SENZA CENSURA N.17
LUGLIO 2005
Si
accende la lotta nei Centri di Permanenza Temporanea
Da qualche mese, soprattutto a Milano e a Torino, per quanto è dato saperne, si
è accesa la lotta all’interno dei Centri di Permanenza Temporanea che in alcune
occasioni ha assunto la forma di vera e propria rivolta.
Le ragioni della protesta sono da ricercarsi nelle pessime condizioni di vita
alle quali sono costretti i detenuti e, soprattutto, al meccanismo delle
deportazioni: “siamo stati spogliati dei nostri diritti come esseri umani, ci
hanno ingabbiato come animali”, diranno nel loro comunicato i detenuti del CPT
di via Mattei a Bologna.
Alle condizioni di reclusione all’interno dei CPT, vanno sommati i
rastrellamenti che quotidianamente vengono effettuati per le strade, nei
quartieri come San Salvario a Torino e nei campi rom da polizia e carabinieri e
la violenza e l’arroganza con cui vengono svolte queste operazioni. Da alcuni
quotidiani nazionali si è potuto apprendere, ad esempio, della morte di 4
giovani immigrati, un tunisino a Milano, due senegalesi e un nigeriano a Torino,
nel corso di “normali controlli” da parte delle forze dell’ordine ma sicuramente
si tratta di un elenco incompleto.
Di fronte all’intensificarsi della lotta, alla crescita dei rapporti fra interno
ed esterno e fra diversi CPT, alla radicalizzazione dei contenuti stessi delle
lotte che, a partire dalla denuncia delle pessime condizioni interne di
sopravvivenza, tendono ad assumere le caratteristiche di una battaglia più
complessiva per la chiusura dei CPT e contro le deportazioni, lo Stato risponde
con arresti, carcerazione e deportazioni.
A Milano, il 23 maggio, l’ennesima protesta dei detenuti di via Corelli si è
“risolta” con manganellate sul tetto, 21 arrestati di cui 9 nel carcere di San
Vittore mentre a Torino, il giorno dopo, sono stati espulsi 7 detenuti
marocchini che avevano contribuito allo sviluppo della lotta nel CPT di Corso
Brunelleschi e, contemporaneamente, sono state effettuate una decina di
perquisizioni a danno dei compagni che stanno solidarizzando con la lotta dei
detenuti.
La prontezza dell’azione repressiva, tesa ad intimidire i detenuti nei CPT e a
criminalizzare ed isolare chi solidarizza con la loro lotta, rivela
l’inquietudine dello Stato nei confronti di una possibile generalizzazione della
lotta che se da una parte potrebbe aprire un pericoloso varco all’interno di un
sistema detentivo sempre più diffuso e differenziato, di cui i CPT costituiscono
un anello e forse il più debole poiché ancora non completamente integrato,
dall’altra pone immediatamente questioni politiche più generali legate al ruolo
ricoperto dall’Italia nella guerra imperialista in corso in molti dei paesi di
provenienza degli immigrati reclusi, all’utilizzo in chiave militare e
poliziesca di porzioni sempre più consistenti della società (Croce Rossa, Vigili
del Fuoco, personale salariato del trasporto pubblico e privato, lavoratori
aeroportuali), alle finalità reali dell’allarme terrorismo.
La cronologia che segue elenca una serie di eventi legati alle lotte contro i
CPT e, più in generale, alla “questione immigrazione” accaduti negli ultimi mesi
in Italia, in special modo a Milano e a Torino. Si tratta soprattutto di notizie
acquisite direttamente “sul campo” e dalla stampa ufficiale. Per alcuni eventi è
stato allegato il testo del materiale di controinformazione diffuso.
Cronologia marzo-aprile-maggio-giugno
2005
19 marzo, sabato
Milano: un migliaio di persone confluite nella manifestazione in ricordo
di Davide Cesari, Dax, ucciso a Milano il 16 marzo 2003 da una coltellata
fascista, giungono nei pressi del CPT di via Corelli. Entra una delegazione,
accompagnata da un consigliere regionale, per parlare con i detenuti.
25 marzo, venerdì
Bologna: una trentina di persone dell’ass. Ya Basta e disobbedienti di
Bologna si sono recati davanti al centro di detenzione, dopo aver ricevuto una
telefonata da un ragazzo rinchiuso all’interno della struttura. Il ragazzo ha
voluto denunciare sia gli abusi sistematici nei confronti dei migranti sia la
detenzione di tre studenti stranieri in possesso del permesso di soggiorno per
motivi di studio. Tutti gli immigrati sono usciti dalle loro “stanze” e sono
saliti sopra la tettoia gridando “libertà”. Data la presenza dei manifestanti,
15 cittadini immigrati sono scappati dal CPT attraverso qualche peripezia.
L’ultimo tentativo di fuga conosciuto risale al novembre 2004.
26 marzo, sabato
Milano: nel quartiere Greco, zona Nord di Milano, durante un controllo,
un finanziere spara in testa a un tunisino di 24 anni, ammazzandolo sul colpo.
1 aprile, venerdì
Milano: occupati gli uffici dell’Alitalia della stazione Cadorna per
denunciare le responsabilità di questa compagnia aerea nella politica delle
deportazioni.
8 aprile, venerdì
Milano: in serata, in uno dei settori del centro, Salam, un ragazzo
tunisino, accusa un malore. I medici della Croce Rossa non intervengono e lui,
per l’esasperazione, si è tagliato ad un braccio. Sanguinava molto, ma
l’ambulanza non arrivava. I compagni di camerata hanno cominciato a protestare,
la Croce Rossa ha aperto la porta blindata e ha lasciato entrare la polizia in
tenuta antisommossa. Sono iniziate le “perquisizioni”: vestiti gettati ovunque,
olio e caffè versati su di essi, foto di famiglia calpestate, un Corano
strappato nella stanza-moschea della camerata, persone strattonate, picchiate,
fatte inginocchiare e poi fatte camminare in ginocchio. A quel punto, la
protesta si è estesa anche nel settore dei trans. Due detenuti sono stati
arrestati e portati a San Vittore. In seguito, Gisela, uno dei due arrestati,
viene riportato all’interno del centro di via Corelli mentre Mohamed viene
trattenuto in carcere e sarà processato per direttissima giovedì 14 aprile.
Salam, nonostante la ferita al braccio e nonostante (o soprattutto per) il fatto
che la sua testimonianza fosse indispensabile per ricostruire ciò che era
successo quella notte all’interno del centro, verrà poi espulso in Tunisia nei
giorni successivi.
9 aprile, sabato
Milano: una delegazione di cinque persone, accompagnata da un parlamentare, è
entrata nel CPT di via Corelli, mentre fuori dal centro si svolgeva un presidio
che è stato bloccato a 200 metri dal cancello di entrata. La delegazione ha
potuto parlare con alcuni dei detenuti del settore B, che da venerdì sono in
sciopero della fame, e, attraverso le finestre della sala colloqui, anche con i
detenuti di un altro settore che avevano solo intravisto la polizia entrare
nella camerata di fronte alla loro ma che ignoravano tutto il resto. Lo sciopero
comincia a estendersi anche in altre camerate. Di seguito il testo di un
volantino diffuso a firma dei detenuti di via Corelli:
RIBELLARSI AI LAGER COME CORELLI E’ GIUSTO.
