SENZA CENSURA N.19

marzo 2006

 

E’ solo l’inizio… sarà dura!

Bilancio e prospettive della campagna contro la Tav in Val Susa. Intervista a due resistenti di Venaus

 

E’ impossibile in poche righe raccontare quello che è stato, e quel che è la lotta contro la TAV, anche un semplice riassunto cronologico degli eventi occuperebbe pagine e pagine essendo successo veramente di tutto. Senz’altro due momenti più di altri sono stati determinanti nella dinamica della lotta: il primo è senza dubbio la “battaglia del Seghino” ( con questo nome è passato alla storia quel “confronto” tra polizia e manifestanti nei boschi sopra Mompantero-frazione di Susa- il 31 ottobre 2005). E’ da qui che l’opposizione al TAV ottiene una risonanza nazionale, conquistando a spintoni le prime pagine di quotidiani e telegiornali, finora fautori di una vera e propria censura. Ma soprattutto è in questo momento che avviene la prima effettiva verifica di quanta e quale forza è in grado di mettere in campo il fronte anti-TAV. schematizzando molto, si può dire che se finora il ruolo trainante (e più che altro ammosciante) era stato dell’area istituzionale (comunità montana e sindaci) con la “gente” al seguito, dal Seghino in poi sarà al contrario la popolazione a determinare le scadenze e le modalità della lotta, spesso scavalcando i propri rappresentanti e costringendoli ad inseguire per non “bruciarsi”…Così succederà ad esempio, per i cortei di Torino e Chambery, entrambi partecipatissimi nonostante il boicottaggio istituzionale.
Altro momento fondamentale, unico per certi versi, è stata la “libera repubblica di Venaus” (come qualcuno ha chiamato il presidio permanente della prima settimana di dicembre, nel tempo compreso tra i due blitz polizieschi e nello spazio delimitato da 4 barricate).Proprio in questi luoghi di socialità strappati al nemico, avviene una crescita qualitativa fondamentale: la lotta, dal terreno astratto della politica irrompe nel terreno concreto della vita quotidiana, la gente si parla, si confronta, si organizza collettivamente, si sperimentano legami di condivisione che interrompono la normalità mercificata… Quella che segue è un intervista a Luca e Daniele, del movimento NO TAV Valsusino.


Quali sono stati i fattori che hanno contribuito alla formazione del movimento contro la TAV in Val Susa, dalle origini all’attuale composizione?
(Luca) Il movimento contro la TAV inizia circa 15 anni fa, da parte di un piccolo gruppo che si può ricondurre al movimento ambientalista classico: tecnici, ambientalisti legati a Lega Ambiente o ad altri gruppi in difesa della natura che inizialmente si sono mossi per cercare di contrastare gli effetti devastanti di un’opera simile sul proprio territorio. La cosa si è poi allargata negli anni con la nascita di ulteriori comitati che sono cresciuti scoprendo che dietro la TAV non ci sono solo i danni ambientali dietro casa nostra o sotto il nostro cortile ma anche una grossa truffa, un’appropriazione di soldi pubblici che andranno a finire in mano ai privati. Diciamo che una svolta organizzativa vera e propria c’è stata dal 31 ottobre 2005 in poi. Fino alla “battaglia del Seghino” i comitati in valle erano una quindicina; Quasi in tutti i paesi esistevano comunque comitati di base più o meno orientati politicamente, da quello più politicizzato legato a Rifondazione, a quello più ambientalista fino a veri e propri comitati di paese che si trovavano ad affrontare questo problema e ad organizzare iniziative di conseguenza. Negli ultimi 5 anni la composizione diventa molto più variegata, trasversale, questa cosa rappresenta la grande ricchezza di questo movimento: la pluralità e l’ampiezza di questa lotta popolare spiegano la grande difficoltà a recuperarlo e a reprimerlo.
(Daniele) Dopo la battaglia del Seghino si è vista una crescita del movimento anche proprio a livello di composizione sociale: mentre era in corso la battaglia i lavoratori di alcune fabbriche sono entrati in sciopero, gli studenti e gli insegnanti sono usciti dalle scuole a bloccare le strade: tutti questi soggetti sono effettivamente entrati nella lotta non più come singoli appartenenti ai comitati.
(Luca) Rispetto alla composizione attuale dei comitati, la novità, dopo tutto quello che è successo in Val Susa a dicembre è che sono nati comitati in tutti i paesi dove non erano presenti e ne stanno nascendo anche al di fuori del percorso ipotizzato della linea: nella cintura torinese, a Volvera, a Orbassano, ma anche in alta Val di Susa, nel cuore delle vallate olimpiche, nei paesi si stanno formando comitati NO-TAV. Una lotta che prima era d’avanguardia è dilagata coinvolgendo nella pratica migliaia di persone; quasi tutte le sere ci sono riunioni, assemblee pubbliche, gruppi di lavoro, presentazioni di video e libri…

