SENZA CENSURA N.17
LUGLIO 2005
Cronache di fabbrica
Zanussi-Electrolux: una fabbrica tra
flessibilità e delocalizzazione
Anche in Italia stiamo assistendo nel settore degli elettrodomestici ad un
processo di razionalizzazione produttiva che si è in parte già consumato in
altri paese europei come la Germania, la Francia e la Gran Bretagna, un
processo che ha preso una chiara fisionomia a partire dalla fine degli anni
’90 e si è mosso su due assi principali. Il primo quello della
riorganizzazione dei processi produttivi, dell’organizzazione del lavoro
facendo propri i postulati della flessibilità; l’altro dello sviluppo di
processi di internazionalizzazione e di delocalizzazione nei paesi dell’Europa
orientale o in quelli Asiatici. Il settore degli elettrodomestici ha un ruolo
importante nel nostro paese dove attualmente sono occupati circa 50mila
addetti diretti, occupati in quattro grossi gruppi aziendali accanto a
moltissime piccole e medio imprese. A questi vanno aggiunti altri 150mila
lavoratori dell’indotto.
ELECTROLUX:
7.800 DIPENDENTI 5 FABBRICHE
La multinazionale svedese impiega in Europa 26mila lavoratori e dispone di 21
impianti.
WHIRLPOOL EUROPE:
6.000 DIPENDENTI 4 FABBRICHE
L’occupazione complessiva del gruppo Usa in Europa è di 14mila lavoratori e 7
siti produttivi.
INDESIT:
6.000 DIPENDENTI 8 FABBRICHE
Il gruppo di Fabriano conta in Europa 18mila dipendenti e 19 stabilimenti.
CANDY:
2.000 DIPENDENTI 5 FABBRICHE
Il gruppo lombardo conta in Europa 5mila lavoratori e 12 stabilimenti.
Abbiamo incontrato alcuni lavoratori della Zanussi-Electrolux di Solaro
(Milano) fabbrica che produce lavastoviglie ed è controllata dal 1986 dal
gruppo svedese. In questa fabbrica ci lavorano 1.200 persone ed escono oltre
un milione di pezzi ogni anno, distinti in 32 marchi e ben 550 modelli
differenti. “Nel nostro stabilimento ci sono sette linee di montaggio ed un
reparto di stampaggio lamiera che praticamente da il materiale al montaggio.
Il reparto stampaggio è diviso in tre turni, primo secondo o giornata, mentre
il montaggio su due. Il tempo di lavoro è su cinque giorni ma molto spesso si
lavora il sabato come straordinario. Durante tutte le fasi lavorative deve
essere presente il reparto manutenzione”. Per i tipi di contratto presenti
“c’è una maggioranza di lavoratori a tempo indeterminato soprattutto nel
reparto montaggio. C’è un grande uso dei contratti a termine mentre il lavoro
interinale ancora non è molto diffuso; ci sono anche cooperative. Ci sono,
diciamo che si stanno avvicinando adesso alla produzione, vanno comunque a
sostituire in quei posti dove manca personale a volte anche nella linea di
montaggio e nell’impianto di stampaggio e quindi in produzione oppure ci sono
ragazzi delle cooperative che girano con il carrellino per portare le vasche
da un reparto all’altro dunque fuori dalla produzione diretta, sono comunque
figure in aumento, alcuni lavori sono poi esternalizzati come quello delle
pulizie; stanno entrando adesso anche i lavoratori immigrati ma a Solaro
ancora pochi, principalmente sono a livello di operai, entrano con un primo
livello per arrivare al massimo al terzo livello come sono io, e lavorano al
reparto verniciatura e qualcuno alla linea di montaggio, però sono pochi.”
