SENZA CENSURA N.16
FEBBRAIO 2005
Editoriale
“Gli USA vogliono una Europa forte, perché abbiamo bisogno di un partner solido nel duro compito di far procedere la libertà nel mondo” (G.W. Bush, Discorso al Club Concert Noble di Bruxelles del 21.02.2005)
Lo spettacolo del dominio globale capitalista ha inaugurato il 2005 all’ insegna di una serie di premeditati appuntamenti ed avvenimenti carichi di aspettative “risolutive”, inondando i media di tutto il mondo di spam propagandistici.
Nel mese di gennaio si sono svolte le contestate elezioni presidenziali e municipali in Palestina, il Social Forum di Porto Alegre e le elezioni farsa in Iraq, il 20 febbraio il referendum consultivo farsa per la ratifica da parte della Spagna della cosiddetta Costituzione per l’Europa e, nei giorni immediatamente seguenti, la visita del Presidente USA ai governanti dell’UE e della Russia preparata dalla missione del nuovo Sottosegretario di Stato Condoleezza Rice.
E, come reciterebbe il “buon senso” di volteriana memoria, tutti i media si sono precipitati a confermare che se non tutto va bene, certamente tutto va per il meglio.
E tutto questo in barba ai tanto decantati “potenziali conflitti interimperialistici” tra le due sponde dell’atlantico paventati e “cavalcati” (quanto meno nelle aspirazioni) da certa sinistra nostrana.
In realtà l’insieme di questi avvenimenti “pacifici” e risultanti dall’ iniziativa politico-militare del paese imperialista guida, nascondono nel loro intreccio quel processo (privo di precedenti storici per estensione e profondità) di internazionalizzazione della crisi del modo di produzione capitalista che la redazione di Senza Censura si è incaricata da anni di additare quale elemento essenziale e strutturante il campo dello sviluppo della lotta di classe del proletariato internazionale.
In questo processo storico stanno emergendo ed emergeranno con sempre maggiore evidenza le reali gerarchie di sistema nella pluralità di sovrastrutture del dominio mondiale della borghesia imperialista. E in queste circostanze, non ci stancheremo mai di ripeterlo, l'alternativa per il proletariato dei diversi paesi è elaborare, esprimere e praticare quando e quanto possibile un'iniziativa autonoma della classe sulla questione o accodarsi alle "rivendicazioni" di questa o quella frazione della propria borghesia imperialista (magari pretendendo "clausole sociali" di tutela delle condizioni di mercato da essa stessa determinate).
Nello stesso tempo abbiamo pure a più riprese sottolineato come, data l'attuale situazione, l'apertura di nuovi terreni di confronto tra borghesia imperialista e proletariato internazionale quali i cosiddetti controvertici, al di là dei variopinti tentativi di una loro maldestra e pura "spettacolarizzazione", avrebbe condotto a risultati non voluti (anche da parte della stessa borghesia imperialista) nel momento in cui questi terreni sarebbero stati agiti massivamente dal proletariato, incluso quello metropolitano.
Ma evidentemente e come sempre non c’é peggior sordo di chi non vuole sentire.
Sintomatica, sotto questo profilo, è la parabola del cosiddetto “movimento dei movimenti”. Incapaci di dirigere autonome mobilitazioni di massa del proletariato metropolitano, evidentemente sconcertati dalle “arretrate” posizioni politiche dei movimenti reali della classe emerse nel corso dei World Social Forum svolti in Asia e in Sud-America, mortificati nell’ aspirazione di proporsi come “dirigenti globali” di un movimento internazionale contro la cosiddetta globalizzazione, i guru di questo movimento virtuale si sono recentemente affrettati a dichiararne esaurita “la spinta propulsiva” rinviando alla “attività carsica” delle diverse associazioni “per la lotta all’Aids, per il commercio equo-solidale, per la cancellazione del debito dei paesi poveri” (V. Agnoletto, 21.01.05).
Perso il treno di un movimento che intendeva ed intende porre in discussione il modo di produzione capitalista e le sue sovrastrutture politiche locali e “globali” ci si rifugia nella più comoda carrozza della partecipazione al processo di costruzione di una improbabile “Europa sociale” benigna moderatrice delle “inique e bellicose” relazioni internazionali tra paesi ricchi e paesi poveri.
Ma anche questo desiderio è destinato a rimanere insoddisfatto e deluso o, al massimo, a realizzarsi nella forma di un “pacifico attivismo” del proletariato delle metropoli sotto una bandiera altrui.
La tanto “contestata” dottrina Bush, col suo corollario di azioni militari di “difesa preventiva” e di “guerra mondiale al terrorismo”, non era e non è infatti altro che una applicazione concreta di quel "nuovo concetto strategico" elaborato in ambito NATO e da tutte le potenze transatlantiche nel vertice di Washington dell'aprile 1999. Naturalmente, le attuali condizioni dei rapporti tra le classi sul piano internazionale e delle oscillazioni della bilancia di potenza tra vecchie e nuove potenze imperialiste, hanno determinato un’assunzione dell’iniziativa politico-militare da parte del paese imperialista guida al fine di tentare di “dirigere” il più generale processo di riallineamento nelle gerarchie del sistema degli stati imperialisti.