Come si è sviluppato il livello di comunicazione tra i comitati?
(Luca) Sia il livello della comunicazione sia quello organizzativo sono stati affrontati nella spontaneità quasi totale; dico quasi perché la struttura dei comitati già esistenti da anni garantiva un substrato di partenza, ma è stata l’autorganizzazione spontanea a risolvere questo tipo di esigenze.
(Daniele) E’ andato anche in crescendo, man mano che si affrontavano delle emergenze, come per esempio durante l’estate quando c’è stato un tentativo di piazzare tre cantieri per i sondaggi sono stati creati dei presidi inizialmente solo per bloccare l’arrivo delle ditte, delle forze dell’ordine, poi sono rimasti lì dei mesi, ci sono tutt’ora e sono diventati dei punti d’incontro, di comunicazione, di collegamento della lotta.

Quali sono stati gli effetti più evidenti della militarizzazione del territorio sulla vita quotidiana in Val Susa?
(Luca) La militarizzazione durata 50 giorni, dalla battaglia del Seghino fino alla liberazione di Venaus ha comportato che alcune zone della valle erano presidiate dalle forze dell’ordine e potevano accedervi solo i residenti previa esibizione dei documenti e comunque con fastidi vari come frequenti perquisizioni e vessazioni di vario genere. Questa situazione che credo nessuno abbia mai vissuto in Italia dopo la guerra, ha segnato profondamente tante persone, chiaramente in maniera maggiore quelle coinvolte direttamente e di riflesso sempre meno allontanandosi geograficamente dai luoghi presidiati. D’altra parte la militarizzazione quotidiana ha avuto meno eco piuttosto che gli scontri: non c’è stata molta informazione sulla quotidianità sotto assedio, tanto che è in preparazione un libro bianco. Chiaramente le persone che l’hanno vissuta sono ancora scioccate e sconvolte e questo ha posto le basi per un nuovo tipo di socialità che sta passando attraverso i presidi e le iniziative di lotta. Queste persone hanno imparato a loro spese che non c’è da fidarsi dello stato, delle sue istituzioni e dei suoi meccanismi burocratici e ancor più di quelli repressivi: sono davvero pochi in Val Susa a lodare l’operato delle forze dell’ordine, e questo è uno dei risultati ottenuti da Pisanu e Lunardi con le loro mosse.

E rispetto al rapporto con le forze dell’ordine locali è cambiato qualcosa?
(Luca) Diciamo che le forze dell’ordine locali hanno avuto un ruolo minore in questa fase della militarizzazione, non erano esposte in prima persona dal momento che le operazioni erano gestite direttamente da Torino; addirittura i vigili del fuoco hanno sempre rifiutato di prestare servizio per operazioni legate alla TAV come altri apparati della Val Susa (polizia municipale, guardie forestali ecc.). Si può dire che nei confronti del maresciallo dei carabinieri di paese prevale una diffidenza di fondo che varia a seconda del coinvolgimento o dell’attitudine personale.