Nella fabbrica di Solaro come in tutte quelle del gruppo Electrolux i primi
mesi dell’anno sono stati caratterizzati dalla vertenza per il contratto
integrativo e per la difesa dell’occupazione. Il contratto aziendale è scaduto
da oltre un anno e l’azienda non considera possibile rinnovarlo a meno che non
si accettino le sue condizioni. “Per ora l’azienda non molla, l’azienda ha
detto stando quanto ci ha detto un delegato che se presentate una piattaforma
per il rinnovo a costo zero né possiamo parlare se no niente”. L’azienda
individua come strumento necessario ad un possibile accordo l’attivazione
periodica e sicura di una flessibilità produttiva che nelle sue proposte
consiste in:
- un aumento del ricorso a forme di lavoro precario fino ad almeno il 24%
della forza lavoro, riducendo le assunzioni a tempo indeterminato negli
stabilimenti del gruppo;
- revisione dell’attuale regola contrattuale che permette al singolo
dipendente dopo 24 mesi di contratto a termine di essere assunto a tempo
indeterminato;
- di poter disporre in un quadro di certezza di ralizzazione di 96 ore pro
capite annue di masse di orario con introduzione del possibile 2° turno il
sabato
- di raggiungere entro il 2006 fermate collettive (ferie) nel periodo estivo
non superiori alle 2 settimane consecutive invitando i lavoratori a
privilegiare ferie scaglionate durante tutto l’anno;
- solo a fronte della possibilità di poter disporre degli strumenti prima
dichiarati è per l’azienda possibile un aumento di 100 euro all’anno del
premio di risultato
Tutto questo si inserisce in un quadro sia di bassi salari che di aumento dei
ritmi di lavoro, “l’azienda è arrivata a chiedere fino a 75 pezzi l’ora, più
di uno al minuto, si lavora a ritmi insostenibili”. “Gli stipendi a contratto
sono sui 900 euro 850-900 euro appena assunto e dopo 15 anni arrivi a prendere
1.100 euro. Molti nuovi contratti sono a termine e questi la maggior parte
sono di 9 mesi + 9 o 10 mesi + 10, anche contratti di 6mesi + 6. Diversi
contratti sono poi riconfermati, viene in pratica usato anche come periodo di
prova, bisogna dire che il lavoratore a termine si fa un “culo” per un anno e
viene a lavorare tutti i sabati, accetta spesso di fare gli straordinari ecc.”
A fronte di questa continua pressione e richiesta di sacrifici si è inserita
la volontà di Electrolux di trasferire il 50% dei suoi impianti europei e nord
americani in paesi con minor costo del lavoro ed ha così annunciato 400
esuberi tra Firenze e Parabiago in provincia di Milano. Rispetto alla
specifica produzione di lavastoviglie inizierà nel prossimo anno il lavoro un
nuovo sito in Polonia. “Per quanto riguarda anche chiaramente il discorso
della delocalizzazione dello stabilimento in Polonia, è una realtà, stanno
aprendo uno stabilimento che produce lavastoviglie in Polonia parte a dicembre
a produrre e questo ci riguarda direttamente. La delocalizzazione comporta il
fatto che Electrolux ha attualmente 2 stabilimenti che producono lavastoviglie
il nostro a Solaro che è quello maggiore che fa più pezzi e poi c’è quello in
Germania a Norimberga.
Sul livello di occupazione per ora non c’è niente di definito però è chiaro
che o a Solaro o a Normimberga si subiranno le conseguenze di questa apertura.
La Germania pare che sia più a rischio di tagli occupazionali per due motivi,
uno che il costo del lavoro è più caro che in Italia, due che là fanno un
prodotto a bassa gamma così come sarà in Polonia mentre in Italia il prodotto
riguarda principalmente una gamma medio alta. Aprire nell’est europa è un
discorso legato prevalentemente al costo del lavoro ed alla presenza di minori
rigidità perché poi un mercato in quei paesi già c’è.
Per il contratto integrativo del gruppo sono state fatte una ventina di ore di
sciopero, sono stati fatti picchettaggi al sabato, il blocco degli
straordinari con picchettaggio, iniziative tipo blocco della strada
provinciale Saronno-Monza, e l’adesione era buona si può dire quasi al 100 per
centro anche perché si girava all’interno dello stabilimento e si fermavano
gli impianti, una buona partecipazione anche a grande sorpresa della RSU che
non se lo aspettava. Adesso però il rischio è quello che la cosa vada
spegnendosi perché non ci sono state risposte da parte dell’azienda se non una
lettera, un articolo sul giornalino interno della azienda che si chiama “Qui
zeta emme”, in prima pagina intitolata “Al lupo al lupo” fatto dal direttore
accusava noi lavoratori di entrare in fabbrica e di non pensare alla gravità
della situazione perché il pericolo c’era veramente e accusandoci poi per un
presunto alto tassi di assenteismo che provocherebbe la chiusura dell’azienda
per trasferimento, accusava gli operai accusandoci per l’assenteismo che
secondo lui era arrivato al 20% e così quale gruppo si porterebbe dietro
un’azienda che raggiunge picchi di assenteismo così alto.