Ma, al di là delle scaramucce mediatiche come la fallita Conferenza dei Paesi donatori per la ricostruzione dell’Iraq (Madrid, 23-24 ottobre 2003), i briganti di quella che lo stesso Bush chiama “la famiglia transatlantica” sapevano e sanno perfettamente che a controbilanciare due potenze continentali emergenti (Cina e India) occorre un’alleanza fondata su due pilastri economici e politico-militari. Il che, come sottolineavamo già nel novembre di due anni fa, se comporta un’accettazione da parte dell ‘UE del ruolo globale dell’alleanza transatlantica (sostanzialmente già sancita nel vertice di Praga) comporta pure una più concreta definizione del potenziale politico-militare e dell’ambito di autonomia decisionale del polo imperialista europeo: “con la guerra NATO in Kosovo il paese imperialista guida ha riaffermato la propria autonomia decisionale nell'ambito dell'Alleanza euro-atlantica, con la guerra all'Iraq è il costituendo polo imperialista europeo che tenta di formulare concretamente una propria politica estera comune ed una propria "dottrina Monroe". Nel far questo cerca alleati ovunque: nelle proprie filiere presenti negli stessi USA o nelle nuove potenze emergenti come nelle proprie classi e popoli oppressi” (SC n. 12).
Del resto, sono gli stessi attori principali dello spettacolo globale della borghesia imperialista ad incaricarsi direttamente di confermare queste aspettative.
Nella conferenza stampa a conclusione del vertice NATO di Bruxelles del 22 febbraio 2005, il Presidente USA (ribadendo le intenzioni dei leaders NATO di dare maggior rilievo politico all’Alleanza come “foro di consultazione e coordinamento” fra gli USA e l’UE in materia di sicurezza) ha assicurato che “la relazione fra USA ed Europa è vitale, necessaria, importante e la Nato è la pietra miliare di questa relazione”, mentre il Presidente francese Chirac ha sostenuto che la “difesa europea sta progredendo e ciò rappresenta un’opportunità per la NATO, perché un’Europa più forte e più unita significa un’Alleanza atlantica più forte ed efficiente”.
Inoltre, essendo fin dall’inizio chiaro che qualunque investimento a breve nell’area irakena non avrebbe potuto essere gestito direttamente dall’ amministrazione militare USA e, nella prospettiva di medio periodo, dal futuro governo fantoccio da essa democraticamente insediato, si è assicurato il prossimo “sviluppo democratico” dell’Iraq rimpiazzando l’ improbabile azione risolutiva del “Quartetto” (USA, Russia, UE, ONU) con la proposta di realizzare una conferenza congiunta USA-UE sull’Iraq perché, come ha osservato il Cancelliere tedesco Schroeder durante la conferenza stampa congiunta con il Presidente USA a termine del vertice tenuto nel Castello di Magonza il 23 febbraio, “una soluzione della crisi in Medioriente è pensabile solo con il forte coinvolgimento degli Stati Uniti”.
In ogni caso la realizzazione di questi obiettivi presuppone una accelerazione nel processo di costituzione dell’UE e di un suo autonomo potenziale di proiezione bellica in ambito NATO (la cosiddetta ESDI) ed una spasmodica ricerca del consenso o, quanto meno, di una rassegnata passività delle masse europee e mediorientali intorno a questi progetti di “ricostruzione democratica” dell’Europa, dell’Iraq e dell’intero Grande Medioriente. I baracconi elettorali plebiscitari recentemente messi in piedi dalla borghesia imperialista nei paesi europei e in medioriente hanno una caratteristica formale comune: assegnare carattere costituente al consenso di esigue minoranze (basti considerare le percentuali di partecipazione al voto in Iraq e in Spagna o l’esclusione dei palestinesi della diaspora).
Ma la guerra continua e settori relativamente ampi del proletariato europeo già esprimono forti movimenti di aggregazione attorno al rifiuto dell’Europa dei padroni: esemplare è stata, nell’ambito delle mobilitazioni contro l’abrogazione della legge delle 35 ore, la recente presa di posizione della stragrande maggioranza del Consiglio confederale nazionale della CGT francese per una campagna per il “no” al referendum sulla Costituzione europea che si svolgerà in Francia entro il primo semestre 2005.
Perciò, ancora una volta, di fronte ai drammatici sviluppi degli eventi quotidiani del vicino estero europeo vale forse la pena di ribadire che il militarismo e le guerre, nell'ambito dei processi di concentrazione e centralizzazione dei capitali propri della fase monopolista e imperialista del capitalismo, sono come la pioggia che scaturisce dalla nuvola del modo di produzione capitalista; che ancora oggi l'intervento militare NATO in Iraq assume nell'immediato un peso economico relativo nella metropoli imperialista e che sarebbe perciò opportuno, nello sforzo di ricostituzione dell'autonomia politica della classe nelle metropoli e nel mondo, occuparsi a fondo e contrastare le ricadute di questo sviluppo storico nel "fronte interno" e in termini di peggioramento delle condizioni formali e materiali che sempre più ampi settori della classe si trovano a vivere.