Che reazione prevedete rispetto ad eventuali atti repressivi per le azioni commesse durante le giornate contro la TAV?
(Luca) In realtà in Val Susa non ci si sta preparando a rispondere o a difendersi da un attacco repressivo perché ci sono un sacco di cose da fare visto che le iniziative di movimento si stanno moltiplicando e questo, in un momento di stanca dal momento che attualmente non c’è il confronto diretto sul TAV, permette il sedimentarsi di una serie di esperienze, di dati di fatto: si può dire che più il movimento passa il tempo “a piede libero” più sarà difficile ingabbiarlo, incatenarlo, reprimerlo. Ricordiamo che a parte l’episodio isolato di Torino (l’arresto di Marco) non sono ancora state emesse denunce, per i fatti in Val Susa dalla battaglia del Seghino in poi. La forza di questa lotta popolare, che prevede la partecipazione trasversale di tutti gli strati sociali della popolazione locale ci garantisce rispetto alla repressione.
(Daniele) Se si è sviluppata grazie alla militarizzazione, al blitz notturno a Venaus una diffidenza verso le forze dell’ordine o comunque un’attenzione che prima non c’era, questo vale anche per i mass media. Se si pensa a quello che è stato nel 98 l’attacco contro l’allora potenziale movimento in Val Susa con l’arresto di Sole, Baleno, Silvano e tutto il meccanismo mediatico e giudiziario costruito su quei fatti, oggi è difficilmente pensabile che una cosa del genere possa bastare per tagliare le gambe al movimento anche perché si sono costruiti degli anticorpi: si è visto come nei mesi passati, di fronte a tentativi di questo tipo ci sia stata una reazione ben diversa da quella che si era avuta dopo l’operazione “lupi grigi”. E’ difficile prevedere come possano spezzare, reprimere questo movimento considerando che in Val Susa sono stati compiuti dei “reati” che in altre situazioni, lo vediamo quotidianamente in Italia negli ultimi mesi, in altri ambiti hanno provocato arresti per devastazione o saccheggio quando in realtà il livello era molto più basso. Tutto il periodo di legami, conoscenza, socialità che si sono sviluppati nei presidi ha per esempio evitato che i compagni dei centri sociali fossero bollati come terroristi, provocatori, infiltrati: tutto il linciaggio mediatico che comunque continuano a fare, proprio per la conoscenza diretta , è destinato a crollare.

Che valutazioni sono state fatte dal movimento NO TAV rispetto alla “tregua olimpica”?
(Luca) L’aspetto etico è rimasto solo sulla carta, a livello d’immagine, e viste tutte le guerre in corso credo che nessuno, nemmeno i torinesi, senta questa tregua olimpica. Rispetto alla lotta NO TAV c’è una tregua unilaterale in corso nel senso che i poteri forti, i promotori dell’opera nel timore che continuando i lavori avrebbero messo a rischio lo svolgimento delle olimpiadi, hanno fermato i cantieri e smilitarizzato la valle. E così pure si sono fermate le trattative governative cominciate dopo la liberazione di Venaus.
(Daniele) Non solo, i comitati hanno anche affermato chiaramente in un documento che nel periodo delle olimpiadi sarebbero continuate le mobilitazioni, anche perché si è visto benissimo nei mesi precedenti che cosa il comune di Torino intendesse come tregua: hanno sgomberato centri sociali, case occupate, hanno continuato ad arrestare e licenziare lavoratori, a fare retate nei quartieri…

