SENZA CENSURA N.16

FEBBRAIO 2005

 

Trasformazione Nato

La grande abbuffata dell’imperialismo Usa?

 

Pare scorra nuova linfa vitale nel processo di trasformazione della Nato proiettata verso un ulteriore passaggio nel suo allargamento. Un allargamento che, come negli anni precedenti, dialettizza con l’espansione della Unione Europea, spinto in primis dalla politica di egemonia economica e militare della BI americana. Un allargamento che pare sfruttare una fase, sebbene non veda una soluzione ai fronti di guerra attuali in Afghanistan e Iraq, che ancora risente degli effetti conseguenti alla offensiva “antiterrorismo” internazionale. Un allargamento, quindi, che assume le caratteristiche di un fagocitamento da parte Usa di quelle aree frutto della progressiva disgregazione di quella che fu la sfera sovietica prima e l’area di interesse russa successivamente. Un processo di allargamento che fa dell’asse Turchia-Israele-Usa il tassello centrale del predominio Usa nel processo di Grande Middle Est, e della sua totale supremazia militare nei confronti dell’amica/nemica Europa, un elemento di forza nella definizione della gerarchia imperialista all’interno del quadro Nato.
Il dibattito sul Rapporto Usa-Ue all’interno del patto Transatlantico ha animato le scene di questi ultimi mesi, in particolare dopo quelle che sono state le posizioni di alcuni paesi europei nei confronti dell’attacco all’Iraq. Le polemiche in questo senso sono continuate anche nelle ultime settimane in particolare da parte del Segretario della Difesa Usa Rumsfeld nei confronti delle affermazioni di esponenti di singoli Stati Nato, europei, durante l’incontro dei Ministri della Difesa Nato a Nizza di Dicembre. Rumsfeld ha sottolineato che troppe sono le interferenze di esponenti di singoli Stati riguardo le operazioni e le decisioni Nato ed in particolare per quelle che riguardano la partecipazione o meno delle sue forze ad operazioni militari, competenza che spetta alle “gerarchie Nato”.
Un breve inciso è necessario su questo passaggio, in particolare per quanto riguarda la conferma di due tesi da sempre sostenute. Gli organismi sovranazionali (contrariamente a quanto afffermato dalla parte opportunista noglobal) non sono identificati come entità superiori ma piuttosto costruiti e costituiti da Stati, e rappresentano delle vere e proprie stanze di compensazione delle borghesie imperialiste; e questo riconferma la centralità della lotta contro lo Stato e l’importanza del suo ruolo, per nulla spodestato ma anzi rafforzato, data la fase attuale, dalle pressanti necessità sul piano contrivoluzionario. Molto lontano, quindi, da quella ideologia che affermava la fine dello Stato e del suo ruolo a fronte di un nuovo potere rappresentato da WTO, FMI, ecc.. La seconda, riprendendo la definizione di stanza di compensazione, è che tali strutture, di cui la Nato assume la centralità, hanno lo scopo di definire i livelli gerarchici in difesa degli interessi dei vari spezzoni di borghesia imperialista. Le dichiarazioni di Rumsfeld non fanno altro che confermare che la Nato rappresenta, nelle scelte della BI Usa, lo strumento all’interno del quale, vista la sua supremazia militare, determinare la leadership sul “branco imperialista”.
Alla posizione di Rumsfeld si contrappongono le affermazioni di Shroeder in occasione della Conferenza Nato sulla Sicurezza di Febbraio a Monaco, dove ha affrontato il tema della necessità di rivedere l’attuale organizzazione decisionale atlantica. Shroeder afferma che la Nato non è l’unico luogo, e può non essere quello principale, dove coordinare e prendere decisioni all’interno della cooperazione transatlantica, ipotizzando lo spostamento del piano di confronto su un possibile nuovo livello di consultazione tra Usa e Ue. E’ chiaro l’intento tedesco, in una fase di espansione internazionale e di ricerca di maggiore ruolo nella gerarchia imperialista, svestiti i panni dismessi post guerra di una borghesia sottomessa, cerchi di spostare il confronto su in terreno in cui gli Usa non possano fare conto su quanto a disposizione, in termini di rapporto di forza, all’interno della struttura decisionale Nato. Shroeder chiede che Usa e Ue diano vita ad una consulta di esperti che affrontino il problema di un cambiamento dei livelli decisionali e di consultazione attualmente adottati. La risposta di Rumsfeld non si è fatta attendere affermando che le future guerre come l’intervento in Iraq (almeno ha il coraggio di chiamarla con il suo nome), dovranno essere condotte da una coalizione come la Nato..
