggiungere che questo rilancio ha sicuramente già prodotto un
allargamento qualitativo delle tematiche toccate dal movimento. Se all’inizio
era solo un problema ambientale, strettamente legato ad alcune specificità
della Val di Susa, ora i temi si stanno allargando; questo è certamente un
effetto della pratica, del fatto che il movimento si è allargato e avendo
coinvolto altre categorie, come i metalmeccanici della Fiom, gli studenti o i
comitati contro gli inceneritori per esempio, lo spettro degli argomenti che
si vanno a toccare di conseguenza diventa più ampio. Dalla nocività della TAV
si va a vedere perché le merci devono viaggiare veloci, a che cosa servono a
chi servono, e tutto quello che è collegato all’insensatezza dello spostamento
continuo di merci. Più si allarga la composizione delle situazioni in lotta,
più si allarga il fronte delle cose che si criticano.
Il livello di resistenza della Val Susa rispetto alla TAV non ha trovato
uguale riscontro rispetto ad altri territori, come in Emilia o nel Mugello,
dove i cantieri procedono senza trovare la stessa opposizione. Da quali
fattori dipende?
(Luca) E’ difficile dare una chiave di lettura precisa, sicuramente nel
dna del Valsusino esiste l’esperienza della resistenza contro il
nazi-fascismo, la lotta partigiana; ha contato anche la composizione sociale
di una valle di “passaggio” dove negli anni si è assistito ad un interscambio
di culture, di forme di lotta, anche grazie all’immigrazione dal Sud-Italia e
alla presenza di ferrovie, di fabbriche… La Val Susa ha veramente subito una
grossa trasformazione negli ultimi 50 anni. Inoltre vediamo che i paesi dove
si è sviluppato il NO TAV sono paesi di poche centinaia di persone, dove si
conoscono tutti. Guardiamo il rapporto con le istituzioni: ha fatto tanto
scalpore vedere i sindaci con tanto di fascia tricolore sulle barricate, o
spingere la polizia. Ciò si spiega col fatto che il sindaco eletto in un paese
di 300, 500, 1000 abitanti è un abitante del paese come tutti gli altri e non
necessariamente un uomo di partito; in secondo luogo è stato eletto con un
preciso mandato in senso NO TAV, sulla base delle lotte portate avanti per
anni. Infine, nonostante il modello di vita in Val Susa sia abbastanza simile
a quello delle città come tenore di vita o consumi, resistono delle
caratteristiche proprie di una dimensione rurale: ciò si vede soprattutto nel
momento del bisogno, trovi sempre chi può darti l’attrezzatura che ti serve in
quel momento, chi può ospitare persone a dormire, chi ha il trattore per
portare materiali, ecc. Nelle città spesso non si conosce nemmeno il proprio
vicino di pianerottolo. Non a caso la lotta contro la TAV è partita dalla Val
Susa e non da Torino, e si sta dimostrando una lotta vincente anche perché ci
sono queste particolarità rurali che in città sono andate completamente perse,
demolite, cancellate. E’ molto più difficile che in un contesto cittadino dove
vigono l’individualismo e l’egoismo più sfrenato possano svilupparsi lotte di
massa come in Val Susa. Gli unici soggetti che lottano sono parti politiche
ben definite, spesso con un’ideologia dietro e questo spiega il loro limite e
il fatto di non riprodursi più di tanto e anche la possibilità di essere
controllati e repressi in modo più facile. Nelle dinamiche cittadine dei
collettivi più o meno colorati politicamente non si riesce a coinvolgere
soggetti diversi; spesso si sviluppano teorie avanzatissime che però non si
traducono in pratica e hanno il risultato di creare divisioni e
sotto-divisioni interne, correnti e quant’altro. Questo facilita il controllo
e la repressione delle lotte e le condanna all’inefficacia.
(Daniele) Effettivamente in Val Susa convivono insieme caratteristiche della
città e della montagna: al mantenimento di una certa autonomia, di legami
comunitari che in città si sono persi fa riscontro un’apertura che si è
sviluppata negli anni a differenza di altre zone montane. L’incontro “in
positivo” tra i due aspetti di vita ha prodotto un terreno fertile per la
lotta contro la TAV.
C’è stato un apporto della città, Torino in particolare, alla lotta in Val
Susa? Esistono e avete contatti con esperienze urbane che si battono contro
riqualificazioni e mega-progetti analoghi?