Sempre in tema di olimpiadi, le recenti contestazioni alla fiaccola in quasi tutte le tappe, sono state occasione tra tante altre per dimostrare solidarietà alla Val Susa contro la TAV. Sono i segnali di un’estensione del movimento NO TAV?
(Luca) Se con la tregua unilaterale la controparte si è fermata, noi invece no. Non dovendo restare sulle barricate o presidiare costantemente il territorio (cosa che comunque viene fatta da molte persone che vivono lì), lavoriamo per creare collegamenti in giro per l’Italia. Nell’ultimo mese non si contano gli episodi che come singoli o a livello di comitati o dei sindaci ci hanno visto partecipare ad altre manifestazioni, fare conferenze, prendere contatti, fare approfondimenti ecc. Questo è già un dato di fatto reale: l’allargamento del NO TAV fuori dalla Val Susa sta già avvenendo. E’ già avvenuto nelle giornate di Venaus con la partecipazione di molte persone da fuori, e adesso si sta consolidando con questi appuntamenti. Il più importante e significativo può essere quello di Messina, della manifestazione sullo stretto a cui hanno partecipato oltre 100 Valsusini; ma ci sono state numerose manifestazioni, come a Firenze contro l’inceneritore, dove i Valsusini erano presenti con le loro bandiere, hanno fatto interventi, distribuito materiali. C’è veramente una grossa opportunità in questo momento in Italia; Vista anche l’impasse dovuta alle elezioni, alle olimpiadi il movimento NO TAV può prendere il fiato e rilanciare. Se ci fermassimo un attimo sarebbe ben più facile per il potere elaborare strategie di controllo e di repressione. Il rilancio tramite iniziative, manifestazioni, assemblee comporta che tutta una serie di scazzi o confronti ideologici o teorici vengano superati dalla pratica, per cui si va avanti anche divertendosi, trovando nuovi contatti, nuove situazioni che ti danno energia e stimoli per continuare.
(Daniele) Voglio aggiungere che questo rilancio ha sicuramente già prodotto un allargamento qualitativo delle tematiche toccate dal movimento. Se all’inizio era solo un problema ambientale, strettamente legato ad alcune specificità della Val di Susa, ora i temi si stanno allargando; questo è certamente un effetto della pratica, del fatto che il movimento si è allargato e avendo coinvolto altre categorie, come i metalmeccanici della Fiom, gli studenti o i comitati contro gli inceneritori per esempio, lo spettro degli argomenti che si vanno a toccare di conseguenza diventa più ampio. Dalla nocività della TAV si va a vedere perché le merci devono viaggiare veloci, a che cosa servono a chi servono, e tutto quello che è collegato all’insensatezza dello spostamento continuo di merci. Più si allarga la composizione delle situazioni in lotta, più si allarga il fronte delle cose che si criticano.

Il livello di resistenza della Val Susa rispetto alla TAV non ha trovato uguale riscontro rispetto ad altri territori, come in Emilia o nel Mugello, dove i cantieri procedono senza trovare la stessa opposizione. Da quali fattori dipende?
(Luca) E’ difficile dare una chiave di lettura precisa, sicuramente nel dna del Valsusino esiste l’esperienza della resistenza contro il nazi-fascismo, la lotta partigiana; ha contato anche la composizione sociale di una valle di “passaggio” dove negli anni si è assistito ad un interscambio di culture, di forme di lotta, anche grazie all’immigrazione dal Sud-Italia e alla presenza di ferrovie, di fabbriche… La Val Susa ha veramente subito una grossa trasformazione negli ultimi 50 anni. Inoltre vediamo che i paesi dove si è sviluppato il NO TAV sono paesi di poche centinaia di persone, dove si conoscono tutti. Guardiamo il rapporto con le istituzioni: ha fatto tanto scalpore vedere i sindaci con tanto di fascia tricolore sulle barricate, o spingere la polizia. Ciò si spiega col fatto che il sindaco eletto in un paese di 300, 500, 1000 abitanti è un abitante del paese come tutti gli altri e non necessariamente un uomo di partito; in secondo luogo è stato eletto con un preciso mandato in senso NO TAV, sulla base delle lotte portate avanti per anni. Infine, nonostante il modello di vita in Val Susa sia abbastanza simile a quello delle città come tenore di vita o consumi, resistono delle caratteristiche proprie di una dimensione rurale: ciò si vede soprattutto nel momento del bisogno, trovi sempre chi può darti l’attrezzatura che ti serve in quel momento, chi può ospitare persone a dormire, chi ha il trattore per portare materiali, ecc. Nelle città spesso non si conosce nemmeno il proprio vicino di pianerottolo. Non a caso la lotta contro la TAV è partita dalla Val Susa e non da Torino, e si sta dimostrando una lotta vincente anche perché ci sono queste particolarità rurali che in città sono andate completamente perse, demolite, cancellate. E’ molto più difficile che in un contesto cittadino dove vigono l’individualismo e l’egoismo più sfrenato possano svilupparsi lotte di massa come in Val Susa. Gli unici soggetti che lottano sono parti politiche ben definite, spesso con un’ideologia dietro e questo spiega il loro limite e il fatto di non riprodursi più di tanto e anche la possibilità di essere controllati e repressi in modo più facile. Nelle dinamiche cittadine dei collettivi più o meno colorati politicamente non si riesce a coinvolgere soggetti diversi; spesso si sviluppano teorie avanzatissime che però non si traducono in pratica e hanno il risultato di creare divisioni e sotto-divisioni interne, correnti e quant’altro. Questo facilita il controllo e la repressione delle lotte e le condanna all’inefficacia.
(Daniele) Effettivamente in Val Susa convivono insieme caratteristiche della città e della montagna: al mantenimento di una certa autonomia, di legami comunitari che in città si sono persi fa riscontro un’apertura che si è sviluppata negli anni a differenza di altre zone montane. L’incontro “in positivo” tra i due aspetti di vita ha prodotto un terreno fertile per la lotta contro la TAV.

