SENZA CENSURA N.19

marzo 2006

 

We want war

Mobilitazione reazionaria e convergenze politiche sullo stato di guerra permanente

 

Ferrara boys di destra e sinistra: Roma chiama, Milano risponde
Questi mesi recenti hanno mostrato chiaramente come il non mettere al centro dell’agenda politica l’opposizione alla guerra imperialista e il supporto alla resistenza popolare in generale e alla resistenza del popolo arabo in particolare nei sui vari focolai (Iraq, Palestina, Libano in primis) abbia concesso quei margini di manovra ai rappresentanti del blocco sociale dominante per continuare a fomentare la mobilitazione reazionaria di massa.
In questo campo, per citare uno slogan del Maggio francese, cedere un poco significa capitolare molto.
L’istigazione all’odio anti-arabo e anti-mussulmano ha avuto il suo picco con la manifestazione promossa da Giuliano Ferrara sotto l’ambasciata iraniana a Roma e la non meno importante “fiaccolata per Israele” svoltasi lo stesso giorno di novembre a Milano, che come riporta «Repubblica», ha visto la partecipazione di: «Tanti: almeno duemila, che hanno voluto partecipare al presidio sotto le finestre del consolato iraniano. In difesa dello Stato di Israele e «contro ogni forma di antisemitismo». E tutti insieme. Perché ieri sera, a differenza di Roma, a Milano hanno voluto esserci proprio tutti: da Rifondazione a An, dalla Lega all´Udc, dai sindacati a Forza Italia, dai Ds ai Verdi fino ai Radicali.»
Di riflesso, e tale manifestazione ne è un esempio, ha permesso una convergenza ancora più marcata delle forze del centro-sinistra con le ipotesi di allargamento del conflitto in Medio-Oriente suggerite dai neo-cons statunitensi e gli esponenti della destra sionista.
Per meglio contestualizzare l’evento bisogna ricordare la particolarità delle manifestazioni di Roma e Milano, uniche in Europa.
Questo esempio, Insieme alle dichiarazioni riguardanti l’esito delle ultime elezioni in Palestina in cui il ceto politico italiano si è distinto per il suo codismo nei confronti del governo israeliano, mostra come l’Italia sia il paese, assieme alla Germania, tra i più fedeli alleati di Israele.

Israele chiama Milano: la mancata apertura di una scuola araba, l’inaugurazione di una scuola tradizionalista ebraica
Un episodio nel capoluogo lombardo, che ha recentemente premiato con l’Ambrogino d’Oro Maghdi Allan e Oriana Fallaci, mostrante il continuo affermarsi del razzismo istituzionale verso una moderna forma di Apartheid è senz’altro la disparità di trattamento tra i bambini, le famiglie e gli insegnanti della scuola araba Fajr chiusa, e l’apertura della scuola ebraica Merkos [1].
Infatti, mentre veniva interdetta pretestuosamente, con una lettera dell’assessore all’Educazione Bruno Simini, a pochi giorni dall’inizio dei corsi, l’apertura della scuola araba Fajr in via Quaranta - istituto di tipo consolare che vanterebbe circa 500 iscritti e applicherebbe i programmi in vigore in Egitto e l’insegnamento della lingua italiana - e le madri con i propri figli facevano lezione sul marciapiede di una strada molto trafficata, sperando inutilmente che maturasse una soluzione dignitosa che permettesse ai bambini di mantenere il percorso educativo scelto dalle famiglie in Italia, Albertini ha partecipato all’inaugurazione della nuova scuola ebraica Merkos, che fa capo al movimento tradizionalista Chabad Lubavitch, augurandosi che la scuola l’ottenga la parità scolastica e rinnovando l’impegno dell’amministrazione nel sostegno dell’istituto [2].
Siamo assolutamente distanti e ostili da ogni sentimento anti-giudaico e non appartiene alle nostre categorie la contrapposizione confessionale ebrei-mussulmani, ma non possiamo che rilevare la natura di classe e razzista di tale discriminazione soprattutto quando la scuola di via Quaranta è stata oggetto del fuoco incrociato della destra e del disinteresse generale della sinistra, anche non moderata, che non ha giocato nessun ruolo tranne quello di cercare di non riconoscere e far smobilitare la lotta, facendo accettare una soluzione assolutamente al di sotto delle aspettative delle famiglie.
L’Italia diventa per gli immigrati, arabi in particolare, sempre più un territorio simile alla Palestina sotto l’occupazione israeliana: il diritto all’istruzione diviene sempre più negato per i giovani palestinesi, mentre si celebrano in maniera compiaciuta i fasti dell’istruzione sionista.

