SENZA CENSURA N.16

FEBBRAIO 2005

 

Duelli imperialistici nell'Africa Centrale

Le vicende sotterranee del conflitto in Costa D’Avorio

 

In Italia le vicende africane non hanno mai avuto una grande eco, se si escludono determinate e particolari zone. L’area di influenza economica italiana in Africa, nella “migliore” tradizione coloniale si è diretta sui paesi africani del mediterraneo e dell’Africa dell’est, Somalia, Eritrea.
Le vicende del continente africano, le battaglie sociali, le guerre di posizione dei vari imperialismi sono dimenticate dalla stessa sinistra italiana, quando se ne occupa lo fa utilizzando un taglio cattolico-assistenzialista nel più puro spirito colonialista: dell’uomo bianco che aiuta i nativi non “civilizzati”.

La Costa d’Avorio
La Costa d’Avorio ha una superficie di 322.462 Km, confina con Liberia, Guinea, Mali, Burkina Faso, Ghana e il mare. La capitale è Yamassoukro e il più grande porto è Abidjan. E’ il motore economico e la più ricca tra le regioni dell’Africa Ovest. Il PIL per abitante è di 640 euro, il doppio dei paesi confinanti. E’ il primo produttore mondiale di Cacao (detiene il 40% della produzione mondiale) il cui prezzo sale o scende a discrezione delle compagnie quotate alle borse di Londra e Parigi, mandando regolarmente in rovina milioni di contadini. E’ il decimo come produttore di caffè. Rappresenta il 40% dell’attività economica dell’intera Unione Economica Monetaria Africa Ovest.
La Costa D’Avorio è stata la vetrina della decolonizzazione dolce, non ha visto grosse ribellioni e movimenti di liberazione, la sua indipendenza è stata governata dal precedente colonizzatore: la Francia. La Costa d’Avorio, conquistò l’indipendenza il 7 agosto 1960 e il 27 novembre dello stesso anno venne eletto presidente Felix Huophouet-Boigny, ex parlamentare ed ex Ministro del governo francese. Huophouet-Boigny governò lo Stato africano per sette mandati consecutivi rimanendo in carica sino alla sua morte avvenuta nel dicembre 1993. Boigny governò soprattutto grazie alla protezione francese, e ad una nutrita colonia di francesi rimasti nella ex colonia. Anche se alcune sue iniziative procurarono imbarazzo alla Francia, ad esempio, la deforestazione sistematica per vendere il legname (i francesi controllavano tuttavia il traffico di legname) e la costruzione di un enorme basilica nel suo paese natale Yamoussoukro (seconda per dimensioni solo a San Pietro) che provocò l’indignazione del Papa, il governo neocoloniale di Boigny fu sempre difeso dalla Francia.
Come spesso accade la decolonizzazione priva di una mobilitazione popolare progressista si è trasformata in una consegna da parte dello Stato colonizzatore del potere politico fittizio a nuovi governi locali, mentre l’intera struttura economica rimaneva saldamente sotto l’influenza coloniale precedente. La mancanza di un movimento di liberazione indipendente, impedisce la nascita e sviluppo di un ceto politico progressista e nazionale, la decolonizzazione quindi viene subìta, come la colonizzazione, dalle masse popolari. Manca una borghesia nazionale progressista, e si determina una lobby di potere locale definibile secondo canoni sud americani “borghesia-compradora”.
Il cacao e il caffè sono miniere per il profitto delle multinazionali francesi. La distribuzione dell’acqua, dell’elettricità, della telefonia mobile e fissa, le opere di costruzione pubbliche (ponti, strade, aeroporti) sono controllate da società francesi quali: Bolloré, Bouygues, EDF, SAU che rasentano da sole quasi un terzo dell’investimento straniero e sono il 30% del PIL in Costa d’Avorio. I governi di sinistra e di destra in Francia hanno indistintamente appoggiato la propria economia e il proprio espansionismo nel nome della patria francese. Una delle debolezze maggiori della sinistra francese (sia nelle compenti riformiste sia in quelle più progressiste) sta nella sua sbandierata universalità dei diritti universali, ma che di solito sono di lingua francese…. “Ieri - scrive Marx il 20 giugno del 1866 - nel Consiglio dell’Internazionale si ebbe una discussione sull’argomento d’attualità, la guerra… La discussione, com’era da prevedere, si aggirò soprattutto sulla questione delle nazionalità e sulla posizione che dovevano assumere al riguardo… I rappresentanti (non operai) della <giovane Francia> uscirono fuori con questo, che tutte le nazionalità e perfino le stesse nazioni sono pregiudizi invecchiati. Stirnerismo proudhonizzato.. Tutto il mondo aspetta che i francesi siano maturi per compiere una rivoluzione sociale… Gli Inglesi risero molto quando io aprii il mio discorso col dire che il nostro amico Lafargue, ecc.., che ha eliminato le nazionalità, ci aveva rivolto il discorso in francese, vale a dire in una lingua che i nove decimi dell’uditorio non capivano. Accennai inoltre che lui, affatto inconsapevolmente, sembra che voglia intendere sotto il termine negazione delle nazionalità il loro assorbimento nella nazione modello francese.”. Il colonialismo è un fenomeno che non si ripercuote solo ad un livello puramente economico, ma anche rispetto ad una presunta superiorità culturale e civile, è un meccanismo che si insinua anche in chi in buona fede pensa di esserne immune. La sinistra francese ha vissuto la guerra di liberazione in Algeria, in Viet-Nam come momenti laceranti, dove solo alcune minoranze hanno saputo sbarazzarsi della cosiddetta “universalità” francese. In molte zone coloniali è stata la Francia a dichiarare l’indipendenza (controllando tuttavia l’economia del paese libero), e questo meccanismo politico, lungi dal rappresentare uno sviluppo progressista nella coscienza francese, ha ancor di più ampliato questa indisponente concezione di superiorità.
Questo meccanismo abbastanza comune per le forze colonialiste ora divenute neo-colonialiste è stato sperimentato dall’Italia in Libia dopo la seconda guerra mondiale, che ha cercato attraverso la patetica figura del re fantoccio Idris di rappresentarsi ancora come sorella maggiore. Gli interessi italiani erano inferiori ovviamente a quelli britannici dopo il secondo conflitto mondiale, tuttavia il governo democristiano cercava di mantenere una supremazia economica nella regione, e di permettere ai coloni italiani un controllo sul territorio. Solo la sollevazione dei militari rivoluzionari pan-arabisti guidati da Muhammar Gheddafi permise alla Libia di poter uscire definitivamente dal controllo occidentale e sperimentare una propria via politica indipendente, che nel caso specifico libico sfocerà in una versione alquanto originale, ma da molteplici tratti interessanti, di socialismo-arabo (1).
La Costa d’Avorio, priva di un suo movimento nazionale progressista, è stata quindi un neo-protettorato francese.
In questi ultimi anni la politica imperialista neo-colonialista americana si è fatta più aggressiva anche grazie all’alleggerimento internazionale che ha avuto dopo il crollo dell’URSS. E’ entrata sempre più nelle filiere di produzione del cacao, arrivando ad assumere un ruolo monopolista in molte compagnie, ha investito e mandato numerose ONG e varie sette della Chiesa Evangelica nel paese africano. Questo meccanismo di accerchiamento USA, sperimentato in America Latina, è un insieme di armi, crocefissi e dollari. L’influenza statunitense si è manifestata anche direttamente attraverso alcune figure politiche locali e con l’invio interessato di speciali battaglioni di mercenari israeliani.