C’è stato un apporto della città, Torino in particolare, alla lotta in Val Susa? Esistono e avete contatti con esperienze urbane che si battono contro riqualificazioni e mega-progetti analoghi?
(Daniele) L’apporto, se consideriamo il livello di lotta in Val Susa è stato molto minoritario; la partecipazione si è limitata a quei gruppi di compagni o comunque di soggetti più o meno politicizzati che già da prima facevano attività politica contro le nocività, ad alcuni partiti come Rifondazione, o ad alcuni settori di lavoratori come la Fiom… Non è accaduto quello che è successo in Val Susa, che settori di gran parte della popolazione che non si erano mai occupati di questioni politiche venissero coinvolti a questo livello.
Quello che potenzialmente sta avvenendo mi sembra più un coinvolgimento indiretto, cioè non tanto una partecipazione dei torinesi alla lotta in Val Susa, quanto piuttosto, e vale per Torino e un po’ per tutta Italia, un ruolo di stimolo esercitato dalla lotta della Val Susa; vedere, a maggior ragione vicino a casa propria, che si possono bloccare quelle nocività, quei mega-progetti che sembrano ormai una cosa calata dall’alto e inevitabile contribuisce smuovere le persone. A Torino per esempio alcuni comitati di quartiere si sono mobilitati per difendere il parco del proprio quartiere contro la costruzione di un pezzo di linea ferroviaria. E poi ha avuto un ruolo di spronamento verso le aree di movimento, ha evidenziato contraddizioni all’interno di partiti e sindacati: penso soprattutto alla Cgil, al ruolo di rottura rispetto ad alcune cose date per scontate come il mito del progresso, che ha sempre contraddistinto le organizzazioni sindacali classiche. Alla Cgil ad esempio si è tenuto un convegno organizzato proprio sull’onda delle mobilitazioni in Val Susa dove tanti lavoratori, anche a Torino hanno messo in discussione la posizione della dirigenza a favore dell’alta velocità perché, usando il solito ricatto porterebbe lavoro. Ma c’è un risultato ancora più importante di questa mobilitazione: proprio per il fatto che ha fatto vedere una lotta con un obbiettivo preciso, che si vede possibile nell’immediato, la mentalità di lottare per una cosa e poter vincere, anche per tutti quei movimenti che sognano una trasformazione sociale più radicale è evidente che una vittoria sarebbe una cosa che travalica l’obbiettivo specifico della Val Susa, vorrebbe dire veramente mettere in discussione l’inevitabilità di questo modello di sviluppo. Il ritrovarsi faccia a faccia con un movimento davvero popolare, quindi avere a che fare con soggetti che non avresti mai immaginato, come la vecchietta che sgrana il rosario davanti a te mentre fronteggi la polizia o il sindaco con cui organizzi il dibattito, cose che avresti criticato o mai fatto, in quel contesto diventano una cosa abbastanza normale e cambiano anche il tuo modo di porti.

