SENZA CENSURA N.17
LUGLIO 2005
L'antifascismo non si arresta
Cronaca e riflessioni sugli arresti di alcuni militanti antifascisti di Milano
La Repressione in atto nell’intera società
evidenzia l’avanzamento del processo involutivo dello Stato, del restringimento
delle libertà individuali e collettive e dell’aumento delle politiche
autoritarie.
In particolare forte è la pressione degli organi repressivi contro le realtà,
situazioni, collettività… che compongono nella loro molteciplità e diversità il
“movimento”. Lo scopo, chiaro e dichiarato, è di impedire il consolidamento di
qualsiasi esperienza e percorso di lotta e di alterità al presente. Gli
strumenti sono molteplici, e nessuno escluso: poliziotti gorilla, fascisti
eterodiretti, Magistratura, campagne mediatiche, corruzione ed infiltrazione
politica… tutto mosso dalla convinzione che gli spazi di agibilità e di
mediazione si restringono sempre più e il costo della crisi economico-sociale
che attanaglia il nostro paese deve essere fatto pagare alle classi sociali
subalterne.
L’attacco può risultare sproporzionato alla reale forza dei percorsi di lotta
che attraversano la società, ma quello che si vuole colpire è la possibilità e
la potenzialità di quei percorsi. Chi comanda, o meglio chi serve chi comanda,
ha fatto proprio da molto tempo il vecchio adagio: “prevenire è meglio che
curare”.
Così si può comprendere in pieno quello che ci è successo.
24 marzo 2004: la Digos di Genova e Milano si presenta a casa di alcuni
militanti antifascisti milanesi. Dopo aver effettuato le perquisizioni, due
compagni e una compagna vengono trasferiti nel carcere di Marassi e Ponte X.
Venti giorni dopo all’arresto di Orlando, Marta e Milo si aggiungerà quello di
Fede, rinchiuso invece a S. Vittore. I mandati di cattura vengono eseguiti sotto
richiesta dei Pubblici Ministeri Anna Canepa e Andrea Canciani, magistrati già
noti come inquisitori nel processo in corso per i “fatti” del G8, a Genova. Gli
stessi che nel dicembre 2002 sottoposero a custodia cautelare, carcere,
domiciliari o obblighi, 26 persone accusate di “devastazione e saccheggio”,
reati per cui sono previste pene dagli 8 ai 15 anni.
L’episodio contestato ai quattro militanti antifascisti milanesi risale a
gennaio dello stesso anno e ha luogo sul treno che trasportava circa duecento
compagni da Milano a Genova, in occasione di una manifestazione antifascista. Un
corteo in solidarietà ai compagni del C. S. Pinelli che, nelle settimane
precedenti, era stato il bersaglio di due attentati incendiari di matrice
fascista.
Quasi giunti a destinazione, sul vagone che doveva essere riservato ai
manifestanti, i compagni si imbattono in un gruppo di neofascisti: rasati,
addobbati con croci celtiche, toppe inneggianti al “white power”, alla
supremazia razziale… . Nasce un inevitabile diverbio e i fasci vengono fatti
scendere dal treno, privati dei simboli d’intolleranza che esibivano.
Sulla base di questo evento i PM costruiscono un pretestuoso castello
accusatorio, contestando i gravi reati di rapina, aggressione e minacce.
Vengono dipinti scenari da linciaggio, nonostante la stessa prognosi delle
“vittime” parli di 6 e 10 giorni; scompare l’elemento della provocazione e i
manifestanti diventano una mandria inferocita scatenata contro dei ragazzini dai
giubbotti neri e i capelli corti.
In particolare viene sottolineata la figura del compagno Orlando, definito come
il capo. Per lui la persecuzione giudiziaria sarà più accanita, sia in fase di
arresto preventivo, durato quasi un anno, sia nei termini spropositati della
condanna di primo grado, 3 anni e 8 mesi.
