SENZA CENSURA N.15
NOVEMBRE 2004
Fedayn
La ripresa della resistenza arabo-palestinese dalla creazione dello stato d’Israele al conflitto arabo israeliano del ‘67 (1°parte).
“Sono Cambiati i tempi
é ora di capirlo
Gli uomini illuminano la mia vita
Essi mi insegnano a vivere
Essi mi aiutano a capire”
(Mohammed Bid, Vivere oggi, 1950, poeta nazionalista algerino)
Per comprendere la ripresa della resistenza armata palestinese bisogna collocare
la fase politica in cui nacquero le organizzazioni combattenti e la base sociale
dalla quale si sviluppò il corpo dei militanti.
Gli anni del secondo dopoguerra sono caratterizzati dalla forte opposizione
popolare araba alla creazione dello stato d’Israele, dall’indebolimento
dell’influenza esercitata dall’élite governativa che non era riuscita ad avere
alcun ruolo positivo nella guerra arabo-israeliana del 1948, dalla nascita di un
movimento politico cosciente e costruito sulla determinazione della gioventù
araba, specialmente tra le file di coloro che poco più che ventenni avevano
vissuto l’esperienza di volontari nelle file dell’esercito arabo che combatteva
in Palestina.
Georges Habbash, allora ventenne promettente studente di medicina all’università
americana di Beirut, raccontò a inizio anni settanta: « mi sentivo umiliato da
quanto avvenuto nel 1948. Gli israeliani erano arrivati fino a Lod e ci
obbligarono alla fuga. E uno spettacolo che non potrò mai dimenticare e che
resterà sempre impresso nella mia memoria. Trentamila persone in marcia...
Piangenti, urlanti di terrore... Donne con in braccio neonati e con i bambini in
grado di camminare attaccati alle vesti al loro fianco. I soldati israeliani con
le armi puntate alla schiena di coloro che camminavano... Qualcuno caduto a lato
della strada e alcuni che non si risollevavano più. Era uno spettacolo
terribile, vedendo questo ci si sente un cuore nuovo e una mente nuova. A che
fine curare i corpi malati quando possono succedere certe cose? L’uomo deve
cambiare universo, deve fare qualche cosa, che uccida se è necessario, che
uccida anche se in questo modo diventeremo anche noi inumani»
La lotta di liberazione nazionale all’interno del processo di decolonizzazione
stava avanzando negli anni successivi al secondo dopoguerra sia nell’area del
Maghreb che nell’area del Mashrec: la presa del potere degli «Ufficiali liberi»
in Egitto e successivamente la formazione della Repubblica Araba Unita (RAU) con
la Siria e lo Yemen, il breve esperimento nazionalista in Iran, la caduta della
monarchia filo-britannica in Iraq, la guerra civile nell’estate del ‘58 in
Libano, i sommovimenti in Giordania contro il regno hashemita e la vittoria
della lotta di liberazione algerina nel ‘62 sono avvenimenti caratterizzanti del
periodo.
Un forte ascendente e un appoggio fondamentale per la lotta di liberazione
araba, e nello specifico, palestinese, furono il regime nasseriano e siriano,
specie per il Movimento dei Nazionalisti Arabi, fondato da Georges Habbash, Hani
Al-Hindi, Jihad Dhahi, già membri delle “Falangi dei Fedayn Arabi” e Wadi’Haddad,
così come l’appoggio dell’Algeria indipendente. Proprio ad Algeri viene aperto
un ufficio di coordinamento palestinese di Al-Fatah, e l’aiuto algerino si
concretizzò nella fornitura di armi leggere, la formazione dei fedayn
all’accademia militare di Cherchell, come nel sostegno economico e politico.
Inoltre, come spiega Mohamed Abu Mayzar (Abu Hatem), che allora assisteva Abu
Jihad ad Algeri: « In quegli anni l’Algeria è un luogo di incontro privilegiato
dei rivoluzionari in lotta. Noi abbiamo quindi potuto incontrare i responsabili
dei movimenti di guerriglia africani, asiatici e latino-americani come Che
Guevara. Per noi, l’Algeria ha costituito un punto di supporto di primissima
importanza»
D’altro canto numerosi palestinesi andarono ad insegnare in Algeria, dove era
stato intrapreso un processo di “arabizzazione” dei programmi e dove si aveva
carenza di personale docente.