Questo ciclo di lotte in Val Susa, l’autorganizzazione di base che si è vista hanno determinato un cambiamento nei rapporti sociali a livello di consapevolezza e di coscienza collettiva, anche in vista di una gestione più insidiosa da parte di un probabile governo di centro-sinistra?
(Luca) Sicuramente il livello di coscienza che si è creato in questi mesi in Val Susa garantisce che qualsiasi governo ci sarà se vorrà continuare proporre la TAV dovrà scontrarsi con un’opposizione feroce. E’ chiaro che possono cambiare i metodi: con i manganelli non sono riusciti a passare, invece di demoralizzare il movimento lo hanno rafforzato ulteriormente. Se 4 mesi fa avessero insistito con la via delle commissioni, delle compensazioni o delle trattative, il modello DS per intenderci, che ha dato i suoi frutti in Mugello e altrove, magari non saremmo comunque arrivati all’apertura dei cantieri ma non si sarebbe determinata quella presa di coscienza così ampia e radicale che si vede in questo momento. Sicuramente non convinceranno mai più la Val Susa dell’utilità di questo progetto, rispetto a questo siamo ormai arrivati ad un livello irreversibile: i margini di recupero si assottigliano sempre di più con l’allargamento del conflitto a livello qualitativo.
(Daniele) I DS sono la forza politica maggiormente capace di farsi portatrice degli interessi del grande capitale in Italia. Si è visto come la destra di fronte ad una mobilitazione di questo spessore, attaccando frontalmente non sia riuscita ad ottenere granché; i DS sono più pericolosi in questo senso perché da sempre in Val di Susa hanno lanciato il dialogo come arma per realizzare l’alta velocità. La cosa certa è che in Val Susa si è sviluppata un’altra idea su cos’è realmente il dialogo reale tra le persone che lottano, anche tra persone di aree estremamente diverse: all’interno del movimento c’è gente di destra, della lega, di rifondazione, ci sono anarchici, cattolici, gente qualunque. Sarà dura veramente che riescano a intortare, convincere la gente. Comunque non è da sottovalutare l’ ipotesi che possano mandare l’esercito in Val Susa e giocarsela su un piano militare, anche se probabilmente finirebbero col cacciarsi in un bel pantano…
(Luca) Io non credo che questo sia uno scenario possibile, piuttosto è facile che il terrorismo di stato si esplichi attraverso altre mosse come azioni ambigue, operazioni dei servizi segreti per innalzare il livello di tensione, come si è già visto storicamente. Per concludere questo secondo me è un momento storico in Italia per l’emergere di tutte queste contraddizioni del sistema. Questo collasso più o meno imminente dovuto anche a fattori energetici e a nodi che stanno venendo al pettine anche a livello sociale rende questo momento senz’altro nuovo, con possibilità grosse di allargare il conflitto ad altre tematiche, ad altri territori. In questo senso il segnale lanciato dalla Val Susa è importantissimo perché dà l’indicazione che si può fare, si può lottare, si può vincere una battaglia: cosa che non eravamo più abituati a gustare negli ultimi anni, essendo impegnati a difenderci dalla repressione o a fare battaglie di retroguardia. E’ vero che non esiste un modello applicabile universalmente ma ci sono insegnamenti di fondo che possono servire. Chiunque saprà cogliere gli spunti più importanti di quello che è successo in Val Susa e applicarli nel suo territorio, nel suo comitato, nel suo collettivo, nel suo ambito d’intervento, contribuirà ad alimentare la prospettiva di ottenere qualcosa di grosso in questo periodo. Questo è l’invito e l’auspicio che ci viene di segnalare ad una rivista come Senza Censura.