Durante i giorni successivi all’arresto s’innesca il meccanismo della
solidarietà, con mobilitazioni e appelli per la libertà degli antifascisti
arrestati, nel tentativo di denunciare con forza l’attacco della Magistratura e
degli organi repressivi, soprattutto la sua pretestuosità e nel rivendicare il
percorso antifascista dei compagni arrestati .
Vengono organizzate diverse manifestazioni, presidi, volantinaggi…, la più
significativa due settimane dopo i primi arresti. Un corteo composto da un
migliaio di compagni provenienti da diverse città che ha percorso le strade di
Genova raggiungendo le carceri di Marassi e Ponte X, in un clima di forte
tensione e militarizzazione. Alla partenza del treno dei compagni da Milano
l’ennesima provocazione: una carica della polizia con la Digos milanese in prima
fila sui binari della Stazione Centrale.
Per i compagni imputati, nonostante fossero incensurati, la detenzione
preventiva si protrae per lunghi mesi che vedranno anche alcuni trasferimenti da
un carcere all’altro; Marta passerà da Ponte X a Vigevano, Orlando da Marassi ad
Alessandria e infine ad Asti. Alla galera seguiranno prima arresti domiciliari,
poi obblighi di firma e di dimora.
Le diverse istanze presentate dalla difesa (di scarcerazione, per il lavoro, la
revoca degli obblighi…) trovano spesso rifiuti, motivati dalla “pericolosità
sociale” e dal “pericolo di reiterazione del reato”.
Il clima che si instaura attorno a questa vicenda assume sempre più i tratti di
una persecuzione politica, dove la condanna è già stata scritta.
Fede e Marta avranno una condanna a 1 anno 11 mesi e 20 giorni, Milo sarà
l’assolto (verdetto quasi d’obbligo perché non era neanche presente durante i
fatti); 3 anni e 8 mesi invece la pena inflitta a Orlando.
Anche il giorno dell’ultima udienza assistiamo ad una grave provocazione.
Durante la pausa che precede la lettura della sentenza, la Digos genovese opera
il sequestro dei computer usati per trascrivere il contenuto delle udienze, sia
di questo processo che di quelle per il g8.
Il sequestro è motivato da una querela avanzata dai soliti Canepa & Canciani
contro i mediattivisti del supporto legale.
Il blitz, oltre a creare momenti di tensione tra le forze dell’ordine e i
compagni presenti in aula, ha impedito che si rendessero pubbliche le arringhe
finali dei nostri avvocati, una difesa che ha saputo ben interpretare e
smascherare la natura politica di quel processo.
Il ruolo ricoperto dai Pm, nell’intera vicenda, è centrale. Questi si fanno
interpreti primi dell’attacco repressivo contro i militanti antifascisti
accanendosi nel tenerli in galera, provocandoli, invano, nelle sedute del
processo e infine invocando e ottenendo, da giudici compiacenti, le pene pesanti
inflitte.
Ma, nonostante l’azione congiunta di Magistratura-Polizia-Media, che in un
contesto di provocazione e repressione voleva dipingere gli avvenimenti in un
miserabile episodio di violenza privata, la condotta dei compagni arrestati e la
campagna di sostegno che si è sviluppata sono riuscite a evidenziare la valenza
politica di quello che è successo.
I compagni hanno sempre rivendicato come giusto e da praticare la negazione di
agibilità politica e fisica agli elementi intolleranti, razzisti e xenofobi, in
ogni occasione, ovviamente questa indicazione va coniugata con le condizioni
reali in cui ci si trova. Il linciaggio tanto ricordato dai Pm non ha mai avuto
luogo, né la prognosi nè i testimoni “terzi” lo hanno confermato ma si è
trattato di allontanare quattro fasci, poi rivelatesi nei comportamenti pure
infami, e di privarli di svastiche, celtiche ed altra pattumiera simile.