L’azienda poi ha chiesto un aumento della produzione, di produrre pezzi in
più, per cui sette sabati lavorativi obbligatori nell’arco di un anno,
vogliono poter decidere sul secondo turno in questi sette sabati, quello che i
lavoratori chiamano il “sabatino”, in pratica vuole decidere sui turni oltre a
quello dalle 6 alle 14 avere la possibilità di fare anche quello che và dalle
14 alle 22”.
Le mobilitazioni hanno avuto i suoi momenti più
alti nelle giornate di sciopero di tutti gli stabilimenti Electrolux del 15
marzo e del 13 maggio, giornate indette dal coordinamento Rsu del gruppo e dai
sindacati confederali. La piattaforma sindacale prevede, all’interno di un
quadro negoziale, la conferma delle assunzioni con contratto a tempo
indeterminato quale forma di rapporto fondamentale; il ricorso ai contratti a
termine e interinali in una misura non superiore al 14% e l’esclusione del
ricorso ad altre forme di lavoro precario; il ricorso a forme di flessibilità
dell’orario nelle misure previste dai contratti aziendali e nazionali le cui
modalità siano concordate con le Rsu, un adeguamento salariale annuo sul
premio di risultato ed un aumento mensile che risponda alla nostra richiesta
di 85 euro. Rispetto alla difesa dell’occupazione il coordinamento Rsu
ribadisce la sua opposizione ad una logica di asta competitiva fra
stabilimenti che nei fatti contrappone tra di loro lavoratori di diverse
nazionalità e di diverse fabbriche; una logica che produce solo un progressivo
abbassamento dei salari e dei diritti.
Gli scioperi hanno avuto un alta adesione, ad esempio a marzo le adesioni
hanno superato l’80% ed i lavoratori hanno partecipato alle iniziative esterne
organizzate in ogni stabilimento per dare visibilità alle rivendicazioni ed
alle proposte sindacali.
A Scandicci (Firenze) dove lavorano 750 persone e si producono frigoriferi e
refrigeratori, si è svolta una manifestazione che ha coinvolto tutte le
aziende industriali del comune.
A Forlì dove lavorano 1.400 persone e si producono forni e cucine si è svolta
una manifestazione davanti alla portineria dello stabilimento ed un
volantinaggio sulla Via Emilia.
A Solaro corteo e blocco della provinciale.
A Susegana (Treviso) dove lavorano 1.100 persone e si producono frigoriferi e
refrigeratori è stato effettuato un volantinaggio sulla Via Pontebbana.
Presidi e volantinaggi sono stati effettuati nei due stabilimenti della
provincia di Pordenone, a Porcia dove lavorano 2.500 persone e si producono
lavatrici ed in quello del capoluogo dove lavorano 1.200 persone e si
producono attrezzature rivolte al settore professionale.
“A maggio c’è stato ancora uno sciopero per tutto il gruppo con una
manifestazione unitaria a Pordenone, sono stati organizzati pullman e i
lavoratori sono andati da Solaro, lo sciopero ha avuto un ottimo risultato si
riporta il 90% di adesioni mentre pochi sono andati alla manifestazione circa
30 persone su 1200, al corteo di Pordenone erano in circa 3000 lavoratori a
manifestare”. Come gli stessi lavoratori hanno più volte evidenziato è nei
momenti di lotta che si sviluppano nuove relazioni, che si consolida un unità
e questa si sviluppa in forza che dà a tutti maggiore consapevolezza e
possibilità di crescere sia individualmente sia all’interno di percorsi
collettivi. Non a caso quando c’è da lottare “i lavoratori si sono adoperati
perché tutto funzionasse bene: dagli scioperi al picchetto del sabato, dal
preparare i materiali al coinvolgimento dei più restii”.
Alla riuscita delle mobilitazioni l’azienda ha risposto con intimidazioni
cercando di contrapporre lavoratori anziani con gli ultimi entrati (che fra
l’altro hanno sempre partecipato agli scioperi); nel provocare forzando i
comandi ed i ritmi di lavoro per creare divisioni; facendo intimidazioni con
le neo-mamme che hanno aderito agli scioperi, dicendo loro che non gli saranno
riconosciute le ore di permesso d’allattamento mentre la Corte di cassazione,
sezione lavoro, con la sentenza n.292 del 19/1/1990 afferma che “il diritto a
tali riposi ed il relativo trattamento, non è limitato quantitativamente dal
fatto che la lavoratrice madre abbia partecipato ad uno sciopero effettuato in
ore diverse da quelle stabilite per i riposi stessi, verrebbe, invece, meno
allorché questi coincidano con lo sciopero cui abbia aderito detta
lavoratrice.”
