SENZA CENSURA N.17
LUGLIO 2005
“Democrazia Imperialista”
Una Testa Politica alla Macchina da Guerra
La richiesta Usa di un maggiore coinvolgimento
della Nato nella gestione dell’occupazione del territorio iracheno, ed in
generale nell’applicazione sul campo delle decisioni politiche militari della
borghesia americana, ha generato visibili difficoltà all’interno del quadro
imperialista. Sebbene l’attuale fase veda la nascita di un antagonista alle
politiche espansionistiche rappresentato dalla resistenza irachena, assistiamo
parallelamente ad un allargamento dell’influenza della borghesia occidentale a
“comando Usa” attraverso l’inglobamento, nella sua catena di dominio, di paesi
precedentemente profondamente legati alla sfera sovietica prima e russa dopo.
Le cosiddette “rivoluzioni” arancioni o rosa, o profumate dal fetore del fiore
del male imperialista, per molta parte finanziate dal capitale Usa e non solo,
rappresentano sicuramente un’altra guerra, non possibile da combattere in
altro modo, ma che come per le guerre a bassa intensità in America Latina, le
occupazioni in Afghanistan e Iraq, rappresenta una delle tante facce della
stessa medaglia. La Nato è chiamata a rispondere a questo “nuovo” compito.
Certamente anche all’interno dei paesi coinvolti esistono sacche di
opposizione che possono aver onestamente contribuito alla caduta della
precedente struttura di potere, ma è innegabile che i processi di
trasformazione in atto sono totalmente indirizzati verso un allineamento
sistematico allo stesso quadro Nato, offrendo piena collaborazione politica e
militare alla grande guida americana.
Il meeting di Vilnius del mese di aprile ha sancito l’accelerazione del
processo di integrazione dell’Ucraina, attribuendo a questo paese
un’importanza strategica fondamentale in funzione della stessa possibilità che
questo rappresenti “la guida” per la sicurezza nel Caucaso e nel sud est
asiatico. “L’Ucraina ha bisogno di noi, noi abbiamo bisogno dell’Ucraina” ha
affermato il Segretario Generale Nato durante un’intervista ai margini
dell’incontro.
La messa in atto di tale affermazione si traduce in una maggiore chiarezza sui
passaggi ancora da compiere per una sua piena integrazione: il rafforzamento
delle “istituzioni democratiche” ovvero l’adeguamento della sovrastruttura
agli interessi della borghesia imperialista attraverso le risorse Nato o di
altri partner istituzionali interessati come il Geneva Centre for Democratic
Control of Armed Forces (DCAF); l’aumento dell’intervento del Joint Working
Group on Defence Reform (JWGDR) per sostenere la creazione di un forte
compagine politico-economico-militare; il potenziamento del ruolo delle
strutture che hanno già intrapreso un percorso di collaborazione con la Nato
utilizzando gli Action Plan (AP)/Annual Target Plan (ATP) come strumento di
confronto e per la eventuale rimozione dei “punti critici” se necessario.
Il dialogo politico, oltre che sulle aree di intervento definite dall’Action
Plan, dovrà assumere l’obiettivo di trasferire a livello pubblico il
“significato positivo” del reale cambiamento intrapreso nelle relazioni tra
Nato ed Ucraina, in particolare indirizzato verso quei settori sia
istituzionali, sia popolari, “legati ad una visione antiquata del ruolo della
Nato”. Nel contesto del Joint Working Group on Defence Reform (JWGDR) il
governo ucraino verrà sostenuto nella ristrutturazione del proprio sistema di
informazione e sicurezza attraverso un maggiore scambio di esperienze con
l’ausilio degli esperti del International Staff (IS)/International Military
Staff (IMS), offrendo piena collaborazione per compiere il processo di
demilitarizzazione della sicurezza sul fronte interno, che non vuol dire
ridurre il peso della struttura repressiva ma adeguarla alle esigenze attuali.