Iran, Siria e Libano al centro della propaganda di guerra
Tornado all’iniziativa costruita da Ferrara, questa era stata promossa grazie alla strumentalizzazione di alcune affermazioni del Premier iraniano sull’entità sionista ed aveva come fine la preparazione all’aggressione militare all’Iran, così come le polemiche anti-siriane successive all’uccisione di Hariri in Libano e il presunto appoggio siriano alla resistenza irachena, avevano come obbiettivo la formazione di un retroterra favorevole per un attacco alla Siria, la divisione del Libano in patrie etnico-confessionali secondo i vecchi progetti sionisti e falangisti, l’accerchiamento e il disarmo della resistenza a cominciare dai gruppi palestinesi e degli Hizballah.
Le infuocate dichiarazioni e i provvedimenti giudiziari contro le legittime e pacifiche contestazioni a diplomatici israeliani in diverse facoltà e città Italiane (Firenze, Milano, Pisa, Torino), così come le polemiche contro il sindaco del comune campano che ha dedicato una strada ad Arafat e la ripresa di iniziativa della “Sinistra per Israele”, nonché le affermazioni di alcuni esponenti della sinistra non moderata, tra cui forse le più discutibili sono quelle di Daniele Farina del SPA Leoncavallo eletto in Consiglio Comunale a Milano tra le file di Rif. Com. [3] sono sintomatiche di un legame organico tra gran parte delle forze della sinistra e la politica israeliana nelle sue linee di fondo.

Il farsesco balletto del ritiro concordato dall’Iraq
Il capogruppo diessino a Montecitorio, Luciano Violante, aveva sottolineato come, dopo il voto di luglio sulla prosecuzione delle missioni militari attualmente in corso, si aprisse in seno all’opposizione il problema di raggiungere un accordo di più vasto respiro sull’uso della forza nelle relazioni internazionali, mentre più recentemente Fassino ha sostenuto che il ricorso della forza non può essere totalmente escluso dalla politica internazionale, pur restandone l’extrema ratio.
Il nuovo ambasciatore americano a Roma, Ronald Spogli, dopo un incontro avuto il 20 settembre scorso con Prodi, Fassino, D’Alema e Rutelli e Boselli a Villa Taverna, aveva sostenuto la tesi secondo la quale, in caso di vittoria, i leader del centro-sinistra avrebbero concordato qualsiasi iniziativa sull’Iraq con Washington.
Successivamente, il 7 novembre, dal convegno dei DS svoltosi a Roma, Fassino ha reso noto che un eventuale nuovo governo di centro-sinistra dovrebbe fissare un calendario per il ritiro, escludendo però che il ripiegamento completo possa avvenire “in ventiquattro ore” e senza una verifica delle condizioni sul terreno [4].
«Sul futuro del contingente italiano in Iraq c’è quindi una sostanziale convergenza di opinioni tra il centro-destra e la parte più moderata dell’Unione»», sostiene ragionevolmente Germano Dottori, curatore della sezione Obiettivo Italia, della «Rivista Italiana di Difesa», sul numero del dicembre 2005: su quest’asse Bipartisan le scelte belliche della futura classe politica dirigente andranno a maturare.