Se le divergenze impediscono, per ora, un pieno dispiegamento Nato in Iraq prosegue invece la fase di addestramento degli apparati di sicurezza e militari. Nel mese di Novembre alcuni ufficiali iracheni, insieme ad altri provenienti dai paesi PfP (Partner for Peace), hanno partecipato presso la NATO School di Oberammergau in Germania, ad un addestramento multidisciplinare. La decisione della Germania, come quella della Francia, nocciolo duro della creazione di un Europa Forte ed Armata, è di addestrare le forze irachene, ma al di fuori dell’Iraq stesso.
Nel mese di Dicembre, in Norvegia, il Nato’s Joint Warfare Centre di Stavanger ha ospitato il primo corso per venti ufficiali della sicurezza appartenenti al Ministero della Difesa e degli Interni iracheno. Sempre nel mese di dicembre i Ministri degli Esteri Nato riuniti a Brussels hanno dato il via all’invio di 300 militari per l’addestramento in Iraq, lanciando così la NATO Training Mission-Iraq. Tra questi, una grossa parte costituirà il supporto militare e logistico, con l’obiettivo, inoltre, di realizzare nei pressi di Bagdad una scuola di addestramento, il “Training, Education and Doctrine Centre”. All’iniziativa hanno dato fin da ora la disponibilità del loro personale militare quei paesi che maggiormente rappresentano l’area di influenza Usa all’interno della Nato come Ungheria, Polonia e Bulgaria, che, come abbiamo spesso affrontato, rappresentano una contraddizione stessa per l’Europa e la sua indipendenza imperialista. Attualmente sono circa 100 i militari sotto l'egida Nato in Iraq.
Una fonte ufficiale della Nato ha ammesso il trasporto di armi, mezzi da combattimento e munizionamento verso l’Iraq, come parte del programma di aiuto nell’addestramento ed equipaggiamento delle forze di sicurezza. La Romania ha offerto 6.000 fucili mitragliatori AK-47, 500 mitragliatrici, 300 fucili di precisione e 100 lanciagranate, mentre l’Estonia ha offerto 2.400 AK-47 e la Danimarca 104 pistole. Dalla Ungheria saranno invece trasportati 77 carri da combattimento T-72. L’invio avviene nell’ambito del programma di coordinamento degli aiuti approvato lo scorso anno dalla Nato e proviene, per la maggioranza, da nazioni che si sono unite all’Alleanza Atlantica lo scorso anno.
Se sul fronte iracheno la Nato soffre delle contraddizioni che animano l’attuale fase del panorama imperialista, in Afghanistan si prepara ad aumentare ulteriormente la sua presenza. Attualmente sono presenti dai 7000 ai 9000 militari circa provenienti da tutti i paesi Nato. I paesi Non Nato stanno contribuendo con circa 400 uomini. La Nato ha 5 Provincial Reconstruction Teams (PRTs) in Afghanistan. Un team tedesco a Konduz e Feyzabad, uno inglese a Mazar-e-Sharif e Maimana ed un team olandese nella provincia di Baghlan. Il piano Nato è quello di aggiungerne almeno tre nella parte occidentale del paese. Il Comando franco-tedesco di Eurocorps ha preso la direzione della missione nell’Agosto del 2004. Fanno parte di Eurocorps Belgio, Francia, Germania, Lussemburgo e Spagna, paesi che fanno parte anche della Nato. La Bulgaria ha dato la sua disponibilità all’invio di propri militari e a fornire armi per 40 tonnellate. Si occuperà per 4 mesi delle operazioni di sicurezza all'aeroporto di Kabul. La Turchia ha preso il comando della missione a metà di febbraio e sarà lei a gestire l’espansione della missione. Italia, Spagna e Lituania prenderanno il comando di 4 PRTs e di una base operativa avanzata nei pressi di Herat.
