SENZA CENSURA N.15
NOVEMBRE 2004
The Cage
Come procede la costruzione del muro: l’esempio di Qalqilia.
Questo articolo riporta pressoché fedelmente le
testimonianze fornite dalle interviste fatte ad alcuni abitanti palestinesi, in
particolar modo di Qalqilia, sulle conseguente legate alla costruzione del “Muro
di Sicurezza” israeliano, così come i dati e le considerazioni riportate dalla
“voce fuori campo”, all’interno del documentario: “The Cage” (La Gabbia).
Questo documentario, in arabo sottotitolato in Inglese, della lunghezza di circa
20 minuti, è stato dato ad alcuni compagni che si sono recati nei Territori
Occupati Palestinesi questa estate, dai compagni del media center di Qalqilia.
Tradotto e sottotitolato in Italiano da questi compagni, può essere richiesto
alla redazione di Senza Censura.
Fatima Al Baz è una contadina che ha visto espropriata la sua terra a causa
della costruzione del muro, ciò che le è rimasto sta di fronte a questo mostro
di cemento che circonda Qalqilia: «Con tutta la loro potenza aerea e le armi che
possiedono e sono spaventati! Sarà questo muro a proteggerli?»
Rae’d Naielzayied percorreva sempre la stessa strada per andare a scuola ed era
solito scavalcare un muretto di cemento alto 80 cm.
Un giorno, tornando da scuola sulla strada di sempre trovò un chilometro e mezzo
di blocco sul raccordo che era solito attraversare.
La strada sulla sua sinistra era bloccata, la strada sulla sua destra era
bloccata, dovunque si girasse… trovava il muro:
«Ho cominciato a lanciare pietre sul filo spinato per farmelo aprire, ho
iniziato a essere insofferente e poi è arrivata la mia famiglia e mi ha mostrato
dove passare».
Suo padre dice che, oggi, la distanza tra scuola e casa è tre volte più lunga.
Il bambino descrive il suo percorso facendo un ampio gesto con il braccio: «esco
di casa da là…. Verso il check-point e dal check-point prendo la strada per la
scuola».
Questa è la situazione in cui si troveranno 680.000 cittadini palestinesi, i cui
diritti saranno violati quando la costruzione del Muro della Separazione sarà
completata.
La prima fase di edificazione è stata terminata già il primo di agosto del 2003.
Il progetto di isolamento ha le sue radici nella storia dello stato ebraico e
anche prima di questo, nella storia del movimento sionista.
Questa idea-guida si palesò con la proclamazione dello stato di Israele nel
1948, quando costrinse all’esilio 805.000 palestinesi, che, nel 1948,
rappresentavano l’85% della popolazione totale, raggruppando i rimanenti in tre
separate aree geografiche: Gallilea, All-muthalath e Nagev.
In continuità con questa politica di isolamento, nel 1994 e dopo la firma del
trattato di pace di Oslo, Israele ha costruito vicino al villaggio di Shwaikeh,
nella città di Tulkarem, un primo muro di cemento lungo 1800 m. e alto 2,5 m.
Inoltre, nel 1995, ha costruito una recinzione elettrificata attorno alla
striscia di Gaza, lunga 54 Km e larga 300 m.
In ogni caso Israele ha continuato durante la seconda intifada l’ampliamento di
un piano di distruzione di 1760 edifici nell’area di Rafah.
Nell’agosto del 2003 ha cominciato la costruzione di un muro lungo 7 m. e alto 8
m. a Rafah.
Come dice Nail Salman: «Nel 1982 Israele ha reso pubblici i suoi progetti di
isolamento – anni prima quindi, dello scoppio della Prima intifada - isolando e
dividendo la West Bank in tre aree disgiunte, situazione che tra l’altro,
perdura ancora oggi».
Durante l’attuale Intifada il governo Israeliano ha colto l’occasione per
continuare l’incremento di questa politica di isolamento, di esproprio della
terra e di rafforzamento dell’assedio dei palestinesi.
Mentre i palestinesi erano occupati a cercare di soddisfare i bisogni basilari
nelle loro città e nei loro villaggi e a lenire le conseguenze dell’operazione
“Scudo di Difesa”, Israele, nel giugno 2002, ha iniziato la costruzione del
muro.