L’opzione spagnola? Ritiro delle truppe dall’Iraq, incremento in Afghanistan
«La pianificazione di un rimpatrio [dall’Iraq, n.d.c.], secondo le linee guida preannunciate da Berlusconi», ci informa la rubrica Obiettivo Italia sul numero di gennaio di «Rivista Italiana di Difesa», «sembra comunque coerente anche con le risorse stanziate dalla Finanziaria 2006 per il complesso delle missioni in corso all’estero [il Fondo per le missioni internazionali di pace è passato da 1.200 a mille milioni di euro, n.d.c.], specialmente se si tiene conto della probabile decisione di incrementare la consistenza del contingente inviato in Afghanistan: circostanza che è stata maliziosamente fatta notare nella Commissione Difesa della Camera durante il dibattito sulla manovra di bilancio.
Al riguardo occorre comunque sottolineare come l’8 ottobre il Consiglio del Nord-Atlantico, massima istanza politica della NATO, è stato chiamato a pronunciarsi sull’estensione delle competenze dell’ISAF alle regioni meridionali del Paese. Qualora una decisione venga presa in tal senso, come caldeggia Londra, serviranno non meno di seimila uomini aggiuntivi rispetto a quelli sui quale conta attualmente il generale Mauro Del Vecchio. E forse Bruxelles busserà anche alle porte del nostro governo.»
Bisogna ricordare che in Afghanistan l’Italia partecipa sia alla missione ENDURING FREEDOM, coalizione a comando USA, di 70 paesi, sia alla missione ISAF, che è passata dall’ombrello ONU (gennaio 2002-agosto 2003) a quello NATO.
Per EF il maggiore contributo italiano è dato dalla Marina Militare, mentre per la missione ISAF l’Italia ha assunto il ruolo di nazione guida per il Team Provinciale di Ricostruzione a Herat e la supervisione dell’Afghanistan sud-occidentale, si occupa della ricostruzione del sistema giudiziario e carcerario Afghano, ha addestrato la polizia locale a Kabul e il “genio” del Afghan National Army.
Il ritiro graduale delle truppe dell’Iraq e un implemento di quelle di stanza in Asia, sembra uno scenario futuribile, magari con un incremento del ruolo svolto nella regione Medio Orientale.
Va infatti ricordato che a capo della delegazione europea che monitorizza il valico di Rafah, tra Egitto e Striscia di Gaza, aperto a fine novembre, c’è non a caso Pietro Pistolesi, generale dell’Arma, e che in Giordania è stata il teatro dell’esercitazione congiunta con l’Italia: “Easter Desert 2005”.
Sempre rispetto all’Afghanistan va detto che la Gran Bretagna si appresta a schierare tra aprile e maggio nuove truppe, 3.500 unità oltre alle 850 già presenti, destinate alla provincia meridionale di Helmand.
Come riporta il Sole-24 Ore di giovedì 26 gennaio : «Alcuni osservatori hanno visto nella mossa di Londra [...] un sintomo di ripensamento dei ruoli tra le truppe della coalizione. L’Italia che opera attualmente con oltre 2mila uomini in Afghanistan, lascerà la guida ISAF in maggio, in coincidenza con il dispiegamento inglese.»