La maggiore collaborazione tra NATO Defence College’s (NDC) e Ukraine’s
National Defence Academy potrà rappresentare il supporto ideologico in grado
di generare un nuovo approccio alle tematiche relative alle riforme della
difesa e della sicurezza per la piena integrazione all’interno dell’ombrello
Nato.
La battaglia sul piano culturale e ideologico prevede la realizzazione di
materiale di propaganda anche in lingua russa, in modo tale da influenzare la
visione negativa di quella parte di popolazione e del potere politico presente
nella parte orientale dell’Ucraina tradizionalmente rimasto legato alla sfera
di influenza ex sovietica, oltre che la creazione di una sinergia tra i vari
settori governativi e non governativi ucraini, l’organizzazione di seminari ed
iniziative pubbliche alle quali invitare a partecipare rappresentanti della
politica, dell’economia, giornalisti ed opinionisti che supportino a livello
pubblico la strategia di omogenizzazione ideologica nei confronti della Nato.
Anche il settore dell’industria della difesa dovrà essere profondamente
riformato per adeguarsi al mercato internazionale integrandosi all’interno del
mercato transatlantico, affrontando l’eventuale riconversione di alcuni
settori.
Parallelamente a quanto succede in Ucraina si intensifica il processo di
integrazione della Georgia. Nel mese di Marzo è stato ratificato un accordo
con la Nato per il transito delle truppe Isaf impegnate in Afghanistan.
Non sembra che la scelta di prostrarsi agli interessi Usa e Nato sia del tutto
condivisa nel paese, almeno a vedere da quella che è stata la necessità di un
totale divieto nel paese delle manifestazioni contro la visita di Bush.
Maggiori difficoltà si registrano sulla possibilità da parte lituana di
consentire il transito di truppe verso l’Afghanistan, ovvero dedicare allo
scopo strutture logistiche sui suoi stessi territori, in particolare a causa
delle possibili conseguenze che l’accordo tra Nato e Russia sullo stesso tema.
L’accordo in oggetto può rappresentare la possibilità, da parte russa, di
ottenere attraverso la Nato l’utilizzo del territorio lituano finora negato
dal suo governo.
Quanto gli accordi sull’utilizzo dei territori rispondano a ben altre esigenze
strategiche che dal solo intervento in Afghanistan, si evidenzia chiaramente
dai motivi del rifiuto del governo kirgyso che ha giudicato al di fuori di
quanto necessario e compatibile con la missione Isaf la richiesta Usa di
trasferire gli aerei AWACS nel paese.
Raggiungere un maggiore equilibrio tra i due ruoli, quello politico e
militare, è l’oggetto su cui ruota il dibattito su cui vanno spingendo gli Usa
all’interno della Nato, in particolare per poter maggiormente far valere la
propria supremazia politica, facendo forza sul quasi totale controllo delle
scelte politiche dei nuovi paesi entrati a far parte della Nato, nei confronti
di quei paesi che hanno rischiato sull’Iraq di creare una situazione di
destabilizzazione dell’alleanza transatlantica.
Secondo un autorevole membro del Transatlantic Programme al Royal United
Services Institute di Londra, quanto avvenuto tra gli Usa e alcuni paesi
europei sull’ Iraq è il motivo che deve spingere a concentrare gli sforzi nel
garantire all’alleanza un maggiore ruolo politico e di conseguenza definire
con maggiore chiarezza le modalità del suo esercizio, formalizzando l’entità
Nato come stanza di compensazione degli interessi concorrenti delle borghesie
imperialiste. Continua nell’affermare che a partire dal documento A Secure
Europe in a Better World, a cui viene attribuito l’appellativo di libro bianco
della strategia antiterrorismo e di conseguenza politico militare europea,
fino agli esiti del dibattito in concomitanza con la presenza di Bush e la
Rice in Europa nel mese di febbraio, è evidente un progressivo aumento della
attività di “promozione pubblica” della critica europea alla strategia
americana, fino ad arrivare a quella che viene ritenuta una “spregiudicata
affermazione” del “ritorno ad una strategia di libertà” come contrapposizione
al concetto di “guerra preventiva”. Una critica che si concretizza
nell’iniziativa autonoma di Gran Bretagna, Francia e Germania nei confronti
del recupero delle relazioni con l’Iran davanti alle minacce di intervento da
parte americana, fino alla strategia unilaterale nei confronti della Cina che
i paesi europei hanno adottato in maniera pressoché omogenea.