Ma allora perché la Magistratura genovese, imbeccata dalla Digos di Genova e di
Milano, ha portato un tale attacco?
In parole povere un semplice allontanamento viene preso come pretesto per
colpire un percorso di militanza antifascista che si stava consolidando nella
città di Milano, in cui i compagni dell’Officina della Resistenza Sociale (ORSo)
ricoprivano un ruolo importante.
L’ordine di custodia cautelare risale al febbraio 2004 e segue di qualche
settimana la pubblicazione del dossier “Tuttoantifà”. Un bilancio sulla
presenza, le caratteristiche e il radicamento della destra intollerante e
xenofoba a Milano. Un lungo lavoro di monitoraggio e inchiesta, che rappresenta
una tappa importante all’interno della progettualità politica del rilancio della
lotta e della presenza antifascista
Le manette ai polsi dei compagni sono scattate proprio in marzo all’indomani
dello sgombero di “casa Dax”, lo stabile occupato e liberata dalla speculazione
edilizia alla fine del corteo svolto nel primo anniversario dell’omicidio del
nostro compagno.
Un’amara coincidenza ha voluto che la sentenza di condanna contro Orlando sia
stata pronunciata il 16 marzo, esattamente a due anni dall’omicidio del compagno
Davide, Dax. Il 16 marzo del 2003 è una data che verrà ricordata come la notte
nera di Milano.
Una domenica sera poco prima della mezzanotte, nel quartiere Ticinese, un gruppo
di nazi-fascisti aggredisce a coltellate alcuni compagni ferendone tre. Uno di
loro, Davide “Dax” rimarrà a terra, assassinato.
Gli amici e i compagni accorsi all’ospedale San Paolo per avere notizie, trovano
ad aspettarli numerose pattuglie di polizia e carabinieri (tra cui alcune del 3°
battaglione Lombardia, noto per essersi distinto nei feroci pestaggi del G8). La
presenza pressante delle forze dell’ordine sfociò presto in brutali cariche, sia
all’interno che all’esterno del pronto soccorso. Il bilancio del pestaggio è di
numerosi feriti, colpiti in faccia, in testa, con nasi, denti o braccia rotte… .
Un massacro giustificato, dall’allora questore di Milano Boncoraglio, con la
tesi menzognera di essere stati costretti a intervenire per impedire che
portassimo via la salma.
Esattamente dopo due anni arriva questa dura sentenza che, essenzialmente, non
si discosta dal carattere persecutorio legato a quegli stessi eventi.
Basti pensare che nelle deliranti tesi dell’accusa si insinua che l’episodio sia
riconducibile a una sorta di vendetta per l’omicidio del nostro compagno.
Ipotesi particolarmente fastidiosa perché vede l’accostamento di due eventi
dalle proporzioni ben diverse.
Sulla base dell’utopica aggressione contestata ai compagni, viene criminalizzata
la loro militanza politica. L’obbiettivo della magistratura è colpire i percorsi
di lotta contro il fascismo, il razzismo e per i diritti sociali.
Un percorso che i compagni non vogliono abbandonare nonostante la molteplicità
degli attacchi che stiamo subendo. È innegabile che la vicenda repressiva che ci
ha colpito ha avuto l’obbiettivo di fermare l’aggregarsi di soggettività
antifasciste ma non ne ha eliminato la potenzialità e la necessità, sebbene
stiamo vivendo un momento di confusione e sostanziale riflusso.
Di fatto contemporaneamente al consumarsi di questa vicenda giudiziaria, in
Lombardia si registra una repentina escalation di attacchi e provocazioni di
matrice nazifascista. In particolare è proprio Milano la città in cui si sommano
il numero più consistente di episodi, quasi tutti concentrati nell’anno 2004.
In febbraio alcuni boneheads aggrediscono sotto casa, probabilmente dopo averlo
pedinato, un compagno skin che tornava dall’O.R.So. Il bilancio del pestaggio è
di alcuni denti rotti, uno zigomo fracassato e diversi punti di sutura al labbro
e al volto.