LIBERTA’ PER MOHAMMED E GISELA
Noi detenuti di Corelli da oggi sabato 9 aprile 2005 siamo in sciopero della
fame. Per denunciare che via Corelli non è un centro di accoglienza ma un
carcere speciale per immigrati dove sono negati tutti i diritti e dove subiamo
quotidiane violenze.
Chiediamo:
- Libertà per tutti, perché essere immigrato
non è un reato.
- Libertà immediata per Mohammed e Gisela, portati da Corelli a San Vittore, per
aver avuto il coraggio di denunciare i soprusi che subiamo qui dentro.
- Un incontro in prefettura a cui partecipi una nostra delegazione.
Sulla base del sostegno incondizionato a questa piattaforma, si è formato a
Milano il comitato di appoggio alla lotta dei detenuti con l’obiettivo di dar
loro voce e supporto concreto. Il comitato indice un presidio cittadino per
sabato 16 aprile di fronte ai cancelli del CPT di via Corelli.
10 aprile, domenica
Milano: mentre davanti al centro si svolgeva un presidio, una delegazione
è entrata nuovamente e ha potuto visitare gli altri settori oltre al B e
raccogliere notizie della lotta all’interno del centro.
Bologna: alle 2 del mattino, forze dell’ordine hanno rastrellato, tra le
abitazioni-baracche sul Lungoreno nelle quali vivono decine di lavoratori di
nazionalità rumena, 9 persone che sono trasferite ne CPT di via Mattei. I 9
detenuti hanno spontaneamente iniziato uno sciopero della fame. Domani mattina
ci saranno le udienze per la convalida del loro trattenimento all’interno del
centro. Segue il comunicato scritto dai detenuti nel CPT di via Mattei.
Noi detenuti del Centro di Permanenza Temporanea di Bologna inviamo questa
lettera a tutti i cittadini di Bologna e d’Europa.
Desideriamo essere visitati dai rappresentanti delle istituzioni, dai
giornalisti per far conoscere le nostre richieste. Vorremmo la possibilità di
raccontare la situazione ed i problemi con le carte di soggiorno ed i documenti
della gente che deve stare in questo centro.
Alcuni sono stati presi sul lavoro, alcuni dal carcere, alcuni hanno famiglia in
Italia e non possono parlarci. Per cortesia vorremmo sapere tutti i motivi per
cui siamo qua.
Veniamo qua per migliorare il nostro futuro. La legge umana è solo una.
Vorremmo giustizia, che la polizia effettuasse il suo lavoro come si deve, non
contro di noi.
E’ giusto che voi sappiate che molti assistenti sociali qua dentro nuocciono
alle persone che chiedono libertà. E’ l’esempio più importante che questo centro
sta diventando un carcere.
Siamo stati spogliati dei nostri diritti come esseri umani, ci hanno ingabbiato
come animali.
Richiediamo la libertà al popolo italiano ed al sindaco di questa città.
I cittadini reclusi al CPT di via Mattei, in lotta.
11 aprile, lunedì
Milano: il comitato di sostegno alla lotta dei detenuti indice un nuovo
presidio davanti al centro a partire dalle 17. Due compagni, nominati da due
detenuti del CPT, come prevede il regolamento, attendono di entrare per
distribuire succhi di frutta e sigarette agli scioperanti e valutare con loro
gli sviluppi della protesta. Dopo due ore di attesa e dopo essere stati
introdotti nel primo dei gabbiotti d’ingresso del centro, vengono però bloccati
e rimandati fuori per un contrordine della prefettura.
In serata avvengono le prime liberazioni di gruppo, senza che siano trascorsi i
60 giorni di trattenimento previsti dalla legge. A questo punto lo sciopero
della fame si estende in tutti i 5 settori del centro, A, B, C (uomini), D
(donne), E (transessuali).
12 aprile, martedì
Milano: alle 6 del mattino viene espulso Juan Silverio, detenuto presso
il CPT di via Corelli. Una macchina è uscita dal centro ed ha percorso con
enorme velocità la stradina che porta alla strada principale, rischiando di
travolgere alcuni compagni presenti all’esterno.
Bologna: in seguito alla notizia dello sciopero della fame da parte dei detenuti
all’interno del CPT di Via Mattei, è stato tempestivamente organizzato un
presidio di sostegno alla protesta messa in atto contro la detenzione arbitraria
dei cittadini rumeni. I manifestanti hanno comunicato attraverso il sound-system
che in altri centri di detenzione i migranti sono in sciopero. I detenuti di via
Mattei hanno fatto sapere che lo sciopero ora coinvolge tutte le persone
rinchiuse nel CPT e che sono determinati a continuare questa forma di protesta.
13 aprile, mercoledì
Milano: gli stessi compagni che erano stati bloccati lunedì alle soglie
del centro, si sono ripresentati per entrare ed incontrare Hedi, uno degli
organizzatori della protesta. Il vice-Prefetto comunica che c’è stato un errore
nella trascrizione del nome (in realtà esiste un foglio firmato dalla Croce
Rossa che certifica la nomina corretta) e che pertanto potranno tornare soltanto
nei giorni successivi. Invece, poco dopo le 20, mentre sta per riunirsi
l’assemblea del comitato di appoggio ai detenuti, arriva la telefonata di Hedi
che dice di essere in manette: lo stanno deportando. L’assemblea decide di
partire alla volta di Malpensa ma, appena arrivati, l’aereo delle 22.10 diretto
a Tunisi ha già chiuso l’imbarco. Niente da fare, coloro che si sono fatti
promotori delle denunce, che stanno facendo lo sciopero della fame, che
mantengono i contatti con l’esterno, cominciano ad essere espulsi con
provvedimenti mirati.
In serata la polizia fa irruzione nel centro, all’interno del reparto destinato
ai transessuali, picchiando e isolando Gisela che verrà processata l’indomani.
14 aprile, giovedì
Milano: ore 9.30 presidio davanti al tribunale, in occasione della prima
udienza del processo a porte aperte contro Mohammed e Gisela. Viene scelto il
rito abbreviato per Mohammed che rimane in carcere (con udienza fissata al 5
maggio) e rito ordinario per Gisela che ritorna in Corelli (con nuova udienza il
20 aprile).
Bologna: manifestazione davanti al CPT di via Mattei contro il razzismo e la
violenza delle forze dell’ordine e del Comune che continuano l’infame pratica
dei rastrellamenti e delle deportazioni di lavoratori e lavoratrici immigrati/e.
16 aprile, sabato
Milano: presidio davanti al centro di detenzione di via Corelli. Una
delegazione, composta da 4 compagne, due medici e un consigliere regionale, è
entrata nuovamente nel centro. Ha chiesto che nelle camerate potessero accedere,
oltre al consigliere, anche le interpreti e i due medici, per poter visitare i
detenuti in sciopero della fame da una settimana, alcuni dei quali
sieropositivi. Croce Rossa e prefettura hanno negato l’entrata, dopo aver
dichiarato ai giornalisti che nessuno era in sciopero. Nel frattempo, mentre i
manifestanti al di fuori erano riusciti a calare uno striscione dalla
tangenziale con sopra scritto “libertà” in varie lingue, per farlo vedere anche
dall’interno del centro, i detenuti, da dentro, hanno cominciato dapprima a
chiedere di essere liberati, poi sono saliti sui tetti delle camerate.