Da “Antica Babilonia” a “Nuova Babilonia”: ritiro graduale, addestramento delle Forze di Sicurezza e ricostruzione secondo Antonio Martino
L’intervento del ministro della Difesa, Antonio Martino, davanti alle commissioni Difesa di Camera e Senato a Montecitorio, del 19 gennaio, a cui i media hanno dato notevole risalto, contiene interessanti spunti per comprendere l’evoluzione del ruolo dell’Italia nel quadro Iracheno, ne riportiamo, commentandoli, alcuni stralci e quasi interamente, vista la ricchezza di informazioni, la fase conclusiva [5].
Esprimono non solo il punto di vista dell’attuale governo ma le linee di intervento che svilupperà in buona parte, qualsiasi maggioranza governativa si installerà, salvo lo sviluppo di significative mobilitazioni contro la guerra.
Innanzitutto segnaliamo due affermazioni, la prima, successiva all’elenco dei successi della “democratizzazione” irachena nel quale il ministro afferma: «crediamo che tutto ciò in Iraq sia possibile anche per la nostra presenza, da quando, terminata la guerra, alla quale non abbiamo partecipato, siamo intervenuti per aiutare la pacificazione del paese», la seconda: «ci si interroga sulla nostra strategia d’uscita. Come abbiamo più volte detto, noi la definiamo “strategia del successo”: man mano che portiamo a compimento i nostri compiti possiamo alleggerire la nostra presenza».
La linea governativa è sempre la stessa: alla guerra non abbiamo partecipato ma abbiamo portato la pace con successo per estirpare alle radice il terrorismo internazionale.
Più avanti si parla del concorso internazionale nella definizione dell’attuale situazione irachena e si evidenzia giustamente che:«la sola presenza dei militari italiani costituisce un segnale politico, sia nel senso della continuità dell’impegno della comunità internazionale, e in particolare degli europei, sia quale evidenza che la stabilizzazione e la ricostruzione sono responsabilità che non fanno capo solo agli Stati Uniti.»
Si cita il fatto che in seguito alla richiesta del governo fantoccio in novembre il Consiglio di Sicurezza dell’ONU ha prolungato il mandato della Multinational Force sino a tutto il 2006, si ricorda l’impegno Nato e quello dei paesi arabi, che, aggiungiamo noi, attraverso l’annuncio del presidente egiziano della Lega Araba amr Moussa, si è resa disponibile a inviare un contingente di militari per contribuire alla stabilizzazione dell’Iraq, quando la coalizione guidata dagli Stati Uniti avrà abbandonato il Paese.
Martino ribadisce che «Soltanto dopo avere conseguito significativi progressi nella preparazione delle Forze di sicurezza irachene, in termini di standard qualitativi e non solo quantitativi, si potranno porre le basi di una graduale e credibile strategia di disimpegno.» e ricorda che i contingenti italiani hanno finora addestrato oltre 11.000 poliziotti e circa 2.000 soldati.
Sulla ricostruzione Martino ritiene di utilizzare le esperienze maturate sul campo dall’imperialismo italiano, a cui tra l’altro gran parte del centro-sinistra ha dato il suo assenso: «il progetto più accreditato è rappresentato dalla costituzione di una struttura del tipo di quella sperimentata in Afghanistan, sia pure in un contesto ben differente, che richiede diverse soluzioni. Mi riferisco alla formazione di “Provisonal Recostruction Team”(Prt), di cui tre sperimentali sono già attivati dagli Stati Uniti. Il modello generale muove dalla prospettiva della piena assunzione da parte irachena di tutta l’attività dei Prt stessi nell’arco di un paio di anni, prevedendone la disattivazione con il definitivo passaggio di responsabilità al “Local Governance Program”, per la fine del 2007.»
L’importanza del businnes della ricostruzione per le aziende italiane viene affermato esplicitamente: «Sul piano civile, si esplorano tutte le ipotesi di collaborazione e realizzazione di comuni strategie economiche e di intervento, quali la possibile creazione di joint-venture tra imprese italiane e locali in specifici settori d’intervento passando da interventi di emergenza a progetti più mirati di ricostruzione.
Una missione di operatori economici italiani è prevista in questo mese in DhI Qar e successivamente in Kurdistan. Si sta anche trattando la possibilità di realizzare a Nassiriya un’area attrezzata a ospitare nuove strutture economiche interessate a operare nella provincia.».
Si giunge poi alle tappe del calendario della missione e al contingente impiegato, fino al prendere forma della missione “Nuova Babilionia”.
«Con il miglioramento della situazione di sicurezza e col crescere delle capacità delle forze di sicurezza irachene, le attività di presenza del contingente nazionale, in particolare quelle di sorveglianza areale, si diraderanno sempre più. Già ora l’attività del nostro Contingente è focalizzata su: l’attuazione della riforma del settore di sicurezza iracheno; l’azione di “monitoring-mentoring” delle forze di sicurezza irachene; progetti Cimic, di cooperazioni civili-militari.
Progressivamente, si configurerà un ulteriore e più sostanziale conferimento di responsabilità alle forze irachene, mentre le forze della Coalizione si limiteranno alla “Force protection” delle infrastrutture chiave e a rendere disponibile una forza di pronta reazione nel caso in cui la situazione di sicurezza dovesse deteriorarsi.
Tale significativa riconfigurazione dei compiti operativi è previsto che si protragga orientativamente fino alla metà del 2006. Essa consentirà una consistente riduzione numerica del contingente, secondo un calendario così stabilito: una riduzione di circa 300 uomini in questo mese di gennaio 2006; una riduzione di circa 1.000 uomini entro il mese di giugno 2006. In tal guisa, rispetto alla composizione standard del contingente di 3.200 uomini e tenendo in conto anche la riduzione di 300 unità attuata nello scorso mese di settembre, al mese di giugno 2006 si sarà realizzata una riduzione complessiva di circa metà della forza. Con l’inizio del secondo semestre dell’anno, in concomitanza con il dibattito parlamentare per la proroga delle missioni in detto periodo, resteranno circa 1600 uomini. In quel periodo dell’anno, sarà già stato avviato il diverso impegno di sostegno e aiuto al popolo iracheno, che dovrà essere concordato con gli alleati e con il legittimo Governo iracheno.
Un impegno a prevalente caratterizzazione civile, che non escluderà una presenza militare, del tutto distinta dall’attuale, per garantire le irrinunciabili condizioni di sicurezza agli operatori civili. In particolare, siamo in condizioni di assumere la responsabilità della direzione e della gestione di un eventuale futuro Prt nella Provincia del Dhi Qar, nonché il controllo dei principali settori d’intervento: “governance” e “capacity building”, “rule of law” e sviluppo delle infrastrutture. Una prospettiva che conferirebbe valore aggiunto al grande sforzo sostenuto dal contingente militare nazionale nella precedente fase di stabilizzazione e ricostruzione. A tale ipotesi il Dicastero degli Esteri, sta lavorando con i partner per meglio definire l’impegno organizzativo e finanziario e il relativo arco temporale, che potrebbe interessare gli anni 2006 e 2007. Quando tali aspetti saranno più chiari, il Governo potrà portare la questione in Parlamento, che su di essa dovrà esprimersi. Dunque, mentre l’Operazione “Antica Babilonia” andrà esaurendosi in corso d’anno, crescerà contestualmente un altro tipo di missione, di natura sostanzialmente civile: verrebbe naturale pensare di chiamarla Operazione “Nuova Babilonia”.
Va chiaramente detto che non si tratta della stessa cosa con diverso nome. L’una è sostanzialmente diversa dall’altra, per mandato della missione, in termini militari per diversi ordini e direttive operative, per dimensione e per qualità, degli operatori, delle attività, della catena organizzativa e di comando e controllo. In tale quadro l’operazione militare “Antica Babilonia” ultimerà gradualmente il proprio mandato nel corso dello stesso anno 2006 e sarà considerata conclusa alla fine dell’anno, avendo definitivamente compiuto la propria missione.»