La presenza Nato in Afghanistan ha determinato un accelerazione del dibattito su quanto riguarda la necessità della creazione di una Forza Rapida di Stabilizzazione e Ricostruzione (SRF). Questa dovrebbe rappresentare una forza complementare alla Forza di Reazione Rapida, ma diversamente organizzata. Più che una forza stabile la SRF deve essere una forza flessibile composta da più nazioni, prevalentemente di terra, con il compito di combinare le competenze di Stabilizzazione e Ricostruzione. La combinazione di una Forza di Reazione Rapida, di una Forza per conflitti ad alta intensità ed una Forza di Stabilizzazione e Ricostruzione (SRF), dovrebbe rappresentare la migliore risposta ai futuri sviluppi di crisi sul panorama internazionale. La creazione di una forza con queste caratteristiche potrebbe, secondo alcuni documenti in merito, rappresentare lo strumento per ridurre il Gap che intercorre tra i paesi Partner for Peace e i paesi Nato in tema di Stabilizzazione e Ricostruzione (SR).
La SRF dovrebbe occuparsi di eliminare le forme di violenza residue nelle situazioni di crisi, di impedire l’ulteriore eliminazione dell’opposizione, di garantire la ripresa della sicurezza sul territorio. Le operazioni civili dovrebbero riguardare il ripristino dell’energia e dei trasporti, fondamentali per l’occupazione del territorio stesso. La SRF deve quindi poter contare su Unità di Combattimento Pesante e di Supporto (CS/CSS), di unità per operazioni di sicurezza con la possibilità di cumulare la forza, se necessario. Secondo le stime non esiste ancora una reale capacità nelle forze militari Nato di rappresentare la complessità delle competenze necessarie per operazioni di SR, potendo ipotizzare attualmente l’utilizzo di un 2-3% circa delle forze Nato a tale scopo.
Dai documenti ufficiali emerge la convinzione che la necessità di questo tipo di operazioni continuerà, e come già affermato, la tendenza è sicuramente ad una crescita, come in crescita è l’aggressività che l’imperialismo sta mettendo in campo sui due fronti, quello esterno e quello interno.
L’Europa potrebbe scegliere di formare una Forza Stabilizzazione e Ricostruzione (SRF) seguendo l’esempio della scelta americana di non creare appositamente un ulteriore forza ma utilizzare le capacità militari attuali, e implementarle con le competenze relative alle operazioni di Stabilizzazione e Ricostruzione (SR). Gli Usa, precedentemente all’invasione dell’Iraq, credevano nella creazione di una forza in grado di essere dispiegata su un terreno di guerra sufficientemente “pacificato”. La realtà attuale ha evidenziato, data la capacità di opposizione militare della Resistenza Irachena, la necessità di rivedere quel piano, e ha convinto i vertici politici e militari di dover disporre di una maggiore capacità offensiva.
Secondo la National Defence University, l’Italia rappresenta un leader nella preparazione di missioni di SR. Il futuro vedrà la creazione, nelle forze armate italiane, di 10 brigate suddivise in tre pesanti, quattro medie e 3 leggere per assolvere ai compiti descritti sopra. La Germania destinerà circa 70.000 uomini alle operazioni di stabilizzazione e circa 180.000 CS/CSS, mentre la Polonia non dispone di forze dedicate alle operazioni SR. La Gran Bretagna dispone di un unità preparate alla guerra tecnologica e ha bisogno di preparare unità per operazioni di stabilizzazione. La Francia si propone di occupare la leadership per le operazioni SR. Mentre l’Olanda non sembra che possa contribuire particolarmente e il Canada sembra possa indirizzarsi verso la gestione dei processi elettorali, la loro sicurezza, monitoraggio, polizia militare e magistratura, la Spagna grazie alla recente posizione assunta nei confronti della guerra in Iraq, può avere una possibilità per un maggiore investimento in questo campo. La Spagna dispone di 92.000 militari organizzati equamente in unità CS/CSS, ma avrà bisogno dell’esperienza Nato per lo sviluppo di competenze di Stabilizzazione e Ricostruzione (SR).