(Daniele) L’apporto, se consideriamo il livello di lotta in Val Susa è
stato molto minoritario; la partecipazione si è limitata a quei gruppi di
compagni o comunque di soggetti più o meno politicizzati che già da prima
facevano attività politica contro le nocività, ad alcuni partiti come
Rifondazione, o ad alcuni settori di lavoratori come la Fiom… Non è accaduto
quello che è successo in Val Susa, che settori di gran parte della popolazione
che non si erano mai occupati di questioni politiche venissero coinvolti a
questo livello.
Quello che potenzialmente sta avvenendo mi sembra più un coinvolgimento
indiretto, cioè non tanto una partecipazione dei torinesi alla lotta in Val
Susa, quanto piuttosto, e vale per Torino e un po’ per tutta Italia, un ruolo
di stimolo esercitato dalla lotta della Val Susa; vedere, a maggior ragione
vicino a casa propria, che si possono bloccare quelle nocività, quei
mega-progetti che sembrano ormai una cosa calata dall’alto e inevitabile
contribuisce smuovere le persone. A Torino per esempio alcuni comitati di
quartiere si sono mobilitati per difendere il parco del proprio quartiere
contro la costruzione di un pezzo di linea ferroviaria. E poi ha avuto un
ruolo di spronamento verso le aree di movimento, ha evidenziato contraddizioni
all’interno di partiti e sindacati: penso soprattutto alla Cgil, al ruolo di
rottura rispetto ad alcune cose date per scontate come il mito del progresso,
che ha sempre contraddistinto le organizzazioni sindacali classiche. Alla Cgil
ad esempio si è tenuto un convegno organizzato proprio sull’onda delle
mobilitazioni in Val Susa dove tanti lavoratori, anche a Torino hanno messo in
discussione la posizione della dirigenza a favore dell’alta velocità perché,
usando il solito ricatto porterebbe lavoro. Ma c’è un risultato ancora più
importante di questa mobilitazione: proprio per il fatto che ha fatto vedere
una lotta con un obbiettivo preciso, che si vede possibile nell’immediato, la
mentalità di lottare per una cosa e poter vincere, anche per tutti quei
movimenti che sognano una trasformazione sociale più radicale è evidente che
una vittoria sarebbe una cosa che travalica l’obbiettivo specifico della Val
Susa, vorrebbe dire veramente mettere in discussione l’inevitabilità di questo
modello di sviluppo. Il ritrovarsi faccia a faccia con un movimento davvero
popolare, quindi avere a che fare con soggetti che non avresti mai immaginato,
come la vecchietta che sgrana il rosario davanti a te mentre fronteggi la
polizia o il sindaco con cui organizzi il dibattito, cose che avresti
criticato o mai fatto, in quel contesto diventano una cosa abbastanza normale
e cambiano anche il tuo modo di porti.
Questo ciclo di lotte in Val Susa, l’autorganizzazione di base che si è
vista hanno determinato un cambiamento nei rapporti sociali a livello di
consapevolezza e di coscienza collettiva, anche in vista di una gestione più
insidiosa da parte di un probabile governo di centro-sinistra?
(Luca) Sicuramente il livello di coscienza che si è creato in questi mesi
in Val Susa garantisce che qualsiasi governo ci sarà se vorrà continuare
proporre la TAV dovrà scontrarsi con un’opposizione feroce. E’ chiaro che
possono cambiare i metodi: con i manganelli non sono riusciti a passare,
invece di demoralizzare il movimento lo hanno rafforzato ulteriormente. Se 4
mesi fa avessero insistito con la via delle commissioni, delle compensazioni o
delle trattative, il modello DS per intenderci, che ha dato i suoi frutti in
Mugello e altrove, magari non saremmo comunque arrivati all’apertura dei
cantieri ma non si sarebbe determinata quella presa di coscienza così ampia e
radicale che si vede in questo momento. Sicuramente non convinceranno mai più
la Val Susa dell’utilità di questo progetto, rispetto a questo siamo ormai
arrivati ad un livello irreversibile: i margini di recupero si assottigliano
sempre di più con l’allargamento del conflitto a livello qualitativo.