Dal mediterraneo a tutta l’Africa
L’intervento in Sudan è solo l’ultimo, in ordine cronologico, ed è stato approvato all’unanimità dalle forze politiche istituzionali della maggioranza e dell’opposizione.
220 soldati italiani sono nel paese africano dalla fine del giugno dell’anno scorso per adempire alla OPERAZIONE NILO, sotto l’egida dell’ONU, che ha inviato 10.000 caschi blu per questa missione.
Per ciò che concerne il continente africano, è utile ricordare le continue esercitazioni congiunte che la Marina Militare fa con le altre marine militari di tutti i paesi che si affacciano sul bacino del Mediterraneo, principalmente di due tipi: quelle che comprendono paesi della sponda nord e della sponda sud e quelle che comprendono la MM italiana e un paese singolo della sponda sud o del bacino adriatico.
Il 15 novembre è stato siglato l’accordo con cui l’Italia e la Francia hanno sancito l’avvio del programma FREMM e la sua integrazione all’interno dell’OCCAR, l’agenzia multinazionale europea specializzata nel procurement di sistemi militari.
Si tratta del maggiore programma navale mai avviato in Europa, e ha come oggetto la costruzione di una nuova classe di fregate multimissione per la Marine d’Italia e di Francia.
Le 27 nuove fregate rappresenteranno la spina dorsale delle rispettive marine, e per l’Italia andranno a sostituire a partire dal 2010 le otto fregate classe Maestrale, entrate in linea tra il 1982 e il 1985.
Ad ottobre è stata varata a Genova l’Andrea Doria, prima delle due fregate, commissionate dalla MM nel 2000 alla Fincantieri, esempio della cooperazione italo-francese sulla classe “Orizzonte”.
La ristrutturazione della cantieristica navale, incorporata sempre più nel complesso-militare industriale e gli ambiziosi progetti avviati di rinnovamento dei mezzi della flotta della MM, come delle altre Forze Armate e delle Forze di Polizia sono tra l’altro indicatori del ruolo ha assunto la Penisola al centro del Mare Nostrum.
Le esercitazioni compiute queste estate nell’Africa centro occidentale (WATC-05) e la presenza militare in Sudan sono due esempi della proiezione degli interessi italiani nel continente Africano