E’ chiara l’esigenza di creare una sorta di seconda linea, una forza in grado di prendere possesso del territorio, determinare le proprie scelte politiche, organizzare elezioni farsa con politici fantocci dell’imperialismo, appropriarsi del controllo militare e di intelligence.
Le lodi all’Italia per quanto riguarda le capacità di gestione delle operazioni di SR non possono prescindere dal ruolo che questa ha avuto nella “occupazione leggera” dell’Albania, come nell’intervento “pesante” in Ex Jugoslavia.
Nel mese di Dicembre è avvenuto il fatidico momento per l’Europa di assumersi la responsabilità della “missione” in Ex-Jugoslavia. Già in passato abbiamo collocato la scelta Usa di “lasciare” il peacekeeping agli europei, data una differente capacità da parte Usa nell’intervento militare rispetto a quello europeo in momenti di alto livello di conflitto, nella volontà di non limitare le proprie forze a compiti di polizia e ordine pubblico dipendente dall’attuale maggiore attenzione verso altre aree, senza però rinunciare a quella egemonia politico-militare garantita all’interno del quadro Nato, in particolare con una presenza stabile dei suoi militari e con l’integrazione dei paesi nell’area nell’alleanza. E’ innegabile, anche da parte Usa, l’appartenenza dell’area a quella di naturale espansione della UE e la legittimità (imperialista) del richiamo all’Europa stessa ad occuparsi direttamente delle proprie aree.
La Ue si assumerà la responsabilità delle operazioni di peace-keeping, antiterrorismo, e di ricerca di quelli indicati come responsabili, da loro, di “war-crimes”, mentre un comando Nato resterà a Sarajevo per garantire la sicurezza e il sostegno alle “riforme”. I 7000 militari Eufor saranno supportati dalle strutture Nato dando vita all’accordo “Berlin plus”, che provvederà a definire una più stretta cooperazione Nato-Ue.
Gli Usa manterranno, inoltre, la loro presenza all’interno della base Camp Eagle a Tuzla.
I numerosi documenti ufficiali confermano la dualità dei processi di integrazione attuali dei paesi balcanici. Sono molte le convinzioni che le “prospettive economiche e sociali” dipenderanno inesorabilmente dallo sviluppo della cooperazione e integrazione sia nel quadro Ue, sia Nato.
Con il EU-initiated Stability Pact for Southeastern Europe, la Ue ha l’obiettivo di intervenire attivamente per creare uno strumento a lungo termine di prevenzione dei conflitti e di intervento rapido in caso di crisi. I fondi sono attualmente utilizzati per la “ricostruzione” dell’economia di Bosnia e Herzegovina. Il trattato indica le linee guida della politica estera europea nei confronti delle aree del Sud Est Europa: Albania, Bosnia e Herzegovina, la Repubblica Jugoslava di Macedonia, Croazia e Repubblica di Yugoslavia.

Uno studio congiunto da parte del CENTRE FOR EUROPEAN POLICY STUDIES e del INTERNATIONAL INSTITUTE FOR STRATEGIC STUDIES, individua nelle contraddizioni createsi con l’intervento Nato in Kossovo, uno dei motivi principali di preoccupazione per la stabilità dell’area, e per la conseguente messa in discussione delle mire espansionistiche europee. Una stabilità messa in crisi dalle mire secessionistiche kossovare che potrebbero dare fiato a quel progetto di “Grande Albania” portando all’ulteriore destabilizzazione di tutte le repubbliche ex jugoslave.
