SENZA CENSURA N.18

NOVEMBRE 2005

 

Dietro alla ricostruzione in Iraq...

Un esercito di forzati del Sud Est asiatico

 

Abbiamo già fornito un quadro sintetico dei “forzati” immigrati che lavorano per l’esercito statunitense in Iraq in: “Agenzie interinali alla guerra, proletari al macello” sul numero 16 di SC.
Questo articolo giornalistico fornisce un approfondimento analitico sull’argomento.

I dollari dei contribuenti americani e le esigenze dell’esercito Usa in tempo di guerra stanno alimentando un canale illecito di manodopera straniera a buon mercato, principalmente asiatici impoveriti che spesso vengono ingannati, sfruttati e messi in pericolo in Iraq a causa della poca protezione loro accordata.
Gli Stati Uniti hanno a lungo condannato le pratiche che caratterizzano questo commercio umano quando è effettuato in altri paesi del Medio Oriente. Tuttavia, questo stesso sistema adesso fa parte della privatizzazione dell’impresa bellica americana ed è centrale per le operazioni della KBR, una controllata della Halliburton, il più grande appaltatore privato delle forze armate Usa in Iraq.
Per documentare questo sistema, il Tribune ha ripercorso il viaggio di 12 nepalesi rapiti lo scorso anno da un convoglio non protetto in viaggio verso una base militare americana in Iraq.
L’inchiesta del Tribune ha scoperto che, per mantenere il flusso di manodopera a basso costo, elemento chiave per il supporto alle forze armate e alla ricostruzione in Iraq, l’esercito statunitense ha permesso alla KBR di associarsi con subappaltatori che assumono lavoratori provenienti dal Nepal e da altri paesi che proibiscono ai propri cittadini di andare in Iraq.
Questo significa che i mediatori che reclutano lavoratori di questo genere operano illecitamente. Le forze armate Usa e la KBR non si assumono alcuna responsabilità per il reclutamento, la collocazione o la protezione dei lavoratori stranieri portati al paese. La KBR lascia ogni aspetto dell’assunzione e della collocazione nelle mani dei suoi subappaltatori. Questi subappaltatori si rivolgono spesso a mediatori di manodopera che si occupano di lavoratori umili.
Lavorando in tandem con le controparti in Medio Oriente, i mediatori nell’Asia del sud e del sud-est reclutano lavoratori da alcune delle zone più remote del mondo. Attirano i lavoratori in Iraq con false promesse di lavori ben remunerati e sicuri, in nazioni come la Giordania e il Kuwait, persino falsificando i documenti per completare l’inganno. Anche dopo che i lavoratori stranieri scoprono di essere stati ingannati con false promesse, hanno poca scelta se non quella di continuare in Iraq o rimanere più a lungo di quanto progettato.
Si sentono in trappola perché devono rimborsare gli anticipi enormi dei mediatori. Alcuni dei subappaltatori Usa in Iraq – e i mediatori che li riforniscono - utilizzano metodi condannati altrove dagli Stati Uniti, compresi la frode, la coercizione e la confisca dei passaporti dei lavoratori.
Il Dipartimento di Stato ha espresso per molto tempo le proprie preoccupazioni sul trattamento dei lavoratori stranieri nelle stesse nazioni del Medio Oriente su cui gli Stati Uniti contano per fornire lavoro per le basi in Iraq. In giugno, il Dipartimento ha aggiunto quattro di queste nazioni - Kuwait, Qatar, Arabia Saudita e Emirati Arabi Uniti – ai primi posti della sua “watch list” relativa al traffico di esseri umani per non avere intrapreso “sforzi significativi per combattere il traffico forzato di lavoratori”.
Le leggi statunitensi prevedono delle sanzioni in questi casi.
Ma il mese scorso, citando gli sforzi del Kuwait e dell’Arabia Saudita “nella guerra globale al terrorismo”, il presidente Bush ha rinunciato alle sanzioni contro di loro. Ciò ha permesso che più di 6 miliardi di vendite militari complessive andassero avanti. Uno dei motivi per cui i lavoratori provenienti dai paesi in via di sviluppo vengono ricercati per lavorare in Iraq è che le forze armate Usa temono che l’assunzione di iracheni permetta ai ribelli di infiltrarsi nelle loro basi.
La Halliburton non dice se include tali lavoratori nei suoi conteggi pubblici delle vittime fra i contractor della in Iraq. Ma cifre compilate dall’Iraq Coalition Casualty Count, un gruppo privato, indicano che i cittadini di paesi terzi – né iracheni né cittadini membri dei paesi della coalizione Usa - rappresentano più di 100 dei circa 270 infortuni mortali tra i contractor nel paese dall’inizio della guerra. Questi numeri si basano sulle ricerche fatte dal gruppo sui comunicati del Dipartimento della Difesa e sui resoconti dei media.
La Halliburton ha rifiutato di mettere a disposizione i dirigenti della KBR per un’intervista, acconsentendo a rispondere soltanto alle domande scritte del Tribune. In un comunicato scritto, la Halliburton ha detto di fornire lo schema “dei comportamenti legali ed etici che ci si aspetta che tutti i dipendenti e i subcontractor seguano in ogni aspetto del loro lavoro”.
Le forze armate Usa hanno appaltato operazioni vitali di supporto in Iraq alla KBR su una scala senza precedenti, un affare che è costato a contribuenti degli Stati Uniti più di 12 miliardi di dollari.
La KBR, a sua volta, appalta molto di quel lavoro a più di 200 subappaltatori, molti dei quali hanno sede in Medio Oriente.