“Nei momenti in cui non ci sono scadenze particolari l’attività all’interno
della fabbrica risulta molto difficile anche per questo avevamo cercato di
costruire un esperienza un poco più politica, eravamo cinque o sei persone che
si trovavano abitualmente e lavoravano nello stesso reparto, siamo anche un
punto di riferimento per le Rsu quando si tratta di organizzare gli scioperi e
allora ci siamo posti il problema di come crescere di essere un po’ di più,
come fare a diventare un gruppo con queste persone.
Abbiamo pensato che magari con il Circolo di Rifondazione si può fare
qualcosa, era poi il periodo dell’articolo 18 del G8 di Genova e molti giovani
erano più sensibili ad affrontare discorsi politici, abbiamo detto questo qui
è il momento e proviamo a fare qualcosa.
Abbiamo così iniziato ad andare alle riunioni del circolo di rifondazione di
Solaro, noi eravamo il collettivo Zanussi del circolo, si parlavano di
problemi legati al territorio, noi possiamo far girare delle nostre cose col
vostro logo da far girare per problemi legati allo stabilimento o legati allo
stabilimento ed il territorio e abbiamo fatto 2 o 3 volantini da distribuire
poi dopo un po’ è andato scemando perché noi contavamo sull’appoggio di alcuni
delegati che magari avevano l’esperienza e più tempo a disposizione per
coinvolgere le persone però si sono rivelati poco disponibili, mentre i più
giovani non si sono rivelati interessati. Poi ci siamo trovati davanti a delle
difficoltà oggettive che non si aveva la possibilità di girare lo
stabilimento, per cui con il tempo che avevamo a disposizione non si riusciva
a coprire i reparti e a conoscere un po’ di persone; poi facciamo i turni e
questo è un altro limite, però non si riesce a trovare il collegamento, il
modo di coinvolgere altri e portarli al circolo, vedersi fuori dal lavoro non
è stato possibile o non c’era interesse e alla fine eravamo sempre noi quattro
o cinque.
Bisogna però dire che negli ultimi scioperi c’era una grande adesione che non
si vedeva da diversi anni, si sono fatti striscioni, si portavano i
fischietti, le campane e poi ci siamo detti ma “questa è la Zanussi?”.
Solo che adesso la cosa sta scemando, sai si sono organizzati i picchetti al
sabato cercando modi per coinvolgere i lavoratori ma poi c’è il problema che
gli stipendi sono bassi uno con 15 anni di lavoro prende 1100 euro e a volte
vuole lavorare al sabato altrimenti non ce la fà a tirare avanti, poi ci sono
i momenti di ribasso delle lotte e non avendo risultati o hai una coscienza ed
allora sei disponibile a rinunciare a delle cose anzi lo fai per scelta ma
altrimenti preferisci andare al lavoro. Positivo è stato che agli ultimi
scioperi hanno partecipato anche i contratti a termine, forse anche perché poi
si facevano i picchetti, magari qualcuno passava ma altri non si azzardavano
neanche.
I picchetti si sono fatti al sabato sugli straordinari e per gli scioperi
nelle ore centrali si faceva il corteo interno per far spegnere gli impianti o
far liberare le linee di montaggio e poi si usciva per strada davanti ai
cancelli, bisogna anche non dar modo di recuperare le ore perse negli scioperi
facendoti lavorare al sabato, nei momenti di lotta c’è sempre il blocco degli
straordinari, noi l’abbiamo sempre fatto”.
Ed il problema occupazionale riguarda immediatamente anche i lavoratori
dell’indotto, infatti il fenomeno della delocalizzazione non interessa solo
l’impresa madre ma coinvolge immediatamente anche le attività dell’indotto (la
componentistica). In pratica è come se un intero distretto industriale, o una
parte rilevante di esso, si trasferisse da un paese all’altro. “È un problema
quello dell’indotto, anzi adesso come adesso è l’indotto che subisce per primo
queste trasformazioni o la cosiddetta “crisi” che si ripercuote prima
sull’indotto che sullo stabilimento, perché è anche più facile sono i più
deboli, gli dicono ci fate i pezzi a questo prezzo qua e manteniamo il
rapporto altrimenti li facciamo fare ad altri o da un altra parte, per Solaro
si tratta principalmente di minuterie, materiale plastico, guarnizioni e sono
in Lombardia. Ci ha raccontato un nostro amico che lavora in uno stabilimento
di Brugherio dove producevano delle guarnizioni anche per la Electrolux che
questa ha chiuso gli ordini e ha pensato bene di rivolgersi altrove per le
guarnizioni, di prenderle da fuori dall’Italia dove costano meno a quindi il
suo stabilimento ha perso la commessa e rischia di chiudere.Purtroppo si fa
fatica a costruire rapporti con aziende dell’indotto”.