Nel corso del suo intervento alla conferenza su “NATO’s political and military
transformation: Two sides of the same coin” del mese di aprile, il Segretario
Generale Nato affronta il tema della trasformazione politica definendo inutile
qualsiasi trasformazione della struttura militare a fronte della maggiore
necessità di proiezione esterna, “se l’alleanza non sarà in grado di decidere
come, dove e quando impiegarla”.
La Nato, continua il segretario, dovrà diventare un luogo dove gli alleati
possano assumere una visione comune, ricomporre divergenze, trovare un
consenso condiviso e quando necessario agire unitariamente; un’alleanza per la
libertà e la sicurezza dei suoi membri, garantita attraverso mezzi politici e
militari, la cui efficacia dipenderà dalla capacità di comprendere che le
operazioni che vengono effettuate nel mondo si inseriscono in un contesto
politico particolare, e i loro effetti hanno la necessità di essere governati
perché possano produrre i risultati sperati. Tutto ciò dovrà avvenire
all’interno di un percorso condiviso e trasparente, che garantisca piena
legittimità alle trasformazioni che verranno. Le divergenze e le rotture con
l’Europa dovranno essere al più presto superate e, data la presenza stessa
degli Usa nelle medesime zone di interesse ed intervento europee (Balcani,
Medio Oriente, Magreb,..), sarà inevitabile un aumento della cooperazione con
la Ue.
Nella stessa occasione il rappresentante del Ministero degli Esteri tedesco ha
evidenziato come la Nato costituisca nella realtà l’unica struttura che
rappresenti un luogo formale di relazione tra gli Usa e L’Europa, riaffermando
la sua importanza nella ricomposizione delle divergenze politiche tra le due
sponde dell’atlantico. La preoccupazione dei paesi europei dovrebbe essere
rivolta non solo verso quanto succede all’interno della Nato, ma concentrarsi
sulle possibili conseguenze che potrebbero determinarsi all’interno della Nato
stessa a seguito dell’esito del voto francese sulla Costituzione Europea,
dando vita ad un inasprimento del dibattito interno alla Ue con una possibile
modifica dei suoi assetti in una fase di allargamento a paesi legati alla
struttura atlantica. Questo anche a fronte di un possibile blocco della
ratifica da parte quei paesi che attendono l’esito del voto francese per
decidere. Le troppe divergenze esternate dai singoli politici nazionali
impongono una ridefinizione della gestione dei contrasti all’interno del
Consiglio Nato al fine di garantire la ricomposizione delle divergenze su
dettagli o temi specifici per essere successivamente propagandati all’esterno
come posizione unitaria dell’alleanza. Alcune questioni legate alla struttura
di comando sono da affrontare, ad esempio la stessa ipotesi danese di una
integrazione della struttura di comando militare all’interno di quella civile,
da approfondire nei loro aspetti, senza dimenticare che dovranno essere
ulteriormente affrontate le inevitabili fonti di antagonismo dettate dagli
interessi in competizione tra la borghesia usa e quella europea.
L’esigenza di disporre di una gerarchia decisionale che permetta di definire
quando chiamati ad agire le modalità di intervento sia politico, sia militare,
è ritenuto il presupposto fondamentale perché la Nato sia “la prima ad
intervenire e non semplicemente a ratificare le decisioni già intraprese”.