L’integrazione nel quadro Nato delle Repubbliche ex Jugoslave e della vicina Albania ha avuto, in relazione a quanto affermato precedentemente, un’accelerazione negli ultimi mesi. Da un report ufficiale del South East Europe Security Cooperation Steering Group (SEEGROUP), a cui partecipano Bosnia e Herzegovina, Serbia e Montenegro ancora non entrati a far parte dei paesi Partner for Peace, si apprende che sono state numerose le azioni intraprese per creare un Network Regionale per la Sicurezza, con particolare attenzione alla sicurezza dei confini e all’intervento militare e politico in caso di crisi.
Molte delle Repubbliche ex Jugoslave stanno operando riforme in funzione di una propria adesione al quadro Nato.
Durante una visita in Febbraio, il segretario generale Nato ha affermato che ancora la Bosnia deve compiere ulteriori sforzi in particolare per quanto riguarda l’assunzione degli standard europei nella sfera militare e della sicurezza. Per la Croazia, pur avendo raggiunto buoni risultati nell’adeguamento delle armi leggere agli standard atlantici, sforzi devono essere effettuati per quanto riguarda le forze aeree. La Slovenia sembra sponsorizzare un’accelerazione del processo di integrazione della Croazia, valutando positivamente l’apertura delle trattative per la sua entrata nella Ue.
In Macedonia, nel mese di Dicembre, è stato formalmente dichiarata la piena operabilità Nato del Camp Able Sentry (CAS) in Skopie, usato fin dall’Agosto di quest’anno dalle truppe Usa e destinato ad essere utilizzato per garantire la sicurezza nel processo di attuazione delle riforme nell’area e per operazioni di intervento militare nei Balcani.
Alla fine del mese di Dicembre è stato presentato un programma di riforma delle strutture militari finalizzato alla costruzione di un esercito professionale che dovrebbe completarsi entro il 2007. A fianco delle riforme militari la Macedonia ritiene di poter raggiungere anche gli standard politico-economici necessari per la adesione alla alleanza.
Nel mese di gennaio la Macedonia ha partecipato, invitata con altri 8 paesi (Armenia, Austria, Azerbaijan, Finlandia, Irlanda, Croazia, Svezia e Svizzera), alla NATO Crisis Management Exercise (CMX 2005), allo scopo di simulare l’intervento in una situazione di crisi fuori area, con incluso il rischio di interventi asimmetrici come attacchi terroristici contro le truppe Nato e le nazioni che collaborano all’operazione.
La Macedonia, di concerto con gli Usa, sta svolgendo un importante ruolo nei confronti della creazione di una maggiore relazione politico-militare tra i paesi confinanti, gli Usa e la Nato stessa. Il governo macedone mira a raggiungere le piene riforme per vedere nel 2006 realizzata l’invito a far parte della Nato, e di raggiungere le condizioni per la piena adesione al trattato di Shengen.
Nel mese di gennaio, per voce del suo presidente, il Montenegro si è dichiarato pronto ad intraprendere le riforme necessarie per arrivare in linea con gli standard PfP, e ad intraprendere un percorso ufficiale di contatto con i vertici Nato per stabilire il piano d’azione per la sua adesione.
L’Albania ha una visione della sicurezza e cooperazione vincolata alla presenza Nato e al procedere del processo di adesione a questa dei paesi dell’area. All’interno dell’incontro dei Ministri degli Esteri Nato di Dicembre, il ministro albanese ha affermato che l’adesione al processo di integrazione Nato di un numero sempre maggiore di paesi ha creato una maggiore stabilità e sicurezza nell’area, e il 2005 rappresenta sicuramente un anno importante e di grandi cambiamenti in questo senso. Il giudizio sull’attuale fase nell’area è che gli attuali processi stanno determinando un cambiamento “da una area di instabilità ad una di prosperità e sicurezza”, andando nella direzione di un consolidamento dei processi di cooperazione sia regionali che sub regionali.
