SENZA CENSURA N.16
FEBBRAIO 2005
Basta morti sul lavoro
Le lotte dei ferrovieri non si fermano
“Si avverte la gentile clientela che la linea
Bologna-Verona è interrotta per inconvenienti di servizio”
Con queste parole Trenitalia annunciava l’incidente ferroviario che il 7 gennaio
2005 nei pressi della stazione di Crevalcore ha causato la tragica morte di
quattro macchinisti e di tredici viaggiatori oltre ad un elevato numero di
feriti. Se per una grande azienda diciassette morti vengono considerati solo un
inconveniente, questo ennesimo e grave incidente sui binari è il preoccupante
segnale di una situazione che rischia sempre più di aggravarsi. Questa
situazione è chiaramente il risultato di tutto quel lungo processo di
privatizzazione del settore dei trasporti che ha avuto come diretta conseguenza
un continuo peggioramento delle condizioni di lavoro e di pari una preoccupante
carenza di sicurezza nel settore. Per i lavoratori la sicurezza è crollata negli
ultimi dieci anni, dove abbiamo assistito alla morte di 52 ferrovieri di cui ben
10 dal 2000 ad oggi, ossia da quando è iniziata la “privatizzazione” delle Fs,
dove alla logica del servizio pubblico è prevalsa quella del profitto. Nei
numerosi comunicati emessi dalle organizzazioni sindacali viene da subito posto
in evidenza che il problema di tutti questi incidenti sia da legare in modo
chiaro alla mancanza di condizioni di sicurezza ed alle condizioni in cui i
lavoratori si trovano ad operare. “…ancora una volta i quattro colleghi
macchinisti deceduti nell’impatto….hanno pagato con la propria vita la scelta
aziendale di non dotare quella linea ferroviaria degli opportuni accorgimenti
tecnologici….La questione della sicurezza in Ferrovia sta diventando l’elemento
centrale di una battaglia nella quale non ci tireremo indietro.” (dal comunicato
SULT_FS 7/1/2005) o ancora:..”la Divisione Trasporto Regionale di Trenitalia
diffondeva un volantino negli impianti di Veneto ed Emilia dal titolo “non
andiamo più oltre”: in esso si diceva che in 10 mesi si erano verificati 12 casi
di superamento indebito di segnali a via impedita. È sin troppo semplice
dimostrare che l’impennata dei casi di superamento indebito dei segnali non è
casuale, bensì ha origini precise.
Il contratto di lavoro in vigore, a partire dall’estate 2003 ha portato un
fortissimo aumento dei carichi di lavoro per il Personale di Macchina e
Viaggiante con riduzione dei riposi (fino ad 11h nel trasporto regionale),
aumento della giornata lavorativa (fino a 10h), estensione delle flessibilità
contrattate nella fascia notturna; parallelamente Trenitalia ha proceduto ad
estendere il modulo ad Agente Unico su treni navetta con loc 464. Sta avvenendo
un progressivo, costante decadimento di un sistema che, in nome del profitto,
taglia posti di lavoro in figure chiave della sicurezza…” (dal comunicato CUB
Trasporti 8/1/2005).
Come si diceva le condizioni di lavoro e sicurezza hanno avuto un brusco
peggioramento legato alla riorganizzazione societaria che ha visto la creazione
da una parte della società delle reti (Rfi) e dall’altra di quella dei treni (Trenitalia),
con successiva esternalizzazione di settori e di lavori. Tutto questo è
affiancato da una riduzione del costo del lavoro e dal numero degli addetti. Ad
esempio nella Rfi i responsabili del controllo e manutenzione dei binari sono
passati da 43.000 a circa 35.000. Il settennato che ha visto alla guida della
holding Fs dal settembre 1996 al maggio 2004 (per poi essere nominato presidente
di Alitalia) Giancarlo Cimoli, nominato dal governo di Romano Prodi, ha portato
al taglio di un dipendente su cinque – in totale 26.134 lavoratori in meno – e
ridotto il costo del lavoro del 23,3% con un risparmio pari a 1.353 milioni di
euro nel 2003. Ha potuto utilizzare prepensionamenti che allo stato sono costati
985 milioni. Nel solo 2003 il numero medio di dipendenti è diminuito da 102.598
a 101.947. Meno dipendenti, ma più dirigenti. (fonti Sole 24ore del 8/2/2005).
