SENZA CENSURA N.19

marzo 2006

 

Paese Basco: no alla macchina repressiva europea

 

Come prosegue la stagione dei processi contro l’indipendenza di Euskal Herria
Nello scorso numero della rivista avete potuto leggere gli interventi di due compagni baschi alle iniziative informative sulla sperimentazione repressiva in corso nel paese basco; iniziative organizzate dalla Campagna contro l’articolo 270 e i reati associativi.
In questi interventi si dava conto di come in otto anni di governo il Partido Popular di Aznar abbia strutturato l'intervento della controrivoluzione preventiva contro la sinistra indipendentista basca, accusandone di terrorismo tutti i militanti.
Sostanzialmente ci si è trovati di fronte a tre piani repressivi:
- il primo, diretto contro chi viene accusato di appartenere direttamente a ETA, o ad organizzazioni che vengono accusate di esserne parte integrante, pur svolgendo un lavoro pubblico e completamente distinto;
- il secondo, diretto contro chi pratica la lotta di strada e per queste azioni viene accusato di terrorismo, in quanto appartenente a organizzazioni che condividono i fini o l’ideologia di ETA, l’indipendentismo quindi, e per questo accusate di appartenere ad ETA;
- il terzo, diretto contro il partito indipendentista Batasuna, e contro tutti i partiti politici, sindacati, eccetera, che si schierano per l’indipendenza del Paese Basco, con l’approvazione di una legge, la Ley de Partidos, “legge sui partiti”, che illegalizza chiunque “non riconosce” la costituzione spagnola in cui si prevede l’indivisibilità dello stato spagnolo.
Negli interventi dei due compagni si dava anche conto di come, dopo il cambio di governo, il Partido Socialista Obrero di Zapatero abbia proseguito completamente sulla stessa linea del Partido Popular. In particolare portando avanti l’ondata di processi - condotti dall’Audiencia Nacional, il tribunale speciale “antiterrorista” spagnolo - con cui si concretizzano questi tre livelli repressivi, essendo inquisiti decine e decine di militanti indipendentisti e di cittadini baschi, e sotto accusa moltissime associazioni, imprese, mezzi di informazione, partiti, sindacati, e le più diverse realtà basche.
Alla base dei processi che sostanziano i primi due piani del lavoro repressivo sta il teorema formulato dal giudice Garzon che “tutto è ETA”; qualsiasi realtà o soggettività che richieda l’indipendenza del Paese Basco, per ciò stesso appartiene a ETA.
Nel giugno scorso la sentenza del processo contro le organizzazioni giovanili basche Jarrai, Haika e Segi aveva assestato una botta non indifferente a questo teorema – che ora è sostenuto dal giudice Grande Marlaska, successore di Garzon - assolvendo le tre organizzazioni e 42 militanti dall’accusa di terrorismo. La sentenza recita: “Sebbene le suddette organizzazioni potrebbero avere una finalità ideologicamente contigua a quella che, con la sua attività armata, persegue l’organizzazione terrorista ETA, queste dispiegavano attività – per la maggior parte legittime – che non comportarono mai l’utilizzo di armi, nei termini stabiliti dalla già vista giurisprudenza.” Questo basta (per questa volta) alla “giustizia” spagnola per scagionare i 42 dall’accusa di terrorismo, e accusarli di “associazione illegale”.
Dopo 4 anni di carcerazione preventiva (limite massimo permesso dalla legge) per vari imputati, nonostante l’utilizzo della tortura per strappare alcune delle dichiarazioni utilizzate nel processo, nonostante la mancanza di individualizzazione dei fatti e l’accusa in forma generica e collettiva, nonostante i meccanismi farseschi impiegati per la costruzione e per la valutazione della prova; nonostante tutto ciò la sentenza, pur riducendo considerevolmente le pretese iniziali dell’accusa, ha dichiarato Jarrai-Haika-Segi organizzazioni illegali e condannato diversi loro responsabili a pene che raggiungono i tre anni e mezzo di carcere, andando a costituire un grave precedente che si potrà riutilizzare in altri processi simili.
L’attività processuale è stata il più possibile dedicata a stabilire comunque connessioni fra le tre organizzazioni giovanili ed ETA.
Nonostante per l’impianto accusatorio questa sentenza abbia come dicevamo rappresentato una smentita non da poco, la commedia repressiva è proseguita lo scorso novembre con l’apertura del maxiprocesso “18/98”, sempre basato sull’infame lavoro di Garzon e Marlaska, coadiuvati dal potere politico spagnolo.
Un procedimento che si è costruito negli anni, con ripetute ondate di perquisizioni e arresti contro il quotidiano e la radio baschi Egin e le imprese che li gestivano, l’associazione internazionale Xaki, Pepe Rei direttore della rivista Ardi Beltza, l’organizzazione politica Ekin, l’associazione per la lingua basca AEK (il cui giudizio è, durante il processo, passato a un tribunale ordinario), la fondazione Joxemi Zumalabe.