KATAËB AL-FIDÄ Al-ARABI
«La débacle della Palestina aveva provocato nelle persone uno stato di sconforto
totale. Alcuni hanno reagito violentemente e hanno organizzato delle operazioni
militari limitate, senza appartenere ad alcuna organizzazione politica. Questi
atti individuali erano dei tentativi disperati per trovare una soluzione alla
loro sorte. In seguito, progressivamente, queste iniziative hanno preso un’altra
dimensione. Dei movimenti politici si sono costituiti o hanno preso un nuovo
slancio, nel momento in cui i paesi arabi cercavano una via politica dopo la
dominazione ottomana, francese e britannica» (May Sayegh).
La prima organizzazione armata nasce poco dopo la fine della guerra
arabo-israeliana da giovani, che avevano conosciuto il dramma della sconfitta
araba, insofferenti alla politica dell’attendismo delle organizzazioni
tradizionali arabe.
Essi cominciarono a tenere riunioni a Damasco, Beirut e Amman per gettare le
basi di un organizzazione paramilitare clandestina. Questa darà luogo alle
“Falangi dei Fedayn Arabi” consacrati alla liberazione della Palestina.
Questi giovani subivano l’influenza delle diverse teorie rivoluzionarie
dell’Europa occidentale, dove alcuni di loro si erano formati, ma studiarono
anche le tradizioni dei movimenti rivoluzionari arabi. L’ostilità nei confronti
del sionismo, l’odio per l’occidente, l’ammirazione per la violenza politica e
per figure del movimento nazionale europeo, come Garibaldi e Mazzini, erano il
collante ideologico di questo raggruppamento votato all’azione.
Alcuni membri di rilievo delle Falangi, soprattutto gli egiziani, avevano
partecipato alla fondazione e alla direzione delle “Chemises vertes” di Ahmad
Hussein, organizzazione a cui si ispirarono per il metodo e i principi di base
per mettere a punto la loro strategia e la loro tattica.
Se il patriottismo di Hussein si limitava all’Egitto, le falangi erano una
organizzazione araba dalle prospettive più ampie, tendente a superare le
frontiere fra i diversi paesi arabi: per questa ragione l’organizzazione è
riuscita a inserire nelle sue fila militanti della Siria, del Libano, della
Palestina, dell’Iraq e dell’Egitto.
Nella concezione dei loro fondatori, le falangi erano un gruppo di pressione che
doveva tentare di orientare favorevolmente le iniziative delle élites
governative, affinché i governanti rifiutassero qualsiasi pace con “Israele”;
questa doveva essere una tappa preparatoria e un primo passo per la liquidazione
dei nemici in una tappa successiva.
Come affermerà più tardi Hani Al-Hindi: «Eravamo ingenui perché credevamo che
qualche pallottola nella testa di traditori come il re Abdallah fosse
sufficiente a creare una situazione rivoluzionaria. In ogni caso
l’organizzazione era pronta ad utilizzare qualsiasi arma in grado di aiutare il
nostro popolo a sfidare i nemici».
Figura di spicco dell’organizzazione, era nato in Iraq e cresciuto in un
ambiente militare di ispirazione nazionalista, aveva studiato in Libano e
risieduto e studiato in Siria; volontario nelle forze non regolari arabe durante
la guerra del ‘48-’49, aveva potuto rendersi conto del menefreghismo dei
dirigenti arabi, nonché dell’incapacità dei loro eserciti disuniti.
Insieme a G. Habbash, avevano posto, all’Università americana a Beirut, le basi
per la costruzione del gruppo con un programma minimo che prevedeva di uccidere
i dirigenti arabi che a quell’epoca si dimostravano disposti a firmare la pace
con “Israele”, di attaccare gli interessi occidentali e sionisti nella regione e
infine dare scacco al cessate il fuoco con Israele.
Al gruppo iniziale si unirono due gruppi, uno di esuli egiziani in Siria con una
esperienza di azioni clandestine, come Hussein Tawfiq, accusato dell'assassinio
dell’ex ministro egiziano Othman Amin; l’altro, tra i quali c’era Jihad Dhahi,
di siriani: nella riunione iniziale dell’organizzazione i tre gruppi si unirono
prendendo il nome di “KATAËB AL-FIDÄ Al-ARABI”.