La guerra civile
Dal 1993 c’è stata una crisi della produzione del cacao che tra l’inizio del 1998 e la fine del 1999 è crollato fino a – 30%. Questo si è tramutato in un abbassamento delle condizioni di vita della popolazione. Nel 1990 il tasso di mortalità infantile dei bambini sotto i 5 anni era di 150 su 1000. Nel 2002 era di 176 per 1000.
La popolazione di 16,9 milioni di abitanti conta 2,25 milioni di ivoriani (15% della popolazione) discendenti dai “lavoratori” del Burkina Faso, “importati” durante la colonizzazione. Proprio con l’ampliarsi della crisi economica vi è stato da parte del governo una vera e propria invenzione di purezza dell’ivorianità, tale da scatenare una guerra tra presunti “autoctoni” e “immigrati” . Questo ha permesso alle bande politiche locali (veri e propri signori della guerra) di coagulare forze sociali popolari, che schiacciate dalla pressione economica, hanno trovato in questa guerra fratricida una valvola di sfogo. Outarra, primo ministro del presidente Houphet Boigny, introdusse una carta restrittiva per questi presunti “immigrati”, che li rendeva, attraverso la legge, differenti dagli “autoctoni”. Ironia della sorte lo stesso Outarra, subirà questa legge razzista, i suoi oppositori scopriranno un’antica parentela nel Burkina Faso, e gli impediranno di presentarsi alle elezioni presidenziali, arrivando fino a obbligarlo all’esilio. L’attuale presidente Gbagbo eletto nel 2000 si è fatto paladino dell’ ivorianità. Le esplosioni di violenza di questi ultimi mesi (con centinaia di vittime tra i civili, e tra i vari eserciti) rendono ormai la Costa D’Avorio in piena guerra civile e invasione neo-coloniale. Il motivo scatenante, in apparenza, è scaturito nel 2002, quando dei gruppi ribelli sostenuti da Ouatarra e truppe dal Burkina Faso, penetrarono nel nord del paese con la scusa di difendere i “non ivoriani” dalla xenofobia ivorianista. La Francia accorse in questo caso anche militarmente nel paese, coperta dalla foglia di fico dell’ONU, sistemandosi come forza di interposizione tra i belligeranti (il governo centrale e i ribelli del nord). Gli avvenimenti di questi ultimi mesi sono precipitati. La popolazione aizzata dal governo, stanca della crisi economica, e giustamente rancorosa verso le truppe francesi ha combattuto nelle strade contro le truppe ONU, le truppe governative aiutate da mercenari israeliani hanno colpito numerosi militari francesi. La situazione rimane di stallo, la Francia con i suoi soldati ha riconquistato il controllo e l’agibilità militare in Costa d’Avorio, ma tutto rimane instabile e la guerra continua.

