SENZA CENSURA N.17
LUGLIO 2005
editoriale
“Ogni vittoria militare che la carne da cannone
tedesca aiuta a conquistare all’esterno significa un nuovo trionfo politico e
sociale della reazione all’interno del Reich. Ad ogni impeto contro la guardia
rossa in Finlandia e nella Russia meridionale cresce il potere degli Junker ad
est dell’Elba e del capitalismo pangermanico. Ad ogni città distrutta nelle
Fiandre cade una posizione della democrazia tedesca.”
R. Luxemburg, Verso la catastrofe, 1918
Le recenti iniziative repressive propagandate dalla stampa di regime, dalla
criminalizzazione del movimento di protesta di disoccupati e precari (con
“l’inconsueto codazzo” di arresti e inchieste stigmatizzanti) alle operazioni
di vero e proprio rastrellamento nell’area anarchica, pongono all’ordine del
giorno nel dibattito del “movimento” la questione di una pretesa improvvisa
escalation della repressione.
Sicché alcune espressioni soggettive di questo movimento si sono affrettate a
“rincorrere” queste iniziative “giudiziarie” cercando di arginarne gli effetti
ponendo sul tappeto una serie di argomenti “difensivi” e di “parole d’ordine”
evidentemente inadeguati e decontestualizzati dal quadro generale degli
effettivi rapporti di forza formali e reali tra le classi nel nostro paese e
sul piano internazionale.
Alcuni parlano apertamente di “anomalia emergenziale” denunciando una
“sproporzione tra i fatti incriminati e le accuse rivolte” e finendo,
sostanzialmente, o per accodarsi alle improbabili proposte di “riforma” del
quadro normativo della disciplina penale vigente nel nostro paese (nella
malcelata prospettiva di un “auspicabile” prossimo governo di centro-sinistra)
o cercando di dirigere il movimento stesso verso prospettive autoreferenziali
di “scontro” politico localistico (come nell’attacco ai rappresentanti dei
governi locali - vedi Cofferati a Bologna – o nella rivalutazione del piano
municipalistico di “contrattazione delle lotte sociali”).
Alcuni, pretendendo di collocarsi “più a sinistra degli altri”, propongono
come unica, immediata e salvifica ricetta in grado di “fermare la repressione”
una repentina e dispiegata ripresa di queste “lotte sociali” senza minimamente
preoccuparsi di individuarne le concrete condizioni di sviluppo, i possibili
soggetti agenti nelle condizioni date e i conseguenti metodi di intervento
politico.
Altri ancora si rifugiano nella consueta e, se possibile, ancor più
velleitaria proposta di una legge di amnistia o indulto (magari “ammodernando”
questa proposta stabilendo un legame teorico tra la questione degli “esuli”
e/o dei reduci di una fase storica della lotta di classe del nostro paese -
che essi stessi si “preoccupano” di “liquidare storicamente” - con la
situazione concreta che si trovano a vivere oggi i militanti impegnati in
“lotte sociali”) senza neanche considerare anche il solo puro dato “formale”
delle insormontabili difficoltà che questa iniziativa incontrerebbe sul piano
dei “lavori” parlamentari grazie alla riforma costituzionale dell’art. 79
della Costituzione (maggioranza qualificata dei due terzi dei componenti di
ciascuna Camera per l’approvazione).
Tutte opzioni interpretative e proposte d’intervento che, oltre risultare
evidentemente inadeguate al livello reale e “formale” degli attuali rapporti
di forza tra le classi nel nostro paese, hanno l’ulteriore “inconveniente” di
ostacolare (disperdendosi in un inconcludente “attivismo”, magari accodato
alle “rivendicazioni” di questa o quella frazione della propria borghesia
imperialista), più che promuovere quel processo di accumulazione di forze e di
riconquista della propria autonomia di pensiero e di azione da parte della
classe proletaria, nodo centrale nell’attuale fase storica di riallineamento
delle gerarchie del sistema degli stati imperialisti.
Ciò che il livello di dibattito del “movimento” rischia di escludere da questo
processo é l’esatta percezione e rappresentazione (con le conseguenti ricadute
“interne” e sul piano pratico) dello specifico ruolo che l’Italia svolge da
decenni sul piano delle relazioni di potenza e nel percorso di strutturazione
del polo imperialista europeo.
Sotto questo profilo, vale la pena di ricordare che da decenni - e con
evidenza lampante nell’ultimo decennio - il nostro paese svolge concretamente
un ruolo di “avanguardia reazionaria” nell’ambito delle relazioni tra potenze
in generale e su quello della strutturazione del polo imperialista europeo in
particolare.
Basti ricordare il ruolo NATO di “portaerei sul mediterraneo” che il nostro
paese si è incaricato di svolgere durante le cosiddette guerre balcaniche
degli anni novanta, la permanente occupazione militare dell’Albania, il più
recente sostanziale contributo bellico alla seconda guerra del Golfo e,
nell’immediato futuro, nell’ambito del rafforzamento della “missione
umanitaria” in Afghanistan e dell’incipiente missione in Sudan, il previsto
utilizzo come centri direttivi e di supporto logistico delle operazioni al
riguardo di basi militari italiane (in particolare Solbiate-Olona).