Altre realtà sono state successivamente incriminate in processi formalmente separati dal 18/98, ma direttamente collegati ad esso, come escamotage tecnico per sottrarre la decisione sulla legittimità dei procedimenti a una sezione del tribunale che già non si era dichiarata favorevole ai criteri dello stesso, inficiando parte del lavoro accusatorio del giudice Garzon. Fra queste troviamo appunto le associazioni giovanili Jarrai - Haika - Segi, Askatasuna, i circoli “Herriko Tabernak”, l’assemblea degli eletti baschi Udalbitza, l’associazione di solidarietà coi prigionieri politici Gestoras Pro Amnistia, il giornale Euskaldunon Egunkaria.
A metà novembre 54 accusati si sono visti costretti a pochi giorni dall’apertura del maxiprocesso ad andare a Madrid a prendere l’atto di convocazione che non poteva essere consegnato dati i tempi troppo stretti, 4 imputati hanno avuto la notifica in carcere, e uno non si è presentato a Madrid rischiando un’ulteriore incriminazione.
Il 21 novembre è iniziato il processo, con le questioni previe poste dalla difesa: mancanza di esibizione delle prove, assenza delle stesse durante il processo, completo disordine di quelle presenti, impedendo tutto questo lo sviluppo del processo e la contraddizione fra le parti, come poi vedremo; assenza di due accusati che necessitavano di 10 giorni per arrivare materialmente fino a Madrid; assenza di un accusato per cui non era stata predisposta richiesta di estradizione dalla Francia; rigetto di due “periti” (poliziotti) che avevano partecipato alla fase istruttoria, e pertanto incompatibili con la funzione di periti; mancata notifica dell’inizio del processo a varie imprese e persone giuridiche le cui attività erano state sospese durante l’istruzione del procedimento, minando con ciò la loro possibilità di difesa.
Dopo l’opposizione del PM alle stesse, il tribunale ha deciso in mezz’ora di rigettare tutte le questioni previe poste dalla difesa, avviando precipitosamente le dichiarazioni dei 59 imputati.
Alla richiesta di mostrare le prove contro al primo di essi, la segreteria non ha potuto trovarle fra i 600 faldoni di materiale documentale, a conferma di quanto prefigurato dalla difesa appena prima.
Le udienze successive del processo sono poi trascorse tra il caos completo delle cosiddette prove contro gli accusati; il sistematico diniego per gli stessi, da parte della presidente del tribunale, di esporre le proprie dichiarazioni sul contesto politico in cui si situa il processo o sul proprio rifiuto di rispondere all’accusa; il rigetto delle petizioni della difesa per “parzialità manifesta” del tribunale, anche dopo l'acquisizione di materiale accusatorio per iniziativa della presidente dello stesso; le sonore proteste degli accusati e le conseguenti sospensioni della sessione; e via dicendo.
Dopo circa un mese di udienze, a fine dicembre la situazione in cui versavano le “prove” dell’accusa risultava sempre più disastrata. Inoltre la presidente del tribunale dopo aver autorizzato la difesa a prendere visione di prove secretate dal 1989 (secretate per la difesa ma a cui l’accusa aveva avuto accesso da subito), ha poi negato in una successiva udienza quest’autorizzazione, e infine ha concesso solo alcune ore durante le vacanze natalizie agli avvocati della difesa, per prendere visione di questi oltre 500 faldoni, cento casse con oltre centomila fogli, completamente disordinati e disorganizzati. Tutto ciò a sottolineare il caos in cui è stato montato il processo.
A inizio gennaio, e dopo l’ennesima udienza in cui le prove “ci sono ma non si trovano”, gli avvocati della difesa sollecitano l’intervento dei propri collegi e decani presso il tribunale e si rifiutano di partecipare alle udienze fino al compimento di una riunione fra questi e il tribunale stesso, convocata così per il 13 gennaio.
Data la situazione paradossale e mentre altri organi istituzionali non possono esimersi dal manifestare la preoccupazione per la conduzione del processo, il 12 gennaio il tribunale decide quindi di sospenderlo per 20 giorni, perché “non ci sia traccia di impossibilità di difesa”; la difesa si trova così un piccolo margine di tempo per esaminare le prove utilizzate nell’istruttoria, a cui non aveva finora avuto accesso.
In generale, come scrivono gli avvocati di “Euskal Herria Watch” – Una commissione internazionale di giuristi contro la criminalizzazione delle idee in Euskal Herria, che sta monitorando costantemente il processo e organizzandovi delegazioni internazionali di osservatori - questo conferma il disordine dell’istruzione, il caos documentale e la maniera precipitosa con cui si è condotto tutto il procedimento, dimostrando l’impossibilità per l’Audiencia Nacional di condurlo con le dovute garanzie per gli accusati.