Dobbiamo dire che la politica dell’attuale amministratore delegato Elio Catania
è in perfetta sintonia con il suo predecessore. E cosi dopo la
divisionalizzazione della struttura in svariate società (Trenitalia, Rfi, Grandi
Stazioni…), dopo i servizi dati in appalto, dopo i cospicui tagli di personale,
dopo il peggioramento delle condizioni di lavoro nei settori legati al
cosiddetto core business, personale di bordo e di macchina, ecco l’esternalizzazione
vera e propria. “Si comincia dalle biglietterie e il tentativo sempre più
diffuso è di cedere il servizio esclusivamente alle agenzie di viaggio. Poi si
prosegue con i dirigenti movimento (gli ex capi stazione). Il nuovo progetto di
automazione delle linee prevede un unico centro di controllo telecomandato atto
a presidiare un tratto che va da Sestri Levante a Roma! Quindi si procede a
riorganizzare il settore dell’assistenza a terra, col personale, costretto a
svolgere servizi al limite del mobbing. Gli addetti del personale viaggiante e
del personale di macchina sono costretti ad orari di lavoro disumani, con la
giornata lavorativa tornata a 10 ore e lavoratori costretti a dibattersi con
materiali sempre più obsoleti e precari. Il servizio di informazioni
telefoniche, numero nazionale al quale rispondevano vari dipendenti fs presso
centri dislocati in quasi tutte le principali città italiane (servizio
originariamente gratuito e ora a pagamento) è ora stato affidato ad una società
esterna. il risponditore automatico viene deviato su un call center privato, con
sede a Roma, zona San Lorenzo, presso il quale lavorano dipendenti non fs, con
quale stipendio, con quale contratto e a quali condizioni è da appurare. Si
creano posti di lavoro precari e si perdono posti di lavoro a tempo
indeterminato. Questa azienda continua a spostare flussi di denaro pubblici
verso strutture private, peggiorando i servizi per gli utenti e dichiarando di
avere personale in esubero quando le mansioni da ricoprire vengono affidate a
lavoratori in affitto, o part-time, o a tempo determinato. (info: Rete
Ferrovierinlotta, Genova)”.
Così mentre si proponeva la costituzione di un comitato d’emergenza formato dai
tecnici delle Fs e da quelli dei sindacati per capire come ammodernizzare la
rete italiana e come migliorare la sicurezza; mentre con una lettera del 12
gennaio 2005 l’Amministratore Delegato ing.Catania invitava e raccomandava a
tutti i dipendenti del Gruppo Fs di: “..continuare a lavorare in silenzio, com’è
nel nostro stile..”, mentre nella stessa data si svolgevano dieci minuti
simbolici di sciopero di protesta organizzati da Filt-Fit-Uilt-Ugl-Sma-Orsa;
centinaia di lavoratori Fs provenienti da tutta Italia si “autoconvocavano” a
Bologna in un assemblea che dava mandato ai Rappresentanti dei lavoratori per la
sicurezza per indire una giornata di lotta che è poi diventato lo sciopero
nazionale di 24 ore dei giorni 16/17 gennaio 2005. Lavoratori che interpretavano
nel modo più corretto possibile le tensioni presenti in tutto il corpo sociale
sia all’interno delle Ferrovie che di tutto il mondo del lavoro: cioè che è
improrogabile “rialzare la testa” e sull’esempio delle lotte passate degli
autoferrotranviari e dei metalmeccanici di Melfi che è la lotta lo spartiacque
che permette di far valere i propri diritti. Lo sciopero viene indetto per
rivendicare: 1) revoca delle disposizioni RFI n° 35 e 36 del 2002 riguardanti la
riduzione dei macchinisti da due a uno e l’introduzione dell’”Uomo Morto” (i
lavoratori chiedono l’eliminazione del Vacma, un congegno adottato per eliminare
il secondo macchinista e che costringe il lavoratore a schiacciare un pedale
ogni 55 secondi, per evitare che la locomotiva vada in frenatura automatica.
L’”uomo morto” finisce così per distrarre il macchinista il quale richiama la
sua attenzione all’interno della cabina di guida, mentre invece dovrebbe
guardare fuori); 2) revoca dei licenziamenti e di tutte le sanzioni disciplinari
relative alle denunce pubbliche ( si riferisce tra l’altro ai quattro lavoratori
licenziati dopo aver denunciato le carenze della rete ferroviaria alla
trasmissione di RaiTre “Report”) ed ai comportamenti posti in essere dai
ferrovieri sui problemi della sicurezza rivelatisi tragicamente veritieri ed
attuali; 3) ritiro di tutti i procedimenti disciplinari contro i Macchinisti ed
i Capitreno che, rispettivamente, si sono rifiutati di utilizzare “l’”Uomo
Morto” e il modulo di condotta ad agente unico (vertenza 464) come forma di
tutela per sè e per i viaggiatori; 4) assunzioni subito del personale mancante
per evitare l’abuso del lavoro straordinario e per il rispetto dell’orario di
lavoro; abolizione dei contratti atipici e precari per tutte le lavorazioni
collegate alla circolazione dei treni; 5) generalizzazione della ripetizione dei
segnali in macchina (“buchi neri”) e priorità a concreti investimenti per il
raddoppio delle linee ferroviarie; 6) attivazione immediata del sistema di
comunicazione telefonica terra-treno per consentire i collegamenti di urgenza e
l’invio dell’allarme generalizzato ai treni.