Con il parziale disimpegno delle forze militari Usa dalla Ex Jugoslavia si ridisegnano le collocazioni delle basi militari e delle stesse forze, in funzione dei nuovi assetti strategici e ancor prima delle mire di dominio della Bi Usa. A questo fine, nel mese di Gennaio, il Comando delle Forze Usa in Europa ha visitato la Romania ed alcuni siti in Bulgaria dove potrebbero trovare posto le nuove unità di intervento maggiormente flessibili di quelle attualmente presenti in Europa. I siti individuati in Bulgaria potrebbero essere la base aerea di Bezmer, l’area addestrativa di Novo Selo e il porto di Burgas, sul Mar Nero, senza escludere la possibilità di individuarne altri due (gli aeroporti di Graf Ignatievo e Sarafovo, la base navale di Atiya sul Mar Nero e alcune strutture per la collocazione di equipaggiamenti e materiali).
Mentre si compiono gli ulteriori passi delle politiche imperialiste nell’area balcanica, la borghesia imperialista Usa attraverso la Nato, e quella Ue , al di là dell’area mediterranea e del cosiddetto medio oriente, continuano inesorabilmente l’integrazione di quei paesi frutto della disgregazione della Urss. Un processo già in atto precedentemente, ma che è tornato al centro del dibattito in particolare dopo quanto successo in Georgia prima e per le elezioni in Ucraina poi. Un processo che investe tutta l’area dai Balcani al Caucaso.
Gli Usa hanno da tempo intrapreso numerosi accordi bilaterali con l’Ucraina in tema di sicurezza e cooperazione, oltre che sponsorizzare la sua partecipazione al programma PFP-Nato. L’Ucraina è tra quei paesi che hanno dato pieno sostegno alla campagna antiterrorismo Usa, partecipando alla guerra in Iraq con i suoi nuclei per la guerra chimica a protezione del Kuwait, per poi dispiegare le proprie truppe ai confini tra Iraq ed Iran.
Secondo molti analisti l’Ucraina, al pari della Turchia, sebbene non disponga dello stesso peso politico, rappresenta un nodo importante per la supremazia mondiale, sia per le dimensioni, sia per la sua collocazione geografica.
L’Ucraina rappresenta per gli Usa un paese importante per la capacità militare importata dalla sua storia sovietica, oltre che per le sue vicissitudini politiche che possono diventare una chiave di volta per l’affermazione della propria supremazia nei confronti della Russia stessa, mettendo in seria crisi il processo di cooperazione CIS – Bielorussia, Kirgistan, Kazakistan, e Armenia, in particolare dopo il riconoscimento di questi paesi del candidato sponsorizzato dal Cremlino.
Dal canto suo la Nato, attraverso un comunicato congiunto sulla situazione Ucraina dei Ministri degli Esteri del Nato-Russia Council, ha ribadito il sostegno alla attuale leadership ucraina, la piena volontà di continuare ad intraprendere un percorso di dialogo politico con la Russia e di sviluppare ulteriormente la cooperazione, in tema di sicurezza e antiterrorismo con la sua partecipazioni alle esercitazioni, e attraverso il suo appoggio alla Iniziativa Ungheria-Russia per la creazione di un sistema di intervento congiunto in tema di difesa civile ed emergenze.
Ma le possibili contraddizioni non trovano la loro unicità nella divergenza di interessi tra Usa e Russia, ma abbracciano gli stessi rapporti Euro-atlantici. Alla fine di gennaio il Presidente del Parlamento Europeo ha criticato il sostegno dato da Polonia e Lituania al processo elettorale ucraino, in quanto questo è dipeso da un “comando” dato dagli Usa, definendo un “Cavallo di Troia” quanto avvenuto. Alle interferenze si è aggiunto anche il Presidente Georgiano, non nuovo ad operazioni simili a quanto successo in Ucraina.
Le preoccupazioni possono essere ulteriormente legittimate dai dati inerenti all’intervento Usa a favore dell’Ucraina e dei 58 milioni di dollari spesi per lo “sviluppo della democrazia” nel paese.
Le preoccupazioni della Ue emergono dalle parole del Segretario Generale Solana in merito ad una possibile destabilizzazione del processo di allargamento europeo, una crisi nei rapporti con la Russia, e non ultima ad una ulteriore crisi nei rapporti con gli Usa in una fase delicata come quella attuale.