Note

1 Tra l’altro, Milano aveva già una Scuola della Comunità ebraica, in via Sally Mayer, che è oggi un moderno e funzionale complesso scolastico che ospita circa 600 alunni, dall’asilo nido alle scuole superiori .Sulla vicenda della scuola di via Quaranta, si vedano gli interessanti comunicati di Rete Scuole Milano, sul sito: http://www.retescuole.net/, tra i pochi – insieme ad uno sparuto gruppo di compagni i soli - a prendere una posizione chiara rispetto alla vicenda, portando solidarietà ai diretti interessati.
2 Alla cerimonia, uno dei 2mila centri aperti dal movimento Lubavitch in tutto il mondo, erano presenti i due rabbini capo di Israele, e tra l’altro il capogruppo dei DS in consiglio comunale Michele Fiano e le dotazioni di telecomunicazioni della struttura milanese sono state finanziate da Alcatel, che sostiene il progetto e che ha visto il proprio amministratore delegato tra i presenti.
3 Sulle illuminanti affermazioni di questo novello utile idiota del sionismo in Italia, candidato alle elezioni legislative per Rif.Com., si possono vedere gli articoli pubblicati su «Corriere della Sera» e «Repubblica» nel maggio scorso e come “risposta” pacata la Lettera aperta a Daniele Farina e ai compagni del Centro Sociale “Leoncavallo” del Forum Palestina, che si possono trovare in: http://www.arcipelago.org/palestina/News%202005/lettera_aperta_a_daniele_farina.htm
4 Il Convegno dal nome: “le nuove sfide della difesa italiana”, organizzato dalla Dir. Naz. dei DS e conclusosi con l’intervento del Segr. Naz., Piero Fassino, precedentemente citato, ha visto le relazioni di esponenti di spicco delle Forze Armate, della NATO, dell’industria militare, della UE, nonché del Ministro della Difesa Antonio Martino.
5 L’intervento si può leggere integralmente su: www.osservatorioiraq.it



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