Fuori, più di un centinaio di persone solidali, hanno cominciato a farsi
sentire, gridando, lanciando slogan, battendo per ore con delle pietre sul guard
rail posto sulla strada di accesso al centro.
La delegazione all’interno ha dichiarato che non sarebbe uscita dal centro
finché la Prefettura non avesse concesso l’entrata dei medici nelle camerate.
L’azione congiunta dei detenuti saliti sui tetti, delle numerose persone che
presidiavano il centro dall’esterno e la resistenza passiva della delegazione,
ha permesso di ottenere quanto segue:
- un incontro tra i detenuti del Centro, una delegazione del comitato di
appoggio (con il consigliere regionale) e la Prefettura. E’ la prima volta nella
storia di Corelli, che i detenuti chiedono ed ottengono la possibilità di
incontrare il Prefetto;
- la sospensione delle deportazioni, fino al suddetto incontro;
- il libero accesso di un medico esterno che possa visitare i detenuti.
Dopo quattro ore di trattativa, la delegazione del comitato di appoggio ha
deciso di lasciare il centro.
Durante questa settimana di lotta, sono state liberate dal centro più di 20
persone, prima della scadenza dei termini del trattenimento. Altri, però, sono
stati deportati. Tra di essi, 5 organizzatori e portavoce dello sciopero. La
valutazione del comitato d’appoggio è che, così facendo, la Prefettura e la
Questura abbiano cercato, senza successo, di far terminare la protesta.
18 aprile, lunedì
Milano: si è svolto l’incontro ufficiale tra i detenuti in sciopero da
dieci giorni e il dottor Aversa, vice Prefetto e responsabile del CPT milanese.
Era presente una delegazione del comitato di appoggio alla lotta dei detenuti
accompagnata da un consigliere regionale.
Durante l’incontro i detenuti hanno consegnato un nuovo documento in cui hanno
espresso oltre alla loro fondamentale richiesta di libertà, per la quale sono
entrati in sciopero della fame, la necessità di chiusura del Centro di
Permanenza Temporanea e di una nuova regolarizzazione degli immigrati
“clandestini” a livello nazionale.
Per oltre due ore gli immigrati hanno potuto denunciare decine di casi che
dimostrano come queste strutture siano luoghi di assoluta negazione del diritto.
Risultano infatti detenuti dei disabili, dei minori, lavoratori con contratto a
tempo determinato, con permesso di soggiorno, madri con figli che adesso
risultano abbandonati, malati di Aids, persone rinchiuse all’interno della
medesima struttura per la terza o quarta volta consecutiva.
Ci sono persino casi documentati di persone il cui trattenimento non è stato
convalidato dal Giudice di Pace e che la polizia ha trattenuto in questura per
poi riportarle in Corelli con un nuovo provvedimento di espulsione e, quindi,
relativo trattenimento nel centro.
A questo si aggiungono le denunce delle violenze subite all’interno della
struttura ad opera del personale addetto alla sicurezza, polizia e Croce Rossa:
violenze verbali, umiliazioni costanti, particolarmente pesanti verso le donne e
i trans. Sono quindi stati mostrati, direttamente al vice Prefetto, i segni di
tali violenze.
La Prefettura si è quindi dichiarata disponibile a valutare i casi di
trattenimento illecito che sono stati sollevati e a garantire, come è avvenuto
negli ultimi giorni, che non vi siano ritorsioni contro coloro che, a nome di
tutti gli altri in sciopero, si sono esposti facendone i portavoce.
La trattativa è stata interrotta dai detenuti stessi, di fronte al rifiuto della
Prefettura di prendere in considerazione la questione della liberazione dei
reclusi, del permesso di soggiorno, della chiusura dei CPT, dichiarando che
continueranno lo sciopero.
19 aprile, martedì
Bologna: questa mattina i giornali cittadini hanno dato la notizia che
ieri sera c’è stato un altro tentativo di fuga dal CPT di via Mattei. A questo
tentativo è succeduta una rivolta interna al centro in seguito alla quale alcune
persone sono riuscite a fuggire. I detenuti stranieri in fuga sono stati
inseguiti dalle forze dell’ordine e nella confusione un ragazzo è “caduto” da
una tettoia di circa 5 metri e ricoverato presso l’ospedale Maggiore di Bologna.
20 Aprile, mercoledì
Milano: prima udienza del processo a Gisela. L’unico testimone
dell’accusa (un poliziotto in servizio) è costretto a dichiarare che Gisela
aveva un atteggiamento poco tranquillo, ma di non averla vista appiccare alcun
fuoco. Dichiara inoltre che la Croce Rossa svolge funzioni di controllo sulle
camerate del centro. L’udienza viene rinviata al 9 maggio.
Intanto durante la settimana si tengono iniziative e banchetti informativi in
vari punti della città.
25 aprile, lunedì
Milano: verso le 18, alla fine della tradizionale manifestazione
cittadina, è previsto un presidio sotto al CPT di via Corelli. L’ingente
spiegamento di polizia, carabinieri e digos non consente agli intervenuti,
giunti alla spicciolata, di arrivare fin davanti ai cancelli del centro, come
accaduto invece durante il presidio di sabato 16 aprile. Viene fatto divieto ad
una delegazione dei presenti di entrare nel centro, il permesso viene accordato
soltanto ai due consiglieri regionali presenti.
Verso le 20 giunge notizia dall’interno del centro che una quarantina di
detenuti sono saliti sopra il tetto della struttura. Poco dopo, i partecipanti
al presidio, circa 200 persone, vista anche l’impossibilità di giungere più
vicino all’ingresso del centro, danno vita ad un corteo spontaneo per le strade
del quartiere Ortica limitrofo al centro. Completamente circondato da un ingente
schieramento di polizia, il corteo ha sostato in mezzo ad alcune strade,
bloccando il traffico e mostrando due striscioni “fermare le deportazioni” e
“libertà per tutti e tutte”. Dopo circa un’ora, sempre meno numeroso, il corteo
si è sciolto. Alcuni compagni, ritornati nei pressi del centro per incontrare la
delegazione dei consiglieri in uscita dal centro, vengono prontamente
identificati.
27 aprile, mercoledì
Milano: vengono notificati due verbali di contestazione per violazione
amministrativa ad altrettanti compagni perché il 25 aprile alle ore 20.40:
“insieme ad altri dieci manifestanti” occupavano “per alcuni minuti la sede
stradale in maniera da impedire il regolare flusso del traffico veicolare”, il
tutto “a margine di una manifestazione non autorizzata, organizzata nei pressi
del vicino Centro di Permanenza Temporanea di via Corelli”, mentre un buon
numero di detenuti era sui tetti a lottare. La sanzione, se comminata, prevede
il pagamento di una multa che va da 2.582 fino a 10.329 euro.