Gli interessi in gioco sono molteplici
La Costa d’Avorio riveste un interesse strategico per il capitalismo francese. Vi sono 210 filiali di multinazionali e grandi imprese francesi impiantate nel paese. Questa non disinteressata presenza francese nel paese (molte delle colpe della classe politica che si è formata –o non formata- in questi anni in Costa d’Avorio sono causate proprio dalla stessa Francia), non ci deve tuttavia far dimenticare che all’interno di questo conflitto nazionale si colloca una battaglia ben più grande.
La penetrazione americana in Africa si è materializzata in modo evidente nella crisi dei Grandi Laghi di dieci anni fa dove gli USA cercarono di sloggiare la Francia dalle sue postazioni africane con qualsiasi mezzo e senza badare a spese.
Dopo il genocidio ruandese consumatosi sotto lo sguardo distratto (complice?) dei parà franco-belgi, l’immagine della Francia ne era uscita malconcia. Poi le cose sono via via cambiate. Il piccolo, bellicoso Ruanda di Paul Kagame è diventato, con l’assistenza militare israeliana e l’avallo del Pentagono, una micidiale macchina da guerra che ha disgregato gli Stati confinanti e provocato, a telecamere spente, un terrificante olocausto cinque volte più grande di quello ruandese: 4 milioni di morti in Congo, 300 mila in Burundi. Dopo di che le guerre per procura si sono estese e moltiplicate, alle spalle dei guerrieri, dei mercenari con la pelle nera e bianca sono spuntate sempre più nitide le immagini della bandiera a stelle e strisce. Da qualche anno le basi americane stanno proliferando e gli apparati di intelligence, quando non riescono a comprarli, tolgono di mezzo i leader più ingombranti. Ultimo della serie Laurent Desireè Kabila, presidente della martoriata Repubblica Democratica del Congo.
La competizione tra Francia e Stati Uniti si è via via intensificata dopo che il petrolio ha cominciato a zampillare sempre più abbondante, oltre che dai pozzi offshore del Golfo di Guinea, anche sulla terraferma, nello spazio subsahariano compreso tra il Ciad ed il Niger fino alla lontana Namibia. Molti di questi paesi sono ex colonie del dissolto impero francese.
La sontuosità faraonica della residenza del presidente Laurent Gbabgo ad Abidjan è un imponente monumento alla sua corruzione (e ai favori che godeva dalla Francia) e a quella dei suoi cortigiani dirigenti del Partito Popolare Ivoriano regolarmente affiliato all’Internazionale socialista.
Prima della crisi dell’attuale governo il Golfo di Guinea pullulava di emissari americani specializzati nella compravendita di personale politico locale. Sono in molti a sospettare su chi e dove è il burattinaio che tira i fili dell’ondata xenofoba antifrancese gestita dal presidente ivoriano e dal suo consigliere spirituale, il pastore Moisè Korè, arrivato chissà perché nel momento giusto, dopo un lungo ed agiato soggiorno in quel di Washington.
Già nel 2002 Kansteirner, segretario di stato degli USA per l’Africa, dichiarava:”Il petrolio dell’Africa Ovest e del Golfo di Guinea è strategico. Il termine strategico implica che il 15% 20% delle nostre importazioni di petrolio proverranno da queste regioni tra 3 o 4 anni a venire”. Il controllo economico della regione passa attraverso il controllo dello Stato principale: la Costa D’Avorio, che a sua volta è legato al caffè e al cacao. Non è un caso che le filiere di caffè e cacao ivoriane interessarono in modo “maniacale” le multinazionali americane durante gli anni 90.
L’Italia pur essendo una forza marginale in questa disputa si è dimostrata ancora una volta supina agli interessi sionisti-americani. L’Italia ha aiutato ad evacuare mercenari e consiglieri israeliani dalla Costa d’Avorio.
Lo sostiene il senatore dei Verdi Francesco Martone, di ritorno dalla Sierra Leone. Secondo fonti di stampa italiana ed estera, dice Martone, l’Italia avrebbe fatto pressioni sull’ambasciata italiana ad Abidjian per dare priorità’ all’evacuazione protetta di consiglieri militari e mercenari israeliani al soldo del governo ivoriano.
Questa guerra tra imperialismi ha portato la sinistra e le forze progressiste africane, le sole legittimate a decidere l’atteggiamento da tenere in questo conflitto, a dover subire il ricatto dell’imperialismo più debole. L’Unione Africana, appoggia la presenza della Francia in Costa D’Avorio, perché teme come la peste (Nelson Mandela è uno fra quelli che ha espresso pubblicamente i suoi timori) il costituirsi di una forza di interposizione a comando USA richiesta ripetutamente dagli Stati Uniti. La Francia gode attualmente di un elevato tasso di credibilità tra i governi africani (anche grazie alla sua posizione nei confronti della guerra irakena). Fiducia, peraltro ribadita da Thabo Mbeki, presidente del Sudafrica, designato dall’Unione Africana a mediare la crisi ivoriana. Questa apparente contraddizione delle forze progressiste africane è dettata dalla politica sempre più incisiva USA, che non lascia spazi di mediazione alcuna. Per evitare sorprese il Pentagono ha già dislocato forze speciali in Sahel, Mauritania, Mali, Ciad e Niger e progetta una base militare a Sao Tomè. Si sta attuando, dunque, da parte degli Stati Uniti, una vera e propria penetrazione di stampo coloniale in un’area di vitale importanza strategica, sottratta in parte all’influenza francese. Il processo di indipendenza dell’Africa appare molto lontano.