L’iniziativa di lotta nata dalla base e portata avanti anche nel ricordo dei
compagni di lavoro morti e di tutte le vittime, ha avuto una adesione altissima
ed ha confermato come obbiettivi chiari come la sicurezza e la lotta alla
privatizzazione del servizio siano molto sentiti. Una grande adesione nonostante
il solito intervento della Commissione di garanzia che invitava ad un’astensione
più corta ed a quello del ministro delle Infrastrutture Pietro Lunardi che però
con un ordinanza faceva rinviare le concomitanti azioni di protesta nel
trasporto aereo, e dalla dissociazione nazionale di Filt-Fit-Uilt-Sma-Ugl-Orsa.
Così uno dei primi scioperi ad essere proclamato per la sicurezza dei ferrovieri
e dei passeggeri e non solo per questioni salariali o di contratto ha avuto un
successo enorme che è stato certificato anche dalla solidarietà espressa da chi
utilizza il treno. Una riuscita che pone il problema di come dare continuità,
come dare seguito a questo embrione di movimento. Una cosa che sicuramente è
riuscito a fare questo sciopero è aver dato una smossa ai vari sindacati, aver
provocato una reazione che ha portato alla proclamazione di un nuovo sciopero
per i giorni 10/11 febbraio di 24 ore. Sindacati che hanno prodotto un appello
in cui vengono raccolte molte delle rivendicazioni proposte dall’Assemblea dei
ferrovieri. E l’intelligenza di questo movimento è quella di aver aderito allo
sciopero indetto dai sindacati, di fare propria questa data di lotta e di farlo
mantenendo ferma la piattaforma uscita dall’assemblea di Bologna. L’intelligenza
di lavorare per l’unità e il rafforzamento di un fronte ampio di lotta pur nella
consapevolezza che oggi la sfiducia e la diffidenza dei lavoratori nei confronti
di quelle che sono le rappresentanze sindacali è visibile, sfiducia
rappresentata dal fatto che ad esempio la privatizzazione ha visto tra i più
entusiasti fautori i sindacati, con alcuni dirigenti passati dal lato opposto
del tavolo spesso con funzioni dirigenziali. Differenze e limiti
dell’impostazione dell’azione dei sindacati, come emerso dall’intervento
conclusivo del leader Cisl Pezzotta che a Roma all’assemblea unitaria di
“delegati e quadri Rsu e Rls” da un lato parlava di sicurezza e lotta alla
precarizzazione e nello stesso tempo difendeva e lodava il “Patto per l’Italia”
che fa proprie la filosofia della flessibilità e della precarietà, vengono in
modo chiaro messe in evidenza dal documento conclusivo dell’Assemblea dei
ferrovieri di Bologna, limiti in particolare sulla sicurezza, sulla
privatizzazione, sulle esternalizzazioni, sull’orario di lavoro, sui livelli
salariali e sulla “clausola sociale” che dovrebbe prevedere per ogni dipendente
di aziende concorrenti la ricezione di un inquadramento e di un salario simile a
quello delle Fs. E’ l’intelligenza di questo movimento la si nota anche nella
determinazione di non lasciare “carta bianca ai sindacati confederali nella
gestione delle vertenze” e di proseguire nella preparazione di altre scadenze di
lotta come la costruzione di una manifestazione a Roma, una grande “Marcia per
la sicurezza nelle Ferrovie e nei Trasporti”, per fine febbraio, aperta a tutti
i lavoratori e a quei nuovi soggetti sociali attualmente venuti alla ribalta
come i pendolari, lavoratori e studenti, che da diverso tempo effettuano blocchi
ferroviari, sciopero dei biglietti e dell’abbonamento ed altre iniziative
simili, o settori legati alle ferrovie da diversi anni in lotta come i
lavoratori delle pulizie degli appalti ferroviari.