29 aprile, venerdì
Milano: ancora un’espulsione dal CPT di via Corelli. A Ravier scadevano i
60 giorni del trattenimento. Quando ha visto i poliziotti, ed ha capito che
l’avrebbero espulso con un accompagnamento coattivo alla frontiera, ha cercato
di evitare l’espulsione con un gesto estremo: alle 5 della mattina, si è
praticato un taglio alla mano e alla pancia ed ha ingoiato una lametta. Portato
all’infermeria del Centro, suturato in fretta e furia, viene immediatamente
condotto all’areoporto della Malpensa ed espulso a Casablanca, con un volo dell’Alitalia.
Un’ennesima espulsione, un’ennesima complicità della Croce Rossa, gestore del
Centro di detenzione di via Corelli, e di una compagnia aerea con i metodi della
questura di Milano, diventati ormai abitudine.
Anche oggi, come nel caso di Hedi, il comitato di appoggio è intervenuto a
Malpensa occupando gli uffici dell’Alitalia e mettendo in stato di agitazione le
autorità interne dell’aeroporto. Pur con trenta minuti di ritardo l’aereo è
partito. Per il pilota, consigliato dalla Polizia di Stato, tutto era in ordine.
L’eurodeputato V. Agnoletto entrerà il giorno stesso dentro Corelli con una
visita a sorpresa, raccogliendo ulteriori dati sui motivi, spesso illegali, del
trattenimento e svariate denunce sulle condizioni del centro, oltre agli
asciugamani insanguinati di Ravier.
1 maggio, domenica
Milano: il comitato d’appoggio sfila alla mayday con due enormi
striscioni “Fermiamo le depotazioni” e “chiudiamo il centro di detenzione di via
Corelli”. Tra i due striscioni una gabbia, simboleggiante la condizione più
generale che vivono gli immigrati in Italia.
5 maggio, giovedì
Milano: seconda udienza, in rito abbreviato, contro Mohammed. L’accusa è
di danneggiamento e resistenza. Il testimone dell’accusa non è molto preciso
sulle circostanze ed “ammette”, ma solo alla fine e sotto la pressione del PM,
che Mohammed ha fatto resistenza. Nell’udienza precedente Mohammed aveva ammesso
soltanto di aver rotto un vetro per la rabbia, nel vedere Salam insanguinato e
nessuno che intervenisse in suo aiuto.
Emerge invece che, di fronte a Salam insanguinato e Mohammed chino su di lui, ad
intervenire non è stata la Croce Rossa, bensì la polizia, che poi scatenerà la
sua furia razzista contro le persone e i loro beni.
7 maggio, sabato
Milano: dalle 15, in P.za Cadorna, si tiene un presidio informativo
“contro la macchina delle espulsioni e contro chi vi collabora”, organizzato dal
collettivo contro ogni frontiera. Il volantino diffuso e la mostra allestita in
loco denunciano il ruolo della Croce Rossa nella gestione dei CPT e nella guerra
in Iraq. Nonostante l’ingente (e tuttavia discreta) presenza di polizia e
carabinieri, l’iniziativa riscuote un discreto interesse.
9 maggio, lunedì
Milano: in mattinata udienza definitiva del processo a Gisela. Nonostante
nessuno dei testimoni d’accusa abbia dichiarato di averla vista appiccare il
fuoco, il giudice la condanna a 11 mesi, senza concedere però il nulla osta
chiesto dal PM per un’espulsione immediata motivata dalla sua pericolosità
sociale manifesta. Senza uno straccio di prova, né di testimonianza, Gisela
viene condannata. Beneficerà della sospensione condizionale della pena.
Verso le 22 giunge notizia che una parte cospicua dei detenuti del CPT di via
Corelli sono nuovamente saliti sul tetto. Di fronte all’accorrere dei compagni,
il CPT viene blindato dalle camionette di polizia e carabinieri. Entrerà solo un
consigliere regionale, che avrà così occasione di portare all’esterno l’ennesima
denuncia della situazione e la forte rivendicazione di libertà. Le denunce
avanzate dipingono l’ormai consueto quadro disumano di Via Corelli: strutture
spesso fatiscenti, assistenza medica approssimativa con largo uso di farmaci
sedativi e, soprattutto, l’assurdità e l’insopportabilità di una legge che priva
della libertà personale, fino a 60 giorni, persone che non hanno commesso alcun
reato. Aldilà dell’esito immediato, la serata ha una grande importanza per il
segnale di continuità della lotta interna e di un’autorganizzazione
destabilizzante. Viene indetto per le 19 del giorno seguente un presidio sotto i
cancelli del centro milanese.
10 maggio, martedì
Milano: in mattinata viene liberato Mohammed, uno degli ultimi tra i vecchi
leader della nuova protesta. Nel pomeriggio un ingente schieramento di forze
dell’ordine impedisce ai partecipanti al presidio di avvicinarsi al CPT.
Prosegue la protesta all’interno.
11 maggio, mercoledì
Torino: nel corso di un’operazione, da una pattuglia della polizia del
commissariato Madonna di Campagna, vengono esplosi dei colpi di pistola verso
un’auto con a bordo tre giovani africani. Un proiettile raggiunge uno dei tre
immigrati, un senegalese di 30 anni, uccidendolo sul colpo.
Numerosi sono gli interventi di polizia nei confronti dei diversi insediamenti
rom non autorizzati che, da circa tre settimane, stanno conoscendo una
escalation: prima persone fermate ai semafori a cui sono stati dati i decreti di
espulsione; poi avvisi di sgombero, dopo la pasqua ortodossa dei rom; poi una
mattinata con controlli dei documenti nei campi, conclusosi con l’espulsione
coatta di tre persone tra cui una donna anziana con una costola rotta; poi
ancora controlli dei documenti avvenuti nei pomeriggi al campo. Ancora un
controllo in piena notte al campo, fino ad arrivare al rastrellamento di oggi
che ha visto circa una trentina di persone prese e portate al comando di polizia
municipale, questura e CPT, tra questi sono stati presi anche donne e bambini,
hanno anche preso due coppie di genitori lasciando così i loro bimbi per due
giornate soli al campo.
12 maggio, giovedì
In mattinata, nell’ambito di una vasta operazione di polizia, vengono
perquisite le abitazioni di una ventina fra compagni e compagne ad Aosta,
Torino, Trento, Trieste, Chieti, Cagliari, Taranto e Catania, Lecce con il
famigerato art. 270 bis, associazione sovversiva. A Lecce, in particolare, 6
compagni sono arrestati, 3 dei quali, Marina, Annalisa e Sandro, posti agli
arresti domiciliari mentre Salvatore, Saverio e Christian si trovano in carcere.
Le ordinanze di custodia cautelare e i provvedimenti per le perquisizioni sono
stati emessi dal giudice per le indagini preliminari del tribunale di Lecce
Antonio Del Coco, su richiesta del PM Giorgio Lino Bruno.