Un esercito di lavoratori
I subcontractor impiegano un esercito di lavoratori proveniente dai paesi in via di sviluppo per distribuire le porzioni di cibo, lavare gli abiti e per pulire le latrine. Circa 35.000 delle 48.000 persone che lavorano per questi subcontractor non sono americani, dice la KBR.
Come indicato dalle dichiarazioni sulle retribuzioni dei dipendenti ottenute dal Tribune, la paga per tali lavoratori di questo tipo può variare dai 65 ai 112 dollari settimanali - una fortuna per coloro che si guadagnano la vita nei campi delle aziende agricole e nelle fabbriche di mattoni del Nepal, dove il reddito annuo pro capite è di circa 270 dollari.
Il governo nepalese deve concedere un permesso prima che i lavoratori possano andare legalmente all’estero o i mediatori possano mandarceli legalmente. Ha rifiutato di farlo per l’Iraq, a causa dei pericoli. Alcuni mediatori di manodopera nepalesi hanno subito delle ispezioni o hanno chiuso, ma non è chiaro con che vigore le autorità abbiano perseguito quelli coinvolti. Il governo, ripetutamente classificato tra i più corrotti al mondo, ha pochi incentivi per farlo poiché l’economia nepalese fa affidamento sul miliardo di dollari che secondo le stime viene inviato a casa ogni anno dai cittadini che lavorano all’estero.
Molti nepalesi corrono volentieri i rischi di lavorare in Iraq, anche se la loro conoscenza dei suoi pericoli, prima di lasciare il loro paese, è discutibile. Quando la guerra è scoppiata, nel 2003, solo 16 nepalesi su 1.000 avevano una linea telefonica.
Le forze armate Usa e la KBR non controllano i lavoratori per determinare se vengano dal Nepal e da altre nazioni che proibiscono ai loro cittadini di lavorare in Iraq. Ma le forze armate potrebbero farlo facilmente, poiché rilasciano i tesserini di riconoscimento che elencano la nazionalità di ogni lavoratore, il nome, il lavoro ed il subappaltatore che lo impiega.
Alla domanda su cosa stava facendo per arrestare il flusso di lavoratori da queste nazioni o per controllare i propri subappaltatori, la KBR ha risposto che le domande “che riguardano le pratiche di reclutamento dei subcontractor dovrebbero essere rivolte direttamente al subcontractor”.
L’esercito degli Stati Uniti, che ha la supervisione del contratto, ha detto più o meno la stessa cosa.
“Le domande che riguardano presunti comportamenti scorretti nei riguardi di dipendenti di imprese subappaltatrici dovrebbero essere indirizzate a queste imprese, poiché questi non sono problemi dell’esercito”.
La KBR ha detto che non tollera i subcontractor che abusano dei loro lavoratori. Ma ha rifiutato di citare qualunque azione specifica intrapresa contro qualunque dei suoi subappaltatori dall’inizio della guerra.