Ma gli interessi Usa, e di conseguenza la lunga mano della Nato, si spingono ben oltre, andando a scontrarsi con quelle che rimangono, come ad esempio alcuni paesi come Biellorussia, Kirgistan, Kazakistan, e Armenia , ancora interni alla sfera di influenza politico-militare Russa e nello stesso tempo della Cina stessa.
Una attenzione che abbiamo visto accelerare all’interno della “guerra al terrorismo” tradottasi in una partecipazione attiva con la creazione di sempre maggiore cooperazione militare con molti paesi del del Centro Asia e del Sud Caucaso.
Gli Usa hanno da tempo differentemente investito in molti dei paesi del Centro Asia, parallelamente alla loro integrazione nel quadro Nato, a seconda delle caratteristiche dei singoli stati. Molte aziende energetiche americane hanno stipulato accordi con Kazakistan, Turkmenistan e Uzbekistan oltre che nella ricostruzione del Tajikistan. Secondo il Washington Post l’amministrazione americana cercherà di stipulare accordi a lungo termine per l’utilizzo delle loro basi in caso di addestramento o operazioni di intervento rapido a Kyrgyzstan, Tajikistan, e Uzbekistan. Il Segretario Nato Sheffer ha lodato la partecipazione di Kazakistan e Uzbekistan alla coalizione Enduring Freedom e confermato la firma da parte del Tajikistan di un accordo per l’utilizzo del proprio territorio per le operazioni in Afghanistan.
Il programma Partner For Peace (PfP) continua ad essere ritenuto lo strumento centrale per consentire la piena riforma delle strutture militari ed economiche per portare i paesi dell’area verso una piena integrazione agli standard Nato.
Uno studio del Central Asia-Caucasus Institute fa alcune raccomandazioni in merito alla strategia Nato nell’area. Lo studio ritiene che debba essere istituito un Nato’s Dialogue sullo stile di quello adottato con Russia ed Ucraina, che affronti nello specifico gli aspetti del processo di integrazione; che venga creato un Regional Defense College nel Sud Caucaso che sia in grado di trasferire le competenze e costruisca i presupposti per un approccio adeguato alla alleanza; l’individuazione di una gerarchia e la nomina di esperti politico-militari che affianchino come consiglieri per l’area il Segretario Generale, e la creazione di un “Security Working Group” che affronti lo sviluppo delle forze addette alla sicurezza ed all’intervento rapido. Inoltre dovrebbe essere compito di paesi come la Romania, proiettati nel passato nella sfera sovietica, di sostenere e dimostrare entusiasmo per questo progetto.
La decisione dell’Azerbaijan e della Georgia di supportare la missione in Iraq e la decisione da parte di quest’ultima di successivo aumento delle sue truppe a 850 unità, le promesse Usa di fornire assistenza e finanziamento alle sue forze militari, creano presupposti per ipotizzare un ulteriore svolta negli equilibri nell’area.
La Georgia, come l’Azerbaijan hanno più volte, nonostante un primo quasi disinteresse, richiesto la propria adesione alla Nato.
La Georgia rappresenta il secondo paese dell’area per quanto riguarda il sostegno finanziario Usa ed ha la caratteristiche di essere tra i paesi che maggiormente confinano con basi militari russe.
Nel mese di Novembre il Segretario Nato si è recato in Georgia ed ha formalizzato l’adozione del Georgia’s Individual Partnership Action Plan (IPAP), con l’intento di portare il paese alla adesione alla alleanza. Tale processo dovrebbe vedersi concluso entro il 2007, pur dando vita fin da subito a Tiblisi di un Ufficio di Rappresentanza Nato.
Un Individual Partnership Action Plan (IPAP) è stato realizzato per l’ammissione dell’Azerbaijan. Il paese è da tempo Partner for Peace nonostante sia stato protagonista di una situazione di attrito con la Nato a causa del rifiuto del visto a tre ufficiali armeni, con la conseguente cancellazione, nel settembre scorso, della esercitazione Cooperative Best Effort 2004 che si doveva tenere sul suo territorio, costringendo l’Alleanza Atlantica a interrompere la missione. Sullo sfondo il conflitto azero-armeno del Nagorno Karabakh del 1991-1994.