Questo dato si combina con due “specificità storiche” del nostro paese: una
relativa debolezza ed “arretratezza” delle strutture produttive del Capitale e
un conseguente livello della gestione dei conflitti di classe e di
strutturazione dei rapporti di forza “formali” tra le classi.
Sotto il primo profilo, basti ricordare le recenti critiche pubbliche del
nostrano presidente di confindustria (accreditatosi come paladino del
capitalismo “produttivo”) al “capitalismo rentier”, le polemiche sulla “carica
a vita” del governatore della banca d’Italia o le più recenti sortite
“neo-protezioniste” in ambito UE. Il che, se da un lato testimonia della
relativa debolezza ed “arretratezza” del capitalismo “italiano”, dall’altro
smentisce quelle interpretazioni che tendono a ricollegare l’escalation
repressiva in corso con una ri/strutturazione dello strumento penale (e
repressivo in generale) adeguata alla “nuova” configurazione neo-liberista del
capitalismo stesso.
Sotto il secondo profilo, vale la pena di rammentare che non è da ora che
l’Italia, specie nell’ambito del processo di strutturazione del polo
imperialista europeo, si propone come “avanguardia reazionaria” della gestione
dei conflitti di classe e della strutturazione dei rapporti di forza “formali”
tra le classi.
Basti ricordare la “forzatura militarista” imposta alla gestione delle
mobilitazioni di massa dal 2001 o la sterminata serie di “riforme” del quadro
normativo dei rapporti tra le classi a partire dagli anni novanta non solo in
ambito strettamente penalistico, ma nella disciplina delle relazioni
sindacali, del rapporto di lavoro, della gestione della manodopera straniera,
della sicurezza sociale ...
E che questo ruolo rappresenti una condizione strutturale del nostro paese è
testimoniato anche dal fatto che già prima che si attuasse (come poi si
verificò) il piano di “carcerizzazione di massa” delle nuove leve del
proletariato italiano maturate nel corso degli anni settanta, si era
giustamente osservato che “più rilevanti dell’intera, arcaica struttura
penalistico-carceraria, possono considerarsi l’uso ideologicamente
terroristico e stigmatizzante della denuncia penale, dell’incriminazione e del
processo non seguiti da alcuna sanzione effettiva e spesso neppure da condanna
definitiva; le misure potestative di polizia, dal fermo alle diffide e ai
rimpatri obbligatori; e, inoltre, gli apparati vecchi e nuovi di schedatura
palese o clandestina dei cittadini, dal casellario giudiziario agli archivi di
polizia e al Berufsverbot; le tecniche di spionaggio utilizzate dalle nuove
agenzie pubbliche e private del controllo sociale (...), i sistemi informatici
di centralizzazione autoritaria dell’interpretazione legale (...). Tutte
queste strutture di produzione del consenso e di stigmatizzazione
politico-corporativa dei dissenzienti sembrano profilarsi come un sistema
differenziato di controllo sociale...” (L.Ferrajoli-D.Zolo, Democrazia
autoritaria e capitalismo maturo, 1978).
Questa condizione strutturale dei rapporti tra le classi nel nostro paese si
coniuga con le più recenti iniziative militariste ed imperialiste che i vari
governi della nostrana borghesia imperialista (di “centro-destra” o di
“centro-sinistra”, passati, attuali o prossimo venturi) impongono al
proletariato italiano nella velleitaria prospettiva di assicurare margini di
compatibilità alla gestione del conflitto di classe determinando un generale
arretramento delle espressioni soggettive di questo conflitto.
In un certo senso, la “arretratezza” delle posizioni soggettive attualmente
espresse dal “movimento” (così come di quelle espresse dai “sinceri
democratici” o dai rappresentanti della sinistra borghese) costituiscono un
riflesso di questa iniziativa della borghesia imperialista: alle guerre
terroristiche contro i paesi emergenti e le nazioni e popoli oppressi
corrisponde un utilizzo terroristico del monopolio dell’uso “legittimo” della
violenza da parte dello stato.
In questa situazione, attestarsi su logiche autoreferenziali ed
autoriproduttive di piani di “agibilità politica” ritenuti praticabili in
quanto “pensati” come compatibili col “quadro formale” dei rapporti di forza
fra le classi nel nostro paese costituirebbe un duplice errore: da un lato,
perché non comprende il reale sviluppo di questi rapporti nell’ambito del
ruolo di “avanguardia reazionaria” del nostro paese e della stessa UE sul
piano internazionale; dall’altro lato, perché ostacolerebbe più che favorire
quel processo di accumulazione di forze di una “massa critica” capace di
contrastare questa tendenza unificando le forme di resistenza al militarismo e
alla guerra con quelle della resistenza alla strutturazione autoritaria dello
stato italiano e dell’UE e al continuo peggioramento delle condizioni
materiali di esistenza.
D’altro canto, nelle condizioni date, anche la difesa di una “legalità
diversa” non potrebbe non fare i conti con un sistema differenziato di
controllo sociale che, come ben sanno i soggetti a diverso titolo coinvolti in
episodi della lotta di classe nel nostro paese, ha già reso effettiva ed
efficace una “sospensione delle garanzie costituzionali” nei loro confronti.