 

PNV E PSOE PUNTANO SULLA STRATEGIA DELLO SCONTRO E DELL’IMPOSIZIONE
No al TAV nel Paese Basco

Mediante questa nota di stampa, la Rete per un Treno Sociale (ELA STEE-EILAS, EHNE, LAB, ESK, HIRU, CGT, Eguzki, Ekologistak Martxan, Kalapie, EKA, Lurra Deialdia, Gezia Fundazioa, Zutik, Aralar, Batasuna, Ezker Batua, Angiozar Batzarra, ANV-EAE), vuole manifestare quanto segue:
- 1.Tutte ed ognuna delle organizzazioni integranti la Rete per un Treno Sociale mantengono e riaffermano il loro rifiuto al progetto Y-basca di treno ad alta velocità e chiedono la sua paralizzazione immediata per permettere un dibattito partecipativo nella società basca per definire tra tutte le forze sociali, sindacali e politiche quale è il modello di ferrovia e di trasporto di cui ha bisogno il nostro paese. Ciò esige il ritiro immediato delle partenze preventive e degli emendamenti presentati dei Presupposti della CAV per l’anno 2006 dirette a dotare di fondi per l’inizio delle Opere della Nuova Rete Ferroviaria Basca, meglio conosciuta come Y-basca.
- 2. L’Accordo PNV-PSOE aggiunge nuovi motivi alla lunga lista di quelli già esistenti per esigere il ritiro di questo progetto. Per quel motivo: a. Denunciamo la rinuncia totale da parte del Governo Basco a situare il controllo della pianificazione, esecuzione e gestione della rete ferroviaria basca in mani pubbliche basche, rimanendo chiaramente queste in mani del governo dello Stato Spagnolo. b. Critichiamo la rinncia da parte del Governo Basco a situare l’accessibilità, la sostenibilità ed il design della rete ferroviaria basca in mani di Euskal Herria e, in beneficio delle necessità sociali, poiché l’Accordo significa che detta rete continua ad essere una funzione di necessità pianificate da Madrid e di interessi che promuovono prioritariamente il guadagno economico privato. c. Constatiamo la negativa avuta durante le tre ultime legislature del Governo Basco per dibattere il futuro della ferrovia e del trasporto in generale con forze politiche, sociali e sindacali basche di gran peso nella società basca. Bisogna sottolineare che l’argomento delle successive Consejerías di Trasporti del Governo Basco è stato, durante già tre legislature, il non essere il momento di dibattere bensì di eseguire quando durante tutti questi anni avrebbe potuto favorire un dibattito sociale ampio e coerente realmente circa che rete ferroviaria serva ad Euskal Herria. Il rifiuto di entrare in questo dibattito suppone continuare a scommettere sull’imposizione del progetto TAV senza partecipazione né consenso fosse dell’ambito strettamente istituzionale. È triste dovere accettare che il Governo Basco preferisce cercare l’accordo sulla rete ferroviaria basca con forze politiche di ambito statale che con la sua propria popolazione e per il beneficio di interessi privati e non sociali. d. Ci opponiamo chiaramente ad un accordo che cerca la ripartizione del commercio di migliaia di milioni di euro tra le imprese costruttrici che si muovono sotto i tentacoli di PNV e PSOE.
Come conclusione, stiamo davanti ad un accordo che non cerca il consenso ma lo scontro con le forze sociali, sindacali e politiche basche, lasciando all’aperto il doppio discorso della teoria e la pratica del Governo della CAV.
- 3.La Rete per un Treno Sociale insiste sul fatto che in nulla l’Accordo PNV-PSOE affronta i severi impatti economici, agronomici, sociali ed ambientali del TAV, malgrado differenti rappresentanti del Governo Basco ammettano che esisteranno. Insiste, ugualmente, sul fatto che l’Y-basca non risolve nessuno dei problemi che il trasporto ha in Euskal Herria ma li aggrava.
- 4. Infine, la Rete per un Treno Sociale afferma che è possibile un trasporto alternativo, una rete ferroviaria di utilità sociale e la ricerca di soluzioni all’accessibilità della popolazione basca ai beni e servizi di cui ha bisogno senza dovere accettare ad alta velocità un treno. È possibile identificare, finanziare, eseguire e gestire un modello di trasporto pensato da e per la popolazione basca. Dalla Rete per un Treno Sociale andiamo a: a. Continuare ad approfondire i criteri che veniamo difendendo durante gli ultimi anni per puntare su un Treno Sociale. Così, durante le prossime settimane plasmiamo in un nuovo documento le basi di una nuova politica alternativa di trasporti e della ferrovia di tipo sociale. b. Allo stesso tempo, continuare denunciando ed informando ad alta velocità sulle tremende conseguenze negative del Treno ed esigendo la sua paralizzazione immediata. c. Fare pubblica la responsabilità che assume il Governo Basco se continua a scommettere su un progetto che risulterà economicamente deficitario e con intollerabili impatti socioeconomici, agronomici ed ambientali impossibili da correggere e che lontano dal risolvere qualunque problema di trasporto di passeggeri e merci, li aggraverà notevolmente.