Per quanto riguarda il terzo piano della repressione di cui dicevamo all’inizio, e che si fonda sulla Ley de Partidos, già lo scorso luglio il giudice Marlaska aveva aperto un processo contro i dirigenti dell’EHAK, il Partito Comunista delle Terre Basche, perché questo “ha proceduto ad assumere i postulati di Batasuna, così come quelli della stessa ETA, dicendo che la sinistra abertzale doveva essere ampiamente rappresentata”. Tutto ciò dopo che nelle scorse elezioni l’EHAK aveva deciso di rinunciare al suo programma e di rappresentare nella competizione elettorale la piattaforma di Batasuna e delle successive formazioni indipendentiste illegalizzate dalla suddetta Ley de Partidos.
Marlaska sostiene che ciò corrisponde a “prestare aiuto a ETA”, aggiungendo che “il delitto di banda armata non si limita esclusivamente ai casi di collaborazione con le attività armate” ma che deve estendersi “ai casi di collaborazione generica che favoriscono l’insieme delle attività o il conseguimento dei fini dell’organizzazione”. Con buona pace per la giurisprudenza pregressa.
Sempre in luglio Marlaska ha parallelamente incriminato per appartenenza a banda armata, all’interno del procedimento contro Batasuna (seguito alla promulgazione della Ley de Partidos e che vede una quarantina di imputati), anche il segretario generale del sindacato basco LAB.
All’inzio dell’anno poi si trovava in ballo la decisione sul rinnovo per altri 2 anni del divieto per Batasuna di qualsiasi attività, che era stato emesso due anni fa dal giudice Garzon, e che ora pone alcuni problemi tecnici alla “giustizia” spagnola, in quanto risulta non fattibile legalmente decretare la prosecuzione della sospensione dell’attività di un partito già fuorilegge.
Parallelamente Batasuna convocava per il 21 gennaio la sua assemblea generale nazionale a Barakaldo. Il giudice Marlaska ha colto la palla al balzo vietando l’assemblea e prolungando di due anni la sospensione delle attività del partito. Il giudice ha ordinato alla polizia di bloccare l’evento di Barakaldo e di chiudere i luoghi che erano stati usati per le conferenze stampa relative a Bilbo, Donostia e Iruñea.
Lo stesso giorno un altro giudice ha aperto un procedimento contro il leader di Batasuna Arnaudo Otegi e i due dirigenti Joseba Permach e Joseba Alvarez, per l’incontro del 2004 da cui era venuta fuori la proposta “Ora il Popolo, Ora la Pace”, conosciuta come “Proposta di Anoeta”.
Otegi per parte sua ha quindi dichiarato che l’assemblea di Batasuna si svolgerà in ogni caso.
Marlaska oltre a vietare l’assemblea ha avvertito che chiunque aiuterà Batasuna a realizzarla potrà essere accusato di “favoreggiamento e complicità con un organizzazione armata”, e chiunque non bloccherà l’evento potrà essere accusato di “essere venuto meno al dovere di prevenire un crimine”.
Attualmente la situazione, che sul piano giudiziario vede l’attacco alle rappresentanze indipendentiste basche da una parte, e la conduzione forcaiola dei processi contro gli attivisti della Sinistra Abertzale dall’altra, è complessivamente piuttosto tesa, e il Movimento si sta organizzando per dare una risposta visibile e di massa, a livello nazionale e anche internazionale, a questa operazione di criminalizzazione di un’intero settore della società basca.
Come abbiamo più volte avuto occasione di sottolineare, l’insieme degli eventi repressivi nel Paese Basco ci sembra ancora delineare un quadro sperimentale di come la controrivoluzione preventiva si potrà muovere in tutta l’Unione Europea per criminalizzare le realtà e soggettività che si opporranno ai piani dell’imperialismo europeo e mondiale.
Per tutto ciò ci sembra importante mobilitarci per costruire l’informazione su quanto sta avvenendo nel Paese Basco, nella prospettiva che si possano realizzare anche in Italia delle iniziative, in solidarietà con i militanti indipendentisti baschi, che possano unirsi alla mobilitazione in Euskal Herria; per sottolineare come la lotta della sinistra indipendentista contro la repressione sia un tassello fondamentale della nostra stessa lotta contro la repressione, e che le auspicabili sconfitte della macchina repressiva nel Paese Basco rappresenterebbero inevitabilmente anche un freno all’approfondimento del progetto repressivo e di annichilimento delle realtà in lotta in tutta l’Unione Europea.


Fonti:
www.behatokia.info
www.ehwatch.org
www.gara.net
www.18-98plus.org



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