Il 6 agosto dello stesso anno un commando dell’organizzazione attaccò una
sinagoga a Damasco, uccidendo 12 persone e ferendone altre 27, con il fine di
protestare contro i negoziati di pace a Losanna, in Svizzera, sotto la
presidenza del Comitato ONU per la pace e per far fallire i negoziati della
Siria che riguardavano l’insediamento dei rifugiati palestinesi in Siria; in
seguito le falangi dichiararono che la sinagoga era il luogo di riunione di una
organizzazione clandestina sionista e un nascondiglio di armi.
Tra le azioni dell’organizzazione c’è il ferimento di un agente segreto
britannico tra i più importanti in Siria, il lancio di bombe alla “Ecole dell’Alliance”
a Beirut, attacchi con granate ai consolati britannici e americani a Beirut e a
Damasco, il lancio di bombe a Damasco sull’organizzazione di aiuto ai rifugiati
dipendente dall’ONU - con il fine di far rinunciare alla politica che tendeva
all’insediamento definitivo dei rifugiati palestinesi nei paesi arabi, mentre le
uccisioni programmate del re Abdallah di Giordania e di Nouri As-Sa’id d’Iraq
non riuscirono ad essere realizzate.
Le falangi si divisero presto in una ala per così dire più “militarista”, che
vedeva nella violenza politica l’unico tipo di attività praticabile, e allo
stesso tempo “tatticista” incline ad accordi con il personale politico dei
regimi arabi - non vedendo il pericolo manipolatorio dei regimi arabi - ,
rappresentata dagli egiziani; e un’altra che voleva cercare di mobilitare le
masse arabe affinché potessero assumere pienamente il loro ruolo nella lotta di
liberazione, dando una base sociale e un riferimento politico al movimento.
In seguito al tentativo fallito degli egiziani, usciti dalle falangi, di
uccidere alcuni leader collaborazionisti, e all’imprigionamento e alla
confessione di Tawfiq, la rete dei contatti maturata dall’organizzazione subirà
un duro colpo.
Dal bilancio dell’esperienza di questo gruppo sorgerà successivamente il MNA.
Gli albori del Movimento dei
Nazionalisti Arabi
«La strada per Tel-Aviv passa per Damasco, Baghdad, Amman e il Cairo» (Wad’Haddad).
La storia dell’MNA è legata strettamente al nasserismo e ai sommovimenti che
hanno sconvolto il mondo arabo dall’Iraq alla Siria, dalla Giordania allo Yemen,
dal Libano al Kuwait, in un serrato confronto con le altre formazioni arabe.
Da una iniziale critica alla presa del potere da parte degli “Ufficiali Liberi”
in Egitto, ad una entusiastica adesione al nasserismo, tale da diventarne
consapevolmente agenti durante il periodo della RAU, fino alla sua definizione
alla fine degli anni ‘60 come: «movimento piccolo borghese condannato
all’insuccesso», la parabola del MNA deve essere compresa soprattutto attraverso
i rapporti che ha saputo intrattenere con l’esperimento egiziano.
E’ dall’ambiente universitario di Beirut che riparte il lavoro organizzativo di
Habbash e degli altri ex-membri dei KATAËB, che riescono presto a conquistare la
propria egemonia all’interno del comitato esecutivo dell’organizzazione
nazionalista “Al’Ourwa-Al-Wouthquâ” (il Patto Fondamentale), battendo i
comunisti e i nazionalisti siriani e il Baath.
Coloro che costituiranno il MNA apprezzavano dei comunisti l’organizzazione e la
disciplina, ed erano rimasti impressionati dal ruolo di avanguardia avuto dai
comunisti iracheni nella sollevazione del ‘48, oltre che dalla vittoriosa epopea
della Repubblica Popolare Cinese; con loro avviarono una discussione per gettare
le basi di una forma di cooperazione che verrà presto interrotta a causa della
posizione ufficiale presa dai PC che accettarono la decisione di divisione della
Palestina votata dall’ONU.
I nazionalisti siriani venivano accusati di anti-arabismo perché il principio
del nazionalismo siriano era da essi considerato prioritario rispetto all’unità
araba.