Se in una prima fase non ci fosse accordo viene ipotizzata la creazione di una
struttura ad hoc, con il comando Nato, aperta ad altri paesi “esterni”, mentre
nel caso di fallimento di entrambe le soluzioni potrebbe essere creata una
coalizione di “disponibili”, confermando il concetto di “alleanze variabili”
all’interno di una decisione condivisa.
Questa proposta viene ritenuta possibile in questa fase per la possibilità di
vedere riconosciuta agli Usa la sua leadership, e nello stesso tempo ai paesi
europei un maggiore coinvolgimento e influenza all’interno del processo
decisionale Nato, dal quale attualmente sono nella realtà esclusi.
Dalla posizione tedesca si comprende facilmente l’essenza stessa delle
divergenze che hanno opposto lo zoccolo duro della “Vecchia Europa” e la
borghesia usa che, ben lungi dal rappresentare un entità diversa da quella
imperialista, mette al centro del contendere la supremazia Usa determinatasi
in maniera ancor più evidente con l’offensiva militare sul piano
internazionale, capitalizzando, all’interno della dimensione imperialista,
parte del portato dell’opposizione alla guerra sviluppatosi in Europa stessa,
troppo spesso asservita alle posizioni europeiste di una certa sinistra.
Questo dovrebbe essere da insegnamento su quanto le strategie
dell’opportunismo si indirizzino verso un inesorabile recupero e utilizzo di
ciò che nella sua crescita non riesce a comprendere la necessità di sviluppare
una sua completa autonomia dalla compagine istituzionale, per sua stessa
essenza, gestore delle contraddizioni che vediamo svilupparsi su ogni fronte.
Se da una parte la Nato continua la fase di addestramento delle forze
collaborazioniste irachene, su cui si sono parzialmente attestate le
divergenze Usa-Ue, la gestione con la partecipazione attiva dell’alleanza
transatlantica dell’occupazione dell’Afghanistan, è ritenuta uno dei banchi di
prova sui quali testare le sue capacità attuali di applicare al meglio il
ruolo che è chiamata a svolgere.
L’esempio della missione in Afghanistan e della sua capacità di gestione
condivisa, sebbene abbia visto nella sua fase iniziale l’azione militare come
centrale e che non veda reale soluzione davanti alla ripresa degli scontri
militari contro le forze occupanti, ha rappresentato, sempre secondo molti
documenti, un avanzamento nel riconoscimento del ruolo dell’alleanza come
“catalizzatore della richiesta di riforme nell’area”.
In particolare viene valutata l’importanza della complementarietà tra
intervento militare e civile all’interno del concetto del Provincial
Reconstruction Team, utilizzato per il processo di appropriazione del pieno
controllo della ricostruzione sia politica, sia economica del paese occupato.
Non è certo quello descritto dal neo presidente afghano/americano Karzai,
“fatto di uomini e donne che si recano al lavoro, che possono partecipare
all’attività economica, politica e sociale, il paese dove in migliaia urlavano
“Morte all’America”, assaltando uffici governativi, gli uffici dell’Onu e il
consolato pakistano contro le condizioni dei prigionieri detenuti a Guantanamo.
I Provincial Reconstruction Team hanno rappresentato lo strumento attraverso
il quale coinvolgere altri paesi come la Nuova Zelanda sull’onda della
minaccia globale del terrorismo e il conseguente bisogno di garantire
“sicurezza e democrazia. Il suo coinvolgimento si inserisce nel più
complessivo progetto di espansione verso il Pacifico concretizzatosi con la
nomina da parte della Australia di un rappresentante militare a Bruxelles e
con la stesura di un documento di cooperazione nell’ambito della sicurezza e
dell’intelligence nel quadro della lotta contro il terrorismo. Il Segretario
Generale Nato Shoepper ha visitato nel mese di Aprile il Giappone allo scopo
di creare i presupposti per una cooperazione con la Nato, durante la quale ha
affermato che il Giappone è “l’esempio di come la globalizzazione crei
prosperità, ma nello stesso tempo come questa nasconda un lato oscuro
rappresentato dalla maggiore vulnerabilità delle società stesse davanti ad un
nemico non rappresentato da stati”. Il Giappone è uno dei maggiori donatori
per la “ricostruzione” dell’Afghanistan, oltre che partecipare nel sud
iracheno alla “ricostruzione delle infrastrutture” ed essere presente con 800
unità militari della Japanese Self Defence Force.