Oltre a questo è importante evidenziare come si va delineando con sempre
maggiore chiarezza un progressivo allungamento delle reti di fornitura ben
oltre i confini nazionali. La comprensione di questa realtà diventa un punto
di partenza per ogni possibile vertenza e lotta sia che si assesti su di un
aspetto resistenziale, di difesa degli attuali standard occupazionali o di
intensità del lavoro, sia che si ponga in termini di rivendicazione, si ponga
cioè nell’ottica di lottare anche per colpire i padroni e i loro governi.
Il gruppo Electrolux è stato all’avanguardia nel cercare di costruire un
organizzazione del lavoro basata sulla flessibilità, sulla produzione dei
pezzi necessari nella quantità necessaria ed al momento giusto. Si è assistito
al tentativo di imitazione del modello produttivo giapponese, alla volontà di
avere mano d’opera flessibile (anche ideologicamente, cioè che facesse propri
gli obbiettivi aziendali) con variazioni del numero degli operai in relazione
alla variazione della domanda e che avesse un controllo autonomo sui difetti
facendo tesoro dei suggerimenti degli stessi addetti alla produzione.
Successivamente il sistema giapponese si è rivelato non del tutto funzionale
agli obbiettivi padronali, quelli della competitività legata al massimo
profitto, e così il toyotismo non ha sostituito del tutto la vecchia
organizzazione del lavoro fordista, ma all’interno dell’azienda sopravvivono
elementi sia dell’uno che dell’altra.
“C’è stato il periodo della Qualità Totale, dove praticamente si andava a
copiare il metodo di lavoro giapponese. La teoria giapponese era quella di
creare all’interno di uno stabilimento tanti piccoli stabilimenti rendendoli
competitivi uno con l’altro e per cui istruire lavoratori per questo metodo.
Sono venuti dal Giappone per introdurre questa metodologia, una cosa venduta
da loro è stata anche questa del premio di produzione legato al bilancio
aziendale per cui all’assenteismo, agli infortuni, alla malattia, agli scarti
di produzione; faceva sempre parte del discorso qualità totale, poi c’era il
metodo kaizen ecc. Lo spiegavano così: c’è un triangolo e dove praticamente
veniva tagliato questo triangolo a linee orizzontali dove c’erano i lavoratori
della linea di montaggio i capi turno mentre loro volevano crearla in
verticale in modo che il rapporto tra operaio della catena di montaggio e
l’ufficio progettazione non ci fossero troppi scalini, volevano creare dei
team dove un semplice operaio che si trova alla catena di montaggio e si
ritrova con delle viti spannate non deve andare dal suo capo che va poi da un
atro capo ecc. ma doveva avere la possibilità di fare meno strada, di prendere
una decisione, di essere più partecipe più coinvolto, questo triangolo anziché
per linee orizzontali era per linee verticali. Poi però tutto questo è stato
cancellato. Le cose che sono rimaste di tutto ciò sono quello che prevede il
premio produzione legato alla produttività.
È finita questa cosa del lavoro in team , ora lavoriamo tutti come si lavorava
in precedenza con dei ruoli definiti ed una catena gerarchica. Una cosa che
volevano fare era ad esempio quella che metteva la linea 1 in confronto con la
linea 2 e chi lavorava meglio nell’arco di un mese riusciva ad avere dei
premi, si voleva creare la competizione tra operai.
Adesso l’operaio si rivolge al suo capo turno. Poi il controllo ed i richiami
variano da reparto, in quello dove lavoro io che è lo stampaggio la situazione
è tranquilla mentre diverso è nel montaggio dove oltre al capo linea, al capo
reparto, ci sono tutti i capetti che prima erano operai e adesso solo perchè
gli hanno dato la casacca di un altro colore si sentono di doverti comandare e
urlano alle persone, questo avviene alla catena di montaggio dove il controllo
sulla produzione è rigido.
Una cosa importante che è rimasta è che sono state eliminate le scorte e
infatti a fine mese arrivi proprio con i materiali al minimo, si “aspetta” il
camion che arriva con i pezzi, e poi la lavastoviglie che si sta producendo in
catena di montaggio ha già il suo compratore.