L’operazione, condotta dalla Digos di Lecce e coordinata dal Servizio Centrale
Antiterrorismo della Direzione Centrale della Polizia di Prevenzione, mira,
nello specifico, a colpire quei compagni che hanno solidarizzato con le numerose
rivolte scoppiate tra gli immigrati detenuti all’interno del Centro di
Permanenza Temporanea “Regina Pacis” di San Foca di Melendugno in provincia di
Lecce (approfondimenti sulle lotte scoppiate dentro e fuori al “Regina Pacis” si
possono trovare nella rivista Tempi di Guerra - http://digilander.libero.it/tempidiguerra/)
Torino: 4 rom detenuti nel CPT di corso Brunelleschi da mercoledì sono state
rilasciati con un decreto di espulsione in mano perché, attraverso l’intervento
tempestivo dell’avvocato, è stato fatto valere il fatto che ci fossero minori
incustoditi.
13 maggio, venerdi
Milano: una grossa squadra di carabinieri operanti nella zona nord-est
dell’hinterland milanese, fa irruzione presso la cascina occupata da circa 150
rom rumeni, reduci dallo sgombero di via Adda del 1° aprile 2004. Il motivo
dell’irruzione è molto semplice: rastrellare e terrorizzare le persone presenti.
Tutti i maschi vengono prelevati e accompagnati in varie caserme sparse sul
territorio.
Dopo di ché, una squadra speciale passa alla distruzione sistematica degli
effetti personali degli abitanti. Infrastrutture in legno distrutte, televisori
giù dalle finestre, materassi in terra.
Ovviamente tutto questo si accompagna ai “soliti” maltrattamenti e insulti a cui
la vandea delle forze dell’ordine nostrane ci ha abituati da tempo. L’operazione
prosegue con il trasporto di una parte delle persone rastrellate in Questura
dove, presumibilmente verranno suddivise in persone a cui dare un foglio di
espulsione, da trasportare in Corelli o da arrestare, per effetto della
Bossi-Fini.
Si è svolta l’udienza definitiva contro Mohammed. I test dell’accusa, come nel
caso di Gisela, si sono contraddetti più volte, anche perchè era abbastanza
difficile per loro dichiarare apertamente che, di fronte a Salam sanguinante, la
polizia in tenuta anti-sommossa ha sostituito la Croce Rossa nell’intervento
all’interno della camerata. Alla fine il giudice ha prosciolto Mohammed
dall’accusa di resistenza e ne ha ordinato la scarcerazione.
Ma Mohammed non ha conosciuto la libertà conquistata in Tribunale, ed è stato
riportato all’interno del CPT, in attesa di espulsione.
In serata intanto scoppiano nuove proteste. Di fronte agli immigrati che salgono
sul tetto la polizia, contro lo stesso regolamento interno (che nessuno di noi
ha mai avuto il dispiacere di leggere), chiude le camerate alle 21,30. Due
detenuti denunciano di essere stati picchiati
14 maggio, sabato
Milano: continuano i disordini in Corelli. Questa volta è un detenuto
tunisino, in attesa di rimpatrio imminente, a cadere tra le grinfie degli
aguzzini. Dopo avere scambiato alcune frasi in arabo con una delle persone
picchiate il giorno precedente che gli indicava il responsabile del pestaggio
(probabilmente un graduato della polizia), viene a sua volta prelevato, condotto
in una stanza e pestato. Una persona che era entrata in visita ad una altro dei
detenuti, riferisce di aver udito delle urla strazianti. Confrontando le due
versioni... gli orari dei racconti coincidono. Il ragazzo tunisino presenta
lividi sul corpo, chiede l’intervento di medici di fiducia che, ovviamente, gli
vengono negati.
In serata il comitato di appoggio si attiva con un banchetto di propaganda e di
autofinanziamento al tradizionale appuntamento dell’extra-festa, organizzato da
Radio popolare. Vengono raccolti circa 500€.
Torino: circa 200 persone hanno partecipato al presidio indetto da alcune realtà
antagoniste torinesi in seguito alla morte di due ragazzi senegalesi: uno
colpito da un proiettile della polizia e l’altro affogato nel tentativo di
sfuggire ad un controllo.
16 maggio, lunedì
Almeno 14 emigrati di paesi africani che cercavano di raggiungere
l’Italia sono annegati dopo il naufragio della loro imbarcazione al largo delle
coste libiche, e altri tre passeggeri risultano dispersi.
Il governo e, in particolare il Ministro degli Interni Pisanu, ha confermato
quella che per lui è la migliore soluzione al problema degli immigrati
“clandestini”: l’apertura di centri di detenzione in molte altre città italiane.
17 maggio, martedì
Milano: questa mattina viene sgomberato, con l’intervento più che
massiccio delle forze di polizia, il dormitorio di via Maggianico. Oltre 130
persone sono state identificate (e forse denunciate) si trovano attualmente per
strada, ospitate nei centri sociali Bulk e Pergola.
Sempre in mattinata vengono deportate due trans peruviane, giunte ormai quasi al
60° giorno di prigionia in Corelli. Le deportazioni fanno seguito alla
liberazione, avvenuta ieri, di altre sei trans e di due detenuti arabi,
protagonisti delle vampate di lotta dell’ultimo fine settimana. L’intervento dei
compagni del comitato a Malpensa ha ritardato la partenza ma le ragioni di Stato
hanno finito per prevalerte e l’aereo è apartito ugualmente.
Infine l’udienza di convalida del trattenimento di Mohammed, recentemente
liberato da S.Vittore in quanto non responsabile di reato di resistenza e
immediatamente trasportato in Corelli. Dopo un’accesa difesa dell’avvocato il
giudice di pace decide di non convalidare il trattenimento in Corelli.
19 maggio, giovedì
Torino: questa mattina i detenuti del CPT sono insorti. Sono stati
incendiati i materassi delle camerate ed è iniziato uno sciopero della fame come
forma di protesta contro le pessime condizioni in cui sono costretti a vivere e
contro l’istituzione stessa dei centri di detenzione, vere e proprie prigioni
per immigrati. Alcuni detenuti rifiutano anche l’acqua. La celere è entrata in
forze nella struttura per sedare la protesta. Durante la rivolta un detenuto è
rimasto ferito ed è stato portato all’ospedale, un’altra decina, sembra di
nazionalità rumena, sono stati portati fuori dal centro per essere espulsi.
Alcuni detenuti questa mattina hanno ingoiato del vetro per andare in infermeria
ed evitare di essere espulsi.
Intorno alle 18 ha inizio il presidio indetto in mattinata davanti all’entrata
del CPT. Subito partono slogan contro il carcere e in solidarietà agli
immigrati, vengono battute pietre contro i lampioni per farsi sentire
all’interno del centro. La risposta dei detenuti non si fa attendere, gli
immigrati intonano cori e battono sulle sbarre. I manifestanti per rendersi più
visibili all’interno riescono a salire sulle mura del centro per appendere uno
striscione con scritto: “solidarietà agli immigrati, complicità con chi lotta”.
Nel frattempo una camionetta della celere entra nel centro per sedare la rivolta
degli immigrati. Mentre alcuni compagni fanno un buco nel muro esterno del CPT
la celere in assetto antisommossa si avvicina ai manifestanti caricandoli. I
compagni e le compagne non si sono però intimoriti di fronte all’attacco delle
forze dell’ordine e hanno reagito alla carica rimanendo compatti e rispondendo
all’aggressione con un fitto lancio di pietre sulla polizia.
