SENZA CENSURA N.19
marzo 2006
RICORSO DELLE ORGANIZZAZIONI BASCHE SEGI E
GESTORAS PRO AMNISTIA CONTRO L’INCLUSIONE NELLE LISTE NERE
Il 27 dicembre 2001,
rappresentanti dei 15 stati membri del Consiglio d’Europa hanno adottato,
nell’ambito della Politica Estera e di Sicurezza Comune (PESC), [—-] una
lista di organizzazioni e singole persone che accusano di terrorismo; fra
esse figurano diversi cittadini ed associazioni basche [—-]. È sufficiente
una richiesta formale dello stato interessato, nella quale si invochi una
decisione giudiziaria, per essere inseriti nella lista. Allo stato non è
richiesto di giustificare la sua richiesta. In questo caso concreto, le autorità spagnole hanno inserito le organizzazioni e gli individui citati sulla sola base di una risoluzione di un giudice istruttore (Baltasar Garzón) della Audiencia Nacional (Tribunale speciale spagnolo per i reati di terrorismo), nella quale li si accusa di terrorismo [—-]. Contro gran parte di queste associazioni [—-] non è stato ancora celebrato alcun processo; è da precisare il fatto che questi gruppi, che fino a pochi anni fa lavoravano in un ambito completamente pubblico, legale e trasparente, non hanno avuto l’opportunità di difendersi. Le organizzazioni sono state sospese e molti dei loro membri sono rimasti in carcerazione preventiva per quattro anni, limite massimo di questa misura nello Stato spagnolo; questo è il caso di Segi e di Gestoras Pro Amnistía e dei loro maggiori esponenti e portavoce. Ancora, l’organizzazione Segi, che ha sempre sviluppato le sue attività in difesa dei diritti della gioventù in modo pubblico, non era stata oggetto di alcuna accusa di illegalità (non c’era alcun caso di risoluzione nella giurisprudenza nazionale che dichiarasse Segi o le sue attività illegali) né nello Stato spagnolo, né in quello francese quando è stata inserita nella “lista nera” europea, il 27 dicembre 2001. Più tardi, il 5 febbraio 2002, Segi fu dichiarata illegale nel territorio spagnolo, in seguito ad un provvedimento del giudice Baltasar Garzón, mentre restava ancora legale nella parte di territorio basco sotto amministrazione francese. Il processo contro Jarrai-Haika-Segi è iniziato il 2 febbraio 2005, con 29 giovani sul banco degli imputati [—-]; dopo tre mesi, la Audiencia Nacional ha deciso, nella sua sentenza, di condannare 24 degli imputati, per il reato minore di “organizzazione illegale”, a pene fra i due anni e mezzo e tre anni e mezzo, considerando che il movimento giovanile “non è un’organizzazione terrorista”. Questa decisione ha comportato qualche cambiamento rispetto all’inclusione di Jarrai-Haika-Segi nella “lista nera”? NO. Nel caso di Gestoras pro Amnistía, questo organismo di solidarietà con i prigionieri politici, era stato dichiarato illegale dal giudice Baltasar Garzón il 19 dicembre 2001; tuttavia, questa decisione, assunta mediante una risoluzione che affermava la natura illecita delle sue attività, fu presa dal giudice Garzón nella sua veste di giudice istruttore, vale a dire, come nel caso di Segi, a scopo cautelare. Pertanto, questa decisione non è in nessun caso definitiva; nonostante ciò, entrambe le organizzazioni sono state inserite nella lista, il che rende evidente il pregiudizio causato ai loro diritti. L’articolo 1.6 della decisione comune 2001/931/PesC del 27 dicembre 2001, riguardante l’applicazione di misure specifiche per combattere il terrorismo, recita che “i nomi di persone ed entità che figurano nella lista saranno rivisti ad intervalli regolari ed almeno una volta ogni sei mesi, al fine di assicurare che la loro permanenza nella lista sia giustificata”. Nella sua decisione 15453/01 del 18 dicembre 2001, il Consiglio dichiarò ufficialmente che sarebbe stato possibile presentare ricorso contro qualsiasi inserimento erroneo nella lista [1]. Tuttavia, nella ratifica del Trattato di Amsterdam, i quindici stati membri dichiararono che le decisioni assunte nell’ambito della Politica Estera e di Sicurezza Comune non sarebbero state soggette al controllo del Tribunale di Giustizia dell’Unione Europea, con sede in Lussemburgo; ovviamente, questo inserimento, non potrà essere oggetto di ricorso neppure di fronte alla giustizia interna di ciascuno stato. È per questo che le organizzazioni colpite dall’inserimento in queste liste hanno presentato un ricorso al Tribunale Europeo per i Diritti Umani (TEDU) contro i quindici stati membri (in quel momento), perché nell’ambito dell’Unione Europea non era loro riconosciuto il “diritto a che il loro caso sia esaminato da un tribunale imparziale”, un diritto riconosciuto dall’articolo 6 della Convenzione Europea sui Diritti Umani. Così, le associazioni Segi e Gestoras Pro Amnistía hanno presentato, il 1 febbraio 2002, un ricorso accolto dal Tribunale Europeo il 4 febbraio sulle seguenti basi: - Gli stati hanno violato il diritto alla presunzione di innocenza (articolo 6 della Convenzione Europea), definendo queste organizzazioni come terroriste, senza che ciò fosse stato preventivamente formalizzato da un tribunale con una sentenza definitiva.; pertanto, il diritto alla difesa è stato violato. - La misura adottata dai 15 stati viola direttamente il diritto alla libertà di espressione (articolo 10 della Convenzione), il diritto alla libertà di associazione (articolo 11 della Convenzione), oltre al diritto alla protezione dei beni dell’associazione (articolo 1 del protocollo 1 della Convenzione). Il TEDU ha respinto questo ricorso con una decisione del 23 maggio 2002, sostenendo che le organizzazioni menzionate non hanno subito violazioni di diritti, posto che la Lista Antiterrorista non aveva carattere esecutivo; tuttavia, il TEDU ha invitato entrambe le organizzazioni ad esplorare la via del ricorso davanti alla giurisdizione del Tribunale di Giustizia del Lussemburgo. SEGI e Gestoras Pro Amnistía hanno presentato ricorso al Tribunale di Prima Istanza (TPI) della Comunità Europea, invocando il pregiudizio causato alla loro reputazione per l’inserimento nella lista nera e chiedendo un risarcimento. Nella sua decisione del 7 giugno 2004, il TPI si è dichiarato incompetente, posto che, come già spiegato, il Trattato dell’UE non assegna competenze per controllare le azioni del Consiglio d’Europa nell’ambito della PESC ai tribunali del Lussemburgo; il TPI ha aggiunto che probabilmente non esiste possibilità di ricorso contro queste decisioni davanti alla giustizia dell’UE, né davanti a tribunali nazionali. I casi di SEGI e Gestoras Pro Amnistía hanno generato una grave contraddizione nel seno dell’UE, forzandola anche ad introdurre tre nuovi articoli nel progetto di Trattato Costituzionale, assegnando competenza per tali questioni ai tribunali dell’UE (articoli III- 322 e 376 e dichiarazione allegata N°15). La battaglia giuridica continua: i casi di SEGI e Gestoras Pro Amnistía sono in attesa della decisione rispetto al ricorso di cassazione presentato al Tribunale di Seconda Istanza della CE. In ogni caso, non crediamo che l’unica via per sanare questa situazione debba essere quella giudiziaria; dobbiamo sviluppare e promuovere l’azione sociale e politica per premere affinché questa insensatezza sia corretta. Note
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