SENZA CENSURA N.18
NOVEMBRE 2005
Dalla prigione di Gerico
Intervista con Ahmet Saadat, FPLP nella prigione di Gerico, Palestina
Pubblichiamo questa breve intervista perché
riteniamo importante dare spazio ad una voce autorevole della lotta del popolo
palestinese rispetto al ritiro da Gaza, alle possibili soluzioni del conflitto
israeliano/palestinese e i ai rapporti tra le differenti organizzazioni
politiche dell'Intifada.
La costruzione del muro, l'espandersi delle colonie e la "pulizia etnica" a
Gerusalemme sono, tra gli altri, alcuni aspetti, insieme alle continue
incursioni israeliane e agli omicidi mirati dei militanti dell'Intifada, che
mostrano la sostanziale continuità della natura dell'occupazione sionista e le
immutate ragioni della lotta contro di essa.
Inoltre, qualsiasi ipotesi di accordo politico paventato, ovvero qualsiasi
tentativo di risoluzione imperialista della crisi sotto tutela statunitense, è
lontana anni luce dal soddisfare le rivendicazioni storiche del popolo
palestinese: uno stato che sorge sulla Palestina storica dotato di continuità
territoriale e di autonomia decisionale, la possibilità di ritorno dei
profughi palestinesi sulla propria terra, la liberazione dei prigionieri dalle
carceri sioniste.
[Di Mireille Court per «Rouge» (Francia) e Chris Den Hond per «La Gauche»
(Belgio)]
Lo scorso agosto, ci siamo intrattenuti con Ahmet Saadat nella sua prigione di
Gerico, una prigione palestinese, sorvegliata da britannici e nordamericani
(abbiamo potuto filmare quest’intervista – cosa assolutamente non permessa –
che sarà presto disponibile su dvd in arabo, sottotitolata in francese). Ahmet
Saadat è divenuto segretario generale del FPLP (Fronte Popolare per la
Liberazione della Palestina) dopo l’esecuzione con un missile israeliano del
precedente responsabile, Abou Ali Mustapha, nel suo ufficio a Ramallah
nell’agosto 2001. Quando il FPLP ha colpito « allo stesso livello » uccidendo
il ministro israeliano del turismo, conosciuto per le sue posizioni di estrema
destra, Zeevi, il FPLP era nel mirino d’Israele. Il commando e Ahmet Saadat
sono stati condannati dall’Autorità Palestinese in una parodia di processo,
facente parte d’un mercanteggiamento fra l’Autorità Palestinese , Israele e
gli Stati Uniti per poter uscire dalla crisi della chiesa della Natività a
Betlemme.
Come giudica il ritiro da Gaza?
Il ritiro da Gaza è anzitutto il frutto della resistenza del nostro
popolo. Il costo dell’occupazione era divenuto molto elevato per gli
israeliani che si trovavano a un punto morto. Ma il ritiro non significa per
ora la fine dell’occupazione fin quando la sovranità su cielo, mare e terra
non sarà completa. Si possono vincere delle altre battaglie, perché non ci
sono che due vie : o la via proposta da Israele o dai progetti internazionali
come la road map, o la via della lotta. E’ questa via che ci permetterà di
mettere fine all’occupazione e di dare al nostro popolo il diritto
all’autodeterminazione e i suoi diritti nazionali. Sia i diritti nazionali per
costruire uno Stato palestinese in Cisgiordania e Gaza, sia uno Stato
nazionale e democratico sull’insieme del territorio palestinese, uno Stato che
riunisca gli arabi e gli ebrei. Questo Stato non sarà stabilito su una base
etnica, religiosa, di colore o di sesso. Ma per arrivarci, necessiterà una
visione palestinese chiara nel quadro di un programma combattivo, che rifiuti
i progetti politici che trattano la questione palestinese sul piano della
sicurezza, e considerano la lotta del popolo palestinese come terrorismo o
pongono la sicurezza israeliana come base dei negoziati di pace.
La road map per esempio è un progetto di negoziazione e non di soluzione.
Questa continua a essere basata sulla sicurezza. Non è una soluzione per la
questione palestinese, quindi bisogna trovare un’alternativa.
La nostra alternativa si basa sulla lotta diplomatica, su quel che l’Intifada
ha conquistato e sulle risoluzioni internazionali, soprattutto sulle
raccomandazioni dell’Aia. In quel quadro, facciamo appello a riunire una
conferenza internazionale di pace sotto l’egida dell’ONU e sulla base delle
risoluzioni dell’ONU. Queste danno al nostro popolo i suoi diritti
all’autodeterminazione, all’indipendenza e il diritto al ritorno dei
rifugiati.