Seguono momenti di tensione al termine dei quali i manifestanti, sempre uniti e
determinati, decidono di partire in corteo per rendere partecipe la cittadinanza
di quanto avviene quotidianamente nei centri di detenzione per immigrati.
Durante il corteo non si è smesso di ricordare i due senegalesi assassinati
dalla polizia la scorsa settimana, ribadendo sempre di più la rabbia per queste
uccisioni che già sabato scorso aveva portato centinaia di immigrati in piazza
al fianco delle realtà torinesi. Si è anche ricordato, nonostante l’appoggio
alle lotte dei ferrotranvieri, che il clima xenofobo e razzista si è inasprito
ulteriormente da quando ai controllori del Gruppo Trasporti Torino (GTT) è stata
data la possibilità, in accordo con la questura, di fermare gli immigrati senza
documenti e consegnarli direttamente alle forze dell’ordine le quali si
incaricano di trasportarli nei CPT da cui verranno poi espulsi.
La digos aspetta la fine del corteo e l’allontanarsi dei manifestanti per
accanirsi su un compagno che tornava a casa. Dopo averlo fermato e identificato
i digos lo portano in questura è verrà arrestato con l’accusa di violenza
aggravata e lesioni e che verrà trasferito stasera nel carcere delle Vallette
dove dovrebbe rimanere fino a lunedì.
Per sabato pomeriggio è indetto un presidio davanti alle Vallette a sostegno del
compagno arrestato.
20 maggio, venerdì
Torino: questa notte sono state eseguite 5 espulsioni. Dovevano essere 6
ma un ragazzo che ha qui la moglie ed i figli ha cercato di non farsi espellere.
Lo hanno riempito di botte e adesso è in isolamento. Un altro ragazzo è stato
riempito di botte stanotte ed espulso, un altro si è aperto la pancia con un
vetro e dovrebbe essere portato all’ospedale. Pare inoltre che siano entrati dei
personaggi di una qualche delegazione non meglio specificata, non riconoscibili
e senza alcun segno distintivo...
Ravenna: presidio sotto la Prefettura organizzato dal Collettivo Autonomo
Laboratorio Sociale. Di seguito il volantino di convocazione del presidio:
Morgan Trevor Selvyn, cittadino del Belize, è trattenuto dal 15 aprile 2005
presso il Centro di permanenza temporanea “Corelli” di Milano, in forza di un
illegittimo decreto di espulsione emesso dal Prefetto di Ravenna il 15 aprile
2004.
Il provvedimento che ha colpito Morgan Trevor, infatti, non solo è radicalmente
disancorato dai presupposti normativi previsti dal T.U. in materia di espulsione
del cittadino straniero, ma viola, altresì, i più elementari principi di diritto
interno ed internazionale in materia di diritti umani.
Morgan non solo aveva contratto regolare matrimonio con una cittadina italiana
(dalla quale si è legalmente separato nel 2002), ma è il padre naturale di una
bimba, anch’essa cittadina italiana, verso la quale lo stesso ha assunto un
preciso obbligo di mantenimento in sede di separazione.
Dunque, il venir meno della convivenza con la moglie - circostanza questa posta
a fondamento della revoca del permesso di soggiorno disposta dalla Questura di
Ravenna - non priva certamente Morgan né del diritto all’unità familiare ed alla
stabile relazione genitoriale con la figlia minore, né di ottenere la
conversione del permesso di soggiorno per motivi familiari in quello per lavoro
subordinato o autonomo, tanto più che Morgan fa parte del gruppo musicale
“Italize” regolarmente iscritto alla SIAE.
La grave illegittimità del provvedimento di espulsione si annida anche nel
riferimento ad una generica “pericolosità sociale” di Morgan, che, invero, non
trova alcun riscontro oggettivo, non essendovi precedenti penali dai quali possa
desumersi che lo stesso sia abitualmente dedito a traffici delittuosi, ovvero
che viva abitualmente, anche in parte, con i proventi di attività delittuose, o
che sia dedito alla commissione di reati che offendono o mettono in pericolo
l’integrità fisica o morale dei minorenni, la sanità, la sicurezza o la
tranquillità pubblica.
Il decreto di espulsione è, quindi, segnato da un’ingiustificata sommarietà e
superficialità nella valutazione delle reali condizioni socio-familiari di
Morgan.
La stessa natura diffamatoria della campagna stampa promossa da alcuni
quotidiani locali all’indomani dell’emissione del decreto di espulsione,
caratterizzata da informazioni radicalmente non vere, getta seri dubbi sulle
reali ragioni sottese all’espulsione di Morgan.
I C.P.T. (centri di permanenza temporanea) sono lager dove la dignità umana
viene quotidianamente calpestata, galere illegali dove ogni principio di diritto
viene annullato in attesa di rimpatrio.
CONTRO OGNI RAZZISMO;
CONTRO LA LEGGE BOSSI E FINI;
CONTRO L’ASSURDA ESPULSIONE DI UN LIBERO CITTADINO;
CHIUDERE I C.P.T. !
VENERDI’ 20 MAGGIO 2005
PRESIDIO DI FRONTE ALLA PREFETTURA
(P.zza del Popolo)
DALLE ORE 11:00 PER TUTTA LA GIORNATA
Collettivo Autonomo Laboratorio Sociale
21 maggio,
sabato
Torino: presidio sotto il CPT e davanti al carcere per chiedere la
liberazione di Giovanni, arrestato giovedì. Detenuti e manifestanti battono
ritmicamente le sbarre della recinzione del campo, dai tetti é stata lanciata
una scarpa contenente la cartella clinica di un immigrato gravemente ammalato
diverse volte svenuto e mai ricoverato in ospedale, sul tetto un altro immigrato
ha imbrattato col proprio sangue un lenzuolo che sventola verso l’esterno del
reclusorio.
Lecce: un nutrito corteo di circa 500 persone ha sfilato sabato pomeriggio per
il centro di Lecce per chiedere la liberazione delle/i compagne/i arrestate/i e
continuare a lottare contro i CPT e la società che li genera. Partito dall’ex
Capolinea Occupato, messo sotto sequestro dalle forze dell’ordine, il corteo è
giunto alla piazza principale della città per poi tornare al punto di partenza.
Sono state denuciate le responsabilità di chi gestisce i CPT in tutti Italia e
chi contribuisce a rendere sempre più virtuoso l’ingranaggio della detenzione
per immigrati e la macchina delle espulsioni.
Si è parlato delle lotte che stanno avvenendo all’interno dei CPT a Torino,
Milano e a Bologna e della prossima apertura del nuovo CPT a Bari e del
movimento di solidarietà che sta prendendo forma.
Un corteo in cui sono stati tenuti lontani politici e giornalisti, un corteo che
si può definire un pugno nello stomaco a coloro che volevano isolare le/i
compagn* arrestat* e intimorire la lotta contro i CPT.
Una manifestazione ha visto la partecipazione di molti compagni della regione e
fuori, che si è ripreso le strade e le piazze della città.