I rapporti con il Baath erano più complessi. Questo partito, per Habbash e
compagni, anziché considerare come prioritaria la lotta pan-araba, le dava un
valore equivalente a quella per il socialismo. Inoltre veniva criticato per la
sua partecipazione all’istituzione parlamentare siriana, che rischiava di fare
deviare la pratica dell’organizzazione sottraendole tempo ed energie da
profondere nella mobilitazione delle masse per la preparazione della lotta. Agli
occhi dei futuri membri del MNA, il Baath non era riuscito a risolvere
positivamente le differenze ideologiche, personali e geografiche che si
manifestavano al suo interno e a superare la concezione del partito come fine a
se stesso anziché come strumento di lotta.
Partendo da queste critiche alle organizzazioni esistenti maturò l’esigenza di
una organizzazione nazionalista clandestina nuova, alla quale si arrivò senza un
approfondito dibattito teorico. Il nucleo che prese le mosse da queste critiche
elaborò un programma che poneva come prioritaria la lotta per la liquidazione
del sionismo e dell’imperialismo, con l’instaurazione di uno stato arabo che
riunisse il popolo arabo dal Golfo all’Oceano Atlantico, come secondaria e
successiva la lotta economica per preparare il terreno all’instaurazione del
socialismo arabo e della democrazia.
Sul gruppo esercitarono una certa influenza Costantin Zurayq e ‘Ali Nasir
ad-Dine. Il primo era un professore di idee nazionaliste e animatore di un
circolo di discussione universitario, autore del libro “Il senso della
sconfitta”, e di una raccolta di articoli “la coscienza nazionale” in testa alla
lista dei libri di cui si esigeva la lettura da parte dei partecipanti ai
circoli culturali dei Nazionalisti Arabi; il secondo era una specie di guida
spirituale rispettata per il suo impegno indefesso per la causa araba e in
particolare palestinese, come per la sua battaglia per il risanamento della vita
della nazione.
Il Comitato di lotta contro la pace con
Israele
Nell’autunno del ‘51 i Nazionalisti, sotto la copertura dell’Al’Ourwa-Al-Wouthquâ,
riuscirono a organizzare una manifestazione in sostegno della decisione del
parlamento egiziano di annullare l’accordo anglo-egiziano del 1936 e di evacuare
le armate britanniche dalla regione del Canale di Suez. La dimostrazione che non
fu autorizzata, culminò con violenti scontri e diversi membri del MNA, come
altri dirigenti studenteschi, vennero espulsi dall’università americana di
Beirut.
La vittoriosa campagna per il ritirò di tali provvedimenti rese gli esponenti
del Movimento ancora più conosciuti e permise di aumentare il consenso nei
confronti delle idee nazionaliste all’interno dell’università.
Con la creazione del “Comitato di lotta contro la pace con Israele” all’inizio
del ‘52, L’MNA, anche attraverso il suo giornale, “Ath-thar’r” (La vendetta),
denunciava i tentativi di pacificazione egemonica delle potenze occidentali che,
nel tentativo di insediare permanentemente i profughi palestinesi all’interno
degli stati arabi, volevano liquidare la causa palestinese facendoli rinunciare
al diritto al ritorno.
La rivista attacca puntualmente tutti i tentativi imperialistici di risoluzione
del conflitto arabo-israeliano: dalla “missione economica dell’ONU” diretta
dall’americano Gordon Glub, all’inizio del ‘50, alla proposta del ex-ministro
inglese agli affari esteri Herbert Morrison, fino al progetto di Erik Johnson,
inviato speciale di Eisenhower per il medio-oriente alla fine del ‘53.
La rivista ebbe grande successo tra le masse e in particolare tra i profughi
palestinesi in Libano.
Fu allora che Wadi’Haddad, rifugiato palestinese originario di Safed e studente
di medicina all’Università americana di Beirut che passava i propri week-end
occupandosi dei malati nei campi dei rifugiati palestinesi alla periferia di
Beirut e nel sud del Libano, si unì al Comitato.
Questa attività oltre ad ampliare la base di consenso del Comitato verso le
classi più diseredate, trasformò il Movimento stesso, che suscitò interesse
anche fuori dal Libano, così che molti militanti palestinesi furono inviati,
all’inizio del 1953, in Siria e in Giordania per organizzarvi i rifugiati,
riuscendo a creare nel giro di pochi mesi delle cellule clandestine in questi
paesi.
L’MNA, il nasserismo e il mondo arabo
(1952-67)
Il 23 Luglio del ‘52 un nucleo di “Ufficiali Liberi” prende il potere in
Egitto, questa rivoluzione è stata ribattezzata da molti gruppi nazionalisti,
tra cui l’MNA: «Rivoluzione Madre».