Le ragioni della Nato ad avere come partner questi due paesi sono facilmente riconducibili alla garanzia di sicurezza delle risorse energetiche e del loro controllo, oltre che disporre di un avamposto per le proiezioni nell’area.
L’Azerbaijan è fra gli Stati partecipanti al progetto dell’oleodotto Baku-Tiblisi-Ceyhan, il lungo serpentone che porterà il petrolio del Mar Caspio fino al Mar Mediterraneo, attraverso Azerbaijan, Georgia e Turchia. Il progetto, patrocinato dagli Stati Uniti e osteggiato dalla Russia, ha implicazioni notevoli. Indebolirà il passaggio settentrionale, che dal Caspio porta il greggio al Mar Nero per lo smercio attraverso i porti russi. Inoltre rafforzerà un asse orizzontale a tutto beneficio della Turchia. Molto significativamente, il percorso del BTC evita l’Armenia.
L’Azerbaijan, secondo alcuni, può rivestire un importanza strategica in caso di crisi con l’Iran vista la prossimità dei due paesi. Ma rispetto a questa ipotesi il Ministro degli Esteri azerbaijano, davanti alla pubblicazione da parte di alcuni giornali locali della notizia dell’installazione di basi straniere sul proprio territorio, ha prontamente smentito la notizia ed ha affermato che non verrà usato il paese per portare attacchi ad altri.
Ma il problema che si pone nel progetto di espansione Nato nell’area non può trascendere dal prevedere un livello di integrazione omogeneo con l’Armenia per non creare una situazione di destabilizzazione ulteriore, generata da una situazione in cui paesi confinanti si troverebbero collocati su fronti diversi (Nato/Russia). Parallelamente è necessario un rafforzamento della cooperazione con la Russia stessa, almeno sulla carta ed in funzione di obiettivi specifici, che potrebbe rappresentare una tattica vincente non potendo dimenticare che la Russia mantiene tre basi militari in Georgia e una grande base in Armenia, oltre che aver finanziato per un miliardo di dollari l’ammodernamento dei suoi armamenti e stabilito con questa accordi bilaterali sulla sicurezza.
Secondo alcuni studi Nato l’espansione nell’area deve fare i conti con alcuni fattori. La presenza di conflitti oramai storici permette alla Russia una presenza militare stabile per garantire i propri interessi, ostacolando di fatto l’espansione stessa. Tali conflitti non possono non creare problemi all’accelerazione dei processi di integrazione, in quanto è improbabile la possibilità di sviluppare la cooperazione tra paesi che hanno dispute territoriali tra loro. La collaborazione in sede Nato dei paesi dell’area può portare, lungi da rappresentare interessi diversi da quelli imperialisti, ad una risoluzione di questi conflitti e determinare così le condizioni per una autonoma gestione e prevenzione all’interno della cooperazione Nato, al di fuori della sfera di sostegno russa.
Se quanto abbiamo davanti non ci inganna, sebbene parziale,forse è arrivato il momento di ridare linfa vitale a quella iniziativa costante contro la presenza della Nato e delle sue Basi sui nostri territori. Una battaglia che sta ritrovando l’interesse di spezzoni di movimento all’interno del dibattito contro la guerra e l’occupazione americana in Iraq. Una Nato, che come vedremo anche nell’articolo successivo, non esaurisce il suo ruolo ma si ricolloca all’interno del doppio livello di contraddizione tra spezzoni di borghesia imperialista, e tra questa e il proletariato metropolitano tutto. Ma attorno all’apparato politico-militare Nato, ruota tutta una struttura civile e non governativa che opera di concerto con questo e garantisce la gestione delle contraddizioni dallo stesso sviluppate, da smascherare ed impedire di continuare a svolgere il proprio ruolo.

 

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