22 maggio, domenica
Lecce: si è svolto dal primo pomeriggio un presidio di un centinaio di
persone di fronte al carcere di Lecce in solidarietà con le/i compagne/i
arrestate/i e con tutti i detenuti, contro il carcere e la società carceraria...
I detenuti ci hanno sentito e risposto e per quattro ore la musica si è
alternata agli interventi dei compagni.
Siamo solidali, perciò complici, con i compagni arrestati e con tutte le lotte
all’interno dei CPT.
E’ necessario mobilitarsi affinchè l’ingranaggio della detenzione di immigrati e
dell’espulsioni s’inceppi per chiudere i lager e fermare le deportazioni...
23 maggio, lunedì
Milano: verso sera giunge notizia che di fronte ad una nuova protesta dei
detenuti in via Corelli la polizia abbia scelto di caricare i detenuti in lotta
direttamente sul tetto della struttura con pestaggi, ammanettamenti e arresti.
Verso mezzanotte un presidio di una ventina di persone giunge fin sotto
l’ingresso del CPT. Un consigliere regionale entra nel centro verso l’una del
mattina non gli è consentito di incontrare i detenuti. Si apprende comunque che
la protesta è stata sedata e 22 detenuti sono stati arrestati e trattenuti in
una sala separata del centro e verranno trasferiti nel carcere di San Vittore
nelle prime ore della mattinata.
Torino: lo sciopero della fame e della sete, iniziato il 19 maggio all’interno
del centro di permanenza temporanea di corso Brunelleschi a Torino, è stato
momentaneamente sospeso probabilmente in relazione della visita all’interno del
CPT della parlamentare Matilde Provera. Un buon numero di digos, celerini e
poliziotti presidiava il CPT impedendo l’accesso ad un compagno che volevano
portare la propria solidarietà e del vestiario all’interno del lager. Provera,
in cerca probabilmente di un po’ di notorietà e di qualche voto alle prossime
elezioni, è del tutto estranea al movimento di lotta che sta portando avanti
ormai da parecchio tempo una critica radicale e attiva a centri di detenzione
come quello di corso Brunelleschi. La sua visita all’interno del centro appare
quindi come l’ennesimo tentativo da parte dei vari partiti di manipolare una
lotta che non appartiene loro, non riuscendo neanche a trovare consenso tra i
detenuti del centro che poco si fidano di figure a caccia di notorietà come
quella di Provera anche alla luce del suo rapporto amichevole con i poliziotti
manifestato durante la visita.
24 maggio, martedì
Dalla stampa nazionale la notizia che un plico esplosivo è stato
recapitato questa mattina a Modena presso la struttura, adibita a trattenere,
per identificare, gli immigrati privi di permesso di soggiorno e in procinto di
essere espulsi. La busta conteneva un libro di favole con le pagine cave, al cui
interno era stata collocata polvere esplosiva, con alcuni bulloni; un innesco
elettrico a strappo avrebbe potuto provocare la deflagrazione. L’involucro,
indirizzato a Daniele Giovanardi presidente della Misericordia, ente gestore
della struttura e fratello di Carlo Giovanardi, ministro per i Rapporti con il
Parlamento, era accompagnato da un volantino firmato dalla Federazione Anarchica
Informale. “Sono più o meno sempre gli stessi”. Così si è espresso il
procuratore capo di Bologna, Enrico Di Nicola, riferendosi agli autori
dell’attentato con il pacco bomba spedito a Modena. Di Nicola (che si è riferito
a precedenti episodi analoghi) ha aggiunto che gli attentatori “si muovono per
affinità in relazione alle operazioni. Si muovono in modo sparso”. Di Nicola
coordina il pool antiterrorismo della Procura bolognese che segue la vicenda
modenese e che si è occupato degli attentati avvenuti a Bologna. Il gruppo è
composto dai PM Paolo Giovagnoli, Morena Plazzi e Luca Tampieri.
Milano: in mattinata si svolge l’udienza di convalida degli arresti, 9 rimangono
reclusi in carcere. Le accuse sono di danneggiamento aggravato e danneggiamento
a seguito di incendio. Metà degli indagati hanno negato l’accusa mentre un’altra
metà ha preferito non dire nulla.
Torino: in mattinata una busta esplosiva si innesca nelle mani di un vigile. Lo
scoppio è avvenuto nella sede dell’ottava sezione, in via Saluzzo, nel quartiere
simbolo a Torino dei problemi legati all’immigrazione. La busta, proveniente da
Milano, era indirizzata alla sezione di San Salvario, e aveva un mittente che
sarebbe di fantasia.
25 maggio, mercoledì
Torino: all’alba di oggi sette immigrati marocchini reclusi nel lager di
corso Brunelleschi a Torino sono stati deportati verso il loro paese. Proprio
loro, insieme agli altri reclusi nel CPT, sono stati i protagonisti dei cinque
giorni di lotta per la chiusura dei nuovi lager. Il loro sciopero della fame, la
loro rivolta, la loro determinazione hanno dimostrato quanto questa lotta debba
essere una battaglia sociale concreta e non l’oggetto di chiacchere, mediazioni
e propaganda di partiti o gruppuscoli. Proprio nel momento in cui questi
immigrati venivano espulsi, le case di nove compagni attivi nella solidarietà
agli immigrati in lotta sono state perquisite, e con loro la sede del centro di
documentazione “Porfido”. Le perquise sono state eseguite senza mandato del
giudice ma avvalendosi del 41 TUULPS, l’articolo che consente alla polizia di
entrare nelle case senza mandato con il pretesto della “ricerca di armi e
droga”. Sono stati loro sequestrati numerosi volantini e altro materiale
cartaceo. Due compagni sentiti telefonicamente ci hanno riferito che, a detta
dei poliziotti che hanno effettuato la perquisizione a casa loro, l’iniziativa
poliziesca è da mettersi in relazione al pacco incendiario recapitato ieri ai
vigili urbani di San Salvario.
Nel pomeriggio si svolge un presidio in solidarietà con i 7 espulsi tra i
reclusi del CPT di corso Brunelleschi. In solidarietà con gli arrestati,
processati e massacrati di nascosto nel CPT di via Corelli a Milano. In
solidarietà con i compagni perquisiti la mattina a Torino.
In C.so Taranto un giovane nigeriano, Osakue Ewemade Steve, è morto mentre
tentava di calarsi dalla finestra del suo appartamento, condiviso con altre 4
persone.
Questo per sfuggire a un controllo degli sbirri (ben 30!) ed evitare di essere
internato nel CPT (Campo di Prigionia Temporanea) di Corso Brunelleschi.
Milano: volantinaggio di controinformazione sugli ultimi sviluppi della lotta
nel CPT di via Corelli in P.le Cadorna; la blindatura di digos e polizia è
imponente.
In nottata esplode per le strade la rabbia della comunità nigeriana per quanto
accaduto il giorno prima. Scontri con la polizia.
26 maggio, giovedì
Torino: presidio sotto la Prefettura.
27 maggio, venerdì
Torino: presidio sotto il consolato del Marocco complice dello Stato
italiano nelle espulsioni.