Il clima negli ultimi mesi è cambiato, abbiamo assistito ad una ripresa della
“spontaneità”, dello sviluppo di forme, anche se ancora marginali e deboli, di
sviluppo di un’azione autonoma di classe; al superamento dell’impasse sindacale
e alla nascita di momenti di confronto fra lavoratori di diverse realtà fino a
veri e propri coordinamenti che cercano di superare gli aspetti corporativi
delle vertenze o la stretta appartenenza a sigle sindacali.
Questa realtà comunque si trova a doversi confrontare con un attacco padronale e
statuale di grande portata che riguarda tutti gli aspetti del mercato del
lavoro, da quello legislativo a quello repressivo, dotandosi in tutti questi
anni di leggi e norme che hanno il vero scopo di indebolire e impedire la
ripresa di una conflittualità operaia ed in particolar modo di impedire quei
processi di ricomposizione politica che vanno nella direzione di una messa in
discussione del modo di produzione capitalistico.
Nello specifico un ruolo importante nella attuale lotta del settore dei
trasporti lo gioca la “legge anti-sciopero” (vedi Senza Censura nr.14). Ad ogni
proclamazione di sciopero assistiamo al pronto intervento sia dell’esecutivo,
nello specifico tramite il ministro Lunardi, che della Commissione di Garanzia
che si pongono nella logica di ridurre il più possibile l’incidenza e la forza
dell’iniziativa di lotta.
Per lo sciopero di metà febbraio prima il Ministro delle Infrastrutture ha
firmato l’ordinanza di riduzione a 8 ore della protesta “al fine di ridurre i
disservizi che si sarebbero creati a danno dell’utente”, poi è intervenuto il
presidente della Commissione di Garanzia Martone ribadendo le tesi del governo
sulla illegittimità della durata della protesta, utilizzando quelle procedure
inserite nella “legge antisciopero” che, come più volte abbiamo evidenziato,
hanno la sola funzione di impedire l’incisività della lotta. Nello specifico la
Commissione di garanzia evidenzia che le ragioni della protesta non sono da
riferirsi al solo comma 7 dell’articolo 2 della 146/90, che prevede una deroga
in caso di gravi eventi lesivi dell’incolumità pubblica e della sicurezza, ma
riguardano anche ragioni contrattuali ecc.ecc. In base alla legge il primo
sciopero per una nuova vertenza non può superare le 8 ore!!!, dando così ragione
al ministro Lunardi.
Resta dalla parte del governo la possibilità di ricorrere alla precettazione per
le fasce orarie che superano le 8 ore e la possibilità di ricorrere
successivamente a misure sanzionatorie nei confronti dei lavoratori in sciopero.
(Vogliamo ricordare che ai primi di marzo avrà luogo la prima udienza del primo
processo penale individuale per interruzione di pubblico servizio che si terrà
presso il Tribunale di Monza nei confronti di 35 lavoratori dell’azienda
Trasporti Pubblici Monzesi).
E le forme di lotta che sono state messe in atto nel settore dei trasporti con
il blocco dei treni o della circolazione creano indubbiamente sia dei costi
(cioè sono efficaci) che il problema di impedirne la loro riproducibilità da
parte di altri lavoratori o gruppi sociali.
Assistiamo così al continuo tentativo da parte padronale e governativa di
imporre la legge che scioperare e/o lottare è sbagliato se non lo si fa in modo
simbolico. Il giornale della confindustria qualche giorno prima dello sciopero
del 10 febbraio pubblica una breve analisi dal titolo “Confederali malati di
corporativismo” a firma di Guido Baglioni (professore di sociologia
all’Università di Milano-Bicocca già fra l’altro per diversi anni membro del
consiglio di amministrazione della Banca Popolare di Milano) in cui da un lato
richiama il sindacato alle regole della concertazione e della contrattazione ed
al loro attuale ruolo di soggetto di contenimento dello scontro sociale “…
Con il potere e il peso delle confederazioni e delle loro federazioni non si
dovrebbe indire scioperi per tutto o quasi tutto; non si dovrebbe far coincidere
il perseguimento di obbiettivi (specie quelli extra-contrattuali) con la routine
dello sciopero; bisogna usare altre forme, altri strumenti, rintracciabili anche
senza grande fantasia. Con le intense relazioni fra sindacati e aziende nel
settore pubblico, si possono prevenire carenze e incidenti, se vi è continua
attenzione da parte del sindacato.” Dall’altro propone e lancia indicazioni
“..ci sono altri strumenti oltre allo sciopero. Ad esempio, sfruttare tutte le
possibilità della comunicazione visiva e scritta; cercare alleanze e sostegno da
parte degli enti locali, delle associazioni, di specifici ambienti; compiere
atti simbolici efficaci, visibili, condivisibili. Insomma i sindacati dei
trasporti….dovrebbero essere meno autoreferenziali, meno corporativi, meno
isolati…”.