I disordini repressi nel sangue in Uzbekistan, le cui ragioni non siamo in
grado di comprendere se siano da ricercarsi nella volontà Usa di
destabilizzare il potere all’interno di quel paese, con il quale ha da tempo
intrapreso un ampia collaborazione nella repressione delle organizzazioni
dell’opposizione islamica, hanno portato allo scoperto ai più un ulteriore
tassello della strategia di espansione americana.
Nel mese di Marzo il Rappresentante Nato per l’Asia centrale e il Caucaso
Robert Simmons si è recato in Uzbekistan per ribadire lo stretto legame con il
primo paese dell’area che ha dimostrato l’interesse a cooperare con la Nato
nella lotta al terrorismo.
La stessa bassa intensità delle posizioni espresse dalla Nato e dal governo
americano, limitate ad una generica richiesta di aprire ad una delegazione
indipendente, non certo dalle necessità imperialiste, che faccia “luce” o
meglio che fornisca una versione “utile” della repressione avvenuta durante
gli scontri nel paese, fanno profondamente pensare ad una situazione diversa
da quelle viste nell’ultimo anno.
La Nato e gli Usa non possono certo rischiare di mettere in pericolo la stessa
identità di “esportatori di democrazia” che faticosamente stanno tentando di
costruirsi. Identità che sembra essere erroneamente riconosciuta da numerosi
lavoratori che hanno scioperato e manifestato davanti alla Ambasciata Usa
della capitale Tashkent contro le riforme economiche di privatizzazione,
l’aumento della povertà e la disoccupazione, richiedendo l’intervento
dell’amministrazione americana per risolvere il deterioramento delle
condizioni di vita all’interno dell’Uzbekistan. Ma le riforme economiche,
sostenute dall’amministrazione usa, hanno già provocato i loro effetti e con
loro le numerose iniziative di protesta anche precedenti ai disordini dei
primi di Maggio come lo sciopero della fame contro le condizioni di lavoro di
400 operai della Shorsuv Metal Works, le manifestazioni di centinaia di donne
che hanno bloccato le strade contro le politiche economiche che hanno privato
loro del minimo per vivere. Manifestazioni si sono succedute in occasione di
numerosi processi a cui sono sottoposti i membri delle organizzazioni
islamiche e dell’opposizione, una opposizione che ha più volte nel tempo
aspramente criticato l’appoggio del governo uzbeko alla “campagna
internazionale antiterrorismo”, che ha provocato ricadute pesanti sullo stesso
fronte interno. Ricadute che si ritrovano anche nei paesi vicini come il
Kazakistan con la messa fuorilegge, attraverso la realizzazione di una sorta
di “lista nera” in chiave asiatica, delle organizzazioni dell’opposizione
islamica. Quest’ultimo paese ha effettuato nel mese di Marzo una esercitazione
congiunta allo scopo di perfezionare la pianificazione e la ricognizione
comune con la Nato durante le operazioni antiterrorismo.
Se da una parte continua la fondamentale battaglia contro i domini delle basi
Nato e Usa sulle nostre terre, la nuova macchina da guerra richiede di
smascherare i suoi ingranaggi, quella molteplicità di strutture civili, di
propaganda e non governative che integrano in pieno la struttura militare,
presenti, come le prime, nei nostri territori.
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