La sinistra ivoriana
L’atteggiamento dei progressisti in Africa, se costituisce una barriera alla penetrazione USA, non evita alle masse popolari africane una vita tra guerre e miseria. La guerra civile ha permesso al governo ufficiale ivoriano di massacrare militanti comunisti e studenti rivoluzionari, cosa che è stata deliberatamente sottaciuta da tutti gli organi di stampa in Europa, più preoccupati di denunciare il trattamento riservato ai turisti e agli industriali stranieri (2).
In Costa D’Avorio esiste un combattivo partito comunista marxista leninista (Partito Comunista Rivoluzionario della Costa D’Avorio) (3), ha come simboli un martello ed un machete. E’ nato nel 1990, ma è stato costretto alla clandestinità fino al 2002. Il partito è praticamente semi-clandestino, tuttavia ha un organo di stampa riconosciuto dalle autorità il mensile “Rivoluzione Proletaria”. Il partito pur dichiarando apertamente di lottare per la rivoluzione socialista e il potere dei lavoratori, lotta nell’immediato per la democratizzazione del paese e combatte una guerra contro l’ideologia xenofoba ivorista, dentro le fabbriche, i posti di lavoro dove è presente, le scuole, le università.
Ekissi Achy segretario generale del Partito Comunista Rivoluzionario della Costa D’Avorio è stato linciato e gli è stata distrutta l’abitazione dai “Giovani Patrioti” legati al regime di L. Gbagbo. Gli stessi hanno sequestrato Abib Dobo, segretario generale della Gioventù Comunista della Costa D’Avorio, lo hanno picchiato selvaggiamente uccidendolo. Altri militanti operai del PCRCI tra cui Kouame Kouakou Richard, incaricato del comitato operaio e contadino sono stati torturati (4).
Sono “scomparsi” numerosi giornalisti e prendono fuoco i locali dei giornali progressisti e di sinistra, le bande para-militari del governo si muovono indisturbate. Le autorità francesi, pur attualmente fortemente presenti sul territorio, hanno lasciato campo libero agli assalitori. Il partito pur lottando contro il regime instaurato dal governo e le penetrazioni sioniste-americane, denuncia la presenza delle truppe francesi, chiamando il popolo alla autodeterminazione. La situazione dei compagni ivoriani non è semplice e una schematica valutazione del loro operato rischia di apparire un classico sfoggio di ideologismo occidentale. In modo pragmatico le forze comuniste ivoriane combattono in prima istanza il regime e la penetrazione USA, e successivamente denunciano le truppe ONU-Francesi, conniventi con il governo, quando si deve coprire gli assassini di comunisti e oppositori progressisti.