In aprile a poche centinaia di metri dal centro sociale O.R.So., in quartiere
Ticinese, alcuni compagni vengono aggrediti da circa una decina di boneheads che
riescono a infliggere 3 coltellate a un compagno, una, sull’interno coscia,
sfiora l’arteria femorale.
Si arriva al culmine della violenza in agosto con un agguato organizzato dove,
sempre in Ticinese, oltre venti bonheads accoltellano alcuni compagni di
Conchetta. Delle sei persone ferite gravemente uno, colpito al fegato, dovrà
essere operato due volte d’urgenza prima di essere dichiarato fuori pericolo.
Sempre in agosto, solo una decina di giorni dopo, alcuni neofascisti vengono
sorpresi dalla polizia mentre tentavano di scassinare la porta del C.S.
Vittoria; il giorno dopo viene appiccato un incendio al C.S. Cantiere.
Se Milano risulta essere l’esempio più lampante di un’escalation in atto, anche
in città come Bergamo e Pavia la presenza organizzata di neonazisti ha causato
ripetuti episodi di violenza, che sembrerebbero frutto della stessa mano,
considerata la similitudine delle modalità di azione e degli obbiettivi
prescelti.
Più recente è la sequenza di incendi dolosi che si verifica tra dicembre e
gennaio e toccheranno prima il Paci Paciana a Bergamo, poi l’O.R.So. a Milano,
il Magazzino 47 a Brescia e il Vittoria ancora a Milano.
Interessante è notare la pressoché inesistenza di sviluppi giudiziari seguiti a
gran parte delle aggressioni e provocazioni squadriste. E’ il caso degli
accoltellamenti dell’agosto scorso: sebbene gli autori dell’agguato siano noti
agli organi inquirenti non sono stati effettuati arresti, eccetto quello dovuto
al fortuito ritrovamento dei documenti personali di uno degli aggressori. In
questo episodio, e in tutti gli altri, è evidente la tolleranza e la compiacenza
degli apparati repressivi, Polizia, CC, Magistratura con le bande dei
neofascisti che diviene vera e propria connivenza.
Quindi è inutile appellarsi a loro in un fantasioso rigurgito di democraticismo
legalitario ma denunciare soprattutto l’aspetto che smaschera il ruolo di utili
provocatori dei fascisti al soldo di chi comanda e mette in luce l’applicazione
da parte della magistratura di una giustizia differenziata: i due pesi e due
misure, da una parte un antifascismo duramente sanzionato e dall’altra una non
punibilità per il servizio reso.
Mentre sul “fronte esterno”, la guerra diventa l’aspetto principale della difesa
degli interessi economici del capitale, sul “fronte interno” le provocazioni e
le aggressioni, gli arresti e la repressione acquisiscono sempre più un peso
nelle politiche sociali e degli effetti della crisi che investe la società.
Di fronte a ciò è necessario rilanciare percorsi ed esperienze di lotta.
Nella fase attuale è molto forte il tentativo delle politiche di gestione della
crisi di ridurre tutto in problemi di ordine pubblico negando le cause sociale
ed economiche di oppressione e di sfruttamento che sostengono il sistema
vigente. La ricerca di un capro espiatorio a cui fare pagare tutto il prezzo al
fine di continuare per chi comanda a comandare.
In questa ottica per noi la militanza antifascista ritrova un elemento di
attualità nella suo contenuto dell’antirazzismo e della lotta all’esclusione
sociale. Rilanciamo le nostre battaglie per la negazione dell’agibilità ai
soggetti intolleranti e xenofobi, per l’allargamento delle libertà personali e
collettive contro la fascistizzazione della società.
Solidarietà a tutti i compagni colpiti dalla repressione e dalle aggressioni
Antifascismo Militante
Officina della Resistenza Sociale - MI