La prima fase della costruzione – lunga 141 Km – è cominciata nel villaggio di
Salem, a ovest di Jennin che si trova a nord della West Bank, passando a sud
attraverso i villaggi sia di Tulkarem che di Qalqillia, per terminare nel
villaggio di Masha in Salfeet.
Inoltre, due parti aggiuntive del muro sono state costruite a nord di Betlemme e
a sud di Ramallah. La città di Qalqillia, a causa del muro, è stata trasformata
in una vera e propria prigione, imponendo ai sui 40.000 abitanti una situazione
di completo assedio.
La situazione a cui è soggetta la popolazione di questa città è il principale
esempio della distruzione sociale, economica e ambientale causata in Palestina
dall’edificazione del muro.
Fatima Al Baz dice che Il muro si è preso approssimativamente 10 dunum (circa
1/10 di ettaro) della sua terra, in aggiunta a quello che si erano presi prima.
Negli ultimi 2 anni sono state espropriate 10 dunum e sono continuati ad
avanzare «fino a che hanno costruito il muro».
A Qalqilia, su un totale di 12.000 dunum di terreno, il 35% è diviso dal muro e
i bulldozer hanno sradicato durante la costruzione 17.400 alberi da frutta.
Fatima dice che gli alberi stanno morendo, «Gli alberi di mandarino una volta
robusti sono morti e al loro posto hanno costruito il muro» e poi continua,
«Oggi abbiamo cibo da mangiare grazie alle donazioni! Stiamo spendendo i nostri
ultimi risparmi….. La gente ha perso il proprio lavoro. Come possiamo aspettare,
per potere mangiare, che ci diano aiuti per prendere buoni pasto. Non c’è
nient’altro da dire, niente…. Quello che ti dico è che la gente è senza aiuti e
affamata. Il muro non dà da mangiare a nessuno, non è forse così…?»
Sul totale di 69 pozzi artesiani che rifornivano l’area di acqua potabile e per
l’irrigazione, 19 pozzi che soddisfavano per 1/3 il fabbisogno complessivo
d’acqua sono stati distrutti o isolati.
Rasheed Abu Daher, che è un agricoltore, racconta che ha perso 110 dumum e anche
un pozzo artesiano che riusciva a pompare 200.000 metri cubi d’acqua, «è stato
distrutto da Israele e ora non possiamo nemmeno attraversare il muro per
provvedere a ripararlo».
Gli abitanti di Qalqlia erano soliti dipendere dal lavoro che svolgevano in
Israele come loro principale risorsa di reddito.
Ma da quando la Seconda Intifada è iniziata, questa possibilità si è
drammaticamente ridotta.
Dalla fine del settembre 2000, l’assedio israeliano ha impedito l’afflusso di
palestinesi dai villaggi vicini a Qalqillia, considerata un tempo uno dei
principali centri commerciali e di servizio.
Mustafa Almalkie, che è il governatore della città, nota che 600 esercizi
commerciali sono stati chiusi a causa del fatto che il commercio a Qalqillia
dipendeva dai clienti che erano soliti arrivare dai territori occupati del ’48,
come per esempio da Tybih e Teereh.
«Per quanto Israele impedisse, con un ordinanza militare, ogni accesso alle
città della West Bank, ora con i villaggi vicini alla West Bank continuamente
sotto assedio, a Qalqilia, la percentuale dell’attività commerciali non supera
il 10 – 15% di quello che erano».
Secondo le statistiche locali, 4.000 cittadini – il 10% della popolazione- ha
lasciato la città, oltre alle 1.000 persone che sono emigrate in altre città
della West Bank per cercare un lavoro in grado di sostenere le famiglie che sono
rimaste in città.
L’isolamento di 51 villaggi e città dai loro dintorni e dalle loro terre,
specialmente 15 villaggi che verranno completamente isolati tra il muro e la
linea verde (linea che segna i confini del ’49) costringerà 11.700 cittadini
nella condizione di non potersi muovere senza l’ottenimento di speciali
permessi.
Il rilascio di questi permessi è connesso a una dichiarazione di accettazione
degli ordini di confisca ed è un modo per aggirare i diritti di proprietà.
Questa drammatica realtà risulta tale anche considerando il tentativo di
annullamento del processo educativo.
L’arrivo, o meno, degli studenti a scuola viene fatto dipendere dall’arbitrio
dei soldati che sono i soli a possedere le chiavi dei cancelli e che sono
l’unico accesso al mondo esterno.