All’inizio di tale esperienza il MNA, nonostante avesse accolto con
soddisfazione la caduta della monarchia e delle sue istituzioni, così come la
riforma agraria promulgata dai dirigenti rivoluzionari dopo la presa del potere,
avanzò alcune riserve sui militari egiziani.
In quel periodo l’MNA si opponeva teoricamente ad ogni ingerenza dei militari
negli affari politici, sotto qualsiasi forma, in Egitto, come in Siria o nel
resto del mondo arabo; erano preoccupati dall’andamento delle relazioni tra i
dirigenti della Rivoluzione egiziana e gli Stati Uniti, e dalla ratifica
egiziana all’accordo anglo-egiziano del ‘54 sul problema dell’evacuazione delle
forze armate britanniche; criticavano i dirigenti egiziani per l’insistenza
rispetto ai problemi interni al loro paese piuttosto che alla patria araba;
sebbene non credessero nella democrazia formale e nelle sue istituzioni
superflue non vedevano di buon occhio l’abolizione per decreto legislativo dei
partiti politici.
Successivamente l’Egitto, sotto la pressione dei sommovimenti popolari nel mondo
arabo, ampliò le sue prospettive di emancipazione a tutto il vicino oriente a
cominciare dalla lotta contro la firma del Patto di Baghdad.
Dalla lotta comune e dalle conseguenze che ne scaturirono, l’MNA e l’Egitto
nasseriano ampliarono le loro relazioni.
Verso la fine di marzo del ‘54, una manifestazione contro l’adesione dell’Iraq
al Patto, partita dall’Università Americana a Beirut, venne brutalmente repressa
dalla polizia che ne circondò gli edifici, impedendo ogni via d’uscita ai
manifestanti: un militante del Partito progressista socialista trovò la morte,
mentre altri ventinove studenti vennero feriti.
Gli avvenimenti ebbero una grande eco in Libano e venne aspramente criticato
l’atteggiamento del governo che aveva caricato una manifestazione pacifica.
Successivamente cinque studenti ritenuti responsabili vennero sospesi, e per
l’attività del MNA altri 17, nell’autunno, furono oggetto dello stesso
provvedimento.
La decisione presa da Nasser di integrare tutti gli studenti sospesi nelle
università egiziane ebbe un effetto di incoraggiamento sui membri dell’MNA,
permise a questi di intrattenere rapporti con i responsabili egiziani degli
affari arabi e di conoscere meglio la realtà della rivoluzione di luglio.
Inoltre l’MNA aveva incaricato i suoi studenti di costruire cellule in Libia, in
Sudan, nello Yemen e nei paesi del sud arabo, mentre il suo giornale Ar-Ra’i, di
cui G. Habbash era il direttore capo, aveva permesso una diffusione delle idee
nazionaliste.
Dopo che, nell’agosto del ‘55, venne impedita l’uscita della rivista dal governo
Giordano, appena dopo otto mesi dopo il suo primo numero, l’organizzazione entrò
nuovamente in clandestinità in Giordania e poteva far conoscere il suo punto di
vista attraverso un programma speciale diffuso per radio dal Cairo, “La voce
degli Arabi”.
L’attività in Giordania assorbì l’energia del Movimento fino al ‘58, anno di
nascita della RAU, in una situazione di alternanza di equilibri di potere e di
guerra civile strisciante, che oppose il Re e i suoi fedeli alleati tutelati
dalle truppe beduine alle forze progressiste della regione, tra cui i socialisti
patriottici, i baathisti e i comunisti.
L’attività di queste forze, che uscivano ed entravano nella clandestinità, era
serrata e non disdegnò assieme all’attività di propaganda tra le masse affinché
si mobilitassero contro il regime, l’attività combattente vera e propria.
In particolare la Siria, e per la precisione il colonnello ‘Abd Al-Hamid
As-Sarrâi, uomo forte del governo, si era incaricato personalmente
dell’addestramento dei membri dell’MNA reclutati in Siria, Libano e Giordania.
La nascita della RAU, a cui i militanti dell’MNA si misero a completa
disposizione, che tra l’altro spostò la sua sede a Damasco, il deteriorarsi
della situazione libanese e la caduta della monarchia in Iraq, caratterizzarono
questa fase dell’attività fino al ‘61.