Conclusioni
Il conflitto ivoriano ci pone di fronte a quesiti che travalicano i confini africani. La situazione di debolezza in cui versa il movimento comunista, la difficoltà o parzialità geografica della resistenza antimperialista, la crisi economica che sembra tuttavia essere governata con una fascistizzazione della società nel suo complesso, sono tutti elementi che si riflettono nella situazione ivoriana cosi come in quella del pianeta. Se esiste un blocco imperialista principale, gli USA, questo non può farci dimenticare come vi siano proprio nel sistema imperialista sempre più forze in campo e solo raramente si può giocare con le contraddizioni della guerra interna tra imperialismi.
Vi è un atteggiamento spesso coincidente nella sinistra, sia nelle sue componenti più revisioniste sia in alcune antimperialiste. Vi è chi difende l’operato mondiale dell’imperialismo adducendo i mali ad una determinata tendenza politica della borghesia imperialista, altri denunciando un preciso blocco imperialista, dimenticandosi entrambi di come vi sia dentro il capitalismo una gara di concorrenza e monopoli continua. Più concretamente questo si traduce nelle componenti più moderate a difendere il candidato meno peggio (il tifo per il partito democratico negli USA) e per la sinistra a sposare un antiamericanismo stupido che presta il fianco ad uno sciovinismo-filo europeista, se non in alcuni casi apertamente fascista.
Un altro problema legato a queste tematiche si può avere nell’atteggiamento estremistico, che in nome di una purezza metafisica di classe, si pensa sempre al di sopra di ogni contraddizione, va detto che questa posizione viene portata avanti da un settore della sinistra così minoritario a livello mondiale da non rappresentare neppure un opzione nel dibattito. Le vicende ivoriane, inoltre meglio di un qualsiasi saggio, dimostrano come l’imperialismo è multipolare, e non vi è nessun impero. Le contraddizioni dentro il potere sono tali da essere in determinate e circoscritte zone delle vere e proprie guerre militari.
La vera scommessa è riuscire a governare le contraddizioni, e se vi sono spazi utilizzarli contro il nemico. La capacità di creare fronti che intercettano il malcontento delle masse e le diano prospettiva politica e d’azione, tutto questo scalando montagne e attraversando deserti, è vincolata anche dalla capacità di assumere di volta in volta obiettivi precisi e individuare il nemico più importante. La purezza ideologica è immobilismo, l’immobilismo è morte o ancor più grave condiscendenza con il potere.

Note:

1 Angelo Del Boca, Gheddafi una sfida nel deserto, Editori Laterza, 1998. Alessandro Aruffo, Muhammar Gheddafi e la nuova Libia, Datanews, 2001. Materiale su internet sulla Libia e il suo leader rivoluzionario: Associazione Italia Libia www.pasti.org/libiahome/ e sul sito italiano dedicato a Gheddafi www.gheddafi.net/home.htm (Questo sito contiene il testo principale della rivoluzione libica, il libro verde di Gheddafi, tuttavia i curatori del web pubblicizzano nei link siti vicini o propriamente di estrema destra come Indipendenza)

2 Una riproposizione in piccolo dello spirito merdoso e umanitario degli occidentali esploso per la scomparsa di tanti poveri turisti schiacciati dall’onda assassina in Asia. Il potere dominante quando vuole nascondere i denti, spesso si tramuta in una bestia ancora più orribile. L’ipocrisia con cui si è parlato della strage in Asia è davvero vomitevole, di fronte alle migliaia di morti nella popolazione civile asiatica.

3 Maggiori informazioni sul PCRCI si possono trovare sul sito del PCOF Partito Comunista degli Operai di Francia www.pcof.net , dove esiste anche un comunicato di solidarietà al PCRCI firmato da diversi organismi e organizzazioni comuniste internazionali.

4 In Italia i compagni del foglio La Nostra Lotta stanno organizzando una campagna di sensibilizzazione contro la repressione dei comunisti ivoriani per contatti: nostralotta@aruba.it website: www.lanostralotta.net

[siti consigliati: www.pcof.net, www.resistenze.org, www.mltranslations.org]



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