Wi’am Awad, una studentessa, nota che i soldati non vengono puntuali ogni
giorno, «qualche volta vengono alle 7, altre alle 8, altre ancora alle 7 e
mezza, altre ancora vengono molto in ritardo, ogni tanto ci impediscono proprio
di passare…. Ci dicono che hanno perso le chiavi. Ogni tanto indugiano fino a
quando la quinta o la sesta ora è finita». Un altro studente dice: «una volta
non ci hanno lasciato andare prima delle tre del pomeriggio e lo fanno spesso.
Ogni tanto non aprono affatto il cancello».
Nazmiyah Zubaidi, una professoressa, testimonia che: «l’altro giorno, il primo
giorno che è piovuto, siamo arrivati e abbiamo trovato un gruppo di 20 studenti
della prima e della seconda arrivati prima di noi, la jeep militare è arrivata…
e hanno detto: ”Torneremo”
20 minuti dopo sono ritornati ed eravamo ancora sotto la pioggia, abbiamo
aspettato più o meno un ora e mezza, insieme a tutti questi studenti che vedete
qui.»
I cancelli di questa prigione si aprono per pochi minuti durante la mattina e il
pomeriggio, e sono una fonte di intrattenimento per i soldati che sperimentano
ogni possibile forma di vessazione e degradazione sui palestinesi…
Jamal Othman, un contadino racconta quello che gli è successo: «Per due o tre
ore abbiamo aspettato al cancello, ogni contadino che passava doveva, sotto
l’ordine dei soldati, tirare un asino e i soldati israeliani ce lo dicevano per
prenderci in giro, ci dicevano: ”Ogni stronzo tira un altro stronzo”, ci hanno
messo in tre file: una per gli uomini, una per le donne e una terza per gli
asini». Il Racconto di Nazeeh Damiere, un allevatore, è ancora più
agghiacciante: «I soldati hanno preso la mia carta di identità e mi hanno legato
le mani insieme. Mi hanno fatto liberare l’asino e poi sciogliere la sella,
mettendo poi la sella sulla mia schiena. Mi hanno portato in fattoria e
costretto a fingere di fare sesso con l’asino, hanno continuato a guardarmi.
Dopo un po’ gli ho domandato: “E’ abbastanza?” Hanno detto: “No…Ti diremo noi
quando è abbastanza”. Poi mi hanno costretto a rincorrere la pecora con la sella
ancora legata alla mia schiena, molto in là mi sono levato la sella e l’ho messa
sull’asino».
In altre aree il muro ha separato alcune case dal resto del villaggio e dai suoi
dintorni. Separando i proprietari dalle loro fattorie e aziende agricole: la
mobilità delle persone è diventata sempre più un sogno remoto.
Zarefah Abu Sharib, Casalinga: «passare attraverso il cancello ogni mattina e
ogni sera è un vero incubo. Ho un bambino piccolo che fa la terza elementare,
l’altro giorno siamo stati attaccati dai soldati, ci hanno preso di sorpresa
mentre passavamo attraverso gli uliveti, e lui era così spaventato che stava per
morire, se non fosse stato per l’infermiera alla clinica che è corsa per
tranquillizzarlo e gli ha lavato il viso…
Ora, ogni mattina, quando siamo per strada, mi stringe il braccio e urla: ”Mamma
i soldati ci stanno per sparare?” Ma io gli dico di non avere paura.
Siamo rimasti sotto assedio per 45 giorni, i vicini e gli “internazionali” ci
gettavano il cibo oltre il recinto, ho pregato dio! Ero solita dividere la
pagnotta che davo da mangiare alla mia famiglia per due o anche tre giorni…»
L’economia palestinese sta già soffrendo a causa delle misure distruttive
dell’occupazione e dell’assedio.
Le comunità “marginalizzate” colpite dal muro stanno affrontando una situazione
ancora più difficoltosa che si traduce in ulteriori perdite.
Il muro è riuscito a distruggere il reddito di 43.567 famiglie palestinesi e a
distruggere o a isolare 165.000 dunum delle terre appartenenti ai villaggi
colpiti dal suo percorso.