O si accettano i progetti e le condizioni proposte da Sharon, acccettando
anche che Sharon ci imponga le sue condizioni politiche che si basano
essenzialmente sul furto di gran parte della nostra terra, soprattutto in
Cisgiordania poiché Sharon ha voluto uscire da Gaza per avere mano libera in
Cisgiordania – con la costruzione del muro di separazione, egli vuole imporre
un altro fatto compiuto in un’eventuale negoziato politico –, o si continua la
resistenza. Non c’è altra scelta.
Il muro inghiotte il 58% del territorio della Cisgiordania, inoltre separa
Gerusalemme dalla Cisgiordania e contribuisce anche all’operazione che
trasforma Gerusalemme in città ebrea. Sfortunatamente, la politica della
colonizzazione di Sharon è sostenuta da Bush, che gli ha dato nuove garanzie
alla fine del 2004. In queste garanzie, il ritorno dei rifugiati è considerato
come un ostacolo a una soluzione di pace. Egli considera che le colonie in
Cisgiordania sono una realtà che non si può negare nei negoziati per la pace.
Sfortunatamente, è la posizione di Bush. E’ un sostegno chiaro alla politica
di Sharon. Ogni giorno, leggendo i giornali, si apprende che Israele
ingrandirà una colonia o ne costruirà un’altra, e la costruzione del muro non
è ancora terminata.
Sharon è chiaro nella sua politica. Ritirando l’esercito israeliano da Gaza,
vuole sbarazzarsi di una crisi per rinforzare la sua presenza strategica in
Cisgiordania, perché questo gli permette di controllare la metà o il 60% del
territorio della Cisgiordania. Come dire l’aborto della possibilità di uno
Stato palestinese, della sua sovranità. In questo modo, la Cisgiordania sarà
divisa in vari bantustan. Dopo Sharon, per unire i Bantustan tra loro, si
possono costruire delle strade che passano in gallerie. Uno Stato che è diviso
in diversi bantustan e separato da un muro non è uno Stato, perché non ha
sovranità e indipendenza e non ha la possibilità di sopravvivere. Questo è il
progetto di Bush.
Ci sarà una terza Intifada?
Per parlare di una terza Intifada, bisogna prima che si finisca la
seconda. Perché pensiamo che questa non sia ancora finita. Può darsi che sia
un po’ affievolita, ma il conflitto non è ancora terminato. Posso parlare di
un’altra tappa dell’Intifada. Riguardo ai mezzi della lotta dell’Intifada, c’è
la lotta democratica delle masse sotto la forma della lotta popolare o della
lotta armata. Questo dipende dal contesto. Noi non sacralizziamo alcuna forma.
Crediamo in tutte le forme di lotta. Dato che l’occupazione e la
colonizzazione israeliana non sono ancora terminate, abbiamo tutte le ragioni
di continuare l’Intifada. Tutte le forme della lotta sono necessarie e
importanti. Anche la lotta armata è importante. Non la si deve abbandonare.
Il sindaco FPLP a Betlemme è stato eletto con il sostegno di Hamas, è un
accordo di tattica elettorale unicamente per Betlemme o si potranno prevedere
altri accordi tattici o strategici fra il FPLP e Hamas ?
Sulla base d’una strategia di lotta comune contro l’occupazione israeliana e
di costruzione dell’OLP, il nostro obiettivo non è avere un accordo solo con
Hamas, ma con tutte le correnti politiche del popolo palestinese. Riguardo
alle elezioni municipali e specialmente a Betlemme, i rapporti di forza hanno
obbligato Hamas a sostenere sia il candidato di Fatah, sia quello del Fronte
Popolare. E’ normale nel contesto del rapporto di forza attuale, se il Fronte
Popolare ha una possibilità di essere alla guida di Betlemme, tramite il
sostegno di Hamas o della Jihad Islamica o di un’altra formazione politica,
anche Fatah, la deve cogliere. Ciò non ci pone alcun problema.
Ma perché si parli di un’alleanza strategica fra il Fronte Popolare e Hamas,
bisogna che si sia d’accordo su un programma politico. Ci sono effettivamente
dei punti comuni e la stessa visione sul modo di gestire la lotta contro
l’occupazione sionista. Altrove nel mondo arabo ci sono dei movimenti
dell’Islam politico che militano contro l’imperialismo, contro il progetto del
grande Medio Oriente, contro la mondializzazione e le sue conseguenze sul
mondo arabo, come fanno delle correnti nazionaliste o di sinistra. Ma sul
piano strategico, noi vogliamo costruire un polo di sinistra democratica. C’è
un polo islamico col suo progetto e c’è un altro polo della borghesia, è
l’Autorità palestinese e Fatah. Noi da parte nostra proviamo con tutte le
nostre forze a costruire un terzo polo, un polo di sinistra democratica, Che
sarà il terzo polo fra Hamas e Fatah in Palestina.