Il Centro é stato visitato dall’eurodeputato V. Agnoletto, accompagnato da un
assessore regionale del PRC (a Torino é stato confermato il divieto agli
assessori regionali di entrare se non al seguito di parlamentari!!); risultato:
denunce di invivibilità per le strutture e di alimentazione cattiva.
28 maggio, lunedì
Milano: una quarantina di persone partecipano al presidio indetto sotto
il carcere si san Vittore in solidarietà con gli arrestati nel CPT di via
Corelli.
Torino: cinquecento persone hanno partecipato ad un corteo contro i CPT e le
violenze della polizia. L’appuntamento è fissato per le 15 all’inizio di corso
Giulio Cesare. Partiti da Porta Palazzo, dopo aver fatto un giro per il
quartiere ci siamo accodati al corteo indetto dalle RSU per “una vera Vertenza
Torino”, dopo essere passati sotto il comune all’altezza di via Pietro Micca ci
siamo separati, dirigendoci verso la questura e la stazione di porta Susa. In
tutto il corteo la presenza delle forze dell’ordine è stata invisibile, ma
giunti alle vie che incrociavano la Questura i reparti della celere hanno
sbarrato la strada. Con determinazione gli immigrati e il resto del corteo hanno
fatto indietreggiare le forze dell’ordine e abbiamo proseguito verso Porta Susa,
invadendola e occupando i binari. Dopo aver bloccato il traffico ferroviario per
una ventina di minuti siamo ritornati a porta palazzo sciogliendo il corteo. Il
fratello del ragazzo nigeriano ucciso il 25 maggio, alla fine del corteo, non
smetteva di ringraziare chi aveva preso parte al corteo, per lui il fratello non
era morto ma viveva oggi nella nostra lotta. Due grida sopra tutto; polizia
assassina e siamo tutti clandestini.
31 maggio, martedì
Milano: il processo per la rivolta del 23 maggio nel CPT di via Corelli
si è aperto con condanne a 6 mesi (1 patteggiamento) e a 8 mesi (per 5 col rito
abbreviato). La giudice Fabiana Mastrominico infligge condanne superiori a
quelle richieste dal pubblico ministero per Sahin Yavuzatmaca, 19 anni, turco,
Predrag Gresovich, 33 anni originario della Serbia, Eleison Silva Sa, 18 anni,
Francio Bezerra Fukui, 19 anni, brasiliani, Ahmed Mami, 34 anni, algerino. Gli
altri 16 immigrati accusati di danneggiamento aggravato invece saranno giudicati
con il rito ordinario, il prossimo 23 giugno. Due i testimoni chiave
dell’accusa: un funzionario della Croce Rossa e un agente di polizia. Ancora una
volta, come per il processo a Gisela, è il personale della Croce Rossa che
fornisce i testimoni dell’accusa. Tra gli imputati vi sono almeno due minori
come si può ben vedere dal loro aspetto fisico. Una trentina di persone hanno
presenziato all’udienza, parlando con gli immigrati imputati e facendo sentire
la loro solidarietà.
Torino: del CPT di corso Brunelleschi è iniziata un’altra protesta.
Un lavoratore marocchino, da tutti conosciuto come “il meccanico”, sequestrato
nell’officina dove lavorava al nero, s’é di nuovo ingoiato di tutto per non
essere deportato: qui ha moglie e figlia.
1 giugno, mercoledì
Torino: due ragazzi nigeriani reclusi nel CPT sono stati espulsi. Uno
degli immigrati reclusi, quando gli hanno notificato il decreto di espulsione,
ha ingerito dei vetri. Questo evento, oltre ad evitare la sua espulsione, ha
scatenato la rabbia degli altri prigionieri, che hanno dato vita ad una rivolta
consistente in vari danneggiamenti e nella ripresa dello sciopero della fame.
Rispetto alla scorsa settimana, il numero dei detenuti nel CPT è diminuito
notevolmente, alcuni detenuti sono stati espulsi, altri trasferiti - a seguito
della rivolta - nel carcere delle Vallette, altri ancora, si presume,
liberati...
Restano all’interno del LAGER circa una ventina di prigionieri, rispetto ai
settanta della scorsa settimana. Tutti venti stanno attuando lo sciopero della
fame.
Ricordiamo, tra l’altro, che nel centro sono rinchiuse le due ragazze nigeriane
rastrellate nel palazzo di corso Taranto, dove è morto il ragazzo nigeriano
precipitato dal balcone per sfuggire a un controllo. Una di loro, Doris, era la
sua fidanzata; loro sono le uniche due persone in grado di testimoniare sulla
dinamica della morte di Steve. La loro detenzione è quindi chiaramente uno
strumento per evitare qualsiasi messa in discussione della versione della
Questura, che parla come al solito di un “incidente”.
Le richieste dei prigionieri, seppur non ancora scritte nero su bianco, sono: la
denuncia delle condizioni di vita all’interno del centro di Corso Brunelleschi,
la fine delle deportazioni, la liberazione di tutti gli immigrati rinchiusi, la
chiusura di tutti i centri di permanenza temporanea...
2 giugno, venerdì
Roma: viene caricato dalla polizia la manifestazione dell’arcipelago
NOWAR convocata in concomitanza con la parata militare del 2 giugno per chiedere
l’immediato ritiro dei militari italiani dall’Iraq. Il corteo è stato
arbitrariamente bloccato alla fine di via Marmorata (dopo appena 500 metri) con
il pretesto di uno striscione all’interno della manifestazione. Le parole
testuali dello striscione erano “Pisanu vergogna della Repubblica. Chiusura dei
CPT”.
3 giugno, venerdì
Lecce: all’inizio di questa settimana (per Saverio, Cristian e Salvatore,
ancora reclusi nella casa circondariale di Borgo San Nicola - Lecce) e
stamattina (per Annalisa e Marina, ai domiciliari e sorvegliate a vista) si sono
tenute le udienze, a porte chiuse, circa la richiesta di riesaminare i termini
della custodia cautelare pronunciati dal GIP.
Per quanto è stato fatto intendere, dalle prime notizie fornite direttamente
dagli avvocati De Luca e Palmisano, s’intravede la possibilità che le accuse più
pesanti ai danni delle ragazze possano cadere, ma occorre attendere lunedì
(secondo previsioni ottimistiche) per il pronunciamento sulla valutazione dei
fatti che il magistrato presenterà.
Se per Annalisa e Marina la possibilità del rilascio, con obbligo di firma e/o
dimora, non appare così remota, la situazione dei compagni incarcerati si
prospetta più complicata, in particolar modo per Salvatore; la distorta logica
della “giustizia” continua ad identificare nella sua figura quella di un
fantomatico leader del movimento anarchico salentino.
Alcuni indirizzi e link utili:
Comitato di sostegno alla lotta dei detenuti di via Corelli
appoggiolottacorelli@libero.it
Contro ogni Frontiera - MI
controognifrontiera@yahoo.it
Via Adda non si cancella
http://www.viaaddanonsicancella.org/
NoEspulsioni
http://www.ecn.org/noespulsioni/
no_espulsioni@nolog.org
Progetto Melting Pot Europa
http://www.meltingpot.org/