Muna Oudeh, contadina:
«Durante la costruzione del muro gli Israeliani ci hanno avvertito: “Liberate
questa terra! Ora è una zona militare chiusa!”. Hanno scoperchiato i tetti delle
serre e rovinato tutto! Questa fattoria era considerata la più produttiva
dell’area, mio marito aveva persino ricevuto un attestato di apprezzamento dalla
Lega Araba per l’alto livello di sviluppo e di organizzazione dell’impresa
agricola».
Jamal Othman, un altro contadino: «avevamo 400 dunum, ora abbiamo solo un po’ di
spazio attorno alle nostre case. Circa 350 dunum sono oltre il muro, di cui il
75% è stato completamente distrutto dal suo percorso.
Un totale di 5.000 olivi è stato isolato dal muro. 3.000 sono stati sradicati e
distrutti sul suo tragitto. Avevamo inoltre 30 dumum dietro le nostre case che
speravamo di mantenere, ma questa terra è stata distrutta per errore dagli
appaltatori che l’hanno seppellita sotto 4 m di terra. Producevamo 800 taniche
di olio di oliva, questo anno abbiamo acquistato il nostro approvvigionamento di
olio di oliva dal mercato».
Il percorso del muro è stato disegnato senza nessuna considerazione per la
proprietà o i proprietari. Anche le modalità che gli Israeliani hanno utilizzato
per informare la gente degli ordini di confisca mostra come hanno minato I
diritti di proprietà dei palestinesi e la possibilità di difenderli anche nelle
corti di giustizia israeliane.
A Shwake, per esempio, la confisca e gli ordini militari sono stati appesi alla
porta della stanza della pompa dell’acqua. Hanno lasciato la busta sulla porta
cosicché i contadini possano consegnare gli ordini l’un l’altro, parte degli
ordini erano appesi alla porta e gli altri erano appesi sugli alberi dei campi
“presi di mira”.
Le forze militari hanno distrutto 20 case, 262 negozi - 60 negozi a Qalqilia e
130 a Tulkarem.
Muiem Asaad, abitante di Mazletissa, racconta: «Il mio matrimonio era fissato
per il 21.08.03, era tutto pronto il giorno prima e avevo preparato una grande
festa. La mattina del 21, alle 6 di mattina, l’esercito ha ordinato la
demolizione dei negozi. Circa 150-200 negozi sono stati demoliti, mezz’ora dopo
l’esercito è tornato e ci ha ordinato di svuotare la casa in 15 min. abbiamo
detto: “Cosa? Non abbiamo nemmeno un ordine per la demolizione” Ci hanno
risposto che avevamo 15 minuti per lasciare la casa e liberarla dai nostri
averi…Una casa che era preparata per un matrimonio!».
Alcune comunità hanno perso le proprie fonti di approvvigionamento idrico.
La prima fase del muro ha prodotto il danneggiamento di 31 pozzi artesiani che
rifornivano l’area, e il sistema per l’irrigazione e per l’approvvigionamento di
acqua potabile sono stati distrutti.
Suhil Salman, del Comitato contro il muro, racconta che «più di 35 pozzi sono
intrappolati tra il muro e la linea verde. Inoltre 7 – 8 pozzi sono stati
danneggiati o distrutti. La questione più cogente è che l’intera falda acquifera
occidentale è isolata tra il muro e la linea verde, questo renderà molto
difficile per i palestinesi pianificare le loro strategie per ciò che concerne
le risorse idriche.»
Tutti questi danni sono solo un risultato della prima fase di costruzione del
muro che sarà, conformemente alla realizzazione dei progetti, lungo 620 km.
Alcune parti saranno costruite in cemento armato e raggiungeranno l’altezza di
12 m.
Il villaggio di Azaria a est di Gerusalemme è un primo esempio della larghezza
del muro che varierà tra i 40 e i 100 m.
Il Muro avrà 7 componenti: filo spinato, trincee profonde tre metri, strade di
servizio asfaltate , un muro alto 80 cm. Munito di una recinzione elettrica con
allarmi e detectors, una strada di servizio per il pattugliamento quotidiano,
un’altra trincea e ancora filo spinato…
La seconda fase di costruzione del muro si estenderà per oltre 42 Km. dal
villaggio di Salem a nord-ovest di Jenin, passando per Marj Ben Amer terminando
nel villaggio di Faqoua a nord-est di Jenin.
La terza fase del muro, conformemente ai progetti, si estenderà dai villaggi di
Salfeet al centro della West Bank passando per I villaggi di Ramallah e
terminando a Gerusalemme.