Il 12 marzo del ‘58, tutti i partiti politici della provincia settentrionale
della RAU vennero proibiti, per costituire una organizzazione politica capace di
salvaguardare l’unità.
I giovani Nazionalisti Arabi si trovarono su un piede di parità con tutti i
grandi politici e alcuni di loro poterono occupare importanti posti di
responsabilità nella Nuova Unione Nazionale.
Il livello di organizzazione e disciplina raggiunto dall’MNA, che aveva cellule
nei quartieri poveri di Beirut, Saida e del porto di Tripoli, gli fece avere un
ruolo di alto profilo durante la guerra civile scoppiata nell’estate del ‘58 in
Libano che opponeva il governo filo-occidentale di Cham-ûn e gli uomini politici
che mettevano in dubbio la sua rielezione.
Questi facevano parte dell’élite tradizionale che aveva governato
precedentemente il paese ed erano inclini ad un compromesso con le forze
avversarie, come infatti avvenne, con una sorta di soluzione che salvaguardava
entrambi gli schieramenti, in una logica di “né vincitori, né vinti” e con
l’elezione di un nuovo presidente a fine luglio.
L’avere subordinato l’attività dell’MNA alle scelte di questo personale politico
fece scaturire le prime discussioni all’interno dell’organizzazione rispetto
alle scelte politiche.
In Iraq, La caduta della monarchia non aveva portato il nuovo governo verso la
prospettiva dell’unione con la RAU, inoltre l’arresto di ‘Abd An-Salâm ‘Aref,
che richiedeva l’unificazione immediata, aveva svelato le intenzioni di Qassim e
resa effettiva la divisione del popolo iracheno tra separatisti e unionisti.
Poco dopo la rivoluzione del 14 Luglio, la direzione generale delle MNA aveva
deciso di inviare in Iraq Hâni Al-Hindi, con il compito di stabilire un nuovo
piano d’azione per fronteggiare la nuova situazione.
Questo dirigente collaudato e competente contribuì a caratterizzare maggiormente
i Nazionalisti Arabi dell’Iraq, che presero ufficialmente il nome di MNA, a
preparare il terreno per la costituzione di un blocco progressista che
raggruppasse tutte le forze unitarie in Iraq, a iniziare il reclutamento nei
ranghi degli ufficiali dell’esercito, a combattere chiunque si opponesse alla
causa dell’unità araba - tra cui i comunisti - che per l’MNA era da concepirsi
nell’estensione della RAU, conducendo una serrata campagna di propaganda
ideologica sull’unità araba attraverso la propria stampa e le proprie
pubblicazioni.
Il programma definito dal comitato esecutivo del MNA nel ‘59 si caratterizzava
per l’insistenza sull’unità araba, la lotta contro i comunisti locali e contro
le forze reazionarie nella patria araba, il mantenimento del neutralismo
positivo, il sostegno della rivoluzione algerina, il sostegno della RAU nella
sua politica interna ed estera.
Con il tentativo di estensione pacifica della politica di socializzazione nel
luglio ‘61 da parte della RAU anche nella provincia settentrionale, e i
rivolgimenti politici in Siria dello stesso anno, che si conclusero con il colpo
di stato fomentato dall’alleanza tra i feudatari e la borghesia, si verifica un
dibattito interno in cui vennero polarizzandosi le posizioni della direzione
tradizionale del Movimento e la nuova generazione dei Nazionalisti Arabi, di cui
l’esponente più riconosciuto era Moshim Ibrâim, redattore capo di “Al Hurriya”,
organo ufficiale dell’MNA.
Il dibattito verteva su coloro che dovevano essere le forze sociali di
riferimento, sulle modalità organizzative e i metodi di lotta per il
raggiungimento del socialismo arabo.
Mentre i leader storici del Movimento sostenevano l’idea che bisognasse
applicare le decisioni sulla socializzazione pacificatamente, nel quadro di
un’ampia alleanza tra le classi lavoratrici gli intellettuali e la borghesia
nazionale, l’altra corrente si domandava se fosse possibile applicare tali
importanti decisioni mancando un partito socialista e riteneva impraticabile
applicare metodi pacifici per le trasformazioni socialiste, oltre a propugnare
una linea politica che prediligesse la lotta di classe.
La precoce spaccatura della RAU, con il colpo di stato in Siria, liquidò le
illusioni sull’ipotetica forza unitaria della borghesia, mentre la pubblicazione
della Carta Nazionale da parte di Nasser aprì nuovi orizzonti all’ideologia
socialista araba.