(Daniele) I DS sono la forza politica maggiormente capace di farsi portatrice
degli interessi del grande capitale in Italia. Si è visto come la destra di
fronte ad una mobilitazione di questo spessore, attaccando frontalmente non
sia riuscita ad ottenere granché; i DS sono più pericolosi in questo senso
perché da sempre in Val di Susa hanno lanciato il dialogo come arma per
realizzare l’alta velocità. La cosa certa è che in Val Susa si è sviluppata
un’altra idea su cos’è realmente il dialogo reale tra le persone che lottano,
anche tra persone di aree estremamente diverse: all’interno del movimento c’è
gente di destra, della lega, di rifondazione, ci sono anarchici, cattolici,
gente qualunque. Sarà dura veramente che riescano a intortare, convincere la
gente. Comunque non è da sottovalutare l’ ipotesi che possano mandare
l’esercito in Val Susa e giocarsela su un piano militare, anche se
probabilmente finirebbero col cacciarsi in un bel pantano…
(Luca) Io non credo che questo sia uno scenario possibile, piuttosto è facile
che il terrorismo di stato si esplichi attraverso altre mosse come azioni
ambigue, operazioni dei servizi segreti per innalzare il livello di tensione,
come si è già visto storicamente. Per concludere questo secondo me è un
momento storico in Italia per l’emergere di tutte queste contraddizioni del
sistema. Questo collasso più o meno imminente dovuto anche a fattori
energetici e a nodi che stanno venendo al pettine anche a livello sociale
rende questo momento senz’altro nuovo, con possibilità grosse di allargare il
conflitto ad altre tematiche, ad altri territori. In questo senso il segnale
lanciato dalla Val Susa è importantissimo perché dà l’indicazione che si può
fare, si può lottare, si può vincere una battaglia: cosa che non eravamo più
abituati a gustare negli ultimi anni, essendo impegnati a difenderci dalla
repressione o a fare battaglie di retroguardia. E’ vero che non esiste un
modello applicabile universalmente ma ci sono insegnamenti di fondo che
possono servire. Chiunque saprà cogliere gli spunti più importanti di quello
che è successo in Val Susa e applicarli nel suo territorio, nel suo comitato,
nel suo collettivo, nel suo ambito d’intervento, contribuirà ad alimentare la
prospettiva di ottenere qualcosa di grosso in questo periodo. Questo è
l’invito e l’auspicio che ci viene di segnalare ad una rivista come Senza
Censura.
PNV E PSOE PUNTANO SULLA
STRATEGIA DELLO SCONTRO E DELL’IMPOSIZIONE |
DALLA COLOMBIA DICIAMO NO AL TAV
ED ALLA REPRESSIONE IN VAL SUSA!!! Dalla Colombia diciamo no al TAV ed esigiamo la cessazione della repressione nella Valle di Susa, in Piemonte, Italia. Nella Val di Susa, le organizzazioni sociali e politiche vengono esigendo lo smantellamento immediato del megaprogetto del Treno ad Alta Velocità (TAV), che istituzioni e multinazionali italiane e francesi pianificano di realizzare al fine di creare un nuovo corridoio transalpino per il trasporto delle merci. Il TAV perforerà le montagne di questo bel posto della cordigliera delle Alpi e costruirà enormi infrastrutture dal devastante impatto ambientale. Alcune delle conseguenze per le decine di migliaia di suoi abitanti saranno lo sfollamento dalle loro terre e case, prodotto dall’imposizione militare dei cantieri, la distruzione dell’ambiente e la contaminazione di acque, terre e boschi causata dalla diffusione -per colpa dello squartamento delle montagne- delle fibre di amianto. Nelle ultime settimane la situazione in Val di Susa si è aggravata, e l’area è stata militarizzata con centinaia di poliziotti per reprimere la mobilitazione permanente contro i cantieri. Gli scontri, i blocchi stradali e le manifestazioni continuano nonostante la violenza ufficiale e la neve, e la gente non cessa di mobilitarsi notte e giorno per impedire che i lavori di distruzione del loro habitat abbiano seguito. Dalla Colombia, esigiamo dallo Stato italiano lo stop immediato della repressione e manifestiamo la nostra solidarietà internazionalista con il popolo e le organizzazioni italiani che lottano contro la distruzione della natura, portata avanti solo per incrementare l’accumulazione ed i profitti capitalistici delle multinazionali. Compagni, non un passo indietro! Con voi, Associazione Contadina della Valle del fiume Cimitarra (ACVC) Associazione Contadina d’Arauca (ACA) Unione Sindacale Operaia (USO) di Barrancabermeja Scuola di Formazione Popolare “Sandra Rondón Pinto” Studenti di Barrancabermeja Associazione Regionale per la Difesa dei Diritti Umani (CREDHOS) Agenzia di Stampa Rurale Barrancabermeja Colombia, 14 dicembre del 2005 Traduzione a cura dell’Associazione nazionale Nuova Colombia nuovacolombia@yahoo.it |