C’è dunque una grande attenzione alle forme di lotta che i lavoratori riescono a
mettere in campo e c’è una grossa paura per il fatto che sempre più spesso i
lavoratori ed i proletari nelle loro manifestazioni di lotta superano il
simbolismo, le a volte inutili sfilate, ecc.ecc…
Ed è questa, per il movimento di classe e rivoluzionario, la strada da seguire.
Anche rispetto alla sicurezza è nel pieno dell’iter regioni/parlamento
l’approvazione del nuovo Testo Unico sulla sicurezza sul lavoro. Nel voler
procedere al riordino delle norme sulla sicurezza da più parti richieste, il
Ministero ha predisposto un Testo Unico (www.sicurezzaonline.it/leggi/leggen/leggen2004/leggen2004doc/leggen2004tu/testo_unico_18_11_2004.htm)
che va nella direzione di affossare i diritti dei lavoratori. Vengono
depenalizzati quasi tutti i reati imputabili ai datori di lavoro; viene resa
quasi nulla l’elezione dei RLS (infatti questi non avranno più accesso ai
Documenti Valutazione dei Rischi); viene sostituita, nelle misure generali di
Prevenzione, l’obbligo a “la maggiore sicurezza possibile” con “la maggiore
sicurezza attivabile”, quindi non si tende alla sicurezza maggiore, ma ci si
limita ad applicare quello che in quel momento è possibile; vengono esclusi dal
computo dei lavoratori, ai fini della determinazione del numero dal quale il
Testo Unico fa discendere determinati obblighi i lavoratori in prova, i
lavoratori sostituti, i lavoratori a domicilio, i volontari, i lavoratori
socialmente utili, gli obiettori di coscienza, i telelavoratori, i lavoratori a
progetto e i co.co.pro, gli occasionali e quelli con contratto di lavoro
accessorio. Come a dire che queste figure atipiche non corrispondono a
lavoratori aventi gli stessi diritti degli altri, ma a lavoratori “usa e getta”,
come si conviene ad una merce.
Un’ultima riflessione importante da farsi è che sempre più la situazione del
settore ferroviario diviene comune fra i vari paesi e nello specifico nell’area
dei paesi dell’Unione Europea sono le direttive europee con i cosiddetti
“pacchetti ferroviari” ad imporre ed organizzare la liberalizzazione dei
traffici ed anche le decisioni dei vari governi che si muovono a livello
comunitario nella direttrice di privatizzazione delle ferrovie, di separazione
tra infrastrutture e trasporto, di politiche commerciali che mirano solo al
profitto, di creazione di posti di lavoro meno cari e precari.
La liberalizzazione, seppur con ritmi diversi, prosegue dovunque. In Francia è
in corso un’accelerazione del processo che conduce alla privatizzazione. Ci sono
due progetti che mirano a trasferire nelle filiali private la
commercializzazione sui treni viaggiatori ed il traffico merci sulle corte
distanze. Parallelamente ci sono diverse lotte locali che si sviluppano sui
problemi legati alle condizioni di lavoro e agli organici. In Belgio la SNCB è
stata trasformata in una holding. Le ristrutturazioni si manifestano anche
attraverso la chiusura di stazioni, la soppressione del personale che nelle
stazioni assicura la sicurezza della circolazione.
In Spagna è stata varata una legge che separerà la RENFE in due parti
privatizzate, una per l’infrastruttura e l’altra per il trasporto con la
successiva prevedibile chiusura di linee. Questo per mettere in luce come oramai
la situazione assume sempre più un carattere transnazionale, immediatamente di
portata europea. E’ per opporsi a queste politiche e per imporre altre scelte
che alcune realtà sindacali di diversi paesi (per ora Italia, Spagna, Paese
Basco, Gran Bretagna, Svezia, Francia) si stanno muovendo nella prospettiva di
organizzare un movimento sindacale europeo nel settore ferroviario, un
coordinamento che permetta di mettere in comune le diverse esperienze, di
confrontarsi e soprattutto di arrivare a far convergere le varie azioni come per
ora è successo con il primo sciopero ferroviario europeo del 18 marzo 2003
“contro la politica di liberalizzazione dell’Unione europea”.