Dal colpo di stato in Siria, all’evoluzione degli avvenimenti in Iraq fino
all’andamento della guerra civile nello Yemen, questi anni precedenti alla
guerra del ‘67, saranno decisivi per la polarizzazione all’interno del movimento
nazionalista di una “destra” e di una “sinistra” con referenti sociali, sbocchi
organizzativi e opzioni politiche differenziate.
Se a metà degli anni sessanta lo sforzo unitario delle organizzazioni di
ispirazione socialista araba raggiunse il suo apice, come in Iraq, in Siria e
nello Yemen, questi tentativi fallirono a causa del cristalizzarsi di una
corrente composta dalla burocrazia siriana e dalle classi che avevano a cuore il
mantenimento dello status quo ed erano più inclini ad un compromesso con le
élites governative tradizionali.
L’MNA sacrificò per lo spirito unitario che lo animava sinceramente le strutture
che era riuscito a creare e subordinò all’apparato burocratico nasseriano la
propria autonomia politica, divenendo uno strumento in mano agli agenti
egiziani.
Le tensioni interne esplosero nel corso degli eventi che precedettero il
conflitto arabo-israeliano nello Yemen, in Iraq e in Siria.
Nello Yemen i Nazionalisti arabi rifiutarono compromessi con i moderati, uscendo
dalle strutture unitarie per continuare la lotta armata, respingendo
l’avviamento dei negoziati col governo britannico, all’interno di un Fronte di
Liberazione Nazionale riorganizzato.
In Iraq, i membri dell’MNA rientrarono in clandestinità, portando avanti la
lotta contro il potere “deviazionista”.
In Siria, abbandonarono l’empasse e la carenza di progettualità in cui si
trovavano i compagni dell’Unione Socialista Araba Siriana.
Nel Luglio del ‘66 il CE del MNA giunse alla conclusione che bisognava
distinguere tra due differenti correnti che si erano polarizzate nel movimento
nasseriano e facevano appello ai Nazionalisti Arabi affinché si ritirassero
dall’Unione Socialista Araba e si mettessero alla testa della “sinistra
nasseriana”.
Gli avvenimenti successivi mutarono radicalmente la situazione.
Se in un primo momento L’MNA si era dedicato al reclutamento tra le file degli
studenti, soprattutto delle scuole secondarie, in un secondo momento si dedicò
anche a quello di operai, contadini e militari.
Se in Iraq aveva attirato numerosi ufficiali influenti, in Giordania oltre a
concentrare i suoi sforzi tra le file dell’esercito e dei funzionari pubblici,
riuscì a installarsi fortemente nei campi di rifugiati palestinesi, mentre in
Libano, oltre all’università americana a Beirut, riuscì a creare proprie sezioni
anche a Tripoli e a Saida, oltre a essere molto attivo nei campi profughi.
In Siria ebbe un peso centrale nelle mobilitazioni di massa e poteva contare
numerosi membri tra le fila degli operai siriani, mentre in Kuwait non riuscì ad
avere una base consistente.
La caratterizzazione più classista la ebbe nello Yemen dove molti dei suoi
dirigenti originari erano contadini poveri e operai e dove riuscirono ad essere
alla guida del movimento sindacale, oltre a reclutare attraverso la creazione di
un circolo culturale arabo studenti e intellettuali.
Bibliografia
Oltre ai testi inclusi nelle bibliografie precedenti per la stesura degli
articoli sono stati consultati:
- Poeti Algerini, a cura di Walter Mauro, Guanda, agosto ‘66, Parma,
- La lotta del popolo palestinese, testi e documenti dell’OLP e di Al-Fatah,
Feltrinelli Editore, aprile ‘69, Milano
- Storia del Movimento dei Nazionalisti Arabi, B. AL Kubeïssi, Jaka Book,
ottobre ‘77, Milano
- Palestiniens 1948-1998, génération fedayin: de la lutte armée à l’autonomie,
Christian Chesnot - Joséphine Lama, Edition Autrement, 1998, Paris
- La Questione Palestinese, Edward W. Said, Galimberti Editrice, Gennaio 2004,
Roma
- I palestinesi, la genesi di un popolo, B.Kimmerling - J.S. Migdal, La Nuova
Italia, ottobre ‘94, Firenze