tratto da www1.autistici.org/irrintzi/articoli/Politica/Tavez.htm


DALLA COLOMBIA DICIAMO NO AL TAV ED ALLA REPRESSIONE IN VAL SUSA!!!

Dalla Colombia diciamo no al TAV ed esigiamo la cessazione della repressione nella Valle di Susa, in Piemonte, Italia. Nella Val di Susa, le organizzazioni sociali e politiche vengono esigendo lo smantellamento immediato del megaprogetto del Treno ad Alta Velocità (TAV), che istituzioni e multinazionali italiane e francesi pianificano di realizzare al fine di creare un nuovo corridoio transalpino per il trasporto delle merci.
Il TAV perforerà le montagne di questo bel posto della cordigliera delle Alpi e costruirà enormi infrastrutture dal devastante impatto ambientale.
Alcune delle conseguenze per le decine di migliaia di suoi abitanti saranno lo sfollamento dalle loro terre e case, prodotto dall’imposizione militare dei cantieri, la distruzione dell’ambiente e la contaminazione di acque, terre e boschi causata dalla diffusione -per colpa dello squartamento delle montagne- delle fibre di amianto.
Nelle ultime settimane la situazione in Val di Susa si è aggravata, e l’area è stata militarizzata con centinaia di poliziotti per reprimere la mobilitazione permanente contro i cantieri. Gli scontri, i blocchi stradali e le manifestazioni continuano nonostante la violenza ufficiale e la neve, e la gente non cessa di mobilitarsi notte e giorno per impedire che i lavori di distruzione del loro habitat abbiano seguito.
Dalla Colombia, esigiamo dallo Stato italiano lo stop immediato della repressione e manifestiamo la nostra solidarietà internazionalista con il popolo e le organizzazioni italiani che lottano contro la distruzione della natura, portata avanti solo per incrementare l’accumulazione ed i profitti capitalistici delle multinazionali.

Compagni, non un passo indietro!

Con voi,
Associazione Contadina della Valle del fiume Cimitarra (ACVC)
Associazione Contadina d’Arauca (ACA)
Unione Sindacale Operaia (USO) di Barrancabermeja
Scuola di Formazione Popolare “Sandra Rondón Pinto”
Studenti di Barrancabermeja
Associazione Regionale per la Difesa dei Diritti Umani (CREDHOS)
Agenzia di Stampa Rurale Barrancabermeja

Colombia, 14 dicembre del 2005

Traduzione a cura dell’Associazione nazionale Nuova Colombia
nuovacolombia@yahoo.it


http://www.senzacensura.org/