Avevano cercato, sempre rispetto alla flessibilità, di introdurre diverse
forme contrattuali atipiche, ma la risposta dei lavoratori ha permesso che non
siano riuscite a penetrare queste forme di lavoro. Quando c’è stata la
proposta del “job on call” c’è stato subito un referendum fra i lavoratori che
l’hanno bocciata, le rsu si sono mosse ecc. e cosi è stato anche per il 6x6.
Di fronte alle immediate proteste l’azienda ha preferito fare dietro front per
evitare uno scontro. Anche se però le cose cambiano, può darsi che non era il
momento, che ora sia magari diverso, non si deve abbassare mai la guardia”.
Riguardando l’intera industria degli elettrodomestici occorre rilevare come
questo sia un settore prospero, con un fatturato nel 2004 di 9.5 miliardi di
euro ed una attivo della bilancia commerciale (differenza export-import) di 5
miliardi di euro ma che ha subito un calo di produttività negli ultimi mesi
dell’anno scorso.
Non è quindi possibile affrontare la questione occupazionale e/o della
competitività solo da un’angolazione nazionale ma occorre vederne l’aspetto
internazionale, visto poi che si parla essenzialmente di grandi gruppi
multinazionali. Questi decidono dove produrre, come produrre in base alla
possibilità di ottenere il più alto profitto possibile; e questo vale sia per
le società a capitale straniero che per quelle italiane. Il fenomeno che viene
chiamato delocalizzazione, cioè lo spostamento del processo produttivo verso
Paesi a più basso costo del lavoro e con garanzie e tutele per i lavoratori
molto basse è perciò strettamente legato alla ricerca del massimo profitto.
Le aziende spostano parti della produzione verso i Paesi dell’Europa orientale
ed in quelli asiatici sia perchè il costo tra le produzioni di questi paesi e
quelle europee è molto più basso sia perché si aprono per loro nuovi mercati.
Per il settore degli elettrodomestici ad esempio incide molto il costo di
trasporto mentre non è problematica la produzione di apparecchi a basso
contenuto tecnologico, perciò un impresa definita “player globale” sceglie di
produrre direttamente in Polonia o in Turchia dove è presente una forte
domanda di prima installazione (ed anche un buon livello professionale della
manodopera) a differenza dei mercati europei dove prevale la domanda di
sostituzione.
Nei paesi del centro imperialista rimarranno comunque tutte quelle produzioni
ad alto e medio livello tecnologico, il che vorrà dire il trasferimento delle
fasi della produzione a più elevato impiego della manodopera con un
ridimensionamento del numero di lavoratori dediti a mansioni di carattere
manuale ma allo stesso tempo all’incremento della richiesta di figure
professionali a più elevata specializzazione (ed a questo risponde anche una
riforma della scuola finalizzata alle esigenze del lavoro). Questi processi di
internazionalizzazione sono inevitabilmente destinati a produrre significative
trasformazioni. Abbiamo visto quelle sul piano occupazionale, con la scelta di
tagliare da parte di Whirpool circa 1.000 posti di lavoro nelle due aziende
della provincia di Varese con la conseguente perdita immediata di altri 2-3
mila posti nell’indotto; dei licenziamenti alla Electrolux, dei 185 esuberi
nell’impianto bergamasco di Cortenuova del gruppo Candy nello stesso momento
in cui aprirà fabbriche nella Repubblica Ceca per la produzione di frigoriferi
ed in Russia per le lavatrici.
Per i lavoratori che rimarranno funzionerà sempre di più l’arma del ricatto
dell’aumento dei ritmi di produzione, del contenimento dei salari, del
sostenere le politiche padronali in una guerra di concorrenza con i lavoratori
degli altri paesi.
Ma l’internazionalizzazione del modo di produzione capitalistico contribuisce
a formare anche un nuovo proletariato internazionale, produce un aumento della
classe operaia ora su scala mondiale. E lo scontro si gioca sulla necessità
della presa di coscienza di questo essere ora parte di un proletariato
mondiale, che sempre più vive le stesse condizioni e si trova di fronte lo
stesso dispotismo padronale ed una sovrastruttura statale funzionale al
mantenimento dell’ordine capitalistico. Alcuni segnali iniziano a vedersi. Gli
operai della fabbrica di auto Skoda nella Repubblica Ceca scioperano
rivendicando aumenti salariali al livello dei loro compagni tedeschi.
L’indicazione “Proletari di tutti i paesi, unitevi!” dataci da Marx ed Engels
nello statuto della “Lega dei Comunisti” dopo più di 150 anni diventa sempre
più attuale e concreta.