La società non ha risposto a parecchie delle domande riguardanti il caso dei 12 nepalesi o su qualsiasi altro abuso specifico scoperto dal Tribune. Si stima che 10.000 loro connazionali siano attualmente in Iraq malgrado le politiche che limitano un lavoro di questo tipo. Molti sono impiegati nelle basi americane in cui la KBR gestisce le operazioni di supporto, secondo Prakash Mahat, che era Ministro degli Esteri del Nepal fino a febbraio.
Le Filippine, originariamente un partner nella coalizione guidata dagli Usa, hanno istituito un divieto l’estate scorsa dopo gli attacchi contro i lavoratori filippini in Iraq. Prima di allora, il paese aveva delle disposizioni che hanno contribuito a proteggere i lavoratori dallo sfruttamento perché avevano eliminato efficacemente i mediatori di manodopera.
I filippini disposti a rischiare di lavorare in Iraq passavano attraverso i canali ufficiali, che si accertavano che essi non dovessero pagare percentuali al mediatore e li aiutavano a garantire i termini contrattuali.
Ma dopo il divieto delle Filippine, i lavoratori filippini che sperano di andare in Iraq passano attraverso agenzie che operano illegalmente e chiedono percentuali esorbitanti. Le agenzie trasportano i lavoratori attraverso le nazioni confinanti del Medio Oriente, dice Ricardo Endaya, che era un alto funzionario dell’ambasciata filippina a Baghdad fino a poco tempo fa. Molte delle stesse ditte sono coinvolte in pratiche condannate dagli Usa, compresa quella di allettare i lavoratori con false promesse o contratti, cambiando successivamente tipo di lavoro o di contratto all’arrivo.
Anche dopo che vengono a sapere che saranno in una zona di guerra - o che i loro salari saranno inferiori a quanto promesso - alcuni si sentono costretti ad andare in Iraq o a rimanerci più di quanto previsto per poter rimborsare il denaro che le loro famiglie hanno preso in prestito per mandarli là.
“Se potessi andarmene adesso, lo farei, ma non ancora neppure saldato il mio prestito”, dice Sahib Yadev, ventiquattrenne che proviene dall’Uttar Pradesh, India, che stava lavorando alla base americana denominata Camp Liberty vicino all’aeroporto internazionale di Baghdad quando il Tribune lo ha intervistato all’inizio dell’anno.
Un reporter del Tribune “embedded” questa estate con le forze degli Stati Uniti a Camp Liberty, che è sotto il fuoco nemico quasi ogni giorno, è stato portato nella zona della base dove vivono i lavoratori stranieri gestita dalla subappaltatrice Prime Projects International, (d’ora in avanti PPI), i cui uffici sono situati negli Emirati Arabi Uniti.
Molti altri lavoratori intervistati condividono i sentimenti di Yadev, ma come la maggior parte di coloro che lavorano per la KBR nelle basi Usa in Iraq, non dovrebbero parlare con i giornalisti, e lo hanno fatto solo a condizione di mantenere l’anonimato. Un dipendente americano della KBR ha accompagnato il reporter al campo, dove egli ha intervistato numerosi lavoratori.

Passaporti confiscati
Tutti i lavoratori dell’Asia del sud dicono che la PPI ha preso i loro passaporti all’arrivo. I supervisori occidentali della PPI al campo hanno detto che la società tiene i passaporti dei lavoratori per motivi di sicurezza. I supervisori dicono di temere che, se i documenti andassero persi, sarebbe difficile per i lavoratori ottenerne di nuovi, poiché la maggior parte dei loro paesi non ha ambasciate in Iraq.
Veerus, un lavoratore indiano che ha parlato a condizione che il suo cognome non venisse utilizzato, dice che i lavoratori hanno insistito per tenere con sé i loro passaporti. Ma la PPI , dice ancora Veerus, ha risposto loro con un ultimatum: non sarebbero stati pagati finché l’azienda non avesse avuto i loro passaporti.
Altri lavoratori del campo sospettano che l’azienda abbia tenuto i loro passaporti per un altro motivo. “Potremmo trasferirci in un’altra azienda”, dice un altro lavoratore indiano della PPI, che ha chiesto di non essere identificato. “Stanno pagando pochissimo e altre aziende potrebbero pagare salari molto buoni. Senza passaporti, sanno che non possiamo andarcene”.

Come i dollari degli Stati Uniti hanno aiutato il reclutamento degli operai nepalesi
Un sistema elaborato ed in gran parte non documentato per assumere lavoratori stranieri ha portato 12 nepalesi in Iraq, dove sono stati rapiti.
Il governo degli Stati Uniti dà in appalto alla KBR, controllata della Halliburton, operazioni vitali di supporto alle forze armate in un affare di miliardi di dollari, dando alla società la responsabilità della logistica delle basi Usa in Iraq.
La Halliburton/KBR dà fuori in appalto gran parte del lavoro giornaliero in quelle basi a più di 200 subappaltatori, molti dei quali dal Medio Oriente.
I subappaltatori impiegano migliaia di cosiddetti cittadini di paesi terzi, la maggior parte dei quali arrivati in Medio Oriente da nazioni impoverite, per svolgere i lavori umili nelle basi. La KBR lascia praticamente la responsabilità di tutto - reclutamento, sistemazione e sicurezza - nelle mani di questi subappaltatori.
I mediatori del Medio Oriente importano i lavoratori stranieri nelle nazioni vicine all’Iraq e li indirizzano ai subappaltatori della KBR. Uno di questi mediatori ha riferito di essere pagato tra i 300 e i 500 dollari per ogni lavoratore nepalese.
I reclutatori di manodopera dell’Asia del Sud lavorano con le loro controparti del Medio Oriente. Per far entrare i lavoratori in Iraq, a volte presentano documenti falsi ai governi dei loro paesi, dichiarando che i lavori sono in paesi vicini all’Iraq. Questi uomini impiegano i loro propri reclutatori, conosciuti come “dalal”, che girano per i villaggi rurali alla ricerca degli aspiranti lavoratori. Riscuotono percentuali enormi dai lavoratori e dalle loro famiglie.
Ai lavoratori nepalesi originariamente venivano offerti fino a 700 dollari al mese per lavorare in Iraq. Altri hanno avuto documenti che promettevano un lavoro in Giordania. Tutti sembrano essere stati ingannati sui dettagli chiave che hanno dato la spinta al loro viaggio. Hanno pagato ad un agente di lavoro nepalese e ai “dalal” che lavoravano per lui fino a 3500 dollari ciascuno, più di quanto guadagnino in dieci anni al loro paese.

The Chicago Tribune, 9 ottobre 2005

* Cam Simpson ha svolto la sua inchiesta in Nepal, Giordania, Arabia Saudita e a Washington.
Aamer Madhani ha svolto la sua inchiesta a Camp Liberty e a Baghdad Articolo originale (traduzione di Ornella Sangiovanni e Paola Mirenda) apparso